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Autore: Koaluch    04/02/2017    0 recensioni
#Primo libro della saga "The Changers".
La vita sembra trascinarsi sempre più verso qualcosa di misterioso e inquietante per Lucrezia, dopo aver conosciuto Darrell. Il ragazzo del quale si è innamorata a prima vista sembra rivelarsi all'improvviso qualcuno che non conosce affatto, spezzandole non solo il cuore, ma trascinandola anche via dalla sua vita.
Lucrezia si ritrova così intrappolata in una comunità di changers, persone che credeva provenire da una leggenda.
L'unico che sembra accoglierla senza volerla uccidere si rivela il capo di quel posto che però l'affida sotto la guardia del ragazzo che ha attentato alla sua vita, Dante.
Inizierà così una convivenza sul filo di un rasoio, durante la quale Lucrezia imparerà a capire Dante e il suo odio istintivo verso di lei.
Ma cosa ci fa davvero lì dentro? Perché Darrell l'ha portata lì? Perché non la lasciano andare?
- Wattys 2016 vincitrice della categoria "sulla bocca di tutti".
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Dieci ore prima.

 

Era venerdì e nell'aria aleggiava il tipico sollievo che si prova quando si va al lavoro o a scuola per l'ultima volta nella settimana e si hanno in vista due lunghi giorni di meritato riposo. Il sole splendeva carezzevole quel mezzodì di ottobre e sulla pelle si sentiva il giusto tepore di quando non fa né caldo né freddo. Un venticello soffiava leggero per le strade della periferia di Roma, portando con sé il profumo di salsedine proveniente dal mare.

Fuori dalla mia scuola, respirai a pieni polmoni la libertà che quel giorno portava con sé, sentendomi già più leggera. Era stata una giornata faticosa: avevo svolto un test di scienze per niente facile e seguito due interminabili ore di storia dell'arte che mi avevano reso gli occhi pesanti, rischiando continuamente di farmi addormentare. Non ero ciò che i miei compagni avrebbero definito "secchiona", ma a scuola non me la cavavo affatto male, quindi per me era stata una dura prova quella di non cedere alla tentazione del sonno. Dovevo mantenere la media dell'otto che mi ero faticosamente guadagnata. Subito dopo però, c'era stata l'ora di inglese, materia in cui posso permettermi di oziare perché conosco la lingua come le mie tasche. I miei genitori non sono anglofoni, eppure io sono nata conoscendo questa lingua. Mia madre dice che sono poliglotta per spiegare l'inspiegabile, ma è comunque strano che nessuno me l'abbia mai insegnata. La sapevo e basta. Strano ma comodo, ho sempre pensato.

«Ehi, Luki! C'è Darrell» mi avvertì la mia amica Valeria con una risatina. Sentirmi chiamare Luki ormai era diventata un'abitudine. Da quando frequentavo le superiori, il mio nome era diventato quello e non più Lucrezia. Persino mia madre aveva iniziato a chiamarmi così, dopo averlo sentito da Valeria. La ragazza aveva sempre affermato che il mio intero nome fosse troppo lungo e, nonostante all'inizio fosse stato strano sentirmi chiamare con quel diminutivo, alla fine mi ci ero piacevolmente abituata.

Valeria era la mia migliore amica, nonché fissa compagna di banco da tre anni. Fin da subito avevo potuto notare che persona brillante fosse, un po' egocentrica ma simpatica e molto attaccata alle persone a cui voleva bene. Ovviamente io rientravo in queste ultime e lei nelle mie. Era davvero una bella persona, sia fuori che dentro. Parecchio bassa, con le forme al posto giusto, aveva i capelli lunghi e lisci che le arrivavano fino al fondo schiena in una cascata dorata, anche se spesso preferiva arricciarli come aveva fatto quel giorno. Gli occhi di un brillante marrone verdognolo erano grandi e spesso abbondantemente truccati, ma ciò contribuiva solo a renderla ancora più ammirata dai ragazzi. Il suo viso era un perfetto ovale dagli zigomi pronunciati e le guance rosee. Le sue espressioni erano spesso rimarcate da due sopracciglia ad ala di gabbiano. Le volevo davvero bene. Non avevamo proprio gli stessi interessi, ma, per qualche motivo, eravamo inseparabili.

Mi voltai verso Darrell, osservandolo in lontananza. Nonostante ormai fossi abituata alla sua presenza, vederlo mi lasciava sempre senza fiato. Era davvero il ragazzo più bello che avessi mai incontrato, e su questo non avevo dubbi. Ogni volta che lo guardavo, quella sicurezza si faceva strada in me, lasciandomi affascinata e rapita da lui. Sembrava un modello di qualche rivista, di quelli che lasciano a bocca aperta chi li vede. Nonostante ormai avessi imparato a conoscerlo, conservava sempre quell'aria sensuale e misteriosa che mi aveva rapita già dalla prima volta. Era muscoloso e poco più alto di me che, essendo una ragazza, ero un po' sopra la media. I suoi corti capelli castani erano pettinati ordinatamente all'insù quel giorno, conferendogli un'aria seria ed elegante, accentuata dalla camicia che portava con spontaneità. I suoi meravigliosi e profondi occhi marroni gli donavano uno sguardo duro e penetrante, ammorbidito però dal sorriso gentile che mi stava rivolgendo. Sopra la camicia indossava una giacca leggera con le fibbie di legno chiaro e un paio di jeans neri gli fasciavano le gambe fino a degli scarponcini beige.

Senza nemmeno accorgermene, mi ero diretta verso di lui, dimenticandomi di Valeria. Mi sarei fatta perdonare quella sera, chiamandola. Sicuramente sarebbe stata entusiasta in ogni caso del fatto che Darrell mi fosse venuto a prendere a scuola e avrebbe voluto sapere ogni dettaglio del niente che, secondo me, sarebbe successo di lì a poco.

La brezza fresca di quell'autunno mi scompigliò i capelli proprio nel momento sbagliato, facendomi imbarazzare davanti a quel ragazzo magnifico. Lui era sempre bellissimo, mentre io ero solo una ragazzina spettinata che gli sbavava dietro, me ne rendevo conto. Darrell però non sembrava badare ai miei capelli, continuando a guardarmi negli occhi e, non appena mi raggiunse, mi porse un oggetto che aveva in mano, sorridendomi come sempre. Troppo intenta a osservarlo, non mi ero accorta che mi avesse donato una rosa, che in quel momento tenevo tra le mani con sguardo rapito. Era tutto nuovo per me: qualcuno che mi rivolgeva attenzioni, i fiori, i regali... un ragazzo che mi veniva a prendere a scuola! Sembrava tutto così irreale, eppure non lo era.

«Grazie» sussurrai, anche se quella parola non bastava a esprimere per intero la mia gratitudine. Non era la prima volta che mi donava un fiore, ma ciò non significava che per me fosse una cosa da poco. Avevo sempre tenuto molto ai regali che mi venivano fatti, di qualsiasi natura essi fossero. Anche da piccola, non ero quel tipo di bambina che rompeva un giocattolo pochi giorni dopo averlo ricevuto mentre, se perdevo un oggetto a me caro, ci stavo male per settimane.

Per questa ragione, e anche perché non sapevo spiegarmi la motivazione di tanto interesse verso di me, ero a dir poco entusiasta del piccolo dono che avevo appena ricevuto.

Pur sapendo di non essere una ragazza bruttina, non mi consideravo nemmeno chissà chi. Avevo dei lunghi e piatti capelli biondi che erano costantemente spettinati dal vento di ottobre e occhi tra l'azzurro e il verde che, forse, erano l'unica parte del mio corpo che poteva risultare piacevole. Il colore delle iridi, tuttavia, era comunque un dettaglio molto insignificante. Non ero niente più delle mie coetanee, tranne che per l'unica cosa particolare che avevo, ovvero l'altezza, che però non aiutava affatto nel sentirmi carina: i ragazzi cercavano ragazze piccole e dolci come Valeria, non alte e slanciate come me. Darrell, invece, sembrava trovare nella sottoscritta qualcosa che gli altri non vedevano, qualcosa che, secondo me, proveniva dalla sua immaginazione.

Lo avevo conosciuto circa un mese prima, scontrandomi con lui all'entrata della scuola e facendo la classica figuraccia. Invece di ridere di me però, mi aveva aiutata a raccogliere le mie cose e in quel momento avevo capito di trovarmi davanti un ragazzo fuori dal comune. Non potevo crederci quando sembrava essersi interessato a me, ma poco più di tre settimane dopo mi ero ritrovata a baciarlo nella sua auto, con il dubbio di aver corso troppo respinto dalla sua dolcezza e premura.

Negli ultimi giorni aveva preso l'abitudine di venirmi a prendere a scuola dopo il lavoro, facendo diventare verdi d'invidia tutte le ragazze. Non mi interessava tuttavia ciò che dicevano alle mie spalle, se poi al mio fianco c'era un ragazzo che non mi ero nemmeno mai sognata di avere. Mi aveva raccontato che lavorava in un negozio di vestiti famoso in centro, e i suoi orari coincidevano quasi con quelli miei della scuola, ecco perché veniva spesso.

Mi incamminai verso casa, accompagnata da quel ragazzo a cui tenevo tanto. Nella mano destra portavo la rosa, nella sinistra stringevo la sua mano fredda.

Nonostante fosse solo ottobre e l'aria risultasse ancora calda, avevo molto freddo rispetto ai miei compagni di classe, che venivano a scuola con le maniche corte. Persino Valeria soffriva ancora il caldo e mi riteneva strana per il mio eccessivo rabbrividire alla prima folata di vento. Darrell, invece, mi faceva sentire un po' più normale: sembrava sentire freddo e coprirsi quanto me e le sue mani gelate ne erano la dimostrazione.

«Oggi devo scappare subito, ma nel pomeriggio ho una sorpresa per te» mi disse con il suo strano accento, appena fummo arrivati sotto casa mia. Una volta gli avevo chiesto come mai avesse quella parlata particolare e lui mi aveva risposto che i suoi genitori erano australiani, anche se lui era nato in Italia. Questo spiegava anche il suo nome davvero poco diffuso.

Subito la curiosità prese il sopravvento e mi dimenticai a cosa stessi pensando. «Di che si tratta?» chiesi con gli occhi che brillavano. Avevo sempre amato le sorprese. Mia madre era solita preparare per me biscotti, torte e dolci di tutti i tipi, e amava tirarli fuori a sorpresa e vedere la mia reazione.

«Se te lo dicessi che sorpresa sarebbe? Ci vediamo più tardi» esclamò ridacchiando, dandomi un bacio sulla fronte per poi allontanarsi verso casa sua.

Ripensandoci, non ero mai stata a casa di Darrell, non sapevo bene nemmeno dove fosse. Sapevo solo che non era lontana dalla mia. Forse voleva portarmici. Magari voleva farmi conoscere i suoi genitori. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere ed ero del tutto inesperta nei rapporti con l'altro sesso.

Con quel pensiero che mi teneva in agitazione, riuscii a malapena a pranzare e passai il primo pomeriggio davanti al mio armadio, non sapendo bene cosa indossare. I miei vestiti erano tantissimi, ma per qualche strana ragione parevano non essere mai abbastanza. Non sembrava starmi bene niente addosso quel giorno, nonostante avessi provato almeno una ventina di abbinamenti. Non avevo idea di dove volesse portarmi Darrell, quindi avevo optato per indossare qualcosa di semplice. I vestiti che provavo però, non sembravano mai quelli giusti, rivelandosi sempre troppo eleganti o, al contrario, sciatti. Alla fine mi misi il cuore in pace e scelsi un paio di jeans scuri che riuscii a farmi entrare per miracolo e una canottiera bianca coperta da una camicia a quadri rossa e nera. Non ero soddisfatta per niente, ma perlomeno avevo qualcosa di decente addosso.

Nel tempo che mi rimaneva, armeggiai con i miei capelli per pettinarli e renderli mossi. Non mi dispiacevano lisci come al solito, ma se quella era un'occasione speciale, allora anche i miei capelli avrebbero dovuto essere carini. Non ero molto esperta in queste cose, ma alla fine riuscii a farmi qualche boccolo soddisfacente in mezzo a quella massa insignificante di capelli. Non erano niente messi a confronto con quelli che mi faceva Valeria, ma potevano andar bene lo stesso. Forse. Mi pentii di non aver pensato a chiamarla, ma ormai era troppo tardi.

Quando suonò il campanello, per poco non mi venne un infarto. Mi diressi verso l'ingresso correndo come una matta e lasciai a mia madre un bigliettino sul mobile vicino alla porta, avvertendola che avrei fatto un po' tardi. Non sapevo se si sarebbe rivelato vero, ma per sicurezza glielo scrissi ugualmente.

Aprii la porta, sistemandomi un'ultima volta i capelli e mi diressi fuori, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca che sapeva di terra e foglie secche.

Darrell mi stava aspettando con il suo fantastico sorriso dolce stampato sul viso e un piccolo oggetto tra le mani. Mi venne incontro, salutandomi con un bacio che mi fece mancare il fiato e poi mi chiese se fossi pronta.

Annuii, notando cosa tenesse in mano. Era un piccolo pezzo di stoffa nero, del quale non riuscii subito a capire l'utilità. Lo osservai per un po' e poi rivolsi a Darrell uno sguardo interrogativo.

«Non vorrai mica rovinarti la sorpresa!» Sorrise, portando il pezzo di stoffa all'altezza dei miei occhi. In quel momento capii che voleva bendarmi. Era davvero una sorpresa importante, allora.

«È da prima che mi chiedo cosa sia. Se devi bendarmi, sbrigati.»

Chiusi gli occhi e lui li coprì. Non volevo rovinargli la sorpresa, perciò mi promisi di non sbirciare, nonostante la forte tentazione.

Mi diede un bacio inaspettatamente improvvisato che mi fece sciogliere e poi mi disse: «Ci vorrà un po', ma tu rimani con gli occhi chiusi, ok?»

Annuii, sempre più curiosa e poi salii sull'Alfa Romeo di Darrell con il suo aiuto. Mi sistemai sul sedile del passeggero e allacciai la cintura, assaporando la sensazione di calore dell'aria condizionata che sfiorava la mia pelle, riscaldandola. Non era la prima volta che salivo sulla sua auto, ma ancora mi stupivo per il comfort e la velocità che poteva raggiungere. Per essere la macchina di un ragazzo era di gran lunga fuori dagli standard.

Darrell era stranamente silenzioso, quindi non insistetti per iniziare una conversazione e rimasi persa nei miei pensieri. Dopo quelle che sembravano ore eravamo ancora in viaggio e iniziai a preoccuparmi di non poter tornare in tempo a casa. Lui dovette accorgersene perché mi strinse la mano dolcemente e sussurrò: «Tranquilla, non faremo tardi. Manca poco.»

«Ok...» Girai il volto verso il finestrino aperto e, sebbene non ci vedessi, tentai di immaginare dove fossimo diretti. Le opzioni erano così tante e al contempo così poche che non riuscii a formulare nemmeno un'ipotesi plausibile. Non lo conoscevo da tanto, quindi, se non stavamo andando a conoscere i suoi genitori, non potevo formulare un'altra teoria sicura. Pensai e ripensai, fino a esaurire le idee, punto in cui mi arresi cadendo nel sonno, cullata dal tepore del sole fuori dal finestrino.

«Ehi, dormigliona, sveglia! Siamo arrivati.»

Eravamo arrivati? Finalmente! Il fatto che avrei potuto vedere la mia sorpresa fu il mio primo pensiero.

«Quanto ho dormito?»

«Circa un quarto d'ora.»

Un quarto d'ora aveva detto. Allora perché mi sembrava che al di là della benda che avevo sugli occhi fosse buio? Dovevo per forza sbagliarmi, Darrell aveva detto che avremmo fatto in tempo a tornare. Forse era un effetto del sonno. Feci per togliermela, ma lui mi bloccò.

«Resisti ancora qualche minuto. Fatti guidare da me» sussurrò con voce suadente, carezzandomi il collo con le labbra. Subito mi dimenticai delle preoccupazioni e mi abbandonai completamente a lui, che mi aiutò a scendere dall'auto. Non ero mai tornata in ritardo a casa in vita mia. Solo per questa volta, mia madre mi avrebbe aspettata.

Cominciammo a camminare su quello che sembrava essere un prato. Il terreno era soffice e irregolare, come se ci trovassimo in campagna. Dopo circa cinque minuti invece, poggiai i piedi su un inaspettato pavimento solido e rettilineo. Eravamo entrati da qualche parte perché notai un cambiamento nell'aria: c'era odore di pulito e il calore era intenso. Adoravo il caldo, quindi non mi lamentai. Dal rumore che ne seguì, dedussi che stavamo entrando in un ascensore e che stavamo salendo. Non sentivo nessuno intorno a noi, ma sembrava di stare in un palazzo o qualcosa del genere. Più passava il tempo e più la mia curiosità mi tormentava. Mi ordinai di resistere ancora per poco. Presto avrei visto la sorpresa.

Fuori dall'ascensore, feci ancora qualche passo ed entrai in una stanza. Sentii la porta chiudersi e poi le mani fresche di Darrell che mi scioglievano la benda. Mi ci volle qualche secondo per rimettere a fuoco la vista e poi inquadrai quella che sembrava a tutti gli effetti una camera da letto. Era parecchio disordinata, con scarpe e vestiti in giro e il letto sfatto. Una maglietta dei Nirvana se ne stava sbatacchiata sopra un paio di Vans blu a terra. Un pallone da basket era poggiato sul comodino vicino al letto, rischiando di cadere da un momento all'altro, portando con sé tutti i piccoli oggetti poggiati sul comò. I mobili, così come le coperte e le tende, erano di un azzurro chiaro e le pareti del medesimo colore ma ancora più tenue, quasi bianco.

«Dove siamo?»

Questa era la mia sorpresa? Una camera in disordine? Non che mi sarebbe importato, l'importante era che fossi lì con lui, però volevo capire.

   
 
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