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Autore: Friedrich_L_Friede    05/02/2017    0 recensioni
Anno 2837. La guerra con Alfa Canis non sta andando bene, milioni di soldati sono morti. Tutti i diciasettenni della terra sono stati strappati dalle loro vite per servire l'Esercito dell'Alleanza, per salvare il nostro pianeta, forse, per morire per esso. Io sono Samantha Stardust, ma chiamatemi Sam. Sono una delle ragazze del '20, e questa è la mia storia.
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Siamo schierati sul piazzale. La pioggia cade incessante, così fitta che a malapena riesco a vedere i ragazzi due file davanti e me, così continua che ci ha già inzuppato la mimetica da testa a piedi. Penny è alla mia destra, Chris mi è davanti, rigida sull'attenti. Del sergente Williams che passa fra le file sento solo la voce che si sta avvicinando.

"Tesorini di papà, ieri avete fatto schifo. Mia nonna col treppiede avrebbe superato la metà di voi. A scuola facevate ginnastica o vi nascondevate in un angolo a fumarvi le canne? Io e il sergente Dubois abbiamo ancora due mesi per fare di voi molluschi degli uomini e delle donne e, che Dio mi fulmini qui dove sono, ci riusciremo."

La sua voce è sempre più vicina.

"Oggi vedremo se le vostre fiacche zampette possono essere utili all'Alleanza. Correrete fino alla cima del colle, girerete intorno alla ban... Dubois, che mi venga una paralisi, che razza di scemenza è questa?"

Il suo sguardo è puntato sui miei calzini bianchi che spuntano dalle ciabatte. Ecco servita un'altra figura di cacca. Dubois accorre.

"L’allieva Stardust non ha indossato gli scarponi all'appello del mattino. Per mio ordine oggi correrà in ciabatte."

"Ah, ecco, mi pareva. Allora farà il paio con Jackson, che dice che la cintura gli stringe la pancia, e quindi correrà tenendosi i pantaloni. Che squallido materiale umano siete, principesse. Mio Dio, non sono mai caduto così in basso. Dicevo, zampetterete intorno alla bandiera e riporterete le vostre chiappe mollicce fino a qui. Non provate neppure a barare. Avete tutti addosso un rilevatore GPS che ci dirà subito se non avete oltrepassato la bandiera. Gli ultimi cinque, dato che non avranno faticato più di tanto, salteranno il pranzo e andranno in caserma a tirare a lucido ogni centimetro del pavimento e dei cessi."

Interviene Dubois: "Alle uno-quattro-zero-zero sarete tutti in aula per le lezioni. Io valuterò la qualità della pulizia. Se trovo una singola macchia, stasera allenamento extra per tutti. Ora rompete le righe, tutti al traguardo. Partenza al mio colpo di pistola."

Non ce lo facciamo dire due volte e corriamo tutti alla porta da rugby che funge da partenza e arrivo.

Quaranta ragazzi, la squadra 305 del duemilaottocentoventi, stanno ammassati, bagnati e infreddoliti, pronti a partire.

Bang!

Iniziamo a correre aprendoci a ventaglio sul campo da rugby. La visibilità è davvero scarsa, solleviamo schizzi d’acqua a ogni passo, come se non bastasse quella che ci sferza dal cielo. Chris e Penny sono con me, nonostante le mie ciabatte in plastica stiamo già distanziando alcuni ragazzi fisicamente meno dotati. I supercampioni si sono già involati, ma per me non si tratta di vincere, solo di sopravvivere.

Sono zuppa da capo a piedi, ma non credo che per gli altri sia diverso. Almeno dalle mie ciabatte l’acqua entra ed esce, mentre gli stivali degli altri si stanno riempiendo.

Finché procediamo sul prato cerco di tenere un’andatura regolare per non far scivolare i piedi, anche se ogni tanto il tallone mi scivola di lato.

Alla fine del campo Chris spicca un balzo per superare il muretto di recinzione. Io passo la gamba dall’altra parte con prudenza e poi ricomincio a correre. Penny è con me, ma Chris è sparita nella pioggia.

Non riesco a capire a che punto siamo, ma sento delle voci da dietro, non dovremmo essere ultime.

Ad un certo punto in mezzo alla pioggia alla mia destra emerge una figura. È Jackson che corre tenendo con la mano la cintura dei pantaloni.

"Forza Jackson, ce la possiamo fare." gli urlo. Lui per tutta risposta mi rifila una gomitata che mi manda lunga distesa sull’erba bagnata. Maledetto. Mi rimetto in piedi e cerco una delle ciabatte che mi si è sfilata nella caduta. Mi tolgo anche l'altra, tanto non servono a molto. Non vedo più Penny. Mi metto a correre a più non posso, non mi importa di gestire il fiato, devo beccare quel porco di Jackson.

Lo trovo che sta cercando di passare attraverso i fori di una staccionata, invece di scavalcarla. Ok, sto per farmi un amico, ma ha iniziato lui. Gli pianto un piede sulla schiena e lo uso come trampolino per saltare oltre. Quel che è fatto è reso.

Nell’atterrare rotolo di nuovo a terra. Non è erba questa volta, sono zolle dissodate rese viscide dalla pioggia. Mi rialzo. Correre ora costa il doppio della fatica, con i piedi che sprofondano. In questo fango appiccicoso perdo un calzettone, ma procedo, il cuore che pompa in petto e il fiatone che si mescola all'umidità dell'aria. La pioggia che mi cola negli occhi mi offusca la vista, ma intravvedo il sedere rotondo di Penny che saltella sprofondando passo dopo passo.

"Eccomi Penny, ti ho raggiunta, dammi la mano."

Aiutandoci riusciamo a uscire dal campo dissodato. Ora la salita. In una mano ho le inutili ciabatte, con l'altra tengo saldamente il braccio di Penny. I suoi scarponi fanno presa sul terreno irregolare, ora tocca a lei aiutarmi. Mentre arranchiamo con passo regolare, superiamo alcuni ragazzi piegati in due dal fiatone o accasciati al suolo. Non arriveremo ultime!

Mio padre dice sempre: "In salita il segreto è il ritmo."

Non penso si riferisse a una marcia a piedi nudi sotto la pioggia battente, ma fa lo stesso. Cerco di evitare rocce e radici, ma non ci si vede un tubo. Qualche sasso mi ferisce i piedi. Brucia, ma devo resistere! Passo dopo passo, con regolarità, senza pensare, arriviamo in cima, sempre tenendoci per mano.

Alla bandiera troviamo un gruppetto di ragazzi che cerca di riprendere il fiato. C'è anche Chris.

"Non vi ho più viste, scusatemi."

"Non fa nulla" le rispondo "ce la siamo cavata, ma ora non fermarti, vieni con noi."

Ripartiamo tenendoci strette, Penny da un lato e Chris dall'altro mi abbracciano la vita, mentre io mi aggrappo alle loro spalle.

"Fa male?" chiede Chris indicando il mio piede nudo. Deve aver notato che ci carico poco.

"Un po'. Ce la faccio."

"Ti teniamo, così non scivoli. Forza, andiamo!"

Scendiamo la collina. Le mie amiche mi tengono. Io faccio tutto quello che posso.

Di nuovo i campi inzuppati dalla pioggia.

"Ho un'idea" dico "proviamo a quattro zampe."

Funziona! Caricando su quattro arti sprofondiamo meno. Procediamo come delle strane scimmie saltellanti e così facendo superiamo alcuni ragazzi che cercano di estirpare i piedi sprofondati nella mota. Qualcuno ci imita e ci segue.

Avanti, sempre avanti! La staccionata. Ci siamo quasi. Questa volta la supero in modo meno atletico. Quasi non riesco più a sollevare le gambe, appoggio la pancia al tronco e mi tuffo dall’altra parte. I muscoli sono andati, c'è solo la forza di volontà. Mi rialzo e ricomincio a correre, la mie amiche sono con me, corrono con me, mi impediscono di scivolare. Il muretto ci coglie di sorpresa, io ci sbatto uno stinco e rotolo nell'erba. Fa male, un dolore acuto in mezzo a tutto il dolore che proviene da ogni piccola parte del mio corpo e mi toglie il fiato. Manca solo da attraversare il campo ma non riesco a rialzarmi. Penny e Chris mi aiutano e mi incitano, ma è inutile. Anche gli ultimi, quelli che avevamo lasciato indietro, ci stanno superando.

"Andate" grido "vi raggiungo subito. Sto bene, tranquille, andate."

Loro ci pensano, sembrano poco convinte, non vogliono abbandonarmi. Poi, a un mio gesto imperioso, ripartono verso il traguardo.

Il dolore inizia a farsi sopportabile. Mi rialzo, corro, o meglio butto le gambe una davanti all’altra. Non riesco più a sollevare i piedi, il dolore agli stinchi è troppo forte. Un piede davanti all’altro, un piede davanti all’altro.

La porta, ancora due passi, uno. Mi getto a terra nell’acqua che ricopre qualsiasi cosa.

Penny si stende di fianco a me. Chris ci guarda in piedi sopra di noi, e scoppiamo a ridere, con la pioggia che mi entra in bocca rido a crepapelle.

"Prestazione pietosa, ma ce l’avete fatta, signorine. Francamente non lo davo per scontato" è il rude commento del sergente Dubois "Avete vinto una bella ripulita delle camerate."

Sarò pure ultima, dovrò sgobbare ancora e saltare il pranzo, ma è la prima prova che supero da quando sono qui. Sono piccole soddisfazioni.

   
 
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