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Autore: Urban BlackWolf    03/02/2017    0 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Allontanarsi

 

Una fresca brezza e foglie d'autunno,
le giornate trascorrono lentamente.
Due guardinghi occhi solitari,
sorvegliano la vita.
Sentirsi la presenza tutt'attorno,
un animo tormentato,
una ferita incurabile.
Nessun rimpianto o promessa,
il passato è trascorso,
ma puoi ancora essere libera,
se il tempo ti renderà libera.
Adesso è tempo di aprire le ali,
di prendere il volo,
di provare la vita.
Dritta verso il sole rovente,
sei intrappolata in te,
ma puoi ancora essere libera,
se il tempo ti renderà libera.
Ma è una strada molto molto lunga da percorrere.
Comincia ad andare verso l'alto,
vedrai la luce,
essa splende da sempre.
Naviga attraverso i cieli cremisi,
la luce più pura,
la luce che ti rende libera,
se il tempo ti renderà libera.
Naviga stasera attraverso il vento e la pioggia,
stasera sei libera di volare,
e puoi ancora essere libera,
se il tempo di renderà libera.
E andando più in alto delle cime delle montagne,
e và alta come il vento inarrestabile.
E và alta.
Libera di volare stasera.
 

(Traduzione di You can still be free – Savag Garden)

 

 

 

La lezione con il suo adorato violino era stata pesante, ed anche se a Michiru piaceva da impazzire lasciar scivolare l'archetto sulle corde, si sentiva intorpidite tutte le dita. Iniziando ad essere piuttosto brava, il suo insegnante aveva deciso di alzare l'asticella ed il livello di difficoltà delle partiture era salito esponenzialmente con il passare delle settimane, tanto che adesso le risultava persino difficile ed un tantino doloroso, stringere un carboncino da disegno. Presto o tardi sarebbe arrivata anche per lei l'ora di decidere quale strada intraprendere per raggiungere il suo futuro; la musica o la pittura. Entrambe sorelle nella comprensione dell'esistenza umana e per lei entrambe importantissime per superare le difficoltà di una vita fatta di continui spostamenti. A causa del lavoro di suo padre, Viktor Clauss Kaiou, diplomatico svizzero di origine nipponiche estremamente tenuto in considerazione in ambito internazionale, Michiru e sua madre erano costrette a frequenti cambi di residenza, ma mentre per la donna la carriera di musicista la portava a viaggiare quasi senza sosta, stemperando gran parte del fastidio di un'adattamento continuo, per lei le cose non erano mai state facili. Per esempio non riusciva a farsi dei veri amici, ad affezionarsi ad un luogo o sentirsi parte di esso. Vedeva talmente di rado la sua Svizzera che non sentiva quasi più di appartenerle e più vicina ad essere una “cittadina del mondo”, Michiru bramava delle radici forti che la spingessero ad avere un posto da chiamare casa.

Camminando lungo il viale che portava alla villa che l'ambasciata elvetica della città ateniese aveva assegnato alla sua famiglia, Michiru guardò in direzione del porto del Pireo perdendo lo sguardo al blu marino in lontananza. Lui si, era sempre in lei. L'unico elemento presente in natura che riuscisse a calmare le ansie adolescenziali di una tenerissima ragazza, a volte anche troppo sensibile ai mutamenti del mondo che la circondava. Stringendo la custodia del suo violino tra le dita della mano destra, iniziò a farla dondolare leggermente percorrendo così un altro po' di strada prima di suonare al citofono ed aspettare che le venisse aperto. Poco meno di due minuti e la cuoca scese le scale che portavano all'ingresso, correndo poi a per di fiato lungo i cinquantina metri che la dividevano dalla ragazza.

Signorina Michiru... Per carità...”

Agapi, che succede?” Chiese puntando lo sguardo alla struttura in stile moderno che si estendeva dietro alle sue spalle.

La donna sulla quarantina le aprì il cancello bloccandola. “Suo padre... Non entri ora. E' furioso.”
“Dov'è mia madre?”

Dentro, ma...”

Michiru la scansò letteralmente da una parte lasciandole la custodia nelle mani iniziando a correre verso le scale. Spalancò la porta a vetri sapendo già a cosa avrebbe assistito.

Mamma!” Urlò prima di inquadrarla alla sua destra bloccata contro una delle pareti con le mani del padre al collo.

Lasciala papà.” Pregò lanciandosi sull'uomo, ma essendo piccola di statura e lui indubbiamente molto più forte di lei, si ritrovò il polso sinistro violentemente stretto nella presa di una delle sue mani.

Chi sei!? Che vuoi!?” Ringhiò.

Papà sono io, Michiru. Fermati... ti prego.” Ma le sue velleità vennero quasi subito interrotte da un grido. La morsa era scesa alle dita e le aveva piegato l'anulare all'indietro fino a spezzarlo.

Michiru cadde in ginocchio pervasa da un dolore lancinante.

 

 

Spalancò gli occhi stringendo istintivamente la destra alla mano gemella avvertendo sotto i polpastrelli la fede regalatale anni prima da Haruka. Un'anello piatto, alto circa cinque millimetri, dall'anima in oro bianco e le due estremità d'oro giallo. Lo guardò portandoselo alle labbra per baciarlo rannicchiandosi ancor più su se stessa.

Sorrise tristemente asciugandosi le lacrime che le stavano scendendo dagli occhi. Con il dito più debole da esercitare per un musicista, spezzato ed irrimediabilmente compromesso nei legamenti, le era risultato facile scegliere la carriera che avrebbe seguito. Aveva dovuto abbandonare il violino alla fine di quell'anno, ormai impossibilitata a bloccarne con fermezza le corde alla tastiera. Era come se una parte di se fosse morta facendola sentire di colpo più sola e vuota. Aveva scelto l'accademia d'arte, innamorandosi poi del restauro pittorico.

Il cellulare sul comodino suonò improvvisamente i Savage Garden nella loro You can still be free che Haruka si era ostinata a volerle mettere su al posto del suo consueto anonimo trillo e capì che era lei. Si ricompose per sembrare il più normale possibile.

“Pronto... Ruka.”

“Ben svegliata. Non dirmi che in questo giorno importantissimo sei ancora sotto le pezze!”

“Mmmm... Si.”

“Nuuuu. Ma come! Il suo amante la sta aspettando per essere esposto alla curia romana e lei dottoressa Kaiou che fa? Dorme!”

Michiru non potè che ridere alla vocina in falsetto che la compagna fece per ricordarle la presentazione che aveva in mattinata. La pala del Perugino era stata finalmente restaurata e lei, come prima operatrice, avrebbe dovuto presenziare alla sua ricollocazione museale in Vaticano.

“Ti amo.” Disse semplicemente provando nel cuore un'infinita riconoscenza per quella donna meravigliosa che era Haruka Tenou. Anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito, gioia della sua vita.

“Ecco. Che cos'hai combinato?” Chiese Tenou con malizia.

“Quanto sei antipatica. Mai possibile che quando ho voglia di essere romantica tu mi smonti come un castello di Lego!?” Si mise a sedere sul materasso tirando su col naso. All'altra non sfuggì.

“Che c'è Michi? Stavi piangendo?”

“No Ruka. No. E' solo un'infreddata. Qui fa molto più caldo che a Bellinzona e mi sono scioccamente scoperta.”

Dalla parte opposta il silenzio. Haruka sapeva del ritorno dei suoi incubi e non era affatto tranquilla quando erano costrette a dormire separate. Non che a casa potesse esserle molto d'aiuto, ma avendo il sonno leggerissimo aveva almeno la possibilità di svegliandola quando iniziava ad agitarsi troppo. Michiru cambiò radicalmente discorso alzandosi dal letto. “A proposito. Ieri ho visto Giò. Ti saluta e non vede l'ora di vederti.”

Indirizzare la conversazione verso l'amica funzionò. “Ma quanto è appiccicosa quella donna. L'ho chiamata dall'officina due giorni fa.”

“Se fosse per lei ti chiamerebbe tutti i giorni. Ti adora Ruka, ma lo sa che ti stranisci.”

“Ve bè, che c'entra, anche io le voglio bene, ma va sempre a finire che ci azzuffiamo. E poi adesso ho un sacco di lavoro da fare. La carena della nuova Panigale non decolla e non ho tempo anche per lei.” Si scusò imbarazzata.

Michiru sorrise. Vederle insieme era spassosissimo.

“Sai, credo che prima o poi dovrò affrontare con lei il discorso trasferimento.” Le confessò la bionda senza non poche riserve.

“Farle lasciare Roma sarebbe più che doloroso, ma sono d'accordo con te. Qui non ci sono gli sbocchi lavorativi adatti alla sua preparazione. E poi sarebbe bello vivere tutte e tre nella stessa città. Avete così tanto tempo da recuperare voi due.” Michiru entro in bagno osservando allo specchio le profonde occhiaie che aveva. Avrebbe dovuto truccarsi un bel po' per nasconderle.

“E tu quando torni?”

“Penso domani, nel primo pomeriggio.”

“Ottimo, allora ti vengo a prendere alla stazione con la tua Prius appena rimessa a nuovo dall'incidente. Rifare la fiancata è costato un pochino e ci sono volute settimane per trovare tutti i pezzi Toyota, ma è venuta davvero bene. - Cambiò il tono della voce lasciando che diventasse ancora più profondamente sensuale. - Mi sono stancata di dormire da sola.”

“Ma se sono partita due giorni fa!”

“E allora? Mi manchi!”

“E poi dici che sono gli altri ad essere appiccicosi.” La prese in giro prima di vedere l'ora sul dispay dell'orologio del bagno.

“Mamma mia, com'è tardi. Devo anche passare dal Cardinal Berti. Vuole che scendiamo ai musei insieme.”

“Appiccicoso anche lui! Salutamelo. Ci sentiamo dopo. Stendili tutti, come sempre! Ciao amore.”

“Sarà fatto. Ciao anima mia.” Riattaccando sospirò guardando di sottecchi la sua immagine.

Che faccia sbattuta che hai. Pensò affranta. Diamoci una mossa Michi o arriverai in ritardo e dopo il parto che è stato questo lavoro, non credo sia il caso.

E si infilò nella doccia dopo essersi tolta il pigiama ed averlo stranamente gettato in terra. Un'ora più tardi camminava sicura verso Porta Sant'Anna.

 

 

Il successo del restauro era sotto gli occhi di tutti, addetti ai lavori e non. Dopo l'intervento di pulitura e reintegrazione pittorica portata a compimento dalla dottoressa Kaiou, la Madonna con Bambino del Perugino era tornata a splendere di luce propria. In una delle sale dei Musei Vaticani adibita all'arte sacra della seconda metà del XV secolo, un piccolo gruppo di persolalità stava giustamente rendendo omaggio alla professionista che aveva permesso la rinascita di quell'opera d'arte.

“Dottoressa Kaiou lasci che le faccia i miei complimenti.” Un vaticanista abbastanza quotato le sorrise porgendole la mano che lei afferrò prontamente con sicura fermezza.

“Il merito non è mio, ma dell'artista. Comunque la ringrazio.”

“Sono tutti ampliamente meritati Michiru.” Fece eco il Cardinal Berti alle sue spalle.

“Eminenza, sappiamo entrambi che questo è stato un lavoro particolarmente complesso e non solo dal punto di vista tecnico, vero?” Disse ricordando all'uomo i mesi passati dove, vuoi per la malattia di Haruka prima, ed il suo incidente poi, i tempi della consegna della pala si erano dilatati a dismisura.

“L'importante è aver consegnato un lavoro ben fatto. Tutto il resto non conta più ormai.”

Lei non potè che ringraziarlo per l'ennesima volta.

“Ma la vedo stanca, va tutto bene?” Le mise paternamente una mano sulla spalla e la donna si affrettò a rassicurarlo. Non era il caso di fare di un sasso una valanga e poi quello che stava accadendo tra le pieghe del suo subconscio era solo affar suo.

Perchè non ne parli con Berti? Magari potrebbe darti qualche buon consiglio, le aveva suggerito la compagna e di tutta risposta Michiru non aveva preso la cosa neanche in considerazione. Aveva tagliato i ponti anche con il suo psicanalista, ritenendolo inutile e dannoso, figuriamoci se si metteva a raccontare il suo passato ad un prete. No, quello che le stava accadendo era un problema che avrebbe dovuto risolvere da sola. Anche se non sapeva ancora quando e, soprattutto, come.

“Ha nuovi impegni con la Santa Sede Dottoressa?” Chiese il vaticanista strappandola dai suoi pensieri.

“No. Devo tornare a Bellinzona dalla mia famiglia. Non posso più procrastinare il mio rientro in terra elvetica.”

“E' un vero peccato. - Disse avvicinandosi un po' troppo. - Perderemo quindi un bellissimo talento.” Lei sorrise nuovamente avvertendo un leggero senso di nausea. Non sopportava più di fingere che le cose o le persone di poco spessore la interessassero. Era da tutta la vita che cercava, studiava e si applicava per farlo. Per soddisfare gli altri. Per soddisfare un perbenismo che non tollerava più.

Avvertendo un forte giramento di testa si staccò da quell'uomo con una scusa banale, dirigendosi verso l'uscita della sala. Aveva bisogno di un po' d'aria. Si sentiva soffocare li dentro. Quella parte del museo era ancora chiusa al pubblico così riuscì a trovare una panca libera sedendovi appena in tempo per non cadere in terra.

Michi che ti sta succedendo?! Si chiese rabbiosa stringendo le mani a pugno sulle gambe mentre la schiena s'imperlava di sudore gelato. Non sarà una crisi di panico?! Ci mancherebbe...

Pochi istanti ed una forte stretta le arpionò la spalla. La sagoma del Cardinal Berti le riparò le iridi cobalto dai led dell'illuminazione. “Michiru lei non sta affatto bene.”

“Passerà Eminenza. Ho solo bisogno di stare seduta per un po'.” Pigolò chiudendo le palpebre.

Angelo Berti non era uomo da farsi convincere con quattro chiacchiere e due moine. In vita sua aveva sempre fatto della testardaggine la sua orifiamma ed ora non sarebbe stata certo una giovane donna a farlo desistere dall'idea che si era fatto.

“Ascolti, non mi dica che va tutto bene quando è palese che non sia affatto così. Abbiamo affrontato parecchie discussioni noi due, ma credo che questo abbia portato ad una certa fiducia e perciò mi creda se le dico di essere preoccupato. A casa procede tutto come sempre?” Vide la donna fare un cenno di assenso. “Ed allora è il corpo che non va.” Si sedette al suo fianco prendendole le mani.

“Non è mia intenzione intromettermi, ma Haruka lo sa?”

A quella domanda l'adrenalina di Michiru esplose nel cervello riportandola ad una lucidità insperata fino a qualche istante prima.

“Tornerò a casa domani. Non c'è morivo che si preoccupi.” Si alzò respirando profondamente.

Il suo disagio fisico era solo la diretta conseguenza della mancanza di sonno che aveva ormai in forma cronica da quasi due mesi e ostinandosi a rifiutare di prendere un qualsiasi medicinale non aiutava. In più pernottare fuori dal suo appartamento peggiorava ulteriormente le cose. Aveva infatti notato che quando dormiva a casa, nel suo letto, stretta al petto della sua compagna, era tutto ammortizzato, incubi e malesseri inclusi. Non che questo la consolasse. Michiru era una donna fatta ed anche parecchio intelligente. Sapeva che nei mesi nei quali la sua Ruka era stata male e si erano per forza di cose dovute separare, lei non aveva più avuto un solo incubo. Questo voleva dire soltanto una cosa; che con Haruka gli incubi del suo passato erano smorzati, ma comunque sempre presenti.

“Grazie Eminenza. - Gli stinse la mano cercando di sorridere. - Il suo interessamento mi commuove, ma le ripeto che non è nulla di preoccupante. Sono solo molto stanca.”

Lui la seguì alzandosi accigliato e non avendo peli sulla lingua disse a chiare lettere. “Come crede Michiru, ma non vedo come del buon sonno possa allontanare quella strana luce che ha negli occhi da qualche tempo. Non insisterò, ma si ricordi che in me troverà sempre un amico.”

“Lo so.” Disse guardandolo intensamente. Quell'uomo era sempre una sorpresa di comprensione.

 

 

Il tutore al dito le dava fastidio costringendola a portare la mano stretta in un foulard appeso al collo. Alexios, il marito di Agapi, l'aveva riportata a casa la sera stessa, ma al pronto soccorso le avevano già fatto capire che per riprendere una discreta mobilità della mano, avrebbe dovuto essere operata da li a breve. Una discreta mobilità. Questo voleva dire che molto probabilmente la sua carriera da violinista era finita ancor prima di iniziare pienamente.

Seduta in terra con le spalle poggiate ad una parete al buio della sua stanza, Michiru strinse la custodia del violino accarezzando con le dita della mano destra la targhetta di ottone con inciso il suo nome. Aveva detto ai medici di essere caduta per le scale e loro ci avevano creduto, anche perchè dopo che il padre aveva lasciato la presa alla mano l'aveva allontanata da se con un paio di calci, uno dei quali l'aveva presa alla testa lasciandole un vistoso ematoma sulla tempia.

Portandosi le ginocchia al petto strinse con maggior forza il raso blu notte. Perchè la sua vita stava cambiando tanto rapidamente?! Perchè non si riusciva a trovare una cura per suo padre?! Michiru già si figurava come sarebbe andata a finire anche quella volta; appena la crisi sarebbe scemata e lui tornato quello di sempre, per non farlo sentire responsabile di aver arrecato dolore fisico e morale alla sua bambina, la madre l'avrebbe costretta a mentirgli ancora una volta e lei avrebbe dovuto fingere. Fingere di non avere il terrore delle sue carezze. Fingere che non si aspettasse urla improvvise e scatti d'ira incontrollati. Fingere di non provare brividi ogni volta che si sedeva accanto a lei porgendole gioioso uno spartito nuovo appena compratole. Fingere che fosse sempre ed immancabilmente tutto perfetto.

Ma non lo è! Non lo è più da mesi! Pensò cercando di scacciare le lacrime che sentiva negli occhi. Si era stufata anche di piangere. Iniziava a non sopportare più quella sua umana debolezza ed anche se non poteva farne a meno, stava comunque cercando quotidianamente di essere più forte o almeno di sembrarlo. Aveva così preso l'abitudine di portare la maschera dell'indifferenza, soprattutto fuori casa, con le persone che non conosceva o a scuola, dove sapeva che per questo atteggiamento da “superiore”, come aveva sentito dire per i corridoi, molti alunni avevano iniziato a scansarla lasciandola sola anche al tavolo della mensa. Poco male, si era detta, eviterò di tradirmi con qualcuno.

Avvertì un paio di colpi ben piazzati al legno della porta e per istinto si alzò subito lasciando la custodia sul letto.

Si... Chi è?” Chiese avvicinandosi alla toppa per afferrare la chiave.

Mamma, sei tu?” E persa in quell'innocente speranza, aprì abbassando la guardia.

 

 

Si alzò facendo leva su un avambraccio mentre l'altro scattava verso l'alto a protezione del viso. Aspettandosi il colpo serrò gli occhi per qualche secondo, poi, non avvertendo che il suo respiro affannoso, li riaprì lentamente ritrovandosi nel suo appartamento romano. Si era addormentata sul divano, crollando dopo aver finito di preparare la sua ultima valigia. Disdetto l'affitto di quello che era stato il suo “appoggio” in terra straniera dall'estate precedente, era ormai pronta a fare definitivamente ritorno a casa.

“O Dio...” Lasciò che le uscisse dalle labbra mettendosi seduta per poggiarsi una mano al petto. Il cuore le correva all'impazzata.

Scosse la testa tossendo. “Non va... Così non va, Kaiou.”

Si alzò lentamente per andare in cucina. Si sentiva frastornata. Ormai iniziava ad essere sempre più difficile svegliarsi senza l'aiuto di Haruka. E pensare che quando un paio di mesi prima gli incubi erano tornati, non avevano quasi una forma o una logica. Si riducevano a sensazioni, magari orribili, opprimenti, ma solo sensazioni. Adesso ciò che faceva era rivivere spezzoni di un passato che credeva di aver sepolto anni addietro in uno dei cassetti della memoria e se la situazione fosse continuata così, avrebbe dovuto ricominciare a prendere pillole su pillole per ritrovare il suo equilibrio.

Portò una mano alla fronte madida di sudore aprendo poi il rubinetto della cucina. No, non voleva. Quello che proprio non riusciva a sopportare era di non avere il pieno possesso delle sue capacità logiche.

Non prenderò mai più niente che mi stordisca, mamma! Se fossi stata lucida forse...” Aveva promesso alla madre il giorno dopo la morte del padre e da quel momento Michiru aveva tollerato solo Aspirine, antibiotici e la sua “adorata” Tachipirina. Le avevano dato qualcosa per farla riposare solo quando aveva avuto un incidente in auto verso la fine dell'anno precedente, ma aveva perso i sensi durante l'impatto e non si era certo potuta opporre.

Prese un bicchiere d'acqua poggiandosi al ripiano. Proprio in quella cucina, il Natale passato, aveva affrontato con la compagna quel discorso, avendo avuto l'avvisaglia del ritorno del suo problema ed ora che ne aveva la certezza... doveva agire. E subito.

“Devo dirlo a Ruka.” Si ripromise non appena l'orario lo avesse permesso.

 

 

“Michi buongiorno.” Rispose pimpante in quel mercoledì mattina.

“A te amore. Stavi sotto la doccia?” Chiese conoscendo perfettamente ogni tappa mattutina della sua abitudinaria bionda.

“Appena uscita... Oggi devo accelerare. Vado a fare un sopralluogo e dei rilievi alla pista di Bremgarten con il capo Smaitter. Tra qualche giorno la riapriranno e potremmo riprendere a collaudare la nostra dolce bambina a due ruote. Si è stancata di una piastra da simulazione. Lei ha bisogno di correre libera, se no mi si stranisce e poi va a finire che mi ritrovo schiena a terra a masticare asfalto. Ma tranquilla sarò alla stazione per tempo, promesso. Quando arriva il diretto? Alle 14?” Michiru la sentì armeggiare con una delle ante del loro armadio e non sapendo da che parte cominciare, cominciò e basta.

“Haruka, non posso.”

“Cosa non puoi?” Chiese sfilando un paio di comodi Lavis dalla stampella.

“Non posso venire.” L'altra si fermò lanciando uno sfondone.

“Ma come... Hai ancora da fare? Che cos'altro vuole da te il Cardinal Berti?”

Michiru sospirò pesantemente. Era difficile. “Ascoltami bene. Non tornerò a Bellinzona. Ruka i miei incubi stanno peggiorando e non riesco più a tenerli sotto controllo. Devo fare qualcosa.” E dal repentino cambio di voce dell'altra capì che aveva la sua completa attenzione ora.

“Non scherzare. Lo sappiamo entrambe che quando sei fuori casa sono più vividi e violenti, ma passeranno quando riprenderai la tua vita qui.”

“Non sto affatto scherzando. Devo risolvere il problema e lo devo fare prima che diventino ingestibili.”

“Ma che cos'è successo?! Stai bene?” Chiese sedendosi sul bordo del loro letto. Michiru non aveva mai fatto così prima di allora.

“Si, sto bene, ma devo tornare a riposare. Il mio fisico ne ha bisogno.”

“E allora torna a casa. Ci penserò io a svegliarti quando...”

“Ruka, perchè non vuoi capire!? - Alzò la voce come non era suo solito fare. - Per quanto potrai reggere?”

“Per tutto il tempo che sarà necessario!” Cercò di imporsi alzandola anche lei.

“Non essere sciocca! Non è questa la soluzione e tu lo sai bene! Quando il tuo passato ti ha bussato alla porta, tu lo hai guardato dritto negli occhi. Non hai aspettato che tutto il dolore passasse da solo, o sbaglio?”

“Ma che cazzo c'entra questo!”

“Non essere volgare.” Disse tornando ad abbassare il tono.

Haruka respirò un paio di volte prima di chiederle scusa. Cercò allora la via della contrattazione. “Va bene, ho capito. Se non te la senti di venire a casa, vuol dire che chiederò al capo Smaitter un paio di giorni di permesso ed andremo dove vuoi tu e risolveremo questa cosa.”

Michiru sorrise. Quando la sua donna si impuntava a non voler capire non c'era verso di farla ragionare da persona matura qual era. “Un paio di giorni? Non credo basterebbero...”

“Va bene. Allora una settimana...”

“Haruka devo imbarcarmi. Non ho più tempo.” Tagliò corto già con il biglietto stretto in mano.

L'altra schizzò su dal materasso sentendosi una morsa alla gola. “Michi aspetta! Ma dove sei?!”

“All'aeroporto, Ruka. Questa volta devo affrontare i miei demoni da sola e sono sicura che appena finirai di avercela con me, capirai il perchè lo sto facendo.”

“Come all'aeroporto! Ma dove vuoi andare?! Michiru aspetta, non prendere decisioni affrettate.”

“Ruka.... Non preoccuparti, ti chiamerò presto. Ora devo proprio andare... Ti amo.” E mosse il dito sul dispay interrompendo la conversazione. Spense il cellulare andando verso il gate d'imbarco con la morte nel cuore.

“Michi...” Silenzio.

 

Atterrò all'aeroporto Internazionale di Atene due ore dopo non sapendo bene cosa fare. Era in fuga. Si sentiva braccata da se stessa ed aveva preso la decisione di imbarcarsi per la Grecia quasi all'ultimo momento. E ora? Cosa si aspettava di trovare in una città straniera, lontano dalla sua Svizzera, dal suo lavoro e soprattutto, dalla sua compagna? E poi perchè li e non altrove? Aveva viaggiato così tanto da ragazza.

Si guardò in torno non riconoscendo nulla di quel posto. Evidentemente nel corso degli anni gli ambienti avevano avuto delle ristrutturazione abbastanza importanti. Stringendo le labbra iniziò a dirigersi verso la zona del ritiro bagagli sentendo di stare perdendo passo dopo passo la baldanza.

Adesso giro i tacchi e torno a casa. Cerco un biglietto low cost per Trento. Dovrei riuscire a farcela per il primo pomeriggio. Poi chiamo Haruka e mi faccio venire a prendere, così avrà poco meno di un'ora e mezza per urlarmi contro. Saremo a casa in tempo per prepararle una buona cena e scardinare il suo nervosismo con un bel massaggio. Poi faremo l'amore e la terrò stretta a me per tutta la notte. Pianificò mentalmente continuando a camminare verso i nastri trasportatori, ma al pensiero della notte, del sonno e delle sue conseguenze, avvertì un brivido di paura serpeggiarle lungo la spina dorsale riprendendo nuovo vigore nel suo proposito.

Uscita dalla struttura aeroportuale prese un taxi cercando di ricordarsi il greco che aveva avuto modo di imparare a contatto con il personale che lavorava alla villa. Agapi la cuoca, suo marito Alexios e le due figlie Ami e la maggiore Khloe. Lei in quel periodo andava a scuola in un collegio Svizzero situato ad un paio di chilometri da casa, dove si parlavano prettamente il tedesco, l'inglese ed il francese e se non fosse stato per loro, nei due anni trascorsi in Grecia, non avrebbe imparato niente. Invece grazie a quella fantastica famiglia aveva potuto scoprire dell'Ellade la cultura casalinga, le usanze, i modi di dire e la lingua. In verità il dialetto ateniese. E proprio di quello si servì per farsi portare sulle colline dov'erano situate le ville delle famiglie alto borghesi e dei diplomatici stranieri. Il comprensorio di Pirix.

 

 

Anche di quel quartiere Michiru non ricordava molto. L'edilizia come le strade, si era evoluta. Il verde pubblico si era fatto più rigoroso e l'urbanistica, vent'anni prima ricca di enormi parchi privati, si era arricchita di edifici dalle forme moderne. Ferma davanti al cancello che quattro lustri prima era stata la residenza dei Kaiou, si guardò intorno provando una serie di emozioni contrastanti. Durante quel periodo aveva scoperto di se tante cose; prima su tutte il dispiacere per la perdita della capacità di suonare ad un certo livello. Un trauma equiparabile alla malattia nervosa del padre. Ma con esso aveva anche scoperto una forza interiore che non credeva di possedere, un'adattamento ed una costanza nella sopportazione che ancor oggi era un suo punto d'orgoglio. Tra quelle quattro mura aveva in fine scoperto l'amore, anche se non si sarebbe mai aspettata fosse per una ragazza di qualche anno più grande di lei, come aveva intuito che quel sentimento così potente, indicato da sua madre come una devianza, avrebbe allontanato la donna dalla figlia per sempre.

Bene, adesso che sono qui? Cosa ti dovresti aspettare Kaiou? Penso spostandosi dalla cancellata per andare verso il bordo del marciapiede.

Bella trovata. Bella trovata davvero. Questa volta ho agito senza pensare ed i risultati si vedono.

Avvilita alzò gli occhi da terra notando che una ragazza in sella ad un piccolo scooter giallo la stava fissando dalla parte opposta della carreggiata. Qualche altro secondo e facendo inversione le si affiancò. Spegnendo il motore e slacciandosi il caschetto le sorrise sgranandole addosso due fari azzurro cielo.

“Ma sei proprio tu?!”

Michiru aggrottò la fronte guardandosi un attimo alle spalle per poi tornare ad incrociarne le iridi.

“Non dirmi che ti sei dimenticata il greco! Eri così portata.”

Allora, visto che ce l'aveva proprio con lei, dovette per forza di cose risponderle. “Guarda, mi dispiace, ma credo che tu mi stia scambiando per qualcun altro.”

L'altra inclinò la testa continuando a sorriderle.

“La pronuncia è ancora buona, ma la memoria...”

“Mi stai mettendo in difficoltà.”

Allora la ragazza più giovane, dall'apparente età di trent'anni, con i capelli a caschetto tagliati corti, la carnagione scura e lo sguardo vispo, scese dal mezzo andandole davanti.

“Tu sei Michiru Kaiou, non è vero? - E ad un assenso continuò aumentando l'enfasi di quel luminosissimo sorriso. - Io sono Ami, la figlia di Agapi e Alexios Mizuno. Non ricordi?” Indicò con l'indice la villa alle sue spalle.

“Venti anni fa vivevamo tutti qui.”

Pian piano Michiru spalancò occhi e bocca rivedendo tra le spire dei ricordi una bambinetta di dieci anni, amante dei libri, della musica e della natura, che le ronzava spesso in torno.

“O Signore... Ma... Ami, si certo.”

 

 

Lo scooter andava veloce lungo la discesa che dal monte Pirix portava alla città grande, ovvero alle borgate periferiche di Atene.

“Vado troppo forte? Se hai paura rallento.” Le urlò confondendo la voce con quella del vento.

Troppo veloce? Michiru era talmente abituata alla velocità che le sembrava di stare facendo una passeggiata in tandem. “No, tranquilla. Ma che assurda coincidenza ritrovarci.”

“E già. Ora io e la mia famiglia viviamo vicino al porto. Abbiamo una piccola pensione, ma dovevo comprare un testo in una libreria specializzata poco distante dalla villa.”

“Ho capito. E cosa fai nella vita?”

“Sono all'ultimo anno di specializzazione. Sono un medico.”

“Ma è meraviglioso. Complimenti. Ricordo che da bambina eri molto studiosa. Si vedeva che se ne avessi avuto la possibilità avresti scelto qualcosa del genere.”

L'altra rise superando un paio di macchine. “Già. E tu? Sei diventata una violinista famosa come voleva tua madre? Ricordo che da piccola passavo ore nello studio di tuo padre a sentirti suonare.”
Ami veniva spesso a fare i compiti di scuola da loro, mettendosi buona buona seduta alla scrivania di Viktor mentre lei si esercitava. I genitori non le avevano mai detto che preso da un raptus nervoso, il signore aveva stroncato la carriera alla figlia. Era troppo piccola e facilmente influenzabile e perciò avevano optato per una pietosa bugia, dove la signorina si era rotta un dito nell'ora di ginnastica e che per tornare a poggiare l'archetto sulle corde sarebbe dovuta restare a riposo per qualche mese. Poi i Kaiou si erano trasferiti in Giappone e la piccola Ami non aveva più sentito la dolce melodia del suo violino.

“No. Ho scelto la pittura. Veramente sono una restauratrice pittorica.” Michiru vide dallo specchietto retrovisore il volto della ragazza sorprendersi, ma poi, tornando a fare attenzione alla strada, l'argomento per sua fortuna cadde.

“Senti Michiru se non hai ancora un posto dove pernottare perchè non vieni da noi? Non è ancora tempo di gite scolastiche ed alcune stanze della pensione sono vuote. Ai miei genitori farebbe un enorme piacere.” Offrì.

“Beh, in effetti sono ancora sprovvista di alloggio.”

“Perfetto! Allora tirniti forte.” E dirigendosi verso il Pireo le due donne puntarono decisamente sulla costa.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco qui e come mi ero ripromessa ho iniziato qualcosa di nuovo incentrato su Michiru. Cercherò di evitare di scoprire sin da subito troppe cose accadute “nell'Atto più grande” così che se qualcuno non l'avesse letto e volesse farlo, non avrà già tutto in mente. Farò comparire anche Ami, anche se qui non è propriamente uguale a quella che conosciamo, perchè è una ragazza greca e come tale devo cercare di strutturarla, ma è molto somigliante. Gli altri personaggi, molti di più che nel primo racconto, a parte Khloe e la stessa Ami, saranno meno descritti ed Haruka e Giovanna, soprattutto quest'ultima, non avranno il ruolo chiave avuto in precedenza, anche se pian piano compariranno.

 

 

 

 

 

 

   
 
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