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Autore: Ruta    08/02/2017    2 recensioni
In un luogo in cui il tempo scorre in modo diverso dal resto del mondo, Molly Hooper saggia la sofisticata complessità e le molteplici volubilità delle menti di due Holmes.
In fondo, il primo nemico di un uomo risiede nei limiti che impone alla sua stessa mente.
[Il rapporto tra Molly ed Euros e ciò che Sherlock si sforza di (non) dedurre.]
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eurus Holmes, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Causa sui'
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retroazione

In un luogo in cui il tempo scorre in modo diverso dal resto del mondo, in una dimensione estranea alle basilari norme morali, giuridiche e sociali che regolano la vita dei pesci piccoli, in cui l’unica legge valida è quella del più forte, Molly Hooper saggia la sofisticata complessità e le molteplici volubilità delle menti di due Holmes; inizia a intravedere l’emotività che li ha resi così ciechi alla grandezza di quanto li circonda, fin troppo predisposti a coglierne unicamente le fragilità e le debolezze. Resi ciechi dalla loro stessa brillantezza.
In fondo, il primo nemico di un uomo risiede nei limiti che impone alla sua stessa mente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Retroazione

It is a man's own mind, not his enemy or foe, that lures him to evil ways.

Buddha

 

 

 

 

 

(Lei.)

 

Non è come l’aveva immaginata. Non che avesse grandi aspettative, solo che – solo che, cosa?
Non aveva previsto questo. Questo: una prigione di cemento armato e vetro antiproiettile, porte blindate e telecamere di sorveglianza. E all’interno della gabbia lei. Una donna dal profilo così simile a Sherlock da trasformare il suo cuore in un dhol. Una donna arrabbiata, con un viso singolare e di feroce bellezza, che esprime con estrema chiarezza due sentimenti antitetici, vulnerabilità e aggressività e la terra di nessuno in mezzo a quei due fiumi che scorrono in un moto perpetuo, inesauribili sorgenti di miracolo o in alternativa di devastazione.
Sotto lo sguardo invadente di Eurus Holmes, Molly raddrizza il mento e lascia che lei la scomponga e poi la rimonti, catalogando ogni informazione ricavata dal suo aspetto in compartimenti classificati.
“Perché sei venuta?”
“Per lo stesso motivo per cui tu hai accettato di incontrarmi”. Le scocca un sorriso trasparente. Si stringe nelle spalle. “Curiosità.”
(“E’ una detenuta. Non serve il suo consenso.” Mycroft era apparso confuso e Molly non era stata in grado di stabilire se fosse per l’essenza della sua richiesta o piuttosto per l’insolita prerogativa audace che l’aveva contraddistinta. Non che avesse davvero importanza.
Molly era stata categorica. Non c’era di che sorprendersi, alla fine, che Eurus Holmes si comportasse come un mostro. Come può un mostro credere di essere qualcosa di diverso se il mondo continua a convincerlo della sua mostruosità? Se ti chiamano mostro, non importa che tu lo sia oppure no, alla fine è esattamente quello che in cui ti trasformi: un mostro.)

*

“Ritornerai?”
“Immagino che lo farò.”
“Perché?”
“Perché io e te siamo simili, da un certo punto di vista. Per anni l’obitorio è stata la mia fortezza della solitudine, proprio come la tua è questo posto e quella di Sherlock è il suo Palazzo Mentale. Sono stata sola per anni e quando l’ho incontrato ho pensato stupidamente che ci saremmo guariti a vicenda.”
“La solitudine non è una malattia da cui si debba guarire.”
“No, a volte è una liberazione perché rappresenta indipendenza e forza, ma altre mostra il suo lato più spiacevole. Sei solo e quella consapevolezza diventa la tua croce e lentamente può portarti alla distruzione. Ritornerò, ma ad una condizione. Sherlock non dovrà saperlo, dovrà essere tenuto all’oscuro.”

*

“Non è mai stata una creatura fatta per la solitudine, Dottor Hooper e non credo che lo sia più.”
È il tono interrogativo, la vena di garbata educazione a coglierla di sorpresa.
“No,” si ritrova a concordare, come se stesse riflettendo ad alta voce.
Lascia vagare gli occhi oltre le spalle di Mycroft Holmes, verso lo squarcio di mondo esterno che l’ampia vetrata lascia presagire: lo strapiombo scosceso di una scogliera, spruzzi arrabbiati di mare in tempesta. Davvero, non c’è da stupirsi che Eurus Holmes immagini il mondo come una fossa dei leoni. L’unico assaggio che ne ha avuto sin da piccola (ancora una bambina nonostante l’infanzia fosse già il ricordo evanescente di qualcosa di perduto) sono state mura costruite dalla paura e dalla diffidenza, alte e possenti e infinite come la muraglia cinese; è stato il riverbero di quella furia e potenza ad intrufolarsi nei silenzi della sua coscienza in fibrillazione, troppo concentrata su sè stessa per aprirsi alle verità in attesa aldilà delle incomprensioni.
Un mondo così diverso dal proprio, schivo e riservato, distillato in immagini localizzate: la quiete della camera mortuaria del Barts, l’accettazione giunta con la maturità e l’esperienza di una giustizia che a volte sa essere severa e crudele, ma rimane necessaria, la convinzione che non ci sarebbe felicità senza disperazione e che nulla può esistere senza la sua controparte.
Molly può accettare il fatto di essere stata sola a lungo nella sua vita, specialmente dopo la morte di suo padre, e al contempo guardare al passato senza compassione, ma con indulgenza. In caso contrario non sarebbe stata in grado di riconoscere il valore di quanto possiede.
“Immagino di non esserlo più da quando ho incontrato Sherlock.”
“Nel bene e nel male.”
“Nel bene e nel male,” lei ripete e il sorriso che si scambiano – appena il discreto sollevarsi di un angolo di bocca; la sfumatura comprensiva, complice che ammorbidisce le grinze di preoccupazione ai bordi degli occhi di entrambi – è l’inizio di qualcosa che, se si trattasse di altre persone, lei non esiterebbe a chiamare amicizia.

*

“Ha fatto a pezzi una bara per te. Questo cosa ci fa intuire di lui? Non stava giocando il gioco.”
“Lo so.”
“Allora perché?”
E’ un ‘perché’ che racchiude più di una domanda e Molly le districa una alla volta, come fili di una matassa ingarbugliata. In fondo non può che esserci una risposta, la stessa di sempre.  
“Perché lui –”

 

 

 

 

(Lui.)

 

 

La prima volta che la sensazione lo coglie, Sherlock la scaccia via come un tempo ha fatto con le chiacchiere stupide di Anderson. Uccide l’idea e continua a suonare, ignorando deliberatamente il bracciale di perline sul polso sottile di sua sorella – sgargiante come una macchia di sangue che comincia ad allargarsi nel candore di una camicia inamidata.
La ignora e nondimeno nella musica risuona un’eco gentile in risposta a quella sensazione, all’immagine ben precisa – il nome – che ha rievocato.
E’ la prima volta che la rabbia di Eurus si stempera in qualcosa di meno appuntito, meno aggressivo. E’ la prima volta che lui prova speranza.

La seconda volta il deja vu si manifesta in modo analogo. La spazzola con cui Eurus si sta pettinando ha qualcosa di familiare. (Un pezzo rubato da un set di tre, grandezze diverse, medesimo disegno nella filigrana che si rincorre intorno all’ovale d’argento e lungo i bordi del corto manico.)
Ancora una volta, nell’inizio del pezzo che esegue, riecheggia la consueta nota gentile e triste.
Quando Eurus posa la spazzola sulla trapunta del letto, i suoi capelli non sono un’aureola arruffata e gonfia che ricorda la polvere di carbone, ma una cascata liscia e lucida come onice nero.
Quando impugna il violino e se lo poggia sotto il mento, lei ricaccia indietro i capelli che la intralciano con un gesto della testa che gli risulta inspiegabilmente noto e conosciuto (l’alone dorato che cinge un capo chino su un cadavere, sfumato dall’illuminazione sporca del vecchio impianto elettrico dell’ospedale).
Questa volta, un’antica promessa scalza via il pensiero inopportuno.
Alla prossima visita, Sherlock decide, le porterà un elastico.

*   

La terza volta è un rimasuglio di profumo nella stanza ad allertarlo, il miraggio di primavera in un inverno al suo crepuscolo.
Il sorriso sardonico che fregia le labbra di sua sorella rende le sue mani insolitamente goffe quando afferra l’archetto.

Io so un segreto, sembra dire quel sorriso leggero e canzonatorio.
Il violino produce suoni stridenti e disarmonici.
Quella visita è insolitamente breve. Il tremore alle sue mani, invece, dura un po’ di più.

*

La quarta volta i capelli di Eurus sono legati in una treccia a spiga. Quando lui entra, lei gli rivolge lo stesso sorriso punzecchiante prima di disfarla con dita abili e veloci. Ora, accanto al bracciale di perline, c’è un elastico di un giallo sgargiante. 
Il sospetto sotto la pelle è pruriginoso come un caso di orticaria.
Sherlock decide di ignorarlo per il momento.

*     

C’è una quinta e una sesta e una settima volta. Sherlock perde il conto degli indizi. Ha già determinato la colpa di lei, ne ha le prove, ma è quel sorriso a trattenerlo ogni volta dal fare commenti, tramutare i dubbi in domande.
L’impasse è insopportabile e tuttavia.
Tuttavia gli effetti benefici di quel segreto, il cambiamento in Eurus è innegabile al punto da essere fragoroso. (L’insolita pace che alleggerisce la pazzia che un tempo ingrandiva gli occhi di Eurus a dismisura, come se lei intendesse inglobare il mondo al suo interno e bruciarlo.)

*

“Non so di cosa stai parlando.”
Lui rifiuta di guardarla ed Eurus batte un pugno contro il vetro.
“Non fingere con me,” sibila.  
Sherlock sa chi è stato qui, deve saperlo. Sa che lo sa. Lei è gentile, così noiosamente, fastidiosamente, meravigliosamente gentile. E’ naturale da parte sua desiderare di nascondergli le sue visite. Ingenuo (più che ingenuo: controproducente. Neppure lei può essere così platealmente stupida da credere che Sherlock non lo abbia scoperto, sia ignorante di quanto succede), ma comprensibile. Non vuole legarlo a lei. Non vuole costringerlo ad accettare quello che lui hai già accettato. La generosità è quello che rende Molly Hooper speciale, l’innata capacità di donare tutto ciò che ha, tutto ciò che è.
Il comportamento di Sherlock, invece, potrebbe essere meno ovvio. A cosa serve nasconderlo, tuttavia? Ha già perso. Lei potrebbe essere sua, se solo lo volesse. Lui lo vuole. Lei lo vuole. Allora perché? 
“Ti ha mentito. Ti ha messo di fronte ad una scelta esclusivamente sua, venendo qui. Eppure non sei arrabbiato. Perché?”
Lo sguardo negli occhi di Sherlock, quell’espressione remota e ineffabile lei l’ha già vista su un volto diverso.
“Perché lei –”

*

 
“Perché lui –”

“Perche lei –”

 
"- è l’amore della mia vita.”

 
*

“Hai tagliato i capelli.”
“Erano diventati un intralcio.”
“Non mi piacciono.”
“Sherlock ha detto lo stesso.”
“Non ne sono sorpresa. Immagino che nei vostri intercorsi fossero uno stimolo del piacere per lui, specialmente quando sfregati contro una delle dodici zone erogene.”
“Se ne farà una ragione.”
Il cambiamento è come una pistola con cui non si ha dimestichezza. Si deve imparare a maneggiarla prima di decidere se è il caso di usarla o cercarne una nuova.
L’anello d’oro che lei porta all’anulare della mano sinistra è un cambiamento con un sapore di sfida. Retroazione

*

“Doppia visita? Deve essere Natale.”
“Non cascare nella sua trappola, Molly. Sa perfettamente che è Natale.”
“Oh.”

Io sono io. Cos’altro ti aspetti dal lupo cattivo oltre a moine e denti affilati?
“Le felicitazioni sono d’obbligo, immagino. Non è per questo che siete qui? Per annunciare la lieta novella?”
Ovviamente lei ne era già a conoscenza. Lo ha dedotto alla terzultima visita di Molly.
“Voglio che sia tu a scegliere il nome del bambino.”

Voglio, non vogliamo. Eurus indirizza uno sguardo penetrante a Sherlock, osserva con delizia la sua mandibola irrigidita, il nervo che pulsa sulla tempia, la mano che possessivamente circonda la spalla minuta di Molly Hooper-Holmes.
Secondo nome," interviene Sherlock in tono secco. "Sarà il secondo nome.”
Il sorriso di Molly Hooper polverizza la tentazione di far notare a Sherlock l’importanza dei secondi nomi. “Buon Natale,” lei dice, una mano stretta a quella di Sherlock – ancora sulla sua spalla -, l’altra che accarezza inconsapevolmente la curva poco più pronunciata dello stomaco. Eurus è quasi tentata di ricambiare l’augurio.

 

 

 

 


 N/A:

Buonasera! Spero di trovarvi tutti/e in salute e di umore quantomeno soddisfacente.
Io, stranamente, posso dire di esserlo, la seconda più che la prima. Sono stata poco bene, ho dovuto estirpare un dente che si era infettato perché il dentista che mi aveva inizialmente curato è evidentemente un incompetente. Negli ultimi dieci giorni sono stata una versione a metà tra Frankenstein e Gollum che deambulava con aria lugubre e vendicativa, percorrendo un unico tragitto: casa-lavoro e lavoro-casa, impossibilitata a mantenere le sue minacce perché rintronata da un mix di antibiotici e antidolorifici. Sabato sera, dopo l’estirpazione, ho pianto per ore a singhiozzi, preoccupando a morte mia sorella che pensava fosse per il dolore e perché gli effetti dell’anestesia stavano scomparendo. E’ un periodo particolarmente stressante, super impegnativo al lavoro, aggiungiamoci che quel dente mi stava dando problemi sin da Natale, il fatto che da un mese  dormo poco e male (e chiariamo che quando non dormo io cambio personalità. Sono serissima. Divento una She-Hulk, una Arya Stark, una Sophie Hatter. Insomma, qualcosa del tipo ‘Lasciate ogni speranza, o voi che la incontrate!’).

Baggianate a parte, questa storia si incastra nell’AU (Alternative Universe) che ha messo radici nella mia testa sin da quando ho iniziato a scrivere Causa sui. Doveva essere qualcosa di molto più complesso e articolato, ma visto che io sono fondamentalmente pigra e stava giacendo sul desktop senza che riuscissi a racimolare il tempo, la voglia e le forze fisiche per finirla, ho deciso di pubblicarla così com’era, raffazzonata, un pelo nonsense, con dialoghi puri e privi di descrizioni, molto teatrali.
Spero che il risultato non sia completamente da cestinare :)
Baci!

P.s.: vi linko un video che, se amanti della coppia, vi invito caldamente a guardare, anzi no, volevo mantenere un contegno, ma al diavolo xD, correte a guardarlo! E’ qualcosa di meraviglioso e la prima volta che l’ho visto ho pianto come una bambina (vi avverto che è in inglese, ma per chi sa gli episodi a memoria, non è necessario avere un orecchio allenato, basta ricordare le scene).  

https://vimeo.com/202070411

 

  
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