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Autore: vermissen_stern    05/02/2017    3 recensioni
[fallout 4][personaggi originali]
Aveva ricostruito quella fetta di città partendo dal sangue, ed usandolo come malta per erigere le mura che attualmente proteggevano quella perla che si affacciava sull’Atlantico. Tutto il mondo in cui era nato e cresciuto era stato spazzato via dall’ingordigia umana, e quando era finalmente sorto dal suo rifugio antiatomico ne era uscito con una pelle completamente nuova. Aveva lottato per guadagnarsi quell’intera isola sotto il suo potere, arrivando anche a compiere gesta tutt’altro che nobili e al limite del barbarico.
Ma era così che girava il mondo adesso, e l’unica cosa che lo tormentava al momento era di avere un futuro il più possibile sereno.
(è legata a Facing Demons ma non occorre averla letta)
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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C’erano essenzialmente due cose che caratterizzavano Atlantic City da quando il mondo aveva cessato di esistere. La prima, era per essere ancora rinomata per possedere tutt’ora molti dei suoi casinò originari e continuare ad essere meta di divertimento e follia. La seconda, era che tale città si trovava in mano a dei gangster senza scrupoli.

Ghoul per giunta, e in buona parte di nazionalità nipponica.

Storia vecchia quanto singolare, il clan dei Takayama – da sempre legato al mondo della yakuza – controllava da più di trecento anni quel piccolo angolo di paradiso e solo negli ultimi due secoli governava sulla città senza l’ausilio delle care e vecchie ombre che da sempre avevano nascosto le loro attività poco lecite. Non sempre un olocausto nucleare è sinonimo di disgrazia per chi lo vive in prima persona… ed Hanzo Leonard Takayama lo aveva sperimentato in prima persona. Sebbene gli inizi risultarono traumatici sulla sua pelle e su quella dei suoi seguaci.

Benché un ghoul con più di duecento anni avesse la sua dose di peso psicologico sulle spalle il lavoro in città certamente non mancava, ed essere il suo signore sia dentro che fuori le mura lo aveva sempre tenuto occupato tanto da non riuscire quasi a percepire il tempo che scivolava via dalla sua pelle grinzosa.

Un tempo questo ghoul, ora a capo di un piccolo impero in un modo alquanto legittimo, aveva vissuto una vita all’ombra delle istituzioni e cresciuto nelle poche amorevoli mani della mafia giapponese. Un tempo la sua pelle era liscia e vellutata, con capelli i corvini rigorosamente tagliati in puro stile manager americano e una barbetta cortissima che incorniciava i lineamenti mascolini del volto. Un tempo avrebbe potuto indossare un abito fresco di sartoria ogni santissimo giorno se solo ne avesse avuto capriccio, mentre il semplice sventolio di una manciata di verdoni avrebbe saputo tenere zitte le bocche delle petulanti autorità locali.

Quel tempo se n’era ormai andato. Era appassito come un fiore in una brocca senza acqua e i suoi petali si erano frantumati in polvere come le ceneri di una città che faticosamente aveva ricostruito un pezzo alla volta.

Macerie usate come moderno muro per proteggere gli edifici rimasti ancora in piedi dai pericoli dell’esterno – rappresentati da bestie mutate dalle radiazioni e da gente poco raccomandabile – e una popolazione asservita al proprio signore la cui unica lamentela era dovuta più ai turisti maleducati che alle tasse che venivano imposte loro. Intendiamoci: la vita ad Atlantic City era dura – così come in molte altre città sopravvissute alla guerra atomica – con i dormitori degli operai affollati e la gente costretta ad accontentarsi di un paio di pasti frugali al giorno, ma certamente si era più protetti all’interno delle sue mura che nelle miserevoli campagne… a cui “l’imperatore” doveva comunque garantire un minimo di sicurezza se voleva che i suoi cittadini non morissero di fame. Una sicurezza garantita all’interno dell’isola, in molti aspiravano poter lavorare la terra al suo interno, ma nelle terre contaminate circostanti era decisamente più difficile mantenere l’ordine tanto da costringere i contadini ad affidarsi a milizie civili.

L’isola di Absecon su cui sorgeva il cuore pulsante di quella che un tempo erta stata una fiorente città, e in cui sorgevano i suoi principali luoghi di intrattenimento, si era trasformata in un fortino inespugnabile. Le mura composte da autovetture e macerie proteggevano il cuore pulsante della zona divertimenti dai pericoli dell’esterno –percorsa giornalmente da guardie armate e spietate pronte a tutto per difendere quel piccolo tesoro scintillante che si affacciava sull’Atlantico – mentre le piccole comunità al di fuori di Atlantic City potevano contare sulla protezione dell’imperatore  a patto che avessero pagato i loro tributi con regolarità. In fin dei conti il “massimo” della preoccupazione era di avere dei deathclaw che avevano fatto il nido in una discarica o degli antichi ghoul ferali che uscivano fuori dalle fogne dopo giorni di pioggia, contro predoni psicopatici e supermutanti cannibali che si insidiavano nella terraferma.

Comunque, era affascinante notare come i casinò più famosi situati lungo la boardwalk affacciata sull’Oceano Atlantico avevano resistito alle deflagrazioni atomiche – compreso il Caesar Palace di mister Takayama ora sua fortezza personale – merito questo delle pesanti ristrutturazioni fatte dai proprietari secoli addietro che, terrorizzati da una possibile guerra atomica, piuttosto che vedersi il proprio patrimonio incenerirsi avevano ben pensato di riempire di piombo e calcestruzzo i loro palazzi. Lo aveva fatto anche lui, vero, ma giusto per rasserenare quella vecchia cariatide di suo nonno che al tempo che fu non ne voleva proprio sapere di morire. In fin dei conti si dice che il sangue cattivo non muoia mai, giusto?

 

“sangue cattivo non muore mai…”

Le parole gli uscirono dalle labbra rovinate con un soffio della sua cupa voce arrocchita dal tempo e dalla ghoulificazione, nel mentre che il suo sguardo vagava vuoto nel paesaggio offerto dalle finestre del suo ufficio personale. Un misto tra palazzi ormai decadenti e casinò ancora gloriosi, illuminati da luci natalizie e dalle fiammelle delle lanterne perennemente accese.

La sua pelle era ricresciuta sulle ferite lasciate da una guerra che nessuno aveva voluto, e il suo fisico continuava ad essere atletico nonostante le molte cicatrici che avevano trasformato il suo corpo. Non aveva più barba e capelli, neppure il naso se era per questo, e ciononostante molte donne continuavano a considerarlo un individuo affascinante nonostante appartenesse ad una “razza” tutt’altro che rinomata per il loro bell’aspetto.

Ma a parte questo c’erano momenti in cui i suoi secoli li sentiva per davvero tutti sulle spalle, e in quei giorni non si sentiva di ringraziare le radiazioni per averlo reso una creatura immortale. In quei giorni la sua pazienza toccava limiti storici, ed anche una semplice richiesta di udienza poteva avere risvolti decisamente poco desiderati.

Mister Takayama era sempre stato un individuo burbero e poco incline al dialogo. Era stato educato a rimanere freddo e distaccato in qualsiasi situazione, difficilmente mostrava emozioni positive con i suoi sottoposti che non fosse una feroce incazzatura – ad eccezion fatta forse per le donne, per la quale era un po’ più umano e con cui difficilmente alzava la voce – tuttavia il processo di ghoulificazione aveva accentuato in lui alcuni istinti che un tempo avrebbe saputo tenere egregiamente a bada, ma era ben lungi dal diventare un ferale senza cervello.

Era diventato nettamente più geloso nei riguardi del gentil sesso – tanto da non esitare ad eliminare fisicamente un proprio concorrente – oltre che scarsamente tollerante con le futili lamentele che spesso giungevano alle sue orecchie. Secondo i cittadini di Absecon, Hanzo era un buon leader… ma era decisamente saggio non farlo incazzare.

L’uomo che entrò nel suo ufficio tuttavia, dopo aver rigorosamente bussato alla sua porta ed aver atteso il suo consenso per entrare, era piuttosto giovane – un giovanotto sui venti anni dalla pelle ancora liscia e sbarbato – e dunque non ancora consapevole che essere “segretario” del grande capo significava seguire certi paletti. Ma d’altronde cosa poteva fare se nella hall del casinò del capo un uomo e una donna avevano iniziato a litigare così ferocemente arrivando addirittura a tirarsi le sedie addosso? A parer suo era un gesto di responsabilità informare il suo imperatore, ma lo sguardo tutt’altro che accomodante che il ghoul gli lanciò lo fece desistere dall’entrare dentro il grande ufficio dalle vetrate appannate dalle polveri sottili delle tempeste radioattive.

“S-signore, credo che sia gradita la sua presenza giù nella hall…” disse il ragazzo, con un filo di voce “alcuni clienti stanno distruggendo il locale e non ne vogliono sapere di calmarsi”

Si pentì di essere entrato nell’esatto momento in cui le iridi grigie del suo boss si posarono freddamente su di lui, trovandosi a deglutire mentre la figura del ghoul avanzava lentamente verso di lui. Una sagoma messa in penombra a causa della luce del primo pomeriggio che filtrava dalle grandi finestre, tanto minacciosa quanto ieratica nella sua decadenza organica, che parlò con una finta calma nel timbro vocale roco e autoritario.

“E chi è che esattamente ha chiesto di me?”

Poteva sembrare una domanda a trabocchetto – ed in parte lo era pure – ma per quanto il giovanotto fosse stato assunto da poco era stato comunque istruito velocemente sui ranghi presenti all’interno della “baracca”. C’era solo un individuo che si permetteva, e poteva permettersi, di scomodare Hanzo quando gli pareva e piaceva. Anche quando era una di quelle giornate “no” in cui aveva altro da pensare – tipo quel giorno in particolare, in cui stava rimuginando sugli attacchi fin troppo devastanti di predoni avvenute nelle fattorie che si affacciavano sulla sponda opposta all’isola di Absecon – e quell’individuo era una vecchia cariatide che non perdeva mai tempo di rimproverarlo amorevolmente. E grazie al cielo il segretario in erba lo sapeva.

“miss Annabelle , signore! M-mi ha mandato direttamente lei”

Una lieve smorfia infastidita si materializzò brevemente sulle labbra rovinate di mister Takayama, per quanto tale smorfia non nacque per il possibile fastidio di tale chiamata. Piuttosto, era per la semplice esasperazione con cui certi suoi sottoposti erano fin troppo puntigliosi.

Conosceva quella donna da una vita, e sapeva che quella stessa vita che aveva stravolto quella del ghoul non era stata molto clemente nei confronti dell’anziana matriarca. Un cinismo unico il suo, ma non per questo malvagio, abbastanza spiccato comunque da darle l’appellativo di “regina serpente”.

E come con tutte le donne, Hanzo non amava farsi aspettare troppo.

 

[…]

 

 

La vita nella zona contaminata al di fuori dell’isola di Atlantic City era un vero casino, nei migliori dei casi… Mentre alla peggio era semplicemente un inferno.

Lo sapeva bene Emily Jane che, come molti di quelli che giungevano in città, nelle terre selvagge era nata e cresciuta e sapeva fin troppo bene con che razza di individui si doveva spesso avere a che fare all’esterno.

Ma la gente di città – oh, anime ingenue! – era come se vivessero in un mondo tutto loro. Divertendosi lungo la boardwalk con i suoi casinò scintillanti e locali sempre ricolmi di alcoolici e droghe raffinate, oppure con i contadini la cui unica preoccupazione era di avere abbastanza grana per poter pagare le tasse all’imperatore. In poche parole era Absecon – il sogno proibito di molti poveracci che non avevano abbastanza tappi per pagare la dogana lungo il pontile di imbarco dei traghetti che avrebbero imbarcato solo i più meritevoli verso la città – luogo che invece lei aveva varcato con l’arroganza tipica di chi aveva molti tappi nella borsetta… prima di vederseli bruciare ai tavoli da gioco da un padre inutile come la spazzatura ai bordi delle strade.

Se ora si trovava in un antico magazzino del casinò Caesar riconvertito in centro di detenzione era solo per colpa di un genitore tanto stupido quanto pericoloso, rinomato per essere stato uno tra i predoni più sanguinari negli ultimi dieci anni. Il terrore delle terre contaminate, mister Kraig Pitchiner in persona. Colui che aveva guidato più di duecento uomini lungo le rovine della vecchia Atlantic City dall’altra parte del fiume e lungo la costa tanto da farsi sentire fino alla corte dell’imperatore. Ma a quanto pare il detto popolare che le glorie di un predone strafatto di psycho fino al midollo non duravano mai oltre la primavera era dannatamente vero.

Emily si era ricongiunta al proprio padre solo negli ultimi cinque anni, dopo svariate vicissitudini che trovava alquanto noiose da ricordare al momento, e già all’epoca ebbe come il sospetto che il genitore fosse tornato da lei in un periodo di decadenza sempre più pesante. Per non dire che i tappi che possedeva dovevano fargli parecchio comodo, visto il modo in cui le si era appiccicato addosso.

Ma cosa avrebbe dovuto fare? Ucciderlo? Probabilmente si… una parte di lei lo desiderava già dal primo momento in cui si erano ricongiunti, ma la parte ancora innocente del suo animo le aveva ricordato che era pur sempre suo padre.

Un gran pezzo di bastardo, un approfittatore, ma che aveva avuto modo di vendicare sua madre durante gli anni delle scorribande in giro per la zona contaminata. La fuori se decidi di vivere onestamente campi davvero poco, ed Emily Jane lo aveva capito già all’età di sei anni.

La linea di pensieri nostalgici della ragazza venne interrotta dall’ennesimo lamento del genitore che, in modo volutamente provocatorio, si toccò la ferita alla tempia provocata dalla furia distruttrice di quella megera d’una figlia. Una delle tante ferite che aveva addosso, proprio come lei.

“beh, se c’è una cosa che hai imparato bene è come colpire a tradimento il tuo vecchio con una slot machine… davvero molto poco femminile, per una che si atteggia da prima donna come fai tu!”

“e tu magari non avresti dovuto spendere tappi che non ti appartengono?! Lo psycho ti ha completamente mangiato il cervello, tanto che di te è rimasto solo l’ombra… patetico idiota!”

A sentirsi apostrofare a quel modo l’ex predone proprio non ci vide più, soprattutto per quanto riguardava quel “patetico idiota” sputato con tanta arroganza che proprio non si poteva sentire, e con un ringhio pieno di rabbia risentita si alzò dallo sgabello su cui era stato “gentilmente” chiesto di sedersi per cercare di andare il più vicino possibile ad un una figlia fin troppo maleducata. Era sua intenzione rimettere al suo posto quell’insolente – nell’esatto modo in cui l’aveva fatto nel casinò, cioè rompendole una sedia sulla schiena – ma questa volta stampandole entrambi i pugni su quegli occhi dalle iridi identiche alle sue. Un color agata intenso che emanava la stessa arroganza che emanava lui un tempo – il re dei predoni, Kraig Pitchiner detto anche l’uomo nero delle paludi del sud – eppure non riuscì a fare che pochi passi prima di essere fermato da una forza superiore legata al suo collo grigiastro. Inutile dire che Emily non si sentì minacciata in nessun modo dal proprio genitore nefasto, in quanto entrambi indossavano dei collari da schiavo che emettevano forti scariche elettriche in base a comportamenti considerati nocivi. E cercare di aggredire il prossimo era uno di quei comportamenti socialmente inaccettabili, tanto che il disgraziato strabuzzò gli occhi quando le prime, dolorosissime, scosse gli attraversarono tutta la spina dorsale fino a farlo cadere a terra con un grido. Fu decisamente umiliante quando le guardie misero loro quei maledetti collari, ma senza ombra di dubbio facevano il loro sporco lavoro.

“vedete di darci un taglio, voi due… se non volete che ci ripensi e vi sbatta a combattere nella boardwalk hall arena per la gioia di gentaglia più viziata di voi! E ci rimetterei comunque dei soldi”

Era logico che padre e figlia non erano soli dentro quel magazzino, e tralasciando le sbarre alle finestre e una semplice scrivania su cui poggiava un vecchio computer ronzante l’unica cosa che dava l’idea che fossero veramente in prigione era la presenza di guardie armate. A parlare comunque era stata una donna, una per giunta molto anziana data la voce gracchiante e sprezzante, che uscì dalle ombre per scrutare in modo severo i suoi ultimi acquisti.

Indossava abiti semplici – composti da una lunga gonna color terra e un maglioncino bianco, ed una logica cintura con tanto di fondina e pistola in quanto chiunque girava armato nell’America post atomica – aiutandosi nel camminare con un bastone finemente intagliato nel mentre che avanzava verso i due prigionieri interessata di più alla femmina che al maschio ancora agonizzante a terra.

“Questo non è un paese per stupidi, eppure voi vi siete lasciati andare come i peggio novellini… sapete cosa vuol dire, vero?”

Emily Jane avrebbe voluto replicare in maniera sprezzante nei riguardi di quella vecchia baccucca dall’aria fin troppo ironica, ma era consapevole di avere un collare elettrico ben agganciato al collo – di quelli che se provava a toglierselo ci rimaneva secca all’istante – pertanto si limitò a deglutire con rabbia e ad alzare il mento con aria indignata. Mentre il genitore che si stava faticosamente alzando da terra, cercando di ricomporsi il vestito buono ormai irrimediabilmente rovinato dopo una lotta furibonda e infantile, ebbe il coraggio di essere ironico con quella che doveva essere un po’ il capo della situazione.

“Uh… s-sa com’è… uno arriva ad una certa età e cerca di godersi la pensione… prima che una figlia degenerata spenda tutto in cappellini e sottane!”

La vecchia rimase in silenzio per svariati secondi nel mentre che l’uomo dall’aspetto emaciato si rimetteva in piedi nonostante la brutta scossa subita, tossendo ancora per lo sforzo di respirare, studiando attentamente i due individui come se stesse facendo un rapido calcolo della loro utilità così come si fa con il comune bestiame.

“Ironia portami via…” sussurrò l’anziana matriarca, prima di alzare di più la voce “significa che io, miss Annabelle, ho comprato il vostro debito giù al tavolo da gioco! Teoricamente parlando sareste liberi, ma come avete notato i collari non sono un regalo della casa… peeer cuuui… salderete il vostro debito con me nell’arco di un anno, come miei schiavi”

Cosa?! Sei forse ammattita vecchia degenerata?! Credi che non abbia altro a cui pensare fuori da queste mura?!”

Era stata buona e tranquilla fino a quel momento, non contestando neppure quando le avevano allacciato il collare al collo, ma quando la matriarca aveva sentenziato il loro destino la giovane Pitchiner  non ci aveva visto più. Si alzò in piedi con aria indignata, attirandosi l’attenzione delle guardie che le puntarono prontamente le canne dei fucili da caccia contro la sua esile figura. Poco importava se indossava  una mise di tutte rispetto in puro stile anni cinquanta – e solo una donna di una certa levatura poteva permettersi una gonna dall’orlo ricamato e collant ancora perfettamente integri… almeno prima del brutto pestaggio subito – le avrebbero sparato alle gambe se avesse tentato di fare qualcosa che non doveva fare, ma grazie al cielo la prigioniera fu abbastanza furba da non avventarsi contro la donna più anziana.

A fermarla a dire il vero ci pensarono alcuni passi lungo la passerella metallica sopra le loro teste, ma era troppo buio per vedere chi fosse il nuovo arrivato anche se dalla camminata non parve promettere bene. Troppo calma, troppo lentamente i piedi si muovevano sul metallo in parte arrugginito, come se il misterioso spettatore stesse studiando la situazione da un palco privilegiato.

Emily se ne accorse, e un vago senso di inquietudine la pervase, tanto da dare tempo a miss Annabelle di rispondere in maniera seccata alle sue arroganti parole.

“qualunque cosa tu possedevi prima di perdere ai tavoli e sfasciare il locale assieme a quel rinsecchito di tuo padre adesso è di proprietà dell’imperatore Hanzo Takayama. Oltre a questo lavorerete forzatamente per un anno in città, così da potervi sdebitare con lavori socialmente utili e guadagnare abbastanza tappi da poter ripartire da zero… diciamo così, ecco!” ma non parve crederci neppure lei “Serve un disegnino tesoro?”

“Ah… dunque avete già fatto il calcolo dei danni” fece mister Kraig sorpreso. Il naso aquilino recava un brutto graffio sanguinante dovuto alle unghie affilate della figlia, ma la notizia dell’espropriazione gli aveva annullato qualsiasi dolore “beh, allora mi spiace comunicarvi che vi godrete ben poco cara la mia signora… mia figlia vive letteralmente in un albero cavo!”

C’era veramente tanta cattiveria nella voce melliflua dell’ex predone, perché in quell’albero cavo – una fatiscente villa prebellica cui le piante mutate dalle radiazioni avevano messo radici – ci aveva vissuto pure lui godendosi la protezione offerta da una palude intricata che scoraggiava i suoi vecchi nemici a venirlo a cercare. Una considerazione questa che infastidì non poco la giovane figlia, che aveva lottato per fare sua quella casa nel corso degli anni, tanto da volerlo nuovamente apostrofare in malo modo.

Tuttavia non riuscì a far altro che aprire la bocca per starnazzare nuovamente la sua arroganza da nobildonna decaduta, poiché fu nel silenzio che accolse la voce di colui che fino a quel momento aveva osservato la scena dalla passerella sopra di loro.

“il valore dei vostri beni spetta a me a giudicarlo, non a voi. Ora mi appartengono, così come mi appartengono le vostre vite. Direi si tratta di un giusto risarcimento, dato il modo in cui avete ridotto parte del mio locale”

Quella voce roca e severa apparteneva al gran capo della città, quel Takayama di cui entrambi avevano tanto sentito parlare ma che non avevano mai visto. La sua figura scese per la rampa di scale con una certa solennità – schiena diritta e sguardo severo – anche se ad Emily Jane parve solo di vedere l’ennesimo ghoul con indosso un vecchio impermeabile che copriva solo in parte l’armatura da ranger che indossava.

Non tutte le guardie che li circondavano erano degli umani normali, alcuni avevano i lineamenti del volto devastato dalle radiazioni e la guardia personale della vecchietta arzilla –più simile ad un operaio dato che era vestito solo con dei pantaloni da lavoro tenuti su da delle bretelle, lasciando il petto nudo dando “bella” mostra della sua orribile pelle, mentre gli anfibi erano sporchi di terra – sarà stato alto un paio di metri e sembrava essere quello meno sveglio di tutti. Della serie: digli di uccidere e quello lo fa in automatico senza sapere il perché.

In pratica i ghoul la disgustavano quanto gli uomini comuni, pertanto si sentì in dovere di sostenere lo sguardo severo del cosiddetto “imperatore” che non perse tempo a squadrarla da capo a piedi.

“Ah… ce l’hai fatta ad arrivare, mio signore” fece la vecchia megera, rivolta verso il ghoul che le si stava avvicinando “indubbiamente avrai fatto il calcolo dei danni su al primo piano, ma ho deciso comunque di accollarmi io questo fardello anche se non sembrano promettere granché”

Annabelle poteva ricamarci su quanto le pareva, ma sapeva anche lei che Hanzo non era stupido e una volta giunto lì era consapevole del reale motivo della sua impazienza nel volerlo presente. E questo lo fece sbuffare annoiato, tanto da richiamare a se l’anziana governante con un gesto della mano, lasciando per questo abbastanza interdetti i due prigionieri.

“Si? Siamo pieni di segreti oggi? Che delizia, guarda”

“Fai poco la spiritosa, e dimmi che diavolo ti è saltato in testa”

Miss Annabelle sorrise, alzando gli angoli di quel grumo di rughe che era la sua bocca, ed estraendo da un borsello legato alla cintura un sigaro e un accendino volle spiegare a modo suo il motivo di quella “urgente” chiamata. Se lo accese con l’agilità tipica del fumatore incallito, prima di inalare l’intenso aroma del tabacco prebellico e di rilasciare un paio di cerchi di fumo dalla bocca. Il tutto, sotto l’occhio paziente di un imperatore che attendeva una risposta precisa.

Dava l’idea che si conoscessero da molto tempo, almeno stando agli occhi di Emily Jane, ma sarebbe stata una pura menzogna dire che tra i due non c’era della leggera tensione.

“Beh, un uccellino mi ha riferito che al tuo harem attualmente manca una ragazza… e pensa un po’, quell’uccellino sono proprio io!”

“fai poco la spiritosa, ho già quattro ragazze… non me ne serve un’altra”

“di cui una, la quinta, è stata allontanata a causa di una infezione alle ovaie. Peeer cuuui mi sono chiesta… magari rallegriamo un po’ la giornata al nostro amato imperatore?! Almeno dalle una occhiatina… anche se è un po’ ammaccata, certo”

Il ghoul sostenne a lungo lo sguardo ironico di quegli occhi di un verde ormai spento, per poi finire a sbuffare seccato massaggiandosi la fronte con una mano. Era inutile cercare di far ragionare quella vecchia pazza, la cui ostinazione cresceva in proporzione con l’età che avanzava, dunque tanto valeva farle questo contentino per quanto lo stesso Takayama sapesse già la decisione finale.

L’imperatore tornò dunque a guardare i due nuovi servi acquisiti, ora stranamente silenziosi ma consci che ci fosse qualcosa che non andava, e con un cenno del dito indice ordinò silenziosamente ai suoi uomini di voltare le spalle ai prigionieri. Un gesto questo a dir poco insolito, quantomeno al capofamiglia dei Pitchiner, perché una guardia che mostrava la schiena al proprio prigioniero era da autentico suicidio… ma per la figlia dell’ex predone si trattava di un espediente che aveva già provato sulla propria pelle anni prima.

Quando non hai più una famiglia e ti capita dunque di essere allevata da schiavisti senza scrupoli “mascherati” da allevatori di bestiame può succedere di assistere a baratti e tratte di ogni tipo. Ed era stato così anche per lei.

Esaminata come un bramino da esposizione, le avevano controllato i denti, le mani, la presenza di pidocchi nei lunghi capelli neri e la presenza di lesioni in posti che si vergognava tutt’ora di ricordare. E quando la voce di quell’odioso ghoul si fece sentire fredda e distaccata all’interno del magazzino scarsamente illuminato, la giovane Pitchiner accolse le sue parole deglutendo amaramente come se le avessero appena dettato una condanna a morte. Semplicemente umiliante.

“Spogliati”

Un ordine dettato senza malizia alcuna, anzi sembrò pure gentile nella voce, ma che portò comunque la ragazza a congelarsi continuando a guardare in modo duro il proprio signore. Era come rivivere un déjà vu solo nettamente più umiliante, perché in compagnia del proprio vecchio e perché doveva mostrare la propria pelle ad una creatura raccapricciante. Tuttavia non si aspettò che fosse proprio Kraig Pitchiner a prendere le sue difese.

“Un momento! Come sarebbe a dire che mia figlia deve spogliarsi?! Siamo già tuoi schiavi, e già questo è profondamente degradante ma dettagli, non ti basta questo?!”

Poco gli importava di essere di fronte al capo della città, e poco gli importava che quegli occhi grigi lo avessero fulminato con un disappunto freddo e distaccato, ma quella restava pur sempre sua figlia, e lui restava comunque un signore della guerra per quanto ormai in molti si fossero dimenticati il suo nome e il suo volto.

Cinque anni fuori dalle scene era davvero tanto in una America uscita fuori dal conflitto atomico che aveva spazzato via l’intera civiltà, e con tutta probabilità neppure mister Takayama ricordava con precisione il nome di Pitchiner. Il che era vero, tanto che oramai poteva limitarsi a spaventare i bambini nei loro letti per come si era ridotto.

“Ci conosciamo forse? Predone?”

Gli occhi dell’imperatore si fecero più severi nei riguardi della sua gracile figura, e difatti il disgraziato si ritrovò a mostrarsi sorpreso di fronte alle parole del ghoul che potevano anche trarre in inganno. Lo aveva davvero riconosciuto? Oppure lo stava solo provocando? Magari era entrambe le cose, oppure si ricordava perfettamente delle sue famigerate gesta passate e stava ora prendendolo per i fondelli.

Una tattica questa che portò inizialmente il capofamiglia dei Pitchiner a rimanere interdetto, per poi ridacchiare di gusto pensando che il gran capo della baracca stesse cercando di “giocare” con lui – anche se il termine esatto era prendere in giro – con il risultato di gonfiare in maniera ridicola la sua vena narcisistica.

Al diavolo… piuttosto che sentire gli sproloqui melliflui di suo padre, la giovane Emily era anche disposta ad assecondare la volontà di Hanzo Takayama e di quella becera vecchietta che continuava a fumarsi quel suo sigaro disgustoso. Se c’era una cosa che odiava di suo padre era che cominciasse uno sproloquio sulle sue gesta passate solo per il semplice fatto che quel bastardo adorasse il suono della propria voce, e per quanto odiasse molto di più avere a che fare con degli schiavisti decise di assecondare questi ultimi.

Non era in vena di sopportare il genitore, questo a causa della litigata che li aveva coinvolti – e per la giovane era colpa sua di LUI se erano finiti in un mare di guai – dunque fu con gesti automatici e nervosi che decise di spogliarsi sotto gli occhi degli unici tre presenti che la stavano osservando. Quattro in realtà, se si comprendeva anche la guardia della matriarca che non faceva parte delle guardie armate… ma questi si coprì ingenuamente gli occhi con una mano nel momento esatto in cui la nuova schiava iniziò a sbottonarsi la camicetta per poi passare ad abbassarsi velocemente  la gonna lunga fino alle ginocchia. Fu poi con pochi strattoni che si lacerò definitivamente i collant, rimanendo definitivamente in slip e canottiera.

“ah… se tu fossi stata così veloce anche prima ci saremmo risparmiati le tue starnazzate”

Sempre dolcissima come il fiele miss Annabelle esordì così di fronte alla figura svestita di Emily Jane. E se il padre della permalosa ragazza fece un vero e proprio “facepalm” vedendo come quella disgraziata se ne fosse fregata altamente delle sue buone intenzioni di proteggerla, il proprietario del casinò non mostrò all’apparenza nessuna emozione meritevole. Si avvicinò ulteriormente alla donna che ancora continuava a guardarlo con aria di sfida, fino a giungere a pochi centimetri da lei per sussurrarle un altro ordine che certamente l’avrebbe fatta infuriare ancora di più. Per quanto, ancora una volta, non ci fosse malizia nella volontà del suo nuovo padrone.

“Anche la canottiera, toglitela”

“Puoi scordartelo, mostro!” sbraitò Emily, con un impeto di rabbia che proprio non riuscì più a trattenere “non ho nessuna intenzione di fare anche questo! Mi sono già spogliata, e direi che per te è anche abbastanza!”

L’isterica reazione della ragazza sarebbe stata un buon pretesto per prenderla a schiaffi, quantomeno secondo il parere dell’anziana matriarca che storse la bocca in un ghigno disgustato, mentre per il padre dell’impertinente schiava fu un momento di puro gelo che lo portò a toccarsi istintivamente il collare legato al collo. Se quella cretina di sua figlia voleva morire che lo facesse senza dover coinvolgere anche lui!

Ma per il signore della città non ci fu indignazione che tenne sul suo volto impassibile, come se fosse stato scolpito nella roccia, tanto da lasciar correre diversi secondi di silenzio in modo tale che la giovane bisbetica assorbisse il nervosismo e realizzasse con chi aveva osato alzare la voce.

Gli occhi dalle iridi dorate di quella sfacciata donna si allargarono per un momento quando capì di aver osato troppo, pur rimanendo fermamente convinta di aver fatto la cosa giusta ad insultarlo, e in un senso di pudore misto a volontà istintiva di proteggersi incrociò le braccia in petto come una mummia. Hanzo tuttavia non si fece intimorire da tale atteggiamento altezzoso, sebbene la ragazza avesse comunque abbassato la testa per non incrociare più il suo sguardo severo, e prendendola con decisione per le spalle la voltò per far si che avesse la sua schiena a portata di mano.

Dalle labbra della fanciulla fuoriuscì un gridolino strozzato di pura sorpresa, che si congelò ulteriormente in gola quando avvertì le dita ruvide del ghoul sollevarle delicatamente la canottiera.

Ciò che non doveva essere mai esposto alla luce del sole venne rischiarato dalle antiche lampadine prebelliche poste un po’ ovunque nel magazzino, e mentre Emily Pitchiner moriva di umiliazione e vergogna gli occhi del suo padrone scrutarono gli orribili segni incisi sulla sua candida pelle con solo apparente calma.

Tre lunghe cicatrici percorrevano la schiena della giovane Pitchiner, orribili e disgustose come solo le bruciature da ferro rovente possono lasciare. La ragazza in passato doveva essere stata il giocattolo di qualcuno di molto sadico, che doveva averla usata come pallina antistress oppure punita per aver fatto qualcosa che non doveva fare. Quel genere di cose che facevano prudere  le mani ad Hanzo insomma. E ancor di più a disgustare miss Annabelle la cui “delicatezza” era famosa proprio come le farfalle in primavera dopo un conflitto nucleare. Ossia inesistente.

“Oh, santo cielo! Che schifezza! Mi sembra di guardare una grigliata di filetti di mireluk andati da male! Decisamente non ci siamo… eeee nooo… questa qui è buona per fare altro, non la concubina”

Mister Takayama tuttavia non dette molto ascolto a ciò che la sua governante aveva da dire a riguardo – a differenza di Emily Jane che si sentì umiliata in un modo che non provava più da quando era bambina, tanto da riuscire a trattenere a stento le lacrime dentro gli occhi – poiché gli occhi grigi del ghoul si erano indirizzati verso il più probabile responsabile di quello scempio inumano.

Chi poteva aver avuto la possibilità di maltrattare quella ragazza se non il proprio padre? Un individuo meschino che parve comunque accorgersi dell’occhiata incollerita del ghoul, tanto da mettere pateticamente avanti le mani quando l’imperatore si allontanò di un paio di passi dalla ragazza per poter estrarre la spada che si portava sempre appresso, fino a quel momento tenuta celata sotto l’impermeabile dagli orli lacerati. Una katana antica quanto lo era lui, un dono prezioso che gli aveva fatto suo nonno nell’anno in cui il nipote era finalmente diventato adulto – e all’interno del suo clan ci si diventava attorno ai sedici anni – che lesta si sollevò per mano del suo stesso padrone puntando alla gola di quella specie di corvo grigiastro che gli si parava davanti.

“E-ehi!! Un momento! N-non è come pensi! Non sono stato io a farle quelle cicatrici!”

rare volte mister Pitchiner si era ritrovato a sudare freddo come in quell’esatto frangente – e negli ultimi cinque anni dava sfoggio di codardia acuta sempre più spesso – ma quella fredda lama che gli stava sfiorando il gracile collo, così simile agli occhi di chi la impugnava, dava l’idea che fosse pronta da un momento all’altro nell’affondare in lui così come si fa con un coltello in un panetto di burro. Questa poteva essere una occasione ghiotta per sua figlia di sbarazzarsi definitivamente di lui, aizzandogli contro un ghoul dall’aria assassina e determinata, avendone anche ben donde, ma ciò che sorprese l’ex predone fu di osservare la sua primogenita trotterellare velocemente verso il cosiddetto imperatore per sussurrargli qualcosa all’orecchio destro. Hanzo dovette chinarsi lievemente per permettere a quelle labbra rosate di sfiorare la sua pelle deturpata, ma ciò che la ragazza aveva da dire tanto bastò per stemperare in lui la furia omicida che per un momento gli aveva ottenebrato la mente.

“Dunque… è andata così?”

“Si”

Gli era chiaro che la ragazza non aveva molta voglia di continuare una conversazione tanto dolorosa quanto umiliante, e lui per tale motivo decise di non continuare con quell’interrogatorio per non alimentare altro disagio. Rifoderò la spada, per sommo sollievo di Kraig Pitchiner, ordinando alla donna di rivestirsi ancor prima di rivolgersi nuovamente all’anziana matriarca che nel frattempo aveva già consumato il proprio sigaro.

“è una ragazza permalosa… ma saggia. Al contrario di suo padre”

“già, già… e con quella schiena può al massimo aspirare a fare il manovale. Mi dispiace di averti scomodato inutilmente, Leonard! Pensavo di farti un regalo gradito ma a quanto pare ho toppato alla grande”

“è tutto a posto Annie, solo promettimi che non sarai troppo dura con lei”

I due stavano parlando sottovoce, forse anche più di prima tanto che nessuno dei due prigionieri riuscì a capire mezza parola di quello che stavano dicendo – complice anche il fatto che stavano parlando in una lingua incomprensibile ai più, dato che il giapponese era parlato solo nei quartieri di Takayama come lingua in codice – ma sicuramente non doveva trattarsi di qualcosa di buono.

Fu solo quando Emily Jane si fu rivestita del tutto che il ghoul dette nuovamente ordine ai suoi seguaci di voltarsi con uno schiocco delle dita, e anche il gigante dall’aria ingenua si tolse la mano dagli occhi, ma non dette immediato ordine di agire dato che continuò a parlottare con la vecchia megera. Almeno fino a quando non si voltò verso i prigionieri cogliendoli alla sprovvista con voce autoritaria e stentorea.

“Gādo! Furui tsuresara. Kare wa gesuidō de dōsa shimasu”*

Kraig Pitchiner non capì un accidente di quello che l’imperatore tuonò nei loro confronti, tanto da ritrovarsi momentaneamente a balbettare, rimanendo tuttavia sorpreso quando le guardie armate si fiondarono esclusivamente su di lui colpendolo con i calci dei loro fucili per invitarlo a camminare così come si fa con il bestiame.

“Ehi! Oh! Che diavolo state facendo?! So camminare con le mie gambe!!”

Venne letteralmente trascinato via da quei soldati leali vestiti come gangster d’altri tempi – la sicurezza all’interno del casinò doveva avere una certa presenza – sotto lo sguardo basito di una figlia che francamente parlando non sapeva a cosa sarebbe andata incontro d’ora in avanti. Certamente non le avrebbero fatto del male, ma essere nuovamente costretta a fare cose che solo un paria doveva fare lo trovava a dir poco degradante. Proprio lei… che a fatica si era alzata dal fango decisamente non voleva tornare a sguazzarci nuovamente.

Ma a quanto pare la regina serpente aveva altri piani per lei. Con due colpi di bastone sul pavimento in cemento richiamò l’attenzione del proprio sottoposto, e questi si affrettò a raggiungere la propria padrona con passi decisamente rumorosi.

Vichingo! O come cavolo ti chiami… tu ti occuperai di lei, ok? Insegnale il mestiere e stalle dietro che non mi sembra un granchè, ok?”

deg, dame Annabelle. Servire altro?!”

“no no… che non si cacci nei guai è sufficiente”

La stavano trattando come se fosse una mocciosa di sei anni anziché una donna di venticinque e in buona salute, ma quello che trovava intollerante era che sarebbe stata letteralmente seguita costantemente da quel gigante tardo e ghoulificato. Come se si aspettassero una certa recidività in quello che avrebbe combinato da li a poco tempo.

Il cosiddetto vichingo le si avvicinò con un sorriso quasi infantile, come a volerle rassicurare garanzie che per Emily non c’erano, prima di volerla invitare gentilmente a seguirlo dalla parte opposta in cui era uscito in malo modo suo padre.

La giovane decise di accettare l’invito della creatura, ma si scansò da lui con fare innervosito quando il suo protettore cercò di toccarle le spalle per invitarla a camminare con lui. Il ragazzone ci rimase un po’ male, ma non si dette comunque per vinto ben pensando che quell’atteggiamento indisponente fosse dovuto alla brutta giornata.

Quei due avrebbero dovuto ricominciare daccapo, così come molti altri prima di loro, cerando di non tentare più la fortuna in una città che non permetteva sconti di nessun tipo.

 

[…]

 

Dal tetto del suo casinò poteva vedere gli altri edifici e le loro luminarie colorate e scintillanti. Il suono allegro della musica proveniente dai locali notturni veniva portato fino alle sue orecchie dalla brezza serale che scompigliava lievemente il suo impermeabile, trascinando via il fumo della sigaretta che si stava gustando al momento, cullandolo così come può fare il suono della pioggia sul vetro di un lucernaio.

Hanzo Leonard Takayama non amava fumare in luoghi chiusi, senza contare che alcune sue ragazze non sopportavano proprio l’odore di sigaretta, pertanto prendere una boccata di aria fresca era per lui l’ideale. Sia per rilassarsi che per schiarirsi un po’ le idee.

Quella di oggi era stata una giornata come tante, e solo perché gli avevano sfasciato il locale non significava che fosse l’eccezione alla regola. La soluzione era sempre quella: un collare elettrico attorno al collo e tanti saluti alla libertà individuale.

Ad Atlantic City non esistevano più giudici di pace e tantomeno una polizia federale che contasse veramente. Esisteva solo lui e la sua corte, e la gente del posto gli aveva dato il titolo di imperatore senza che lo stesso ex membro della yakuza pretendesse un titolo altisonante.

Aveva ricostruito quella fetta di città partendo dal sangue, ed usandolo come malta per erigere le mura che attualmente proteggevano quella perla che si affacciava sull’Atlantico. Tutto il mondo in cui era nato e cresciuto era stato spazzato via dall’ingordigia umana, e quando era finalmente sorto dal suo rifugio antiatomico ne era uscito con una pelle completamente nuova. Aveva lottato per guadagnarsi quell’intera isola sotto il suo potere, arrivando anche a compiere gesta tutt’altro che nobili e al limite del barbarico.

Ma era così che girava il mondo adesso, e l’unica cosa che lo tormentava al momento era di avere un futuro il più possibile sereno.

Nonostante il filo logico del suo pensiero si rese comunque conto che non era più solo sul tetto del suo grosso edificio. Lui si trovava in una zona relativamente spoglia del tetto, con presenti solo le turbine dei condizionatori e i comignoli, mentre nella parte orientale era presente  un intero giardino pensile circondato da una rete con tanto di filo spinato. Un piccolo angolo di paradiso nei piani alti, in cui solo lui poteva accedervi, oltre che la regina serpente quando era ore di impartire le regole essenziali alle nuove arrivate nell’harem del gran capo.

“l’ascensore è ancora rotto sai? Prima o poi userò le rotule delle mie ginocchia come pattini!”

L’aveva sentita arrivare già dal rumore prodotto dal suo bastone da passeggio, ma si girò verso di lei solo quando ella si mise a parlare per prima. Se l’avesse accolta prima del suo intervento molto probabilmente la vecchia Annie si sarebbe offesa.

“Sei qui solo per l’ascensore rotto?”

“oh no, no… per quello ho già detto ai ragazzi della manutenzione di aggiustarlo se non vogliono ritrovarsi con qualche frustata di giunco sulla schiena. Piuttosto potrebbe interessarti sapere che in città sono giunti un paio di dottori davvero niente male… proprio prima di cena! Tu guarda che carini!”

“la città è piena di dottori. Io ho già il mio dottore personale”

La vecchia tuttavia non si scompose, estraendo dal borsello un sigaro portandoselo rigorosamente alla bocca ora deformata da un furbo sorriso. Lasciò che fosse Hanzo stesso ad accenderglielo, avvicinando la propria sigaretta accesa al sigaro della donna, aspirando a pieni polmoni quell’intenso e puzzolente aroma di tabacco prima di rilasciare dei cerchi di fumo dalla bocca.

“Questo lo so, ma se ti dicessi che questi due bellimbusti dicono di essere scienziati dell’Istituto la cosa ti interesserebbe di più?”

Benchè le rovine di Boston fossero lontane settimane dalla sua attuale dimora, mister Takayama aveva già sentito delle strane diavolerie di quella misteriosa organizzazione grazie agli inquietanti racconti dei mercanti itineranti. E questo bastò ad attirare la sua prudente attenzione.

Tutti sono i benvenuti ad Atlantic City… al giusto prezzo, si intende.

 

 

 

* “guardie! Portate via il vecchio. Lavorerà nelle fogne” almeno stando a google translate. Quello che invece dice il norvegese è un “si, signora Annabelle?”

Comunque, se avete letto fino a qui mi fa piacere. Era da tempo che volevo parlare di Atlantic City da tempo menzionata in Facing Demons ed ora ho deciso di scrivere questa oneshot. Potrebbe diventare una raccolta a tempo perso, ma per il momento la concludo qui. Grazie per essere passati!

  
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