In un luogo in cui il tempo scorre in modo diverso dal
resto del mondo, in una dimensione estranea alle basilari norme morali,
giuridiche e sociali che regolano la vita dei pesci piccoli, in cui
l’unica legge valida è quella del più forte, Molly Hooper saggia la sofisticata
complessità e le molteplici volubilità delle menti di due Holmes; inizia a
intravedere l’emotività che li ha resi così ciechi alla grandezza di quanto li
circonda, fin troppo predisposti a coglierne unicamente le fragilità e le
debolezze. Resi ciechi dalla loro stessa brillantezza.
In fondo, il primo nemico di un uomo risiede nei
limiti che impone alla sua stessa mente.
Retroazione
It is a
man's own mind, not his enemy or foe, that lures him to evil ways.
Buddha
(Lei.)
Non è come
l’aveva immaginata. Non che avesse grandi aspettative, solo che – solo che, cosa?
Non aveva previsto questo. Questo: una prigione di cemento armato e vetro
antiproiettile, porte blindate e telecamere di sorveglianza. E all’interno
della gabbia lei. Una donna dal profilo così simile a Sherlock da
trasformare il suo cuore in un dhol. Una donna arrabbiata, con un viso
singolare e di feroce bellezza, che esprime con estrema chiarezza due
sentimenti antitetici, vulnerabilità e aggressività e la terra di nessuno in
mezzo a quei due fiumi che scorrono in un moto perpetuo, inesauribili sorgenti
di miracolo o in alternativa di devastazione.
Sotto lo sguardo invadente di Eurus Holmes, Molly raddrizza il mento e lascia
che lei la scomponga e poi la rimonti, catalogando ogni informazione ricavata
dal suo aspetto in compartimenti classificati.
“Perché sei venuta?”
“Per lo stesso motivo per cui tu hai accettato di incontrarmi”. Le scocca un
sorriso trasparente. Si stringe nelle spalle. “Curiosità.”
(“E’ una detenuta. Non serve il suo consenso.” Mycroft era apparso confuso e
Molly non era stata in grado di stabilire se fosse per l’essenza della sua
richiesta o piuttosto per l’insolita prerogativa audace che l’aveva
contraddistinta. Non che avesse davvero importanza.
Molly era stata categorica. Non c’era di che sorprendersi, alla fine, che Eurus
Holmes si comportasse come un mostro. Come può un mostro credere di essere qualcosa
di diverso se il mondo continua a convincerlo della sua mostruosità? Se ti
chiamano mostro, non importa che tu lo sia oppure no, alla fine è esattamente
quello che in cui ti trasformi: un mostro.)
*
“Ritornerai?”
“Immagino che lo farò.”
“Perché?”
“Perché io e te siamo simili, da un certo punto
di vista. Per anni l’obitorio è stata la mia fortezza della solitudine, proprio
come la tua è questo posto e quella di Sherlock è il suo Palazzo Mentale. Sono
stata sola per anni e quando l’ho incontrato ho pensato stupidamente che ci
saremmo guariti a vicenda.”
“La solitudine non è una malattia da cui si debba
guarire.”
“No, a volte è una liberazione perché rappresenta
indipendenza e forza, ma altre mostra il suo lato più spiacevole. Sei solo e
quella consapevolezza diventa la tua croce e lentamente può portarti alla
distruzione. Ritornerò, ma ad una condizione. Sherlock non dovrà saperlo, dovrà
essere tenuto all’oscuro.”
È il tono interrogativo, la vena di garbata educazione
a coglierla di sorpresa.
“No,” si ritrova a concordare, come se stesse
riflettendo ad alta voce.
Lascia vagare gli occhi oltre le spalle di Mycroft
Holmes, verso lo squarcio di mondo esterno che l’ampia vetrata lascia
presagire: lo strapiombo scosceso di una scogliera, spruzzi arrabbiati di mare
in tempesta. Davvero, non c’è da stupirsi che Eurus Holmes immagini il mondo
come una fossa dei leoni. L’unico assaggio che ne ha avuto sin da piccola
(ancora una bambina nonostante l’infanzia fosse già il ricordo evanescente di
qualcosa di perduto) sono state mura costruite dalla paura e dalla diffidenza,
alte e possenti e infinite come la muraglia cinese; è stato il riverbero di
quella furia e potenza ad intrufolarsi nei silenzi della sua coscienza in
fibrillazione, troppo concentrata su sè stessa per aprirsi alle verità in
attesa aldilà delle incomprensioni.
Un mondo così diverso dal proprio, schivo e riservato,
distillato in immagini localizzate: la quiete della camera mortuaria del Barts,
l’accettazione giunta con la maturità e l’esperienza di una giustizia che a
volte sa essere severa e crudele, ma rimane necessaria, la convinzione che non
ci sarebbe felicità senza disperazione e che nulla può esistere senza la sua
controparte.
Molly può accettare il fatto di essere stata sola a
lungo nella sua vita, specialmente dopo la morte di suo padre, e al contempo
guardare al passato senza compassione, ma con indulgenza. In caso contrario non
sarebbe stata in grado di riconoscere il valore di quanto possiede.
“Immagino di non esserlo più da quando ho incontrato
Sherlock.”
“Nel bene e nel male.”
“Nel bene e nel male,” lei ripete e il sorriso che si
scambiano – appena il discreto sollevarsi di un angolo di bocca; la sfumatura
comprensiva, complice che ammorbidisce le grinze di preoccupazione ai bordi
degli occhi di entrambi – è l’inizio di qualcosa che, se si trattasse di altre
persone, lei non esiterebbe a chiamare amicizia.
“Lo so.”
“Allora perché?”
E’ un ‘perché’ che racchiude più di una domanda e
Molly le districa una alla volta, come fili di una matassa ingarbugliata. In
fondo non può che esserci una risposta, la stessa di sempre.
“Perché lui –”
(Lui.)
La prima volta che la sensazione lo coglie, Sherlock
la scaccia via come un tempo ha fatto con le chiacchiere stupide di Anderson.
Uccide l’idea e continua a suonare, ignorando deliberatamente il bracciale di
perline sul polso sottile di sua sorella – sgargiante come una macchia di
sangue che comincia ad allargarsi nel candore di una camicia inamidata.
La ignora e nondimeno nella musica risuona un’eco
gentile in risposta a quella sensazione, all’immagine ben precisa – il nome –
che ha rievocato.
E’ la prima volta che la rabbia di Eurus si stempera
in qualcosa di meno appuntito, meno aggressivo. E’ la prima volta che lui prova
speranza.
Ancora una volta, nell’inizio del pezzo che esegue,
riecheggia la consueta nota gentile e triste.
Quando Eurus posa la spazzola sulla trapunta del
letto, i suoi capelli non sono un’aureola arruffata e gonfia che ricorda la
polvere di carbone, ma una cascata liscia e lucida come onice nero.
Quando impugna il violino e se lo poggia sotto il
mento, lei ricaccia indietro i capelli che la intralciano con un gesto della
testa che gli risulta inspiegabilmente noto e conosciuto (l’alone dorato che
cinge un capo chino su un cadavere, sfumato dall’illuminazione sporca del
vecchio impianto elettrico dell’ospedale).
Questa volta, un’antica promessa scalza via il
pensiero inopportuno.
Alla prossima visita, Sherlock decide, le porterà un
elastico.
Il sorriso sardonico che fregia le labbra di sua
sorella rende le sue mani insolitamente goffe quando afferra l’archetto.
Io so un segreto, sembra dire
quel sorriso leggero e canzonatorio.
Il violino produce suoni stridenti e disarmonici.
Quella visita è insolitamente breve. Il tremore alle
sue mani, invece, dura un po’ di più.
Il sospetto sotto la pelle è pruriginoso come un caso
di orticaria.
Sherlock decide di ignorarlo per il momento.
L’impasse è insopportabile e tuttavia.
Tuttavia gli effetti benefici di quel segreto, il
cambiamento in Eurus è innegabile al punto da essere fragoroso. (L’insolita
pace che alleggerisce la pazzia che un tempo ingrandiva gli occhi di Eurus a
dismisura, come se lei intendesse inglobare il mondo al suo interno e
bruciarlo.)
Lui rifiuta di guardarla ed Eurus batte un pugno
contro il vetro.
“Non fingere con me,” sibila.
Sherlock sa chi è stato qui, deve saperlo. Sa che lo sa. Lei è gentile, così noiosamente,
fastidiosamente, meravigliosamente gentile. E’ naturale da parte sua desiderare
di nascondergli le sue visite. Ingenuo (più che ingenuo: controproducente.
Neppure lei può essere così platealmente stupida da credere che Sherlock non lo
abbia scoperto, sia ignorante di quanto succede), ma comprensibile. Non vuole
legarlo a lei. Non vuole costringerlo ad accettare quello che lui hai già accettato.
La generosità è quello che rende Molly Hooper speciale, l’innata capacità di
donare tutto ciò che ha, tutto ciò che è.
Il comportamento di Sherlock, invece, potrebbe essere
meno ovvio. A cosa serve nasconderlo, tuttavia? Ha già perso. Lei potrebbe essere
sua, se solo lo volesse. Lui lo vuole. Lei lo vuole. Allora perché?
“Ti ha mentito. Ti ha messo di fronte ad una scelta
esclusivamente sua, venendo qui. Eppure non sei arrabbiato. Perché?”
Lo sguardo negli occhi di Sherlock, quell’espressione
remota e ineffabile lei l’ha già vista su un volto diverso.
“Perché lei –”
“Perché lui –”
“Perche lei –”
"- è l’amore della mia vita.”
*
“Erano diventati un intralcio.”
“Non mi piacciono.”
“Sherlock ha detto lo stesso.”
“Non ne sono sorpresa. Immagino che nei vostri
intercorsi fossero uno stimolo del piacere per lui, specialmente quando
sfregati contro una delle dodici zone erogene.”
“Se ne farà una ragione.”
Il cambiamento è come una pistola con cui non si ha
dimestichezza. Si deve imparare a maneggiarla prima di decidere se è il caso di
usarla o cercarne una nuova.
L’anello d’oro che lei porta all’anulare della mano
sinistra è un cambiamento con un sapore di sfida. Retroazione.
“Non cascare nella sua trappola, Molly. Sa
perfettamente che è Natale.”
“Oh.”
Io sono io. Cos’altro ti aspetti dal lupo cattivo
oltre a moine e denti affilati?
“Le felicitazioni sono d’obbligo, immagino. Non è per
questo che siete qui? Per annunciare la lieta novella?”
Ovviamente lei ne era già a conoscenza. Lo ha dedotto
alla terzultima visita di Molly.
“Voglio che sia tu a scegliere il nome del bambino.”
Voglio, non vogliamo.
Eurus indirizza uno sguardo penetrante a Sherlock, osserva con delizia la sua
mandibola irrigidita, il nervo che pulsa sulla tempia, la mano che
possessivamente circonda la spalla minuta di Molly Hooper-Holmes.
“Secondo nome," interviene Sherlock in
tono secco. "Sarà il secondo nome.”
Il sorriso di Molly Hooper polverizza la tentazione di
far notare a Sherlock l’importanza dei secondi nomi. “Buon Natale,” lei
dice, una mano stretta a quella di Sherlock – ancora sulla sua spalla -,
l’altra che accarezza inconsapevolmente la curva poco più pronunciata dello
stomaco. Eurus è quasi tentata di ricambiare l’augurio.
Buonasera! Spero di trovarvi tutti/e in salute e di
umore quantomeno soddisfacente.
Io, stranamente, posso dire di esserlo, la seconda più
che la prima. Sono stata poco bene, ho dovuto estirpare un dente che si era
infettato perché il dentista che mi aveva inizialmente curato è evidentemente
un incompetente. Negli ultimi dieci giorni sono stata una versione a metà tra
Frankenstein e Gollum che deambulava con aria lugubre e vendicativa,
percorrendo un unico tragitto: casa-lavoro e lavoro-casa, impossibilitata a
mantenere le sue minacce perché rintronata da un mix di antibiotici e antidolorifici.
Sabato sera, dopo l’estirpazione, ho pianto per ore a singhiozzi, preoccupando
a morte mia sorella che pensava fosse per il dolore e perché gli effetti
dell’anestesia stavano scomparendo. E’ un periodo particolarmente stressante,
super impegnativo al lavoro, aggiungiamoci che quel dente mi stava dando
problemi sin da Natale, il fatto che da un mese dormo poco e male (e
chiariamo che quando non dormo io cambio personalità. Sono serissima. Divento
una She-Hulk, una Arya Stark, una Sophie Hatter. Insomma, qualcosa del tipo
‘Lasciate ogni speranza, o voi che la incontrate!’).
Baggianate a parte, questa storia si incastra nell’AU
(Alternative Universe) che ha messo radici nella mia testa sin da quando ho
iniziato a scrivere Causa sui. Doveva essere qualcosa di molto più
complesso e articolato, ma visto che io sono fondamentalmente pigra e stava
giacendo sul desktop senza che riuscissi a racimolare il tempo, la voglia e le
forze fisiche per finirla, ho deciso di pubblicarla così com’era, raffazzonata,
un pelo nonsense, con dialoghi puri e privi di descrizioni, molto teatrali.
Spero che il risultato non sia completamente da
cestinare :)
Baci!
P.s.: vi linko un video che, se amanti della coppia,
vi invito caldamente a guardare, anzi no, volevo mantenere un contegno, ma al
diavolo xD, correte a guardarlo! E’ qualcosa di meraviglioso e la prima volta
che l’ho visto ho pianto come una bambina (vi avverto che è in inglese, ma per
chi sa gli episodi a memoria, non è necessario avere un orecchio allenato,
basta ricordare le scene).
https://vimeo.com/202070411