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Autore: Amantide    10/02/2017    1 recensioni
“Accetto il tuo caso” dichiarò Molly cercando lo sguardo stanco e sciupato di Sherlock.
“Cosa?” fece il detective piegando le labbra in una smorfia. Aveva pronunciato tante volte quella frase ma sentirsela dire faceva tutto un altro effetto.
“Accetto il tuo caso, Sherlock Holmes” ripeté lei più convinta e impettita della prima volta. Sherlock la studiò attentamente senza riuscire ad esternare tutto il suo disappunto e decise che, una volta rinsavito, sarebbe stata una buona idea mettere il copyright su quella frase.
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Sherlolly nata durante la visione dell'episodio 4x02
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In direzione ostinata e contraria
 
 
Sherlock scese dall’ambulanza con un balzo maldestro sotto lo sguardo disgustato di John e quello preoccupato di Molly. I suoi sensi erano rallentati e faticava a stare al passo con le sue stesse deduzioni ma era abbastanza sicuro di averli visti scambiarsi un’occhiata carica di disperazione. Dovette impegnarsi parecchio per recuperare l’equilibrio e stabilizzarsi sulle gambe che ormai da troppi giorni erano deboli e inaffidabili.
Aveva dribblato i rimproveri medici di entrambi e se ne era uscito con un paio di battute che non avevano fatto ridere nessuno dei due e ora, dopo essersi infilato il cappotto e aver alzato il bavero, era finalmente pronto per mettere in atto il suo piano. Sapeva bene che la sua condizione di salute era precaria e che il suo quadro clinico sarebbe potuto crollare da un momento all’altro ma Culverton Smith andava fermato e John Watson andava salvato, lo doveva a Mary, ma lo doveva soprattutto a John. Tutto il resto era secondario.
“Dico sul serio Sherlock” disse Molly afferrando il detective per la manica del cappotto e costringendolo a voltarsi affinché l’ascoltasse, “le tue condizioni di salute sono drammatiche, appena tutto questo sarà finito devi farti ricoverare” fece sapere la patologa calcando in maniera inequivocabile la parola drammatiche, “devi disintossicarti e per farlo hai bisogno di assistenza medica e di qualcuno che ti controlli ventiquattrore su ventiquattro.”
Sherlock si vide costretto ad interrompere il contatto visivo con la patologa perché Molly sembrava essere sull’orlo delle lacrime e lui non poteva sopportare di vederla piangere. Non a causa sua.
“Lo terrò a mente” rispose più brusco ed ironico di quanto volesse sembrare in realtà. In quel momento Culverton Smith fece la sua teatrale comparsa e Sherlock recitò la sua parte augurandosi che l’insaziabile bisogno di John di mettersi nei guai non venisse a mancare proprio in quel momento. Il gioco era iniziato e mai come questa volta Sherlock non poteva permettersi di giocare da solo.
 
Molly aprì l’acqua della doccia e chiuse gli occhi per un istante cercando di godersi quell’agognato momento di relax. Da quando Sherlock era entrato a far parte della sua vita si era abituata a ritmi frenetici e a imprevisti di ogni genere, ma questa volta il detective più famoso di Londra aveva veramente superato il limite e, stando alle condizioni in cui si trovava quando l’aveva visitato, di quel passo non ci sarebbe stato più nessun detective a ricevere clienti nel salotto di Baker Street.
Erano passati tre giorni da quando Culverton Smith era stato arrestato e, stando a quanto aveva sentito al telegiornale, non aveva ancora smesso di confessare i suoi raccapriccianti crimini.
Molly sapeva che, nella maggior parte dei casi, per Sherlock fare ritorno in Baker Street era l’unica cura veramente efficace, pertanto non si stupì quando le comunicarono che il detective era stato dimesso quella stessa mattina nonostante le due costole che John gli aveva rotto a suon di calci e che come terapia prevedevano il riposo più assoluto. Terapia che, conoscendo Sherlock, sarebbe stata difficile da mettere in pratica. Sherlock e riposo erano due parole che faticavano a stare nella stessa frase, soprattutto se ravvicinate, e in più di un’occasione Molly era arrivata a chiedersi se il consulente investigativo trovasse il tempo di dormire e, se sì, quante ore di sonno a notte si concedesse.
Molly chiuse l’acqua della doccia sospirando, si annodò un asciugamano sopra il seno e dopo aver strizzato più volte i capelli nel lavandino li avvolse in un turbante. Uscì dal bagno a piedi nudi decisa a mettere su l’acqua per il tè ma prima che potesse raggiungere la cucina qualcosa, o meglio, qualcuno la fece sobbalzare rischiando l’infarto.
Nella sua camera degli ospiti, in piedi davanti alla finestra, c’era Sherlock Holmes. Si stava infilando la vestaglia e il suo aspetto non era di certo migliorato rispetto al loro ultimo incontro. Anzi, alle occhiaie da tossicodipendente e alla barba da senzatetto si erano aggiunti gli ematomi dovuti ai pugni con cui John l’aveva steso in obitorio.
“Sherlock!” Esclamò Molly stringendosi nel suo asciugamano striminzito, visibilmente imbarazzata.
“Ciao Molly” fece lui voltandosi e strabuzzando gli occhi per l’abbigliamento poco formale della patologa, “ti preferisco con il camice ma… va bene anche così” aggiunse indugiando più del dovuto sulle gambe di Molly che si sentì avvampare improvvisamente.
“Che ci fai qui?” domandò lei sconvolta. Non era certo la prima volta che se lo ritrovava nella camera degli ospiti, lo faceva spesso quando aveva bisogno di un posto dove non lo venissero a cercare e lei era sempre stata al suo gioco, anche perché averlo tra le mura di casa era un privilegio che non spettava a tutte e di cui andava fiera, ma questa volta era tutto diverso, questa volta la sua improvvisa comparsa non era gradita.
“Seguo il tuo consiglio, è ovvio” fece lui con la sua tipica espressione di chi era sempre un passo avanti agli altri.
Molly si accigliò, domandandosi di cosa stesse parlando Sherlock.
“Mi faccio ricoverare” spiegò lui risoluto, leggendole negli occhi un grosso punto interrogativo.
“Sherlock, casa mia non è un ospedale e nemmeno un centro di recupero per tossicodipendenti!” Protestò Molly che faticava a credere che Sherlock avesse realmente intenzione di stabilirsi a casa sua per risolvere i suoi problemi con la droga.
“Infatti, è proprio questo il punto, il tuo letto è molto più comodo di quelli degli ospedali e la tua cucina, seppur non eccezionale, è sicuramente meglio di qualsiasi piatto possa proporre una mensa ospedaliera.”
“Sherlock, non puoi stare qui, hai bisogno di un medico, dannazione!” Sbottò Molly che cominciava a perdere il controllo. Vederlo in quelle condizioni, sia fisiche che psichiche, era veramente qualcosa che andava oltre il suo limite di sopportazione.
“Sei tu il mio medico, Molly Hooper. Non mi fido di nessun altro, neanche di John visto che buona parte delle mie contusioni e dei miei attuali traumi sono merito suo.” Le fece notare Sherlock portandosi una mano al torace dove presumibilmente le costole fratturate gli dolevano ad ogni respiro.
“Sherlock io lavoro, ho una vita privata, e non ho nessuna intenzione di farti da balia!”
“Non dire idiozie Molly, la tua vita privata è un disastro e…”
“Nella tua brillante mente non hai mai pensato neanche per un momento che ridotto come sei potresti anche essere pericoloso?” lo interruppe bruscamente Molly impedendogli di ricordarle ulteriormente quanto la sua vita privata fosse patetica. “Ti sei dimenticato di quello che è successo in obitorio?” domandò lei alludendo all’incidente con il bisturi. L’idea che un nuovo delirio di Sherlock potesse portare ad una situazione analoga tra le mura di casa sua era semplicemente agghiacciante.
“Certo che ci ho pensato” replicò Sherlock un po’ scocciato all’idea che Molly lo ritenesse impreparato solo perché imbottito di sostanze chimiche più o meno psicotrope, “è proprio per la tua incolumità che ho portato queste” disse Sherlock estraendo qualcosa dalla tasca del cappotto appeso all’attaccapanni, “se hai paura che io possa farti del male o che esca di casa in tua assenza puoi sempre ammanettarmi.”
Molly fissò Sherlock in piedi nella sua camera da letto con in mano delle manette completamente basita, poi si riscosse e dichiarò: “tu sei completamente fuori di testa! Adesso io vado in camera a vestirmi e quando ne uscirò voglio che tu te ne sia andato!”
Molly lanciò un’ultima occhiata torva a Sherlock che la guardava esterrefatto, poi si chiuse in camera sbattendo la porta.
Sherlock rimase in piedi nella camera degli ospiti rigirandosi le manette tra le mani. Qualcosa nel suo piano era andato decisamente storto, non aveva minimamente considerato la possibilità che Molly non lo accogliesse a braccia aperte, forse le settimane trascorse ad imbottirsi di droga gli stavano presentando il conto tutte insieme e sebbene la sua intenzione fosse quella di ripulirsi, la strada per raggiungere quell’obiettivo era ancora parecchio lunga.
Quando Molly uscì dalla sua camera trovò Sherlock in cucina e fu sul punto di urlare.
“Ho messo su l’acqua per il tè” disse lui con calma dopo aver acceso il fuoco sotto il bollitore.
“Ti avevo chiesto di andartene” gli fece notare lei gelida scarabocchiando qualcosa al volo su un pezzo di carta. “Questa è un’ottima clinica” disse tendendo il foglio a Sherlock che la guardava incerto, “sapranno aiutarti”.
Sherlock afferrò il foglietto e diede una rapida occhiata all’indirizzo, poi levò nuovamente lo sguardo su Molly.
“Molly mi conosci abbastanza bene da sapere che non riuscirei a stare ricoverato per più di tre giorni, e tre giorni decisamente non mi bastano per uscire dal tunnel in cui mi sono cacciato” esalò il detective scrollando le spalle.
“Sherlock, non posso aiutarti” dichiarò lei decisa più che mai a non farsi intenerire da quelle parole e soprattutto da quei limpidi occhi azzurri.
I due si fissarono a lungo, poi Sherlock si arrese: “Come vuoi” disse con un filo di voce ripiegando il bigliettino con l’indirizzo e andando dritto verso la camera da letto. Molly tirò un sospiro di sollievo, non credeva che sarebbe mai riuscita a convincerlo.
“Chiedi del dottor Travis” gli suggerì Molly osservandolo fare le valige dal ciglio della porta, “è un mio amico, di lui puoi fidarti.”
“Molly non mi farò ricoverare in una stupida clinica” sospirò Sherlock togliendosi la vestaglia, “me ne torno in Baker Street”.
Molly sussultò incredula. “Ma hai bisogno d’aiuto!” protestò affranta.
“Sì” confermò lui drizzandosi in tutta la sua altezza, “e sono venuto qui a chiedere il tuo” aggiunse avvicinandosi, il cappotto sottobraccio e lo sguardo imperturbabile, “penso di essere già andato sufficientemente oltre i miei standard per oggi.”
Molly seguì Sherlock con lo sguardo senza riuscire a dire una parola. Sapeva di aver preso una posizione e l’ultima cosa che voleva fare era contraddirsi, ma lo stato di salute di Sherlock era pietoso e temeva che senza la supervisione di un medico avrebbe finito per autodistruggersi nel giro di qualche settimana.
“Aspetta” sussurrò un attimo prima che il detective lasciasse l’appartamento.
Lui ubbidì fermandosi sulla soglia della porta d’ingresso, un sopracciglio inarcato in attesa che Molly si spiegasse.
“Se tu dovessi morire io non me lo perdonerei mai” ammise lei con un filo di voce.
“Tranquilla, in quel caso ti esonero ufficialmente dal presenziare al mio funerale… ammesso e non concesso che Mycroft abbia voglia di organizzarmene un altro” replicò lui per nulla turbato dall’ipotesi di morire nel giro di poco tempo.
“Sherlock!” Lo ribeccò lei tremendamente seria e per nulla divertita da quella battuta.
“Molly…”
“Accetto il tuo caso” dichiarò Molly cercando lo sguardo stanco e sciupato di Sherlock.
“Cosa?” fece il detective piegando le labbra in una smorfia. Aveva pronunciato tante volte quella frase ma sentirsela dire faceva tutto un altro effetto.
“Accetto il tuo caso, Sherlock Holmes” ripeté lei più convinta e impettita della prima volta. Sherlock la studiò attentamente senza riuscire ad esternare tutto il suo disappunto e decise che, una volta rinsavito, sarebbe stata una buona idea mettere il copyright su quella frase.
Mosse un passo per rientrare nell’appartamento ma Molly gli puntò il dito indice contro e lui fu costretto a fermarsi.
“Ad una condizione” disse la patologa talmente seria e professionale che per un attimo a Sherlock sembrò di trovarsi tra le mura dell’obitorio del Bart’s dove lei era solita elencargli vita, morte (soprattutto morte) e miracoli, delle sue salme con infinita precisione e accuratezza.
“Sarebbe” balbettò Sherlock.
“Starai alle mie regole” precisò lei irremovibile.
“Quali regole?” chiese Sherlock curioso.
“Uno: in questa casa sarò io e solo io a maneggiare aghi e siringhe. Due: non voglio sentire obiezioni circa i dosaggi e gli orari di somministrazione”
Sherlock ridacchiò. “Sono laureato in chimica e conosco le esigenze del mio corpo meglio di chiunque altro”
“Silenzio!” Lo zittì lei con tono fermo e deciso.
“Ok, prosegui con il numero tre” brontolò Sherlock abbacchiato domandandosi a quali altre assurde regole sarebbe dovuto sottostare.
“Tre: devi raderti. Non mi piaci con la barba.” Ammise Molly facendo una serie di smorfie nel vano tentativo di rimanere seria.
“Nessun numero quattro?”
“Nessun numero quattro.”
“Beh, meglio così, c’è qualcosa di confortante nel numero tre, le persone smettono sempre dopo il tre*, e in questo caso è un bene perché non avrei sopportato una quarta regola.” Fece sapere Sherlock tornando nella camera da letto.
“Sherlock, affinché io possa aiutarti ho bisogno di una lista specifica di tutte le sostanze che hai assunto in queste settimane, le dosi e il ritmo con cui te le sei somministrate.” Spiegò Molly porgendogli un block-notes e una penna.
Sherlock li guardò riluttante ma poi sorrise e disse: “Sono bravo a fare le liste, Mycroft mi ha fatto allenare parecchio nel corso di questi anni.”
“Bene, allora mentre tu scrivi, io mi occuperò del tè”
 
Molly era seduta sul divano da dieci minuti a fissare con apprensione la lista che Sherlock le aveva consegnato, completamente pietrificata. Neanche per i suoi molteplici esami di chimica all’università le era capitato di imbattersi in una così fitta lista di sostanze tanto pericolose e letali, o per lo meno non tutte insieme.
“Dovrò andare al Bart’s a procurarmi questa roba” si disse Molly ignara del fatto che Sherlock fosse alle sue spalle e stesse ascoltando.
“Non ce n’è bisogno” intervenne il detective cogliendo alla sprovvista la patologa che si girò di scatto a guardarlo.
“Hai già tutto quello che ti serve, lo trovi in cucina nell’armadietto delle spezie.” Fece sapere lui con un generoso sorriso.
“Sherlock! Hai introdotto della droga in casa mia?” ruggì Molly allibita.
“Certo che l’ho fatto, come pensavi di aiutarmi a disintossicarmi? Dandomi le caramelle?” Replicò lui in tono di scherno.
Molly guardò Sherlock senza dire nulla mentre una scomoda verità si faceva largo dentro di lei. Come sempre Sherlock aveva previsto tutto, e dopo tutti quegli anni lei riusciva ancora a stupirsene. Sherlock sapeva fin dall’inizio che lei avrebbe accettato la sua richiesta di aiuto e dio solo sapeva quante altre sue mosse era stato in grado di prevedere con largo anticipo.
“Eri ricoverato in ospedale e, stando a quello che dice Mycroft, prima ancora eri praticamente agli arresti domiciliari, ora dimmi, quando diavolo hai avuto il tempo di introdurre della droga in casa mia?” sbottò Molly esterrefatta.
“Quando sei andata via per il week-end con un tizio più grande di te di almeno dieci anni su un’Audi decapottabile blu elettrico con la marmitta difettosa.” Spiegò il detective con una semplicità disarmante.
“Ma è stato tre settimane fa!” Replicò lei evitando di domandarsi come facesse Sherlock a sapere della sua fuga romantica con quell’uomo.
“Già!” convenne lui, “non che sia un esperto, ma se in tutto questo tempo quel tizio non si è più fatto vivo, ti consiglio di metterci una pietra sopra”.
Molly sbarrò gli occhi e prese un profondo respiro.
“Mi stai dicendo che ho avuto della droga in casa per ben tre settimane e non me ne sono accorta?”
“L’ho nascosta nel luogo più trascurato della casa, non apri praticamente mai quell’armadietto…”
Molly fece per parlare ma Sherlock fu più veloce. “lo so perché, nonostante la tua cucina sia datata, le cerniere di quell’anta sono praticamente nuove mentre tutte le altre sono allentate o cigolano, e oltretutto il tuo modo di cucinare non contempla le spezie… a dire la verità mi domando il senso di un armadietto ad esse dedicato nella tua cucina.” Rifletté Sherlock ad alta voce sotto lo sguardo attonito di Molly che aveva ormai rinunciato a porre ulteriori ed inutili domande.
Osservando Sherlock gesticolare nel corso della sua ultima deduzione, Molly notò un lieve tremore alle sue mani e si accorse che la fronte del detective cominciava ad imperlarsi di sudore. Sapeva perfettamente cosa stava succedendo al suo ospite, era inevitabile, tuttavia sperava di avere un po’ più di tempo. Sherlock stava andando in astinenza e sebbene per ora sembrasse gestibile, presto non lo sarebbe più stato. Era visibilmente debole, Molly lo vide accasciarsi sulla poltrona e ne approfittò per andare in cucina a consultare nuovamente la lista degli orrori che il consulente investigativo le aveva fornito poco prima. Stando ai ritmi di somministrazione che lui si era concesso fino ad allora, era normale che il suo corpo iniziasse a reclamare un’altra dose proprio in quel momento ma, se voleva veramente aiutarlo a disintossicarsi, Molly sapeva di doverlo costringere a resistere almeno un altro paio d’ore. Aprì l’armadietto delle spezie e, inorridendo, trovò tutto quello che Sherlock vi aveva nascosto tre settimane prima come da lui raccontato. C’era droga sufficiente a farle passare qualche anno dietro alle sbarre e, nonostante sapesse che grazie all’aiuto di Mycroft non sarebbe mai finita in prigione, sentì comunque il suo cuore mancare un battito al solo pensiero di essere arrestata per possesso di stupefacenti.
La prima cosa da fare era far sparire tutte quelle sostanze dalla cucina, doveva trovare un posto sicuro in cui Sherlock non avrebbe potuto fare il self service. Uscì dalla cucina in punta di piedi approfittando della condizione poco lucida di Sherlock e raggiunse camera sua, staccò un quadro dalla parete e scoprì una cassaforte che la vecchia proprietaria aveva fatto incassare nel muro e che mai avrebbe pensato di utilizzare per uno scopo così poco nobile. Molly tirò fuori dal sacchetto quanto le serviva per fornire a Sherlock la prima dose, dopodiché nascose il resto all’interno della cassaforte, la chiuse a chiave e sistemò il quadro al suo posto.
“Sherlock, come ti senti?” domandò Molly tornando in salotto dove il consulente investigativo si era spostato dalla poltrona al divano e nel tragitto doveva aver trovato in giro una coperta in cui si era avvolto lasciando scoperta solo la faccia, probabilmente l’astinenza gli causava sbalzi di temperatura e dopo aver sudato, ora era in preda a brividi di freddo.
“Sto bene” blaterò lui senza nemmeno sforzarsi di suonare credibile.
Molly sapeva che Sherlock era un ottimo bugiardo ma in questo caso non aveva fatto un buon lavoro, e il fatto che si fosse semplicemente limitato a mentire la preoccupò parecchio. Sapeva che nel giro di poco Sherlock sarebbe potuto diventare pericoloso a causa dell’astinenza e lei non era del tutto sicura di riuscire a gestirlo.
Molly sospirò e Sherlock esplose improvvisamente. “Se il tuo come ti senti era un modo carino di chiedermi se avevo bisogno di una dose la risposta è sì, ti ho fornito una lista con dosaggi e orari ben precisi, non sai leggere forse?” Le ringhiò contro scattando in piedi portandosi le mani alla fronte, probabilmente colto alla sprovvista da un giramento di testa inaspettato. Sherlock si mosse verso di lei ma inciampò nella coperta e si ritrovò carponi sul pavimento ai piedi di Molly che vedendolo in quello stato sentì una stretta al cuore.
“Sherlock” esalò con voce strozzata, decisamente più preoccupata per le condizioni del detective che per la sua tentata aggressione.
“Ti chiedo scusa” mormorò lui rialzandosi a fatica e tornando a sedersi sul divano in preda a tremori incontrollati che faticava a nascondere.
Molly guardò l’orologio. “Devi resistere ancora per un po’” disse vaga, quantificare il tempo che separava Sherlock dalla sua prossima dose non avrebbe fatto altro che aumentare la sua sofferenza, e lei avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di risparmiargli altro dolore. La morte di Mary, i silenzi di John e la ricaduta nella droga l’avevano consumato lentamente e ora spettava a lei raccogliere i pezzi dello Sherlock che conosceva e rimetterlo insieme.
Un’ora e mezza più tardi Molly si decise a somministrare a Sherlock quello di cui aveva bisogno. Aveva apprezzato enormemente lo sforzo del consulente investigativo di resistere all’astinenza perché indicava tutta la sua volontà di ripulirsi, ciononostante l’idea di iniettargli altre schifezze la faceva rabbrividire.
Sherlock era ancora sdraiato sul divano, visibilmente al limite della sopportazione e quando la vide entrare in salotto munita di siringa, Molly intravide un bagliore nei suoi occhi, una luce di speranza, come se la sua vita avesse senso solo grazie al liquido contenuto nella siringa che lei stringeva nella mano destra.
Sherlock si mise a sedere e a Molly sembrò di vedere in lui un cane che si mette seduto in attesa di avere del cibo dal padrone, ancora una volta sentì una stretta al cuore, ma per quanto fosse terribile, sapeva di stare facendo la cosa giusta.
“Dammi il braccio” disse con cautela.
Sherlock non parlò, si arrotolò la manica della vestaglia e porse a Molly il braccio destro. Ecco che il cane dava la zampa al padrone pensò lei. Si sforzò di scacciare quell’immagine dalla mente e si concentrò sul braccio di Sherlock nonostante fosse quasi inguardabile. Le vene erano state maltrattate e sollecitate talmente tante volte che erano tutte perfettamente visibili e in rilievo anche senza l’aiuto di un laccio emostatico. C’erano ematomi e lividi lungo tutto il braccio ad indicare i molteplici punti in cui Sherlock si era iniettato i suoi intrugli e che erano ben lontani dalla guarigione.
Molly fece un profondo respiro mentre Sherlock continuava a spostare lo sguardo dal suo braccio alla patologa in attesa che lei si decidesse ad alleviare le sue sofferenze. “Forse è meglio l’altro braccio” esalò lei alzando gli occhi su Sherlock.
Lui si morsicò il labbro inferiore con aria colpevole. “L’altro è messo peggio” rivelò in tono sommesso.
“Ok, allora mi farò andare bene questo”
Gli occhi di Sherlock brillarono di nuovo e Molly distolse lo sguardo, era terribile vederlo bramare così tanto qualcosa che aveva quasi finito per distruggerlo. Si costrinse a cercare un punto buono, se ancora ce n’erano, e inserì l’ago con decisione, poi cominciò a premere lo stantuffo.
 
Stando ai calcoli di Molly, Sherlock avrebbe dovuto ricevere la sua seconda dose poco prima di mezzanotte e, nonostante avesse fatto tutto il possibile per posticipare al massimo quell’orario, era preoccupata all’idea che lui desse di matto nel bel mezzo della notte, in preda ad una crisi d’astinenza.
Sherlock era sdraiato sul letto nella camera degli ospiti, la schiena appoggiata alla spalliera e il capo rivolto verso la porta in attesa che Molly arrivasse. Quando lei entrò nella stanza, lui la lasciò fare in silenzio, domandandosi cosa avesse senso dire in un momento come quello.
“Ho diminuito il dosaggio rispetto a quello che hai scritto nella lista…” dichiarò lei estraendo l’ago con un gesto deciso, “ma dovrebbe comunque garantirti un numero di ore di sonno dignitoso, detto fra noi, ne hai proprio bisogno.” Aggiunse evitando di levare lo sguardo su di lui, sapeva fin troppo bene quanto il suo aspetto fosse orribile.
Sherlock annuì e poi si decise a parlare: “so a cosa stai pensando, e ci ho pensato anche io…”
Molly si accigliò e un istante dopo vide Sherlock chiudere una delle manette intorno alla testata del letto e notò che l’altra era già stretta attorno al suo polso sinistro.
“Le chiavi sono nel tuo comodino… almeno dormirai sonni tranquilli.” Fece sapere lui con un sorriso triste.
“Sherlock non ce n’è bisogno” esalò lei presa alla sprovvista da quel gesto.
“E invece sì, l’hai detto anche tu, potrei essere pericoloso, non voglio che ti accada nulla e poi domani lavori, hai bisogno di riposare tranquilla.”
“Sherlock sei veramente messo peggio di quanto mi aspettassi, non hai sentito la chiamata che ho fatto prima al mio capo?”
Sherlock si accigliò e cominciò a ravanare nei meandri della sua memoria alla ricerca della telefonata di cui parlava Molly, ma prima ancora che capisse a cosa si riferiva, lei parlò di nuovo. “Ho preso una settimana di ferie” gli rivelò.
“No Molly, non voglio che arrivi a questo.” Protestò Sherlock.
“Senti, ho un sacco di ferie arretrate e a dirla tutta non so nemmeno cosa farmene dato che non ho nessuno con cui trascorrerle perché sì, avevi ragione su di me, la mia vita privata è un disastro.”
Sherlock fissò Molly per un lungo istante, ora più che mai il coinvolgimento emotivo della patologa era uscito allo scoperto e lui si trovava letteralmente con le mani legate. Forse era stato un errore invocare proprio l’aiuto di Molly.
“Buona notte Sherlock”
 
Erano passati quattro giorni da quando Sherlock si era stabilizzato a casa di Molly e, fortunatamente, non si era verificato nessun episodio spiacevole, anzi, le cose andavano bene e da un paio di giorni Sherlock aveva anche cominciato a rispettare la regola numero tre con grande approvazione da parte di Molly.
L’equilibrio che avevano raggiunto in quell’assurda convivenza sembrava funzionare, o perlomeno aveva funzionato fin quando qualcuno non suonò con insistenza il campanello di casa Hooper.
Molly guardò nello spioncino e non appena vide Mycroft appoggiato al suo fedele ombrello capì che i suoi problemi erano appena iniziati.
“Molly perdona l’improvvisata ma come sempre è mio fratello che devi ringraziare.” Esordì lui non appena la padrona di casa gli aprì la porta.
“Cosa ha fatto?” domandò lei allarmata chiedendosi se per caso Sherlock non fosse scappato di casa a sua insaputa liberandosi delle manette con qualche assurdo stratagemma, dopotutto, quella mattina non era ancora andata a controllarlo.
“Ero convinto che fosse in Baker Street ma la signora Hudson mi ha informato che dopo essere stato dimesso, mio fratello è tornato al suo appartamento solo ed esclusivamente per fare le valige. Alla signora Hudson ha detto che andava a stare da John, è inutile che ti dica che a casa del Dottor Watson, Sherlock non ha mai messo piede…”
Molly deglutì sotto lo sguardo inquisitorio del maggiore degli Holmes e si chiese quali fossero le parole più giuste per rivelare a Mycroft che suo fratello viveva in casa sua da quattro giorni all’insaputa di tutti.
“Devo rintracciare Sherlock il prima possibile, ammesso che sia ancora vivo, perché dopo quanto è accaduto in obitorio col Signor Smith è evidente che non rappresenta più un pericolo solo per sé stesso ma anche per gli altri. Sono già riuscito a risparmiargli il carcere dopo l’episodio con Magnussen e non ho nessuna intenzione di tirarlo fuori dai casini un’altra volta.”
“Non dire idiozie Mycroft, tirarmi fuori dai casini è uno dei tuoi hobby preferiti” fece sapere la voce di Sherlock dal fondo dell’appartamento.
Mycroft spostò lo sguardo su Molly e lei cambiò improvvisamente colore.
Senza porle nemmeno una domanda, Mycroft superò Molly e raggiunse la camera degli ospiti attraversando il corridoio a grandi falcate.
“Ciao fratello” lo salutò Sherlock dal letto agitando l’unica mano libera.
“Ma cosa diavolo…”
“Ci faccio qui?” azzardò Sherlock completando la frase del fratello mentre Molly compariva nello specchio della porta. “Opzione uno: ho una relazione segreta con Molly e tu ci hai colto nel bel mezzo di un gioco erotico” disse ammiccando alle manette che lo legavano alla testata del letto, “opzione due: ho chiesto aiuto a Molly per disintossicarmi e le manette sono un mezzo per garantire la sua incolumità; opzione tre: hai assunto una dose eccessiva di zuccheri e hai le allucinazioni.” Concluse Sherlock con un sorriso sornione.
“Qui l’unico che assume sostanze in dosi eccessive sei tu!” Sputò fuori Mycroft colmo di rabbia.
“Sbaglio o stai evitando di rispondere al mio indovinello?” gli fece notare Sherlock divertito. “Chi è il più intelligente adesso?”
“Sono tre opzioni una più improbabile dell’altra, ora togliti quelle dannate manette e vieni con me.”
“Risposta sbagliata Mycroft! Vedi, una volta eliminato l’impossibile quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità.”**
Mycroft era sul punto di replicare, decisamente sul piede di guerra, ma Molly intervenne mettendo a tacere i due uomini.
“Sherlock è qui per disintossicarsi” dichiarò a voce alta nonostante la prima opzione fosse molto più interessante, “è la verità Mycroft, tuo fratello mi ha chiesto aiuto perché è consapevole di essere andato troppo oltre.”
“Sherlock consapevole?” ridacchiò Mycroft, “no Molly, Sherlock non ha ancora imparato a badare a sé stesso e mai lo farà, deve essere sicuramente un altro dei suoi trucchi!”
“Sono maggiorenne e vaccinato” intervenne Sherlock contrariato.
“No Sherlock” lo riprese il fratello maggiore puntandogli contro l’ombrello, “sei un incosciente drogato ecco ciò che sei, lo sei sempre stato e ho smesso di illudermi che tu possa essere qualcosa di diverso” continuò più gelido che mai.
“Mycroft!” Intervenne Molly ferita forse più di Sherlock da quelle taglienti parole.
“Restane fuori Molly!” Le intimò Mycroft dedicandole un’occhiataccia.
Nonostante quel gesto d’intimidazione Molly rimase impassibile, ferma più che mai sulla sua posizione.
“Fuori da casa mia!” Dichiarò fissando Mycroft con odio, le braccia incrociate al petto e l’espressione più severa di cui era capace stampata in volto.
“Con piacere Molly, dammi solo il tempo di liberare mio fratello dalle manette e toglieremo il disturbo entrambi.” Dichiarò Mycroft con un sorriso forzato.
“Forse non mi sono spiegata... sei solo tu che te ne devi andare, Sherlock resta qui.”
“Come scusa?” ridacchiò Mycroft certo di aver sentito male.
“Fuori da casa mia, Mycroft. Non te lo ripeterò un’altra volta.”
Sherlock osservò attentamente Mycroft e Molly che si fronteggiavano e non poté che sorridere vedendo la patologa prendere le sue difese anche se non era certo del perché apprezzasse così tanto la cosa.
“Molly tu non hai idea di quello che è in grado di fare Sherlock sotto l’effetto delle droghe…” disse Mycroft afferrando la patologa per un braccio e costringendola ad allontanarsi dalla portata delle orecchie di Sherlock.
“Ti ricordo che sono un medico, so perfettamente quali sono gli effetti delle droghe e conosco i comportamenti di chi le assume.”
“E io ti ricordo che prima di essere un medico sei una donna... che, per qualche assurdo e a me inconcepibile motivo, subisce il fascino di mio fratello” sentenziò Mycroft pronunciando la parola fascino con una buona dose di disgusto, “non credere che io non lo sappia.”
Molly sentì un peso formarsi all’altezza dello stomaco. Era davvero così evidente da essere sotto gli occhi di tutti? Anche sotto gli occhi di una persona fredda e cinica come Mycroft che, degno fratello di Sherlock, se n’era sempre infischiato dei sentimenti? “Pensi che tenere Sherlock prigioniero in casa tua ti darà accesso al suo cuore?” La canzonò Mycroft tornando verso la porta d’ingresso facendo roteare l’ombrello.
Molly deglutì in cerca delle parole più giuste.
“È solo un mio paziente e le sue condizioni di salute sono in netto miglioramento, come medico questi sono gli unici fatti che contano e a cui, di fatto, devo dare peso. Appena Sherlock avrà risolto la sua dipendenza dalle droghe tornerà a casa. I miei sentimenti non contano, Sherlock non li ha mai presi in considerazione e non vedo perché dovrebbe cominciare a farlo ora.” Dichiarò Molly con professionalità, ben attenta a non farsi tradire da quegli stessi sentimenti che stava cercando di reprimere nel tentativo di farli passare per qualcosa d’insignificante.
 
Il martedì mattina successivo Molly entrò in camera di Sherlock prima di andare a lavoro. Era ormai una settimana che l’aveva privato delle manette perché il suo stato di salute era nettamente migliorato e lui non aveva più dato segni di aggressività di nessun tipo.
“Buongiorno Sherlock” esordì Molly scostando le tende della sua camera degli ospiti. “Se non ti dispiace vorrei farti un prelievo, oggi a lavoro sono abbastanza tranquilla e ho il tempo di farti gli esami del sangue” disse voltandosi a guardare il letto rigorosamente vuoto.
Molly non ebbe nemmeno il tempo di allarmarsi perché sentì la porta del bagno aprirsi e un istante dopo Sherlock fece il suo ingresso in camera in vestaglia.
“Buongiorno Molly” sorrise lui, i segni del lenzuolo ancora stampati sulla guancia e i capelli più scarruffati del solito, “sbaglio o stavi dicendo qualcosa in merito ai miei esami del sangue?”
“Sì… stavo giusto dicendo che devo farti un prelievo.”
“Serviti pure” dichiarò lui offrendole il suo braccio destro.
Lei si sedette sul letto e cominciò a trafficare con aghi e siringhe sotto lo sguardo attento di Sherlock.
“Penso di doverti ringraziare Molly” sussurrò lui come se fosse indeciso se pronunciare quella frase o limitarsi a pensarla.
Molly fece spallucce e continuò il suo prelievo a testa bassa, senza degnare Sherlock di uno sguardo.
“Sono un medico, salvare vite umane è il mio mestiere… e tu avevi un piede nella fossa.” Si limitò a spiegare lei come se tutto quello che aveva fatto in quelle settimane non fosse degno di nota.
“Dico sul serio” disse Sherlock, la voce un po’ più alta e convinta, “hai fatto un ottimo lavoro e il fatto che tu sia un medico è secondario, non tutti avrebbero accettato il mio caso, non tutti avrebbero saputo tirarmi fuori dal baratro in cui mi hai trovato.”
Molly sentì una punta d’orgoglio pervaderla da capo a piedi, Sherlock non elargiva complimenti tutti i giorni, era più facile rimediare un insulto da parte sua piuttosto che un complimento e in tutti quegli anni di collaborazione Molly ne aveva avuto fin troppe dimostrazioni. Fu nel corso di quella considerazione che Molly sentì il cuore accelerare i battiti, rigorosamente senza permesso. Il ringraziamento di Sherlock era sincero, e sebbene da parte sua lei avesse sempre desiderato qualcosa che andava ben oltre dei semplici ringraziamenti, si ritrovò ad apprezzare enormemente quelle parole.
“Vorrei poter fare di più per dimostrarti quanto ti sono riconoscente, ma so per certo di non esserne in grado” rivelò Sherlock un po’ a disagio per la piega che stava prendendo quella conversazione.
“Il fatto che tu stia bene mi basta” fece sapere Molly sforzandosi di suonare convincente. Ma era un’enorme bugia e Molly lo sapeva bene. La verità era che il riconoscimento di Sherlock e la sua amicizia non le bastavano, non le erano mai bastate, e le cose non sarebbero certo cambiate adesso che avevano condiviso lo stesso tetto per settimane. Il fatto che Sherlock non fosse più in pericolo di vita bastava a malapena a darle la forza di andare a lavorare, non bastava certo a renderla felice. Ma la felicità accanto a Sherlock era qualcosa su cui non poteva fare a meno di fantasticare, qualcosa che la parte più remota e incontrollabile del suo cuore non avrebbe mai smesso di sperare anche se la sua parte più saggia e razionale da anni le gridava di arrendersi.
Senza rendersene conto si trovò più vicina a Sherlock di quanto pensasse e, sopraffatta da un momento di affetto, spinse le labbra sulla sua guancia, poco sotto lo zigomo accentuato che l’aveva stregata fin dal loro primo incontro. Lui sussultò colto alla sprovvista da quel gesto e s’irrigidì improvvisamente, la pelle che sembrava scottare nel punto in cui Molly lo stava sfiorando. Lei percepì il suo disagio e, con non poco imbarazzo, mise fine a quel contatto ritraendosi leggermente. Fu in quel momento che Sherlock ruotò la testa, quasi in maniera meccanica, e cercò impacciatamente le labbra di Molly. Incerto e un po’ spaventato lasciò che le loro labbra si sfiorassero in un abbozzo di bacio. Abbozzo che rimase tale perché nessuno dei due si azzardò ad andare oltre. Molly perché troppo sconvolta da quanto stava avvenendo e Sherlock perché totalmente inconsapevole delle sue azioni.
A salvarli da quel fitto momento d’imbarazzo fu il telefono di Sherlock che squillò all’improvviso rivelando una chiamata in arrivo da parte di John.
Molly si ritrasse sfilando rapidamente l’ago dal braccio di Sherlock, felice che quel momento di disagio fosse terminato ma allo stesso tempo tremendamente scossa e sconvolta da quello che il consulente investigativo aveva fatto, o meglio, aveva provato a fare.
Mentre Sherlock parlava al telefono lei l’osservò domandandosi cosa gli fosse passato per quella folle e meravigliosa mente qualche minuto prima.
“Sherlock” lo chiamò lei non appena lo vide chiudere la telefonata. Lui posò il telefono sul comodino e si voltò a guardarla. “Che cos’era?” aggiunse la patologa con cautela.
“Era John… e per quanto talvolta sia pesante, definirlo una cosa non gli rende giustizia.”
“No, Sherlock. Quello di prima… cos’era?”
Il detective non disse nulla, si limitò a fissare Molly, alla disperata ricerca di una risposta alla quale lei non avrebbe potuto obiettare.
“Era… un bacio?” azzardò lei ancora incredula all’idea che lui avesse osato fare un tentativo di quel tipo.
Sherlock roteò gli occhi sospirando poi si decise a parlare. “Un tentativo malriuscito, credo, ma non posso averne la certezza.” mormorò cercando di guardare Molly e non qualsiasi altra cosa presente nella stanza.
Molly trasse un profondo respiro. Nonostante Sherlock si fosse sempre preso gioco dei sentimenti e di chiunque ne fosse vittima aveva osato fare un tentativo, e l’aveva fatto con lei. Poco importava se il suo tentativo non era andato a buon fine o se l’aveva fatto spinto da un’ondata di gratitudine nei suoi confronti.
Si mosse verso di lui e lo baciò alzandosi sulla punta dei piedi, caricando quel bacio di tutta la passione e il trasporto che non c’era stato nel bacio precedente, perlomeno da parte sua. Quando si staccò dalle sue labbra lui rimase immobile, rigido, quasi spaventato. “È ora che vada” sussurrò Molly recuperando la fialetta con il sangue di Sherlock e avviandosi alla porta dove indossò sciarpa e cappotto per poi sparire chiudendosi la porta d’ingresso alle spalle.
 
Quella stessa sera Sherlock attese il rientro di Molly in cucina davanti allo schermo del pc. Aveva pensato tutto il pomeriggio a quali fossero le parole più giuste da usare con lei e, nonostante avesse fatto un’accurata selezione di cosa dire e cosa non dire, temeva che avrebbe finito per combinare un disastro.
Quando sentì l’ascensore arrivare al piano attese che la porta d’ingresso si aprisse e udì i passi leggeri di Molly avanzare nel corridoio.
“Ciao Sherlock, ho delle buone notizie” esordì lei sorridente abbandonando il cappotto sulla sedia.
“È ora di tornare ad essere Sherlock Holmes”*** dichiarò lui asciutto senza darle il tempo di aggiungere una parola.
“Cosa stai cercando di dirmi?”
“Che ho già fatto le valige e sto per tornare in Baker Street.”
“Ma… non ti sei ancora rimesso del tutto e…”
“I miei esami sono andati ben oltre le tue aspettative, era questa la buona notizia che stavi per darmi o sbaglio?”
“Si, ma…”
“Sai cosa mi ha dato la forza di uscire dal tunnel della droga?” Domandò Sherlock come se non vedesse l’ora di potersi rispondere da solo.
Molly abbassò lo sguardo, avrebbe tanto voluto che la risposta a quella domanda fosse un semplice “tu” ma in cuor suo sapeva che Sherlock non si era disintossicato per lei, né per nessun’altro di quelli che si preoccupavano per la sua salute.
Sherlock ruotò il pc e mostrò a Molly la home del suo sito web sul quale c’erano una serie di richieste d’aiuto che si erano accumulate nel corso di quelle settimane.
“Ho bisogno del mio lavoro Molly. Ho bisogno di tornare ad essere Sherlock Holmes, il mio lavoro è l’unica droga da cui non riesco a disintossicarmi, e per svolgerlo al meglio non posso permettermi di essere dipendente da altre sostanze. Ti ringrazio Molly Hooper, ti ringrazio per avermi permesso di tornare ad essere quello che voglio essere. Senza di te non ci sarei mai riuscito.” Dichiarò il consulente investigativo richiudendo il portatile e alzandosi per andare in camera a recuperare le sue cose, Molly ancora ferma sulla porta della cucina.
“Per quello che vale, penso di poter dire che sei la donna più importante della mia vita.” Dichiarò Sherlock indossando il suo fedele cappotto per poi alzare il bavero che, secondo John, gli evidenziava gli zigomi. Baciò Molly sulla fronte con tutto il sentimento di cui era capace mentre lei si lasciava sfuggire una lacrima di delusione.
“Beh, allora non mi resta che augurarti buon lavoro Sherlock Holmes” sorrise lei tamponandosi la guancia umida con il polsino del maglione.
“Se hai bisogno di me sai dove trovarmi.” Dichiarò Sherlock avviandosi all’uscita indossando il capello dalla doppia visiera che gli aveva dato notorietà.
Molly osservò Sherlock lasciare il suo appartamento e si scoprì a pensare che c’era un unico posto in cui una parte del suo cuore, indipendentemente dalla sua volontà, avrebbe sempre alloggiato: il 221B di Baker Street.
 
*citazione “The lying detective”
** citazione “The hounds of Baskerville”
*** citazione “The empty hearse”


 
Angolo dell’autrice: Ciao a tutti e grazie per aver letto questo mio ultimo delirio post visione 4x02. È stato un percorso piuttosto contorto e travagliato perché io vengo da un periodo fitto d’impegni e i personaggi tendono a voler fare sempre di testa loro. Per l’ennesima volta io parto dall’idea di scrivere una Sherlolly degna di questo nome e poi Sherlock si sente in dovere di dire la sua così io finisco per piegarmi al suo volere perché, tutto sommato, penso che il risultato finale funzioni. Diciamo che tutte le volte che la serie ci mostra Sherlock schiavo delle droghe non si sa mai come ne esce, quindi ho deciso di dare una mia personale interpretazione di come potrebbero essere andate le cose. Come ho già detto nell’angolo autore della mia ultima storia, adoro la relazione tra Sherlock e Mycroft quindi non ho resistito e ho finito per inserire quest’ultimo anche in questa storia perché mi piace troppo farli interagire.
Spero che l’idea e la storia in sé vi siano piaciute e che avrete voglia di farmi sapere le vostre impressioni con una recensione. :-) 
  
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