C’erano
essenzialmente due cose che caratterizzavano Atlantic City da quando il
mondo
aveva cessato di esistere. La prima, era per essere ancora rinomata per
possedere tutt’ora molti dei suoi casinò originari
e continuare ad essere meta
di divertimento e follia. La seconda, era che tale città si
trovava in mano a
dei gangster senza scrupoli.
Ghoul
per giunta, e in buona parte di nazionalità nipponica.
Storia
vecchia quanto singolare, il clan dei Takayama – da sempre
legato al mondo della
yakuza – controllava da più di trecento anni quel
piccolo angolo di paradiso e
solo negli ultimi due secoli governava sulla città senza
l’ausilio delle care e
vecchie ombre che da sempre avevano nascosto le loro
attività poco lecite. Non
sempre un olocausto nucleare è sinonimo di disgrazia per chi
lo vive in prima
persona… ed Hanzo Leonard Takayama lo aveva sperimentato in
prima persona.
Sebbene gli inizi risultarono traumatici sulla sua pelle e su quella
dei suoi
seguaci.
Benché
un ghoul con più di duecento anni avesse la sua dose di peso
psicologico sulle
spalle il lavoro in città certamente non mancava, ed essere
il suo signore sia
dentro che fuori le mura lo aveva sempre tenuto occupato tanto da non
riuscire
quasi a percepire il tempo che scivolava via dalla sua pelle grinzosa.
Un
tempo questo ghoul, ora a capo di un piccolo impero in un modo alquanto
legittimo, aveva vissuto una vita all’ombra delle istituzioni
e cresciuto nelle
poche amorevoli mani della mafia giapponese. Un tempo la sua pelle era
liscia e
vellutata, con capelli i corvini rigorosamente tagliati in puro stile
manager
americano e una barbetta cortissima che incorniciava i lineamenti
mascolini del
volto. Un tempo avrebbe potuto indossare un abito fresco di sartoria
ogni
santissimo giorno se solo ne avesse avuto capriccio, mentre il semplice
sventolio di una manciata di verdoni avrebbe saputo tenere zitte le
bocche
delle petulanti autorità locali.
Quel
tempo se n’era ormai andato. Era appassito come un fiore in
una brocca senza
acqua e i suoi petali si erano frantumati in polvere come le ceneri di
una
città che faticosamente aveva ricostruito un pezzo alla
volta.
Macerie
usate come moderno muro per proteggere gli edifici rimasti ancora in
piedi dai
pericoli dell’esterno – rappresentati da bestie
mutate dalle radiazioni e da
gente poco raccomandabile – e una popolazione asservita al
proprio signore la
cui unica lamentela era dovuta più ai turisti maleducati che
alle tasse che
venivano imposte loro. Intendiamoci: la vita ad Atlantic City era dura
– così
come in molte altre città sopravvissute alla guerra atomica
– con i dormitori
degli operai affollati e la gente costretta ad accontentarsi di un paio
di
pasti frugali al giorno, ma certamente si era più protetti
all’interno delle
sue mura che nelle miserevoli campagne… a cui
“l’imperatore” doveva comunque
garantire un minimo di sicurezza se voleva che i suoi cittadini non
morissero
di fame. Una sicurezza garantita all’interno
dell’isola, in molti aspiravano
poter lavorare la terra al suo interno, ma nelle terre contaminate
circostanti
era decisamente più difficile mantenere l’ordine
tanto da costringere i
contadini ad affidarsi a milizie civili.
L’isola
di Absecon su cui sorgeva il cuore pulsante di quella che un tempo erta
stata
una fiorente città, e in cui sorgevano i suoi principali
luoghi di
intrattenimento, si era trasformata in un fortino inespugnabile. Le
mura
composte da autovetture e macerie proteggevano il cuore pulsante della
zona
divertimenti dai pericoli dell’esterno –percorsa
giornalmente da guardie armate
e spietate pronte a tutto per difendere quel piccolo tesoro
scintillante che si
affacciava sull’Atlantico – mentre le piccole
comunità al di fuori di Atlantic
City potevano contare sulla protezione dell’imperatore a patto che avessero pagato
i loro tributi con
regolarità. In fin dei conti il
“massimo” della preoccupazione era di avere dei
deathclaw che avevano fatto il nido in una discarica o degli antichi
ghoul
ferali che uscivano fuori dalle fogne dopo giorni di pioggia, contro
predoni
psicopatici e supermutanti cannibali che si insidiavano nella
terraferma.
Comunque,
era affascinante notare come i casinò più famosi
situati lungo la boardwalk
affacciata sull’Oceano Atlantico avevano resistito alle
deflagrazioni atomiche
– compreso il Caesar Palace di mister Takayama ora sua
fortezza personale –
merito questo delle pesanti ristrutturazioni fatte dai proprietari
secoli
addietro che, terrorizzati da una possibile guerra atomica, piuttosto
che
vedersi il proprio patrimonio incenerirsi avevano ben pensato di
riempire di
piombo e calcestruzzo i loro palazzi. Lo aveva fatto anche lui, vero,
ma giusto
per rasserenare quella vecchia cariatide di suo nonno che al tempo che
fu non
ne voleva proprio sapere di morire. In fin dei conti si dice che il
sangue
cattivo non muoia mai, giusto?
“sangue
cattivo non muore mai…”
Le
parole gli uscirono dalle labbra rovinate con un soffio della sua cupa
voce
arrocchita dal tempo e dalla ghoulificazione, nel mentre che il suo
sguardo vagava
vuoto nel paesaggio offerto dalle finestre del suo ufficio personale.
Un misto
tra palazzi ormai decadenti e casinò ancora gloriosi,
illuminati da luci
natalizie e dalle fiammelle delle lanterne perennemente accese.
La
sua pelle era ricresciuta sulle ferite lasciate da una guerra che
nessuno aveva
voluto, e il suo fisico continuava ad essere atletico nonostante le
molte
cicatrici che avevano trasformato il suo corpo. Non aveva
più barba e capelli, neppure
il naso se era per questo, e ciononostante molte donne continuavano a
considerarlo un individuo affascinante nonostante appartenesse ad una
“razza”
tutt’altro che rinomata per il loro bell’aspetto.
Ma
a parte questo c’erano momenti in cui i suoi secoli li
sentiva per davvero
tutti sulle spalle, e in quei giorni non si sentiva di ringraziare le
radiazioni per averlo reso una creatura immortale. In quei giorni la
sua
pazienza toccava limiti storici, ed anche una semplice richiesta di
udienza
poteva avere risvolti decisamente poco desiderati.
Mister
Takayama era sempre stato un individuo burbero e poco incline al
dialogo. Era
stato educato a rimanere freddo e distaccato in qualsiasi situazione,
difficilmente mostrava emozioni positive con i suoi sottoposti che non
fosse
una feroce incazzatura – ad eccezion fatta forse per le
donne, per la quale era
un po’ più umano e con cui difficilmente alzava la
voce – tuttavia il processo
di ghoulificazione aveva accentuato in lui alcuni istinti che un tempo
avrebbe
saputo tenere egregiamente a bada, ma era ben lungi dal diventare un
ferale
senza cervello.
Era
diventato nettamente più geloso nei riguardi del gentil
sesso – tanto da non
esitare ad eliminare fisicamente un proprio concorrente –
oltre che scarsamente
tollerante con le futili lamentele che spesso giungevano alle sue
orecchie.
Secondo i cittadini di Absecon, Hanzo era un buon leader… ma
era decisamente saggio
non farlo incazzare.
L’uomo
che entrò nel suo ufficio tuttavia, dopo aver rigorosamente
bussato alla sua
porta ed aver atteso il suo consenso per entrare, era piuttosto giovane
– un
giovanotto sui venti anni dalla pelle ancora liscia e sbarbato
– e dunque non
ancora consapevole che essere “segretario” del
grande capo significava seguire
certi paletti. Ma d’altronde cosa poteva fare se nella hall
del casinò del capo
un uomo e una donna avevano iniziato a litigare così
ferocemente arrivando
addirittura a tirarsi le sedie addosso? A parer suo era un gesto di
responsabilità informare il suo imperatore, ma lo sguardo
tutt’altro che
accomodante che il ghoul gli lanciò lo fece desistere
dall’entrare dentro il
grande ufficio dalle vetrate appannate dalle polveri sottili delle
tempeste
radioattive.
“S-signore,
credo che sia gradita la sua presenza giù nella
hall…” disse il ragazzo, con un
filo di voce “alcuni clienti stanno distruggendo il locale e
non ne vogliono
sapere di calmarsi”
Si
pentì di essere entrato nell’esatto momento in cui
le iridi grigie del suo boss
si posarono freddamente su di lui, trovandosi a deglutire mentre la
figura del
ghoul avanzava lentamente verso di lui. Una sagoma messa in penombra a
causa
della luce del primo pomeriggio che filtrava dalle grandi finestre,
tanto
minacciosa quanto ieratica nella sua decadenza organica, che
parlò con una
finta calma nel timbro vocale roco e autoritario.
“E
chi è che esattamente ha chiesto di me?”
Poteva
sembrare una domanda a trabocchetto – ed in parte lo era pure
– ma per quanto
il giovanotto fosse stato assunto da poco era stato comunque istruito
velocemente sui ranghi presenti all’interno della
“baracca”. C’era solo un
individuo che si permetteva, e poteva
permettersi, di scomodare Hanzo quando gli pareva e piaceva. Anche
quando era
una di quelle giornate “no” in cui aveva altro da
pensare – tipo quel giorno in
particolare, in cui stava rimuginando sugli attacchi fin troppo
devastanti di
predoni avvenute nelle fattorie che si affacciavano sulla sponda
opposta
all’isola di Absecon – e quell’individuo
era una vecchia cariatide che non
perdeva mai tempo di rimproverarlo amorevolmente. E grazie al cielo il
segretario in erba lo sapeva.
“miss
Annabelle , signore! M-mi ha mandato direttamente lei”
Una
lieve smorfia infastidita si materializzò brevemente sulle
labbra rovinate di
mister Takayama, per quanto tale smorfia non nacque per il possibile
fastidio
di tale chiamata. Piuttosto, era per la semplice esasperazione con cui
certi
suoi sottoposti erano fin troppo puntigliosi.
Conosceva
quella donna da una vita, e sapeva che quella stessa vita che aveva
stravolto
quella del ghoul non era stata molto clemente nei confronti
dell’anziana
matriarca. Un cinismo unico il suo, ma non per questo malvagio,
abbastanza spiccato
comunque da darle l’appellativo di “regina
serpente”.
E
come con tutte le donne, Hanzo non amava farsi aspettare troppo.
[…]
La
vita nella zona contaminata al di fuori dell’isola di
Atlantic City era un vero
casino, nei migliori dei casi… Mentre alla peggio era
semplicemente un inferno.
Lo
sapeva bene Emily Jane che, come molti di quelli che giungevano in
città, nelle
terre selvagge era nata e cresciuta e sapeva fin troppo bene con che
razza di
individui si doveva spesso avere a che fare all’esterno.
Ma
la gente di città – oh, anime ingenue! –
era come se vivessero in un mondo
tutto loro. Divertendosi lungo la boardwalk con i suoi
casinò scintillanti e
locali sempre ricolmi di alcoolici e droghe raffinate, oppure con i
contadini
la cui unica preoccupazione era di avere abbastanza grana per poter
pagare le
tasse all’imperatore. In poche parole era Absecon –
il sogno proibito di molti
poveracci che non avevano abbastanza tappi per pagare la dogana lungo
il
pontile di imbarco dei traghetti che avrebbero imbarcato solo i
più meritevoli
verso la città – luogo che invece lei aveva
varcato con l’arroganza tipica di
chi aveva molti tappi nella borsetta… prima di vederseli
bruciare ai tavoli da
gioco da un padre inutile come la spazzatura ai bordi delle strade.
Se
ora si trovava in un antico magazzino del casinò Caesar
riconvertito in centro
di detenzione era solo per colpa di un genitore tanto stupido quanto
pericoloso, rinomato per essere stato uno tra i predoni più
sanguinari negli
ultimi dieci anni. Il terrore delle terre contaminate, mister Kraig
Pitchiner in
persona. Colui che aveva guidato più di duecento uomini
lungo le rovine della
vecchia Atlantic City dall’altra parte del fiume e lungo la
costa tanto da
farsi sentire fino alla corte dell’imperatore. Ma a quanto
pare il detto
popolare che le glorie di un predone strafatto di psycho fino al
midollo non
duravano mai oltre la primavera era dannatamente vero.
Emily
si era ricongiunta al proprio padre solo negli ultimi cinque anni, dopo
svariate vicissitudini che trovava alquanto noiose da ricordare al
momento, e
già all’epoca ebbe come il sospetto che il
genitore fosse tornato da lei in un
periodo di decadenza sempre più pesante. Per non dire che i
tappi che possedeva
dovevano fargli parecchio comodo, visto il modo in cui le si era
appiccicato
addosso.
Ma
cosa avrebbe dovuto fare? Ucciderlo? Probabilmente si… una
parte di lei lo
desiderava già dal primo momento in cui si erano
ricongiunti, ma la parte
ancora innocente del suo animo le
aveva ricordato che era pur sempre suo padre.
Un
gran pezzo di bastardo, un approfittatore, ma che aveva avuto modo di vendicare sua madre durante gli anni
delle scorribande in giro per la zona contaminata. La fuori se decidi
di vivere
onestamente campi davvero poco, ed Emily Jane lo aveva capito
già all’età di
sei anni.
La
linea di pensieri nostalgici della ragazza venne interrotta
dall’ennesimo
lamento del genitore che, in modo volutamente provocatorio, si
toccò la ferita
alla tempia provocata dalla furia distruttrice di quella megera
d’una figlia.
Una delle tante ferite che aveva addosso, proprio come lei.
“beh,
se c’è una cosa che hai imparato bene è
come colpire a tradimento il tuo
vecchio con una slot machine… davvero molto poco femminile,
per una che si
atteggia da prima donna come fai tu!”
“e
tu magari non avresti dovuto spendere tappi che non ti appartengono?!
Lo psycho
ti ha completamente mangiato il cervello, tanto che di te è
rimasto solo
l’ombra… patetico idiota!”
A
sentirsi apostrofare a quel modo l’ex predone proprio non ci
vide più,
soprattutto per quanto riguardava quel “patetico
idiota” sputato con tanta
arroganza che proprio non si poteva sentire, e con un ringhio pieno di
rabbia
risentita si alzò dallo sgabello su cui era stato
“gentilmente” chiesto di
sedersi per cercare di andare il più vicino possibile ad un
una figlia fin
troppo maleducata. Era sua intenzione rimettere al suo posto
quell’insolente –
nell’esatto modo in cui l’aveva fatto nel
casinò, cioè rompendole una sedia
sulla schiena – ma questa volta stampandole entrambi i pugni
su quegli occhi
dalle iridi identiche alle sue. Un color agata intenso che emanava la
stessa arroganza
che emanava lui un tempo – il re dei predoni, Kraig Pitchiner
detto anche l’uomo
nero delle paludi del sud – eppure non riuscì a
fare che pochi passi prima di
essere fermato da una forza superiore legata al suo collo grigiastro.
Inutile
dire che Emily non si sentì minacciata in nessun modo dal
proprio genitore
nefasto, in quanto entrambi indossavano dei collari da schiavo che
emettevano
forti scariche elettriche in base a comportamenti considerati nocivi. E
cercare
di aggredire il prossimo era uno di quei comportamenti socialmente
inaccettabili, tanto che il disgraziato strabuzzò gli occhi
quando le prime,
dolorosissime, scosse gli attraversarono tutta la spina dorsale fino a
farlo
cadere a terra con un grido. Fu decisamente umiliante quando le guardie
misero
loro quei maledetti collari, ma senza ombra di dubbio facevano il loro
sporco
lavoro.
“vedete
di darci un taglio, voi due… se non volete che ci ripensi e
vi sbatta a
combattere nella boardwalk hall arena per la gioia di gentaglia
più viziata di
voi! E ci rimetterei comunque dei soldi”
Era
logico che padre e figlia non erano soli dentro quel magazzino, e
tralasciando
le sbarre alle finestre e una semplice scrivania su cui poggiava un
vecchio
computer ronzante l’unica cosa che dava l’idea che
fossero veramente in
prigione era la presenza di guardie armate. A parlare comunque era
stata una
donna, una per giunta molto anziana data la voce gracchiante e
sprezzante, che
uscì dalle ombre per scrutare in modo severo i suoi ultimi
acquisti.
Indossava
abiti semplici – composti da una lunga gonna color terra e un
maglioncino
bianco, ed una logica cintura con tanto di fondina e pistola in quanto
chiunque
girava armato nell’America post atomica –
aiutandosi nel camminare con un
bastone finemente intagliato nel mentre che avanzava verso i due
prigionieri
interessata di più alla femmina che al maschio ancora
agonizzante a terra.
“Questo
non è un paese per stupidi, eppure voi vi siete lasciati
andare come i peggio
novellini… sapete cosa vuol dire, vero?”
Emily
Jane avrebbe voluto replicare in maniera sprezzante nei riguardi di
quella
vecchia baccucca dall’aria fin troppo ironica, ma era
consapevole di avere un
collare elettrico ben agganciato al collo – di quelli che se
provava a
toglierselo ci rimaneva secca all’istante –
pertanto si limitò a deglutire con
rabbia e ad alzare il mento con aria indignata. Mentre il genitore che
si stava
faticosamente alzando da terra, cercando di ricomporsi il vestito buono
ormai
irrimediabilmente rovinato dopo una lotta furibonda e infantile, ebbe
il
coraggio di essere ironico con quella che doveva essere un
po’ il capo della
situazione.
“Uh…
s-sa com’è… uno arriva ad una certa
età e cerca di godersi la pensione… prima
che una figlia degenerata spenda tutto in cappellini e
sottane!”
La
vecchia rimase in silenzio per svariati secondi nel mentre che
l’uomo
dall’aspetto emaciato si rimetteva in piedi nonostante la
brutta scossa subita,
tossendo ancora per lo sforzo di respirare, studiando attentamente i
due
individui come se stesse facendo un rapido calcolo della loro
utilità così come
si fa con il comune bestiame.
“Ironia
portami via…” sussurrò
l’anziana matriarca, prima di alzare di più la
voce
“significa che io, miss Annabelle, ho comprato il vostro
debito giù al tavolo
da gioco! Teoricamente parlando sareste liberi, ma come avete notato i
collari
non sono un regalo della casa… peeer
cuuui… salderete il
vostro debito con me
nell’arco di un anno, come miei schiavi”
“Cosa?! Sei forse ammattita vecchia
degenerata?! Credi che non abbia altro a cui pensare fuori da queste
mura?!”
Era
stata buona e tranquilla fino a quel momento, non contestando neppure
quando le
avevano allacciato il collare al collo, ma quando la matriarca aveva
sentenziato il loro destino la giovane Pitchiner
non ci aveva visto più. Si alzò in
piedi con
aria indignata, attirandosi l’attenzione delle guardie che le
puntarono
prontamente le canne dei fucili da caccia contro la sua esile figura.
Poco
importava se indossava una
mise di tutte
rispetto in puro stile anni cinquanta – e solo una donna di
una certa levatura
poteva permettersi una gonna dall’orlo ricamato e collant
ancora perfettamente
integri… almeno prima del brutto pestaggio subito
– le avrebbero sparato alle
gambe se avesse tentato di fare qualcosa che non doveva fare, ma grazie
al
cielo la prigioniera fu abbastanza furba da non avventarsi contro la
donna più
anziana.
A
fermarla a dire il vero ci pensarono alcuni passi lungo la passerella
metallica
sopra le loro teste, ma era troppo buio per vedere chi fosse il nuovo
arrivato
anche se dalla camminata non parve promettere bene. Troppo calma,
troppo
lentamente i piedi si muovevano sul metallo in parte arrugginito, come
se il
misterioso spettatore stesse studiando la situazione da un palco
privilegiato.
Emily
se ne accorse, e un vago senso di inquietudine la pervase, tanto da
dare tempo
a miss Annabelle di rispondere in maniera seccata alle sue arroganti
parole.
“qualunque
cosa tu possedevi prima di perdere ai tavoli e sfasciare il locale
assieme a
quel rinsecchito di tuo padre adesso è di
proprietà dell’imperatore Hanzo
Takayama. Oltre a questo lavorerete forzatamente per un anno in
città, così da
potervi sdebitare con lavori socialmente utili e guadagnare abbastanza
tappi da
poter ripartire da zero… diciamo così,
ecco!” ma non parve crederci neppure lei
“Serve un disegnino tesoro?”
“Ah…
dunque avete già fatto il calcolo dei danni” fece
mister Kraig sorpreso. Il
naso aquilino recava un brutto graffio sanguinante dovuto alle unghie
affilate
della figlia, ma la notizia dell’espropriazione gli aveva
annullato qualsiasi
dolore “beh, allora mi spiace comunicarvi che vi godrete ben
poco cara la mia
signora… mia figlia vive letteralmente in un albero
cavo!”
C’era
veramente tanta cattiveria nella voce melliflua dell’ex
predone, perché in
quell’albero cavo – una fatiscente villa prebellica
cui le piante mutate dalle
radiazioni avevano messo radici – ci aveva vissuto pure lui
godendosi la
protezione offerta da una palude intricata che scoraggiava i suoi
vecchi nemici
a venirlo a cercare. Una considerazione questa che infastidì
non poco la
giovane figlia, che aveva lottato per fare sua quella casa nel corso
degli
anni, tanto da volerlo nuovamente apostrofare in malo modo.
Tuttavia
non riuscì a far altro che aprire la bocca per starnazzare
nuovamente la sua
arroganza da nobildonna decaduta, poiché fu nel silenzio che
accolse la voce di
colui che fino a quel momento aveva osservato la scena dalla passerella
sopra
di loro.
“il
valore dei vostri beni spetta a me a giudicarlo, non a voi. Ora mi
appartengono, così come mi appartengono le vostre vite.
Direi si tratta di un
giusto risarcimento, dato il modo in cui avete ridotto parte del mio
locale”
Quella
voce roca e severa apparteneva al gran capo della città,
quel Takayama di cui
entrambi avevano tanto sentito parlare ma che non avevano mai visto. La
sua
figura scese per la rampa di scale con una certa solennità
– schiena diritta e
sguardo severo – anche se ad Emily Jane parve solo di vedere
l’ennesimo ghoul
con indosso un vecchio impermeabile che copriva solo in parte
l’armatura da
ranger che indossava.
Non
tutte le guardie che li circondavano erano degli umani normali, alcuni
avevano
i lineamenti del volto devastato dalle radiazioni e la guardia
personale della
vecchietta arzilla –più simile ad un operaio dato
che era vestito solo con dei
pantaloni da lavoro tenuti su da delle bretelle, lasciando il petto
nudo dando
“bella” mostra della sua orribile pelle, mentre gli
anfibi erano sporchi di
terra – sarà stato alto un paio di metri e
sembrava essere quello meno sveglio
di tutti. Della serie: digli di uccidere e quello lo fa in automatico
senza
sapere il perché.
In
pratica i ghoul la disgustavano quanto gli uomini comuni, pertanto si
sentì in
dovere di sostenere lo sguardo severo del cosiddetto
“imperatore” che non perse
tempo a squadrarla da capo a piedi.
“Ah…
ce l’hai fatta ad arrivare, mio signore” fece la
vecchia megera, rivolta verso
il ghoul che le si stava avvicinando “indubbiamente avrai
fatto il calcolo dei
danni su al primo piano, ma ho deciso comunque di accollarmi io questo
fardello
anche se non sembrano promettere granché”
Annabelle
poteva ricamarci su quanto le pareva, ma sapeva anche lei che Hanzo non
era
stupido e una volta giunto lì era consapevole del reale
motivo della sua
impazienza nel volerlo presente. E questo lo fece sbuffare annoiato,
tanto da
richiamare a se l’anziana governante con un gesto della mano,
lasciando per
questo abbastanza interdetti i due prigionieri.
“Si?
Siamo pieni di segreti oggi? Che delizia, guarda”
“Fai
poco la spiritosa, e dimmi che diavolo ti è saltato in
testa”
Miss
Annabelle sorrise, alzando gli angoli di quel grumo di rughe che era la
sua
bocca, ed estraendo da un borsello legato alla cintura un sigaro e un
accendino
volle spiegare a modo suo il motivo di quella
“urgente” chiamata. Se lo accese
con l’agilità tipica del fumatore incallito, prima
di inalare l’intenso aroma
del tabacco prebellico e di rilasciare un paio di cerchi di fumo dalla
bocca.
Il tutto, sotto l’occhio paziente di un imperatore che
attendeva una risposta
precisa.
Dava
l’idea che si conoscessero da molto tempo, almeno stando agli
occhi di Emily
Jane, ma sarebbe stata una pura menzogna dire che tra i due non
c’era della
leggera tensione.
“Beh,
un uccellino mi ha riferito che al tuo harem attualmente manca una
ragazza… e
pensa un po’, quell’uccellino sono proprio
io!”
“fai
poco la spiritosa, ho già quattro ragazze… non me
ne serve un’altra”
“di
cui una, la quinta, è stata allontanata a causa di una
infezione alle ovaie. Peeer cuuui
mi sono chiesta… magari
rallegriamo un po’ la giornata al nostro amato imperatore?!
Almeno dalle una
occhiatina… anche se è un po’
ammaccata, certo”
Il
ghoul sostenne a lungo lo sguardo ironico di quegli occhi di un verde
ormai spento,
per poi finire a sbuffare seccato massaggiandosi la fronte con una
mano. Era
inutile cercare di far ragionare quella vecchia pazza, la cui
ostinazione
cresceva in proporzione con l’età che avanzava,
dunque tanto valeva farle
questo contentino per quanto lo stesso Takayama sapesse già
la decisione
finale.
L’imperatore
tornò dunque a guardare i due nuovi servi acquisiti, ora
stranamente silenziosi
ma consci che ci fosse qualcosa che non andava, e con un cenno del dito
indice
ordinò silenziosamente ai suoi uomini di voltare le spalle
ai prigionieri. Un
gesto questo a dir poco insolito, quantomeno al capofamiglia dei
Pitchiner,
perché una guardia che mostrava la schiena al proprio
prigioniero era da
autentico suicidio… ma per la figlia dell’ex
predone si trattava di un
espediente che aveva già provato sulla propria pelle anni
prima.
Quando
non hai più una famiglia e ti capita dunque di essere
allevata da schiavisti
senza scrupoli “mascherati” da allevatori di
bestiame può succedere di
assistere a baratti e tratte di ogni tipo. Ed era stato così
anche per lei.
Esaminata
come un bramino da esposizione, le avevano controllato i denti, le
mani, la
presenza di pidocchi nei lunghi capelli neri e la presenza di lesioni
in posti
che si vergognava tutt’ora di ricordare. E quando la voce di
quell’odioso ghoul
si fece sentire fredda e distaccata all’interno del magazzino
scarsamente
illuminato, la giovane Pitchiner accolse le sue parole deglutendo
amaramente
come se le avessero appena dettato una condanna a morte. Semplicemente
umiliante.
“Spogliati”
Un
ordine dettato senza malizia alcuna, anzi sembrò pure
gentile nella voce, ma
che portò comunque la ragazza a congelarsi continuando a
guardare in modo duro
il proprio signore. Era come rivivere un déjà vu
solo nettamente più umiliante,
perché in compagnia del proprio vecchio e perché
doveva mostrare la propria
pelle ad una creatura raccapricciante. Tuttavia non si
aspettò che fosse
proprio Kraig Pitchiner a prendere le sue difese.
“Un
momento! Come sarebbe a dire che mia figlia deve spogliarsi?! Siamo
già tuoi
schiavi, e già questo è profondamente degradante
ma dettagli, non ti basta
questo?!”
Poco
gli importava di essere di fronte al capo della città, e
poco gli importava che
quegli occhi grigi lo avessero fulminato con un disappunto freddo e
distaccato,
ma quella restava pur sempre sua figlia, e lui restava comunque un
signore
della guerra per quanto ormai in molti si fossero dimenticati il suo
nome e il
suo volto.
Cinque
anni fuori dalle scene era davvero tanto in una America uscita fuori
dal
conflitto atomico che aveva spazzato via l’intera
civiltà, e con tutta
probabilità neppure mister Takayama ricordava con precisione
il nome di
Pitchiner. Il che era vero, tanto che oramai poteva limitarsi a
spaventare i
bambini nei loro letti per come si era ridotto.
“Ci
conosciamo forse? Predone?”
Gli
occhi dell’imperatore si fecero più severi nei
riguardi della sua gracile
figura, e difatti il disgraziato si ritrovò a mostrarsi
sorpreso di fronte alle
parole del ghoul che potevano anche trarre in inganno. Lo aveva davvero
riconosciuto? Oppure lo stava solo provocando? Magari era entrambe le
cose,
oppure si ricordava perfettamente delle sue famigerate gesta passate e
stava
ora prendendolo per i fondelli.
Una
tattica questa che portò inizialmente il capofamiglia dei
Pitchiner a rimanere
interdetto, per poi ridacchiare di gusto pensando che il gran capo
della
baracca stesse cercando di “giocare” con lui
– anche se il termine esatto era
prendere in giro – con il risultato di gonfiare in maniera
ridicola la sua vena
narcisistica.
Al
diavolo…
piuttosto che sentire gli sproloqui melliflui di suo padre, la giovane
Emily
era anche disposta ad assecondare la volontà di Hanzo
Takayama e di quella
becera vecchietta che continuava a fumarsi quel suo sigaro disgustoso.
Se c’era
una cosa che odiava di suo padre era che cominciasse uno sproloquio
sulle sue
gesta passate solo per il semplice fatto che quel bastardo adorasse il
suono
della propria voce, e per quanto odiasse molto di più avere
a che fare con
degli schiavisti decise di assecondare questi ultimi.
Non
era in vena di sopportare il genitore, questo a causa della litigata
che li
aveva coinvolti – e per la giovane era colpa sua di LUI se
erano finiti in un
mare di guai – dunque fu con gesti automatici e nervosi che
decise di
spogliarsi sotto gli occhi degli unici tre presenti che la stavano
osservando.
Quattro in realtà, se si comprendeva anche la guardia della
matriarca che non
faceva parte delle guardie armate… ma questi si
coprì ingenuamente gli occhi
con una mano nel momento esatto in cui la nuova schiava
iniziò a sbottonarsi la
camicetta per poi passare ad abbassarsi velocemente la
gonna lunga fino alle ginocchia. Fu poi con
pochi strattoni che si lacerò definitivamente i collant,
rimanendo
definitivamente in slip e canottiera.
“ah…
se tu fossi stata così veloce anche prima ci saremmo
risparmiati le tue
starnazzate”
Sempre
dolcissima come il fiele miss Annabelle esordì
così di fronte alla figura
svestita di Emily Jane. E se il padre della permalosa ragazza fece un
vero e
proprio “facepalm” vedendo come quella disgraziata
se ne fosse fregata
altamente delle sue buone intenzioni di proteggerla, il proprietario
del casinò
non mostrò all’apparenza nessuna emozione
meritevole. Si avvicinò ulteriormente
alla donna che ancora continuava a guardarlo con aria di sfida, fino a
giungere
a pochi centimetri da lei per sussurrarle un altro ordine che
certamente
l’avrebbe fatta infuriare ancora di più. Per
quanto, ancora una volta, non ci
fosse malizia nella volontà del suo nuovo padrone.
“Anche
la canottiera, toglitela”
“Puoi
scordartelo, mostro!”
sbraitò Emily,
con un impeto di rabbia che proprio non riuscì
più a trattenere “non ho nessuna
intenzione di fare anche questo! Mi sono già spogliata, e
direi che per te è
anche abbastanza!”
L’isterica
reazione della ragazza sarebbe stata un buon pretesto per prenderla a
schiaffi,
quantomeno secondo il parere dell’anziana matriarca che
storse la bocca in un
ghigno disgustato, mentre per il padre dell’impertinente
schiava fu un momento
di puro gelo che lo portò a toccarsi istintivamente il
collare legato al collo.
Se quella cretina di sua figlia voleva morire che lo facesse senza
dover
coinvolgere anche lui!
Ma
per il signore della città non ci fu indignazione che tenne
sul suo volto
impassibile, come se fosse stato scolpito nella roccia, tanto da
lasciar
correre diversi secondi di silenzio in modo tale che la giovane
bisbetica
assorbisse il nervosismo e realizzasse con chi
aveva osato alzare la voce.
Gli
occhi dalle iridi dorate di quella sfacciata donna si allargarono per
un
momento quando capì di aver osato troppo, pur rimanendo
fermamente convinta di
aver fatto la cosa giusta ad insultarlo, e in un senso di pudore misto
a
volontà istintiva di proteggersi incrociò le
braccia in petto come una mummia.
Hanzo tuttavia non si fece intimorire da tale atteggiamento altezzoso,
sebbene
la ragazza avesse comunque abbassato la testa per non incrociare
più il suo
sguardo severo, e prendendola con decisione per le spalle la
voltò per far si
che avesse la sua schiena a portata di mano.
Dalle
labbra della fanciulla fuoriuscì un gridolino strozzato di
pura sorpresa, che
si congelò ulteriormente in gola quando avvertì
le dita ruvide del ghoul
sollevarle delicatamente la canottiera.
Ciò
che non doveva essere mai esposto alla luce del sole venne rischiarato
dalle
antiche lampadine prebelliche poste un po’ ovunque nel
magazzino, e mentre
Emily Pitchiner moriva di umiliazione e vergogna gli occhi del suo
padrone
scrutarono gli orribili segni incisi sulla sua candida pelle con solo
apparente
calma.
Tre
lunghe cicatrici percorrevano la schiena della giovane Pitchiner,
orribili e
disgustose come solo le bruciature da ferro rovente possono lasciare.
La
ragazza in passato doveva essere stata il giocattolo di qualcuno di
molto
sadico, che doveva averla usata come pallina antistress oppure punita
per aver
fatto qualcosa che non doveva fare. Quel genere di cose che facevano
prudere le mani ad
Hanzo insomma. E ancor di più a
disgustare miss Annabelle la cui “delicatezza” era
famosa proprio come le
farfalle in primavera dopo un conflitto nucleare. Ossia inesistente.
“Oh,
santo cielo! Che schifezza! Mi
sembra
di guardare una grigliata di filetti di mireluk andati da male!
Decisamente non
ci siamo… eeee nooo…
questa qui è
buona per fare altro, non la concubina”
Mister
Takayama tuttavia non dette molto ascolto a ciò che la sua
governante aveva da
dire a riguardo – a differenza di Emily Jane che si
sentì umiliata in un modo
che non provava più da quando era bambina, tanto da riuscire
a trattenere a
stento le lacrime dentro gli occhi – poiché gli
occhi grigi del ghoul si erano
indirizzati verso il più probabile responsabile di quello
scempio inumano.
Chi
poteva aver avuto la possibilità di maltrattare quella
ragazza se non il
proprio padre? Un individuo meschino che parve comunque accorgersi
dell’occhiata incollerita del ghoul, tanto da mettere
pateticamente avanti le
mani quando l’imperatore si allontanò di un paio
di passi dalla ragazza per
poter estrarre la spada che si portava sempre appresso, fino a quel
momento
tenuta celata sotto l’impermeabile dagli orli lacerati. Una katana antica quanto lo era lui, un dono
prezioso che gli aveva fatto suo nonno nell’anno in cui il
nipote era
finalmente diventato adulto – e all’interno del suo
clan ci si diventava
attorno ai sedici anni – che lesta si sollevò per
mano del suo stesso padrone
puntando alla gola di quella specie di corvo grigiastro che gli si
parava
davanti.
“E-ehi!!
Un momento! N-non è come pensi! Non sono stato io a farle
quelle cicatrici!”
rare
volte mister Pitchiner si era ritrovato a sudare freddo come in
quell’esatto
frangente – e negli ultimi cinque anni dava sfoggio di
codardia acuta sempre
più spesso – ma quella fredda lama che gli stava
sfiorando il gracile collo,
così simile agli occhi di chi la impugnava, dava
l’idea che fosse pronta da un
momento all’altro nell’affondare in lui
così come si fa con un coltello in un
panetto di burro. Questa poteva essere una occasione ghiotta per sua
figlia di
sbarazzarsi definitivamente di lui, aizzandogli contro un ghoul
dall’aria
assassina e determinata, avendone anche ben donde, ma ciò
che sorprese l’ex
predone fu di osservare la sua primogenita trotterellare velocemente
verso il
cosiddetto imperatore per sussurrargli qualcosa all’orecchio
destro. Hanzo
dovette chinarsi lievemente per permettere a quelle labbra rosate di
sfiorare
la sua pelle deturpata, ma ciò che la ragazza aveva da dire
tanto bastò per
stemperare in lui la furia omicida che per un momento gli aveva
ottenebrato la
mente.
“Dunque…
è andata così?”
“Si”
Gli
era chiaro che la ragazza non aveva molta voglia di continuare una
conversazione tanto dolorosa quanto umiliante, e lui per tale motivo
decise di
non continuare con quell’interrogatorio per non alimentare
altro disagio.
Rifoderò la spada, per sommo sollievo di Kraig Pitchiner,
ordinando alla donna
di rivestirsi ancor prima di rivolgersi nuovamente
all’anziana matriarca che
nel frattempo aveva già consumato il proprio sigaro.
“è
una ragazza permalosa… ma saggia. Al contrario di suo
padre”
“già,
già… e con quella schiena può al
massimo aspirare a fare il manovale. Mi dispiace
di averti scomodato inutilmente, Leonard! Pensavo di farti un regalo
gradito ma
a quanto pare ho toppato alla grande”
“è
tutto a posto Annie, solo promettimi che non sarai troppo dura con
lei”
I
due stavano parlando sottovoce, forse anche più di prima
tanto che nessuno dei
due prigionieri riuscì a capire mezza parola di quello che
stavano dicendo –
complice anche il fatto che stavano parlando in una lingua
incomprensibile ai
più, dato che il giapponese
era
parlato solo nei quartieri di Takayama come lingua in codice
– ma sicuramente
non doveva trattarsi di qualcosa di buono.
Fu
solo quando Emily Jane si fu rivestita del tutto che il ghoul dette
nuovamente
ordine ai suoi seguaci di voltarsi con uno schiocco delle dita, e anche
il
gigante dall’aria ingenua si tolse la mano dagli occhi, ma
non dette immediato
ordine di agire dato che continuò a parlottare con la
vecchia megera. Almeno fino
a quando non si voltò verso i prigionieri cogliendoli alla
sprovvista con voce
autoritaria e stentorea.
“Gādo!
Furui tsuresara. Kare wa
gesuidō de dōsa shimasu”*
Kraig
Pitchiner non capì un accidente di quello che
l’imperatore tuonò nei loro confronti,
tanto da ritrovarsi momentaneamente a balbettare, rimanendo tuttavia
sorpreso
quando le guardie armate si fiondarono esclusivamente su di lui
colpendolo con
i calci dei loro fucili per invitarlo a camminare così come
si fa con il
bestiame.
“Ehi!
Oh! Che diavolo state facendo?! So camminare con le mie
gambe!!”
Venne
letteralmente trascinato via da quei soldati leali vestiti come
gangster d’altri
tempi – la sicurezza all’interno del
casinò doveva avere una certa presenza –
sotto lo sguardo basito di una figlia che francamente parlando non
sapeva a
cosa sarebbe andata incontro d’ora in avanti. Certamente non
le avrebbero fatto
del male, ma essere nuovamente costretta a fare cose che solo un paria
doveva
fare lo trovava a dir poco degradante. Proprio lei… che a
fatica si era alzata
dal fango decisamente non voleva tornare a sguazzarci nuovamente.
Ma
a quanto pare la regina serpente aveva altri piani per lei. Con due
colpi di
bastone sul pavimento in cemento richiamò
l’attenzione del proprio sottoposto,
e questi si affrettò a raggiungere la propria padrona con
passi decisamente
rumorosi.
“Vichingo! O come cavolo ti
chiami… tu ti
occuperai di lei, ok? Insegnale il mestiere e stalle dietro che non mi
sembra
un granchè, ok?”
“deg, dame Annabelle. Servire
altro?!”
“no
no… che non si cacci nei guai è
sufficiente”
La
stavano trattando come se fosse una mocciosa di sei anni
anziché una donna di
venticinque e in buona salute, ma quello che trovava intollerante era
che
sarebbe stata letteralmente seguita costantemente da quel gigante tardo
e
ghoulificato. Come se si aspettassero una certa recidività
in quello che
avrebbe combinato da li a poco tempo.
Il
cosiddetto vichingo le si avvicinò con un sorriso quasi
infantile, come a
volerle rassicurare garanzie che per Emily non c’erano, prima
di volerla
invitare gentilmente a seguirlo dalla parte opposta in cui era uscito
in malo
modo suo padre.
La
giovane decise di accettare l’invito della creatura, ma si
scansò da lui con fare
innervosito quando il suo protettore cercò di toccarle le
spalle per invitarla
a camminare con lui. Il ragazzone ci rimase un po’ male, ma
non si dette
comunque per vinto ben pensando che quell’atteggiamento
indisponente fosse
dovuto alla brutta giornata.
Quei
due avrebbero dovuto ricominciare daccapo, così come molti
altri prima di loro,
cerando di non tentare più la fortuna in una
città che non permetteva sconti di
nessun tipo.
[…]
Dal
tetto del suo casinò poteva vedere gli altri edifici e le
loro luminarie
colorate e scintillanti. Il suono allegro della musica proveniente dai
locali
notturni veniva portato fino alle sue orecchie dalla brezza serale che
scompigliava lievemente il suo impermeabile, trascinando via il fumo
della
sigaretta che si stava gustando al momento, cullandolo così
come può fare il
suono della pioggia sul vetro di un lucernaio.
Hanzo
Leonard Takayama non amava fumare in luoghi chiusi, senza contare che
alcune
sue ragazze non sopportavano proprio l’odore di sigaretta,
pertanto prendere una
boccata di aria fresca era per lui l’ideale. Sia per
rilassarsi che per
schiarirsi un po’ le idee.
Quella
di oggi era stata una giornata come tante, e solo perché gli
avevano sfasciato
il locale non significava che fosse l’eccezione alla regola.
La soluzione era
sempre quella: un collare elettrico attorno al collo e tanti saluti
alla
libertà individuale.
Ad
Atlantic City non esistevano più giudici di pace e tantomeno
una polizia
federale che contasse veramente. Esisteva solo lui
e la sua corte, e la gente del posto gli aveva dato il titolo
di imperatore senza che lo stesso ex membro della yakuza pretendesse un
titolo
altisonante.
Aveva
ricostruito quella fetta di città partendo dal sangue, ed
usandolo come malta
per erigere le mura che attualmente proteggevano quella perla che si
affacciava
sull’Atlantico. Tutto il mondo in cui era nato e cresciuto
era stato spazzato
via dall’ingordigia umana, e quando era finalmente sorto dal
suo rifugio
antiatomico ne era uscito con una pelle completamente nuova. Aveva
lottato per
guadagnarsi quell’intera isola sotto il suo potere, arrivando
anche a compiere
gesta tutt’altro che nobili e al limite del barbarico.
Ma
era così che girava il mondo adesso, e l’unica
cosa che lo tormentava al
momento era di avere un futuro il più possibile sereno.
Nonostante
il filo logico del suo pensiero si rese comunque conto che non era
più solo sul
tetto del suo grosso edificio. Lui si trovava in una zona relativamente
spoglia
del tetto, con presenti solo le turbine dei condizionatori e i
comignoli,
mentre nella parte orientale era presente
un intero giardino pensile circondato da una rete con
tanto di filo
spinato. Un piccolo angolo di paradiso nei piani alti, in cui solo lui
poteva
accedervi, oltre che la regina serpente quando era ore di impartire le
regole
essenziali alle nuove arrivate nell’harem del gran capo.
“l’ascensore
è ancora rotto sai? Prima o poi userò le rotule
delle mie ginocchia come
pattini!”
L’aveva
sentita arrivare già dal rumore prodotto dal suo bastone da
passeggio, ma si
girò verso di lei solo quando ella si mise a parlare per
prima. Se l’avesse
accolta prima del suo intervento molto probabilmente la vecchia Annie
si
sarebbe offesa.
“Sei
qui solo per l’ascensore rotto?”
“oh
no, no… per quello ho già detto ai ragazzi della
manutenzione di aggiustarlo se
non vogliono ritrovarsi con qualche frustata di giunco sulla schiena.
Piuttosto
potrebbe interessarti sapere che in città sono giunti un
paio di dottori
davvero niente male… proprio prima di cena! Tu guarda che
carini!”
“la
città è piena di dottori. Io ho già il
mio dottore personale”
La
vecchia tuttavia non si scompose, estraendo dal borsello un sigaro
portandoselo
rigorosamente alla bocca ora deformata da un furbo sorriso.
Lasciò che fosse
Hanzo stesso ad accenderglielo, avvicinando la propria sigaretta accesa
al
sigaro della donna, aspirando a pieni polmoni quell’intenso e
puzzolente aroma
di tabacco prima di rilasciare dei cerchi di fumo dalla bocca.
“Questo
lo so, ma se ti dicessi che questi due bellimbusti dicono di essere
scienziati
dell’Istituto la cosa ti
interesserebbe di più?”
Benchè
le rovine di Boston fossero lontane settimane dalla sua attuale dimora,
mister
Takayama aveva già sentito delle strane diavolerie di quella
misteriosa
organizzazione grazie agli inquietanti racconti dei mercanti
itineranti. E questo
bastò ad attirare la sua prudente attenzione.
Tutti
sono i benvenuti ad Atlantic City… al giusto prezzo, si
intende.
*
“guardie! Portate via il vecchio. Lavorerà nelle
fogne” almeno stando a google
translate. Quello che invece dice il norvegese è un
“si, signora Annabelle?”
Comunque,
se avete letto fino a qui mi fa piacere. Era da tempo che volevo
parlare di
Atlantic City da tempo menzionata in Facing Demons ed ora ho deciso di
scrivere questa oneshot. Potrebbe diventare una raccolta a tempo perso,
ma per
il momento la concludo qui. Grazie per essere passati!