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Autore: Sarah M Gloomy    07/02/2017    0 recensioni
Ultimo capitolo della serie The Exorcist.
Gli esorcisti sono tornati in vita e devono fare i conti con la loro nuova natura. Hanno un nuovo obiettivo, quello di distruggere il loro vecchio Ordine, ma qualcosa non va come dovrebbe.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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      Qualcuno mi pungola la spalla. Apro gli occhi, con un braccio stranamente intorpidito. Robert mi dorme praticamente addosso, la sua testa infilata nell’incavo del mio gomito. Questo spiegherebbe perché non sento più le dita della mano destra. Chase sospira, sollevando la testa del ragazzino. Mi sfilo dalla mia strana posizione. Come diavolo sono riuscita ad addormentarmi tra lui e Jamar? Chiedo di più: quando mai ho offerto le mie gambe come cuscino al ragazzo? Non andiamo neppure d’accordo!
Riesco ad allontanarmi, intorpidita e senza svegliare nessuno, per quanto dare un calcetto alla lussuria mi sia passato per la mente. Tranne noi, gli altri devono essersi svegliati da un pezzo. Le coperte che usiamo come materassi sono piegate e riposte per terra. Anche il letto è rifatto. Dovevamo proprio aver tanto sonno, per non accorgerci del trambusto che ci circondava!
Chase sta sistemando Robert, io mi ritrovo mio malgrado a cercare di non svegliare Jamar. Impossibile, visto come russa.
Mi alzo in piedi, con ancora qualche muscolo piuttosto addormentato e la testa indolenzita. Me la sfioro, sistemando la benda che l’avvolge. Ho una strana sensazione al petto, che non è spiegabile né come sollievo né come tristezza. Mi limito a constatare che ho un certo grado di disagio. Seguo Chase, chiudendomi la porta della stanza alle spalle. L’appartamento profuma di caffè. Sul tavolo ci sono gli avanzi di una colazione frettolosa. Prendo una delle tre brioches che sono avanzate, mangiando con calma. Chase mi porge una tazza di caffè. È tiepido. E mi sto abituando al gusto. Non è proprio male se te lo presentano tutti i giorni, a qualsiasi ora. Prima o poi, anche uno che lo ha sempre disprezzato inizia a considerarlo.
Alzo lo sguardo, mentre Chase si appoggia al piano cottura. Risponde alle mie domande silenziose. «Gli altri sono usciti.»
Capisco. Mordo un altro pezzetto di pastina che, come sempre, ho sbagliato a prendere. Deve esserci un qualcosa che non mi piace dentro. Mah: frutti di bosco? Non so. Potrebbe essere anche il fatto che ho lo stomaco chiuso. Chase sospira. «Stanotte ho dormito bene.»
Appoggio la pasta al tavolo, pulendomi le mani sui pantaloni della tuta. Eliza mi ammazzerà. Il ragazzo davanti a me è estremamente indifeso. E lui non lo è mai. Sta mostrando un qualcosa a me, solo a me. Nessun tipo di schermaglia, nessun muro, nessuna frase sul fatto che lui è il capo e certi sentimenti non gli competono. Mi avvicino, allungando la mano per prendere il suo volto. I suoi occhi verdi non distolgono l’attenzione da me. Non gli fa paura mostrarsi così. Lo trascino, facendogli appoggiare la testa nell’incavo della mia spalla. Il suo respiro mi solletica l’orecchio. Mi stringe in una morsa, congiungendo i nostri corpi. Non è chiaro quale sia il mio corpo e quale il suo. Chiudo gli occhi.
Johannes.
Quando sono andata a dormire, Robert era terrorizzato. Mi sono sistemata vicino a lui, perché mi stringesse la mano. Non ci fanno paura i fantasmi; sono i vivi che ci terrorizzano. Mi devo essere addormentata. Chase deve aver dormito solo, anche se gli avevo promesso che appena sistemata la questione sarei andata da lui. Non è arrabbiato per quello. Sono stata messa da parte troppe volte per conoscere quel sentimento. Puoi odiare un tuo fratello perché ha rubato per poco l’attenzione del papà? Molto semplicistico, e per nulla esaustivo della nostra situazione, ma non odiavo nessuno degli esorcisti per tenermi lontano da Chase. E lui non poteva provare altro.
La sua stretta è così forte che mi manca l’aria. Sento le sue labbra a contatto con la pelle nuda del collo che abbozzano un sorriso. «È finita.»
È finito tutto. È come lasciare un lavoro scolastico, che ti ha prosciugato ogni ora del giorno, ogni attimo di veglia. È finito tutto. E ora? Cosa rimane di noi? Chase mi allontana da sé, pur stringendomi. «Verresti con me? Mi concedi questo giorno?»
Sorrido. Certo, come no. Come se potessi scegliere altrimenti.
Siamo saliti su un treno, destinazione ignota a me. Chase guarda fuori dal finestrino, io cerco di ignorare il mio riflesso. I capelli mi stanno particolarmente male e la doccia frettolosa che sono stata costretta a fare mi ha lasciato insoddisfatta. Frettolosa e silenziosa, per di più. Chase mi ha detto di indossare un paio di jeans e un maglioncino, sopra un giubbino che si vede chiaramente non essere mio.
Ho le mani infilate in tasca e seguo con gli occhi una famigliola davanti a noi. Sembrano felici per un qualcosa, vestiti come se volessero andare in un parco giochi. Ascolto la loro conversazione sulle giostre, le attrazioni, gli spettacoli. Sono curiosa anch’io di vedere questo rettilario. Da come ne parla il bambino, ci deve essere un serpente grande come un edificio.
Sono in parte sorpresa quando Chase mi fa cenno di alzarmi e seguiamo la famiglia. Prendiamo il loro stesso autobus, rimanendo in silenzio. Mi avvicino al ragazzo silenzioso al mio fianco, che sta ancora fissando fuori dal finestrino. «Mi puoi dire dove stiamo andando?»
Abbozza un sorriso. «Mi hai concesso la giornata tutta per me.»
   «Non scappo in ogni caso.»
Finalmente, da quando siamo partiti, mi guarda. Ha un guizzo divertito, un po’ il vecchio Chase che emerge. Quello degli appuntamenti, che ho appena intravisto in un certo periodo della mia vita, lontano secoli da adesso. Mi allontano con il busto. «Te ne stai andando?»
È sorpreso. «Andando? Dove dovrei andare?»
Guardo di nuovo la famiglia, che si è alzata. A quanto pare, la nostra destinazione è la stessa. Chase mi ha portato in un Luna Park. Lui non è il tipo. Io, invece, sì. Anche il fatto che mi ha chiesto una giornata per lui mi avrebbe dovuto insospettire. Sono sempre stata io quella che non poteva fare a meno di lui. Anche in passato, io ero disposta a rinunciare a tutto purché essere al suo fianco. Mi sta lasciando.
Chase mi prende la mano, obbligandomi a scendere. È giusto. Abbiamo finito. Siamo rimasti solo degli esorcisti, senza Ordine, senza una missione. Rimango in disparte quando prendiamo i biglietti e, all’interno del parco, riesco a liberarmi dalla sua stretta. Adesso mi pento di aver preso anche la fotografia che ci vedeva insieme, perché da qui a qualche anno la odierò. Già la odio. Lui se ne andrà, inghiottito da chissà quale desiderio, quale compito. Perché una missione ci rimane sempre, no? Siamo esorcisti. Noi aiutiamo le anime nel trapasso.
Chase mi dice di aspettarlo, io mi siedo su una panchina. Mi mordicchio un’unghia. Non c’è molta gente. È freddo ed è un giorno lavorativo. Tuttavia, ci sono due scolaresche che si disperdono nel parco enorme. Potrei tornare a scuola, ma so che non è fattibile. Ho sedici anni e sono morta. Ho sedici anni e non ho un futuro all’infuori del mondo dei morti.
Lo zucchero filato mi si appiccica nel viso. Sembra di essere immersa in una nuvola. Prendo il cibo che mi ha gettato contro Chase con una mano, cercando di ricordarmi perché non voglio prendere la mano che mi offre. Mi pungola. «Te lo ricordi? Mi hai concesso questa giornata.»
La prendo e capisco che non ho molta scelta. Lo amo. È difficile da accettare, ma sono innamorata di lui. Qualunque cosa lui faccia o mi succeda, io sono legata a lui. E mi sento come una bambina, con lo zucchero filato molto più grande di me in una mano e l’altra stretta a un bel ragazzo. Saliamo su un trenino che ci permette di portare il cibo e, soprattutto, di vedere com’è il parco. Deve essere l’attrazione più triste del parco, perché non c’è praticamente gente. Ci troviamo in un vagoncino da soli, con i finestrini sollevati e una snervante canzoncina infantile. Infantile e che ti entra in testa con molta, troppa, facilità. Chase lascia la mano per prendere un po’ di zucchero e, prima di poter fare altrettanto, fa una pallina e me la infila in bocca. «Non sto andando da nessuna parte, quindi smettila di fare il muso.»
   «Siamo in questo parco e, diciamocelo, non è proprio da te. Siamo scappati dall’appartamento di nascosto, senza dire nulla, e neppure questo è da te. Quindi … non so proprio cosa pensare.»
Si inumidisce le labbra. «Va bene. Cerchiamo di essere sinceri. Cerchiamo di farci delle domande e di non mentirci. Inizia tu.»
Bella fregata. Io so benissimo quando mente. Si dà il caso che sono l’esorcista della menzogna. Annuisco lo stesso. «Perché siamo qui?»
   «Abbiamo ucciso Johannes e io ho bisogno di te.»
   «Me? Per cosa?»
Mi prende la mano che regge lo zucchero filato, intrecciando le nostre dita. Sorride. «Bel, siamo liberi. Johannes non attenta più alla nostra vita, non siamo più vincolati dall’Ordine …»
   «Abbiamo sempre la nostra missione. Sai … i fantasmi non vanno in vacanza.»
Alza una spalla, passandomi un dito sulle labbra. «Ce l’hai ancora? La collana che ti ho dato.»
Senza aspettare risposta, infila con disinvoltura le dita sotto al colletto del maglione, estraendo la croce che tempo fa mi ha dato nel tentativo di salvarmi la vita. Oggi lo vedo più strano del solito. E, non per dire, ma Chase non è mai stato troppo lineare come personalità. Se la rigira tra le dita. Non me la tolgo mai, quindi ha la stessa temperatura della mia pelle. «Ho preso una decisione, e l’ho detto agli altri stamattina.» Le decisioni di Chase non sono mai felici. «Sarò il capo degli esorcisti, è inevitabile. È ovvio che tu sarai la mia seconda. E i nostri compiti finiscono qui. Noi continueremo a esorcizzare gli spiriti come abbiamo sempre fatto. Non faremo riferimento alla Chiesa. Siamo un Ordine a sé stante. Quindi tutte le regole passate sono inutili.»
Continuo a fissarlo. Ci potevo arrivare anch’io. «Che intendi con le regole del passato? Ne avevamo tante.»
   «Non occorre fare rapporti a nessuno dei due dopo le missioni. Esorcizzeremo per il solo fatto che vogliamo farlo, che siamo in grado di farlo. Non occorre andare in missione a coppia. Si può essere da soli o in compagnia. Non siamo vincolati a una città. Abbiamo l’intero mondo per noi.» Ora mi dice che se ne va. Abbozza un sorriso, alzandosi dal sedile e scoccandomi un bacio sulle labbra. «Niente celibato. Se si ama qualcuno, si può stare con quella persona. Se ci si innamora di un mortale e lo si vuole mettere al corrente di noi, ci si prende la responsabilità e lo si può fare. Magari prima si avvisa gli altri, giusto per correttezza.»
   «Mi piace questa cosa dell’amore.»
Si risiede con calma, guardando fuori dal finestrino. Stiamo passando sopra a una giostra d’acqua evidentemente spenta. Sì, certo. Acqua e inverno non vanno mai d’accordo. «L’ho detto agli altri stamattina. Quando si svegliano Robert e Jamar saranno messi al corrente. Si aspettavano una mossa del genere. Philippe è stato così sfacciato che mi ha detto di metterti incinta per obbligarti a seguirmi.»
Cosa? Brutto stronzo. Appena ritorno a casa lo riempio di pugni, quell’impiccione che non è altro. Chase è serio, il che mi rende ancora più preoccupata. Non è che lo sta prendendo in esame? Io e la maternità siamo come il diavolo e l’acqua santa. Ho sedici anni, e che diamine! Scuote la testa, come se avesse letto nei miei pensieri. «Tu cosa hai intenzione di fare? Alla luce di quello che ti ho detto, come agirai nel prossimo futuro?»
Abbasso la testa. Lo zucchero filato è quasi intero e ho lo stomaco chiuso. Il problema non è Chase. Sono io. Sospiro, prendendone una pallina e infilandomela in bocca per avere qualcosa da fare. «Ho fatto una promessa. Devo seguire Malachite per …»
   «… per ripagarla di quello che ha fatto. Lo so. C’ero quando l’hai minacciata. Interessante. La indurrai a morire per sette volte e la salverai per altrettante volte.» Sì. È crudele, ma l’ottava volta la lascerò morire e lo desidererà con tutte le sue forze. Io ho iniziato già a bramarlo. Forse ho fatto una minaccia troppo grande per le mie possibilità. E, non contenta, l’ho fatto davanti agli altri, il che mi porta a rispettare questo compito.
Mangiamo lo zucchero in silenzio. Sto sistemando i pensieri. Sarebbe fantastico se dimenticassi tutto e lasciassi la nostra città. Potrei andare ovunque, vedere il mondo. Ritornerei in Italia, dove sono nata secoli fa, rivedrei Roma. Potrei anche fare le stesse strade del mio passato, a piedi o a cavallo, per vedere quanto è cambiato. «Non posso lasciare Lubris, Chase. Non ancora.»
   «Lo so. È per questo che rimarrò.»
   «Rimani
Storce il naso. «Beh, non esattamente. Credo che sia opportuno dire che dove vai tu ci sono anch’io.»
Abbozzo un sorriso, scuotendo la testa. «Chase, non sei obbligato.»
   «Ti ho lasciato andare troppe volte. Non ho intenzione di passare un’altra esistenza guardandomi alle spalle, chiedendomi come sarebbe potuto essere tra di noi. Rimango con te, e non è una decisione discutibile.»
Appoggio ciò che rimane dello zucchero filato per terra, sedendomi in braccio a Chase. Se quella è la sua decisione, mi aspetto che un giorno mosse del genere diventino più normali. Gli allaccio le mani al collo e lui indugia con le sue lungo la schiena, entrambi rigidi. «C’è altro?»
Chase abbozza un sorriso e mi stringe a sé. Oh, sì. C’è altro e sa che a me non piacerà. «Gli altri non hanno dimenticato. Malachite è tua sorella, e non possono intervenire, ma lui non è legato a nessuno di noi.»
So a chi si riferisce. Forse una parte di me aveva intuito qualcosa anche la sera prima, quando uscita dal bagno Robert si è attaccato a me come una cicca sulla scarpa. Ho cercato di ignorare il sospetto, di non chiedere nulla perché poi avrei fatto i conti con le loro menzogne. Annuisco. «Quando? Adesso?»
Sono convinta che Chase sospetti che io nutra dei sentimenti verso Ridley. No, non è così. Abbozzo un sorriso che lo lascia sospettoso. Sapevo che sarebbe successo. Lo sapevo che non avremmo dimenticato. Solo che noi siamo particolari, come mortali. Lui ci ha ucciso, ha goduto delle nostre morti ma, al tempo stesso, si è un po’ redendo nei nostri confronti alleandosi con noi. Chase sospira. «Credo di sì.»
   «Sei contrario.»
   «Ci ha aiutato. Ha il diritto di scegliere se vivere o meno.»
Percorro con le labbra il suo collo, in movimenti lenti e posati. Emette un gemito soffocato. Non mi allontano. Respiro la sua pelle, il profumo del bagnoschiuma e dei vestiti, la sua pelle liscia a contatto con le mie labbra. Mi interrompo, perché il suo cellulare ha vibrato. Faccio per alzarmi, ma la sua mano si stringe e sé. Appoggio la testa alla sua spalla, guardando il display. Non lo hanno ucciso. Quando sono arrivati a casa sua, hanno trovato la polizia che delimitava la zona. Sembra proprio che il detective Ridley Scott si sia suicidato con l’arma di servizio. Sospiro. «È finita?»
   «È finita.»
   
 
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