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Autore: usotsuki_pierrot    06/02/2017    1 recensioni
Piccola introduzione al mio oc, Sasaki Yuki.
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"Ogni volta che qualche azione le riportava alla mente le immagini e i ricordi della Teiko, si sentiva stringere il cuore. E la prima persona che le veniva in mente appena si accorgeva di provare quell’orribile sensazione di soffocamento era Akashi Seijuuro. Immediatamente, l’immagine del ragazzo dai capelli rossicci che avvolgeva le mani intorno al suo collo con quel ghigno che non gli apparteneva veramente, o così continuava a sostenere lei, le si parava davanti agli occhi. E non importava quanti sforzi facesse per divincolarsi, quelle mani non si staccavano dal suo collo esile e bianco come il latte. Era quella la sensazione che provava quando un ricordo delle scuole medie le trapassava il cervello. Non importava cosa facesse, quelle immagini non l’avrebbero mai abbandonata. L’avevano segnata nel profondo, cambiando il suo carattere in un altro completamente differente, forgiato a loro piacimento."
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Seijuro Akashi, Taiga Kagami
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Sasaki Yuki è il mio oc. Elizabeth è l'oc di una mia cara amica.


Akashi-kun..?”.
Mh? Oh, Yuki-san… Cosa fai qui? È successo qualcosa?”.
N-No, è solo che…”.
Fammi indovinare, vuoi di nuovo una mano con le abilità?”.


Yuki aprì finalmente gli occhi, neri come la pece, in perfetto contrasto con la pelle decisamente troppo chiara. “Di nuovo quel sogno, eh?” fu la prima frase che la sua mente fu in grado di rielaborare. La partita contro la Rakuzan, la squadra di Akashi, non era più una visione lontana come lo era giorni, settimane prima, e quella stessa vicinanza non faceva altro che peggiorare la situazione, decisamente non rosea di suo.
I ricordi erano ancora vividi nella mente della ragazza, fin troppo perché potesse anche solo allontanarvi l’attenzione, e sembrava che la stessero torturando ancora di più in quelle lunghe notti di campionato.
Si lasciò sfuggire un leggero sospiro quasi impercettibile, prima di realizzare che non era sola. Si portò istintivamente la mano alla bocca, nonostante sapesse benissimo di non aver fatto rumore. Si voltò a buttare lo sguardo sul corpo del ragazzo vicino a lei. Kagami ancora dormiva, tranquillo, silenzioso, il che bastò per far comparire un lieve e accennato sorriso sulle labbra di lei, che si decise a levare la mano dal viso pallido. Si voltò dall’altro lato, incuriosita ma con calma, per evitare di muovere le coperte che coprivano anche il rosso. Lo sguardo si posò sulla sveglia che lavorava silenziosamente e indisturbata sul piccolo comodino accanto al letto.
“Sono ancora le quattro...”, pensò mentre si passava una mano sugli occhi. Si mise seduta, i piedi coperti dai calzini pesanti si posarono sul pavimento di legno della stanza, mentre le braccia si rizzavano ai lati del corpo minuto della ragazza per darsi la spinta. Ma prima di quello, c’era una cosa più importante, che le balzò subito alla mente, sopra tutto il resto. Voltò lentamente la testa nuovamente verso il ragazzo che ancora dormiva, con i capelli perennemente scompigliati, il viso appoggiato sul cuscino, una mano sotto di esso e l’altra abbandonata sul letto ormai sfatto. La coperta era stata sovrastata dal braccio collegato a quest’ultima, mostrando il pigiama pesante, il più adatto alla stagione invernale. Quel dettaglio fece trasformare il viso senza alcuna apparente emozione di Yuki in un leggero broncio. Gli aveva detto più volte che con quel freddo si sarebbe dovuto coprire bene, altrimenti si sarebbe ammalato e non avrebbe potuto giocare. Si lasciò sfuggire un altro, leggero sospiro. Sapeva benissimo che primo, non si sarebbe ammalato tanto facilmente quanto lei, e secondo, di sicuro non avrebbe smesso momentaneamente di giocare nemmeno con il raffreddore e una febbre da cavallo. Perché quello stupido di Kagami avrebbe sempre fatto di testa sua, anche quando a rimproverarlo era lei. Ma a Yuki andava bene così. Non avrebbe potuto tenere il broncio con lui, d’altronde. Allungò una mano verso il giocatore, per potergli accarezzare quei capelli che non si sarebbe mai preso la briga di sistemare per bene, ma si bloccò prima che le dita sottili giungessero a destinazione.
Non farlo”.
Rimase lì, immobile, qualche secondo a guardarlo, la mano bloccata a mezz’aria, gli occhi puntati su quelli chiusi di lui, prima di alzarsi dal letto e uscire dalla stanza in punta di piedi, aprendo senza fare troppo rumore la porta, controllando il corpo del ragazzo il cui petto si alzava e abbassava lentamente. Dopo aver constatato che no, non l’aveva svegliato né disturbato in alcun modo, uscì nel corridoio buio e accese la luce. Fece un passo, tornò indietro, spense e riaccese la luce di nuovo. Dopodiché, percorse senza altri problemi il piccolo corridoio della casa e si ritrovò in cucina. Stentava ancora a credere che Kagami fosse in grado di gestire una casa così bella, nonostante non fosse delle stesse dimensioni della sua. Appena messo piede nella stanza, accese la luce. La spense, la riaccese. Si avvicinò al frigorifero, per prendere un po’ di succo d’arancia da poter bere, come faceva sempre quando si svegliava nel bel mezzo della notte; e negli ultimi tempi, succedeva fin troppo spesso. Lo aprì, allungò la mano quasi totalmente coperta dal maglione che aveva indosso la cui manica era troppo lunga per le sue braccia, e afferrò il cartone della bevanda. Lo alzò di qualche centimetro, dopodiché fece appoggiare nuovamente la base sullo sportellino dell’anta del frigorifero, attese qualche istante e lo tirò a sé, chiudendo la porta dell’elettrodomestico. Si girò, facendo aderire la schiena contro di esso, abbandonandosi ad un lungo sospiro ad occhi chiusi mentre le dita aprivano la confezione del succo, già abituate a quell’azione. Quante volte era stata in quella cucina nelle ultime notti?
Si portò il cartone colorato della sua bevanda preferita alla bocca. Poco importava che anche Kagami facesse così, ormai era diventata una sorta di routine, e dopotutto al ragazzo non piaceva più di tanto il sapore particolare di quella bibita, e non capitava spesso che la bevesse.
Qualche istante dopo, il cartone venne già richiuso, e richiuso e richiuso nuovamente. Ormai quello non era più un tappo, ma una cassaforte a chiusura ermetica. Odiava non riuscire a controllarsi, ma più stringeva le dita intorno a quella piccola apertura ormai coperta, più sentiva che non era chiusa affatto. Ricordava bene quando Lizzy la “prendeva in giro” alle medie, continuando a ripetere tra le risate che non le serviva un allenamento speciale quando poteva aprire le bottigliette d’acqua chiuse da lei. Le mani strinsero di più il contenitore che sostenevano.
Ogni volta che qualche azione le riportava alla mente le immagini e i ricordi della Teiko, si sentiva stringere il cuore. E la prima persona che le veniva in mente appena si accorgeva di provare quell’orribile sensazione di soffocamento era Akashi Seijuuro. Immediatamente, l’immagine del ragazzo dai capelli rossicci che avvolgeva le mani intorno al suo collo con quel ghigno che non gli apparteneva veramente, o così continuava a sostenere lei, le si parava davanti agli occhi. E non importava quanti sforzi facesse per divincolarsi, quelle mani non si staccavano dal suo collo esile e bianco come il latte. Era quella la sensazione che provava quando un ricordo delle scuole medie le trapassava il cervello. Non importava cosa facesse, quelle immagini non l’avrebbero mai abbandonata. L’avevano segnata nel profondo, cambiando il suo carattere in un altro completamente differente, forgiato a loro piacimento.


Yuki!! Esci subito dal campo!!”. Quella voce si era levata per l’ennesima volta, sovrastando dalla panchina tutte le altre. Le urla del pubblico, quelle dei giocatori, il rumore dei passi che correvano veloci sul pavimento.
Lizzy-chan..?”. Yuki sembrava l’unica ad averla sentita. Si fermò in mezzo al campo, e si voltò verso le panchine, il naso sanguinava e la testa le stava scoppiando ma non le importava. Stavano vincendo, era quello che contava. Stavano vincendo grazie a lei.
Elizabeth, siediti…”. L’allenatrice posò un braccio sulla spalla della ragazza che aveva appena cacciato quell’urlo, che si morse il labbro fino a farsi male, ma non disse nient’altro, limitandosi a rimettersi seduta. Era stata accettata nelle ultime settimane come manager della squadra, si riteneva già abbastanza soddisfatta, e non poteva prendere il posto dell’allenatrice, rischiando di venire buttata fuori. Gli occhi delle due ragazze si incontrarono per qualche secondo, prima che Yuki venne richiamata dalle compagne con una non molto leggera pacca sulla spalla.

Perché? Perché ti sei trattenuta?!”. Yuki sentì ogni singolo muscolo del suo corpo irrigidirsi in un istante. La mano aiutava a premere quel fazzoletto che avvolgeva il ghiaccio, sul naso che accennava solo in quel momento a smettere di sanguinare. Alzò lo sguardo per incontrare quello arrabbiato e deluso di una sua compagna di squadra, che era entrata in infermeria poco prima.
Eh-?”.
Ti sei trattenuta!! L’abbiamo notato tutte, lo sai?!”.
Ma abbiamo vint-”.
Non è importante solo la vittoria, quando hai a che fare con quei mostri!! Hai una vaga idea di quanto la nostra squadra non venga tenuta minimamente in considerazione per colpa di quella maschile e di quella strana “Generazione dei Miracoli”?! E di quanto importante sia non solo vincere ma avere un distac-”.
D’un tratto, calò il silenzio. Yuki si era alzata ad una velocità che sorprese non poco l’altra ragazza, e con la stessa rapidità la più bassa le tirò un pugno che la fece quasi cadere per terra.
Yuki?!”. Quest’ultima si avvicinò quel tanto da diminuire la distanza che si era formata improvvisamente tra le due.
Vuoi dire che non vi sono stata d’aiuto..?!”. Yuki afferrò la maglia della larga divisa da basket, tirando la ragazza a sé.
Invece vi ho aiutate!! Non sono stata inutile, non è così?! Dimmi che vi ho aiutate, dimmelo!!”.
Poco dopo allentò la presa, senza però liberare la compagna di squadra, che la guardava negli occhi, lo sguardo immerso nel terrore di vedere la ragazza che credeva di conoscere in quello stato.
Yuki abbassò lo sguardo, le mani, anzi, tutto il suo corpo stava tremando. Solo dopo qualche istante si decise a rialzare la testa, con un sorriso poco convinto dipinto sul volto anche più pallido del normale, gli occhi un po’ socchiusi, lucidi e la voce che aveva preso anch’essa a tremare, mentre la mano ancora stringeva nel pugno solido la sua divisa.
Non sono inutile da sola… Non è così..?”.


“Mmh..? Yuki, da quanto sei qui..?”. Alla porta era comparso Kagami, e Yuki si sorprese del fatto che non se ne fosse resa conto.
“Kagami..! Mi hai spaventata...”.
“Hah? Di solito ti accorgi sempre di qualsiasi cosa...”. Si era evidentemente sforzato per non sbadigliare e interrompere a metà la frase, ma alla fine non riuscì a contrastare la forza della stanchezza e cedette non appena finì di parlare.
“Questa sarà la…” la ragazza lo vide cominciare a contare sulle dita, e sorrise lievemente, interrompendolo.
“Non serve che tu ti metta a contare, Kagami… E poi, sembra che quello che si accorge sempre di tutto sia tu ultimamente”.
Il rosso mise il broncio, era perfettamente cosciente di ciò che la ragazza stesse facendo, nonostante il sonno non l’avesse ancora abbandonato del tutto.
“Allora?”. Disse, guardandola.
“Allora cosa..?” rispose lei, distogliendo lo sguardo e cominciando a toccare la punta delle dita con il pollice. Quel gesto poteva significare solo una cosa, era nervosa. Il ragazzo sapeva che stava solo cercando di sviare la conversazione per portarla su un argomento che non fosse lei, come del resto faceva sempre, e quel suo muovere le dita freneticamente non era che l’ennesima conferma.
“Quante bottiglie d’acqua ci sono in frigo?”.
“Sei-”. La ragazza si tappò la bocca. Kagami sapeva che, soprattutto quando era agitata, si metteva a contare qualsiasi cosa le capitasse a tiro per calmarsi.
“Yuki, siediti”, disse lui, quasi glaciale, sedendosi al tavolo.
“Ma Kagami, dovresti tornare a dormire..!”.
“Ci torneremo dopo, ma entrambi… E adesso passami quel succo-”.
“Ma non ti piace, e poi è mio-”.
“Quello che è mio e tuo e quello che è tuo e mio, non l’avevi detto tu?”.
“… P-Può darsi, ma me lo finisci subito!”.
“Allora vieni qui senza fare storie...”.
Sul viso di Yuki apparve un broncio di cui probabilmente solo Kagami avrebbe mai potuto essere la causa. Decise di obbedire, e prendette posto sulla sedia accanto alla sua. Poco dopo sentì qualcosa di pesante sulla testa, e capì subito che si trattava della mano del ragazzo; tuttavia non fece in tempo a voltarsi verso di lui, dato che quest’ultimo le fece portare velocemente la testa sulla sua spalla, rimanendo immobile. Non la guardò, ma non allontanò nemmeno lo sguardo da dov’era posato precedentemente. Yuki si rilassò quasi subito al contatto con il corpo del rosso, e si limitò a chiudere gli occhi neri, senza dire nulla.
Del resto, amava l’assenza di rumore in cui calavano in quegli istanti. Erano gli unici momenti in cui la sua mente finalmente rimaneva… in silenzio.

   
 
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