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Autore: Latah    05/02/2017    1 recensioni
Un uomo cerca di scappare dalla prigione della sua grigia routine quotidiana, con un gesto estremo cerca di raggiungere quella libertà tanto agognata.
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Non smette, non smette cazzo! Tutto questo non può essere vero, deve essere un incubo, un cazzo di incubo! Non so quanto tempo è passato, non ricordo, ma va avanti da troppo, troppo tempo!  Come… come sono arrivato a questo...?
Non so bene perché l’ho fatto, credo che fossi soltanto stanco, non avevo più interesse in nulla, volevo solo… riposare, chiudere le tende su ciò che conoscevo, ritirarmi dalla corsa. Non fu una decisione difficile da prendere, l’idea mi venne nel reparto surgelati mentre decidevo cosa mangiare per cena, ne uscii con due barattoli di zuppa in offerta e un programma per il fine settimana. Pianificai tutto, doveva essere semplice, una piccola variazione quasi insignificante alla mia rutine quotidiana, come decidere di fare una passeggiata nel parco o andare al cinema, e lo avrei fatto oggi.
La giornata è iniziata come tutte le altre da non so più quanti anni: con me che osservo il sole sorgere dopo una notte insonne passata a scavarmi nella mente. La mattina mi ha sorpreso seduto sul fianco del letto mentre fissavo un’enorme chiazza umida sul muro fatiscente, ero sprofondando in un vortice di pensieri inconcludenti, una rassegna di immagini offuscate del mio passato che si fondevano ai miei incubi e ai miei sogni ad occhi aperti, non vi era dolore o nostalgia, ero solo uno spettatore apatico di ciò che la mia mente aveva deciso di proiettare su quel muro quella notte. Mentre facevo colazione pensavo a come negli ultimi giorni i miei sogni ricorrenti avevano cominciato ad acquisire un’aria sinistra, una tonalità che non avevo mai notato prima, lo svolazzare di quella ciocca di capelli, la forma di quelle labbra rosse che sorridono; il calore che una volta quelle immagini mi trasmettevano aveva lasciato il posto a una cupa ansia, quei capelli così morbidi mi sembravano ora scialbi e sporchi, quelle labbra sorridenti sembravano talvolta rivolgermi un ghigno di scherno tra denti ingialliti, ma sono abituato a questo genere di cose e non ci ho più fatto caso. Mi sono messo un paio di jeans e una camicia a righe alla quale mancavano i due bottoni della manica destra e sono uscito di casa, il cielo era coperto di nuvole grigie, la città  brontolava come sempre e l’aria umida era viziata dallo smog di una colonna di automobili imbottigliate nel traffico della mia via. Ho preso il solito pullman, linea sedici, che con almeno dieci minuti di ritardo mi ha portato ai piedi del palazzo dell’azienda per la quale lavoro; ho salutato timidamente il portiere, una delle poche persone in quel palazzo di cui io ricordi il nome, ho preso l’ascensore e sono salito verso il mio ufficio: piano quattro, interno due, fila cinque, cubicolo C.
Non riesco più a ricordare le mie giornate di lavoro, vanno via lasciando soltanto un grosso buco sfocato nella mia memoria. Per otto ore cado in uno stato di lucida incoscienza, le mani si muovono, battono sulla tastiera, prendono appunti, tutte azioni programmate e ridicolmente insignificanti impresse in uno scompartimento del mio cervello che si richiude a fine turno. Una volta odiavo il mio lavoro, mi dicevo che sarebbe stato solo temporaneo, mi sarei trovato un occupazione migliore e forse… forse avrei finito il mio romanzo e avrei tentato la fortuna con un editore; ma il lavoro finì per risucchiarmi, venni promosso, era un posto sicuro con uno stipendio decente, le mie esigenze economiche aumentarono e non potei più permettermi di lasciarlo. Sono passati quindici anni ed ora sono ancora qui a pigiare tasti nel cubicolo C e non ho mai finito il mio romanzo.
Sono tornato a casa verso le cinque del pomeriggio, dopo un bagno caldo mi sono seduto sul divano e ho acceso la TV, una ragazza avvenente mi fissava con i suoi occhi di un blu impossibile, diceva qualcosa sul godersi la vita prima che l’inquadratura si soffermasse su una boccetta di profumo o qualcosa del genere. Sono rimasto su quel divano per ore, gli occhi mi bruciavano e il mio corpo mendicava disperatamente riposo, come al solito non fu accontentato. Arrivata l’ora di cena ho preso dal freezer l’ultimo barattolo di zuppa, l’ho riscaldato e l’ho mangiato sul tavolo della cucina dove erano impilati piatti sporchi e posate ammucchiate li da almeno una settimana. Ero in procinto di portare alla bocca l’ultimo sorso di quella brodaglia verde ma la mia mano si era bloccata all’altezza del mio petto, osservavo attentamente il cucchiaio e la zuppa tremolante al suo interno, quella visione mi aveva profondamente turbato, ero entrato in un momento di assoluta lucidità, mi sembrava di vedere il mondo e la mia vita personificati in quell’immagine, il mio contemplare non aveva nessuna pretesa metaforica, per un istante tutta la realtà mi si presentava nuda, vera, spogliata di qualsiasi sovrastruttura, solo un cucchiaio di zuppa niente di più niente di meno. Un brivido mi aveva percorso la schiena, ho riposto il cucchiaio nel piatto e mi sono diretto verso il bagno.
Il momento era arrivato e mi accingevo a farlo con assoluta calma e senza alcuna esitazione. Ero appoggiato ai bordi del lavandino mentre fissavo lo specchio che mi restituiva l’immagine di un uomo che non riconoscevo, ho aperto l’anta e facendomi spazio tra boccette di medicinali e tubetti vuoti di dentifricio ho preso il vecchio rasoio da barba, era stato usato raramente, la mia barba cresceva incolta ormai da mesi perciò la lama aveva conservato la sua affilatezza.
Osservavo distaccato il rasoio penetrare nella carne e il sangue fuoriuscire dal polso come lento magma, nella mia mente si era venuta creare l’immagine d’una gabbia, le cui sbarre erano costituite dalle mie vene pulsanti, ed io ero in procinto di romperle. Il dolore mi aveva fatto tremare per un attimo facendomi terminare il lavoro con una secca sferzata, una linea rossa aveva macchiato lo specchio dividendo il mio riflesso a metà.
Sentivo le palpebre farsi pesanti e il mio corpo svuotarsi mentre le mie gambe perdevano forza,  finalmente avrei riposato, ho chiuso gli occhi…

Quando ho riaperto gli occhi ero sdraiato in posizione fetale, la mia vista era appannata, vedevo solo ombre e forme sfocate, cercavo di muovermi ma ero pervaso  da un piacevole calore che mi teneva fermo, mi sembrava di essere disteso su una superfice liquida e per un attimo immaginai di nuotare dentro l’utero materno, non so per quanto tempo sono rimasto in quella posizione ma il mio sogno era stato interrotto bruscamente da una lancinante fitta che dalle mie tempie si era propagata in un forte tremito al resto del corpo, ho dovuto fare affidamento su tutte le mie forze per alzare il busto da terra. La vista iniziava a fasi più chiara, mi sono guardato intorno: le piastrelle bianche, il lavandino, la vasca, la finestrella dalla quale si infilava uno spiffero gelido, ero ancora nel mio bagno ma non tutto era come prima; quando ho guadato in basso mi sono accorto che un denso liquido rosso aveva riempito l’intera superfice della stanza, i miei piedi erano immersi per metà e producevano piccole onde ad ogni mio movimento. Estremamente confuso e intontito mi sono messo in piedi appendendomi al lavandino; guardandomi allo specchio mi sono accorto che la metà sinistra del mio corpo era ricoperta da quel liquido che colava lentamente dal mio viso, un pensiero surreale si era fatto strada nella mia mente, mi sono guardato il polso e ho provato un profondo orrore, non potevo credere ai miei occhi: dalla profonda ferita aperta del mio polso sgorgava ancora sangue come un torrente in piena!
Come è possibile? Perché sono ancora vivo? Sono qui sveglio, non provo dolore, nessuna debolezza, sono lucido mentre guardo il mio sangue fuoriuscire dal mio braccio, ha già riempito il pavimento del bagno, ci cammino dentro sprofondando con i piedi, un uomo non ha tutto quel sangue, che cosa sta succedendo? Provo a fermarlo con un pezzo di stoffa annodato attorno al polso ma sento le vene dilatarsi, provo un dolore lancinante, il braccio si gonfia, sento che stanno per scoppiare così me lo sfilo subito, cerco di uscire dal bagno ma la maniglia è incastrata, non c’è modo di aprire la porta, corro verso la finestrella e cerco di gridare aiuto, l’unica voce che risponde è il mio eco nell’oscurità della notte, mi appendo alla finestra per sporgere in fuori la testa ma scivolo e cado nella pozza rossa che mi inghiottisce quasi completamente mentre lancio un grido di disperazione con tutta l’aria nei mie polmoni.
Sono steso sul pavimento del bagno, vivo, ricoperto dal mio stesso sangue che non smette di scorrere dalle mie vene, i miei occhi sgranati fissano il soffitto, non smette, non smette cazzo! Tutto questo non può essere vero, deve essere un incubo, un cazzo di incubo! Non so quanto tempo è passato, non ricordo, ma va avanti da troppo, troppo tempo!  Come… come sono arrivato a questo...? 
   
 
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