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Autore: Soul Mancini    10/02/2017    8 recensioni
«“Io non voglio fare sesso con te” tagliai corto in tono piatto.
“Non ci credo! Uff, ho bisogno di lavorare, oggi non ho trovato nessuno” borbottò delusa. “Ti prego, Daron...”
“Come ti chiami?” le chiesi, cogliendola di sorpresa.
Lei aggrottò le sopracciglia. “Che te ne frega del mio nome? Sei sicuro che non mi vuoi?” [...]
“No, io voglio sapere il tuo nome” ribadii, addolcendo il tono della voce.
Lei mi studiò ancora con aria diffidente. “Hilary. Beh, che dobbiamo fare? Io devo lavorare...”
Hilary era una delle tante prostitute che vagavano tristemente per le vie di Los Angeles in quell'esatto momento. Tutti se le sbattevano e nessuno si interessava a loro; per una volta, per una sera, volevo stare a sentire cosa avevano da dire, volevo che almeno una di loro si sentisse capita e amata.
“Parliamo” la interruppi, prendendo posto sul gradino del marciapiede e facendole cenno di imitarmi.»
In una fredda notte losangelina, un incontro segnerà per sempre due persone completamente diverse.
NOTE:
Nella storia compare Hilary, personaggio marginale della mia long Crime Without Face.
Leggibile tranquillamente come se fosse un'originale.
Sconsigliata a persone troppo sensibili.
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daron Malakian, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

Settima classificata e vincitrice del premio “Miglior Grammatica” al contest “All in one (shot) indetto da alexalovesmal e valutato da 6Misaki sul forum di EFP




♣ ♣ ♣




Consiglio fortemente l'ascolto, durante la lettura, di questa canzone a mio parere meravigliosa. Mi ha ispirato tantissimo per la stesura, la considero parte della storia.

Cliccando sul titolo accederete direttamente al link di YouTube:

Lost In Hollywood




Never Trusted Hollywood



Aria gelida e fumo rovente mi riempivano i polmoni.

Non avevo una meta; camminavo meccanicamente e non riuscivo a fermarmi.

Poteva sembrare assurdo, ma certe volte mi piaceva passeggiare nella penombra della sera, mi aiutava a liberare la mente da tutti i pensieri. Proprio io, che detestavo la calma e riuscivo ad affrontare la caotica Los Angeles solo a bordo di un'auto.

Ancora una volta le mie gambe avevano scelto per me: mi avevano condotto fuori di casa, in una strada di periferia illuminata a malapena dalla fioca luce di qualche lampione. I rumori della città alle mie spalle riecheggiavano, trasportati da un vento lieve, come a voler ostentare la vita per le strade gremite di luci e persone.

Procedevo sul marciapiede, fumavo e mi guardavo attorno, protetto da un pesante giubbotto e un cappello calato sugli occhi.

Amavo quei momenti in cui non ero più il chitarrista dei System Of A Down, ma solo una figura tra tante che inspirava gli odori della metropoli.

Della musica ad alto volume attirò la mia attenzione: proveniva da un decadente locale ai margini di un piccolo spiazzo in cemento, dal lato opposto della strada. Davanti all'entrata alcuni ragazzi gridavano e si spintonavano, circondati da bottiglie di birra sparse a terra.

Capii solo allora che mi trovavo in una delle zone più malfamate e degradanti di Los Angeles. Fu come risvegliarmi da un sogno: non avevo idea di come fossi arrivato fin lì, sapevo solo che ero stanco di camminare.

Spensi la sigaretta ormai finita sotto la suola della scarpa e posai la schiena contro un palo; quest'ultimo segnalava la presenza di una fermata del bus.

Proprio mentre mi accingevo ad accendere la canna che avevo accuratamente preparato, mi accorsi di una figura seduta sul bordo del marciapiede a una decina di metri da me che prima non avevo notato. Anche lei parve accorgersi di me: si mise in piedi e si avvicinò con passo instabile. Riuscii a vederla solo quando un lampione poco distante la illuminò, liberandola dall'oscurità: si trattava di una ragazza spaventosamente magra, alta all'incirca quanto me, che indossava uno striminzito miniabito nero e un paio di scarpe con il tacco a spillo. La sua pelle era pallida e il viso scavato da una stanchezza che la sciupava completamente; ma ciò che mi colpì maggiormente furono i suoi occhi cerchiati di rosso e privi di qualsiasi espressione.

Non riuscii ad attribuirle un'età. Era vecchia dentro.

Ehi tu! Com'è che ti chiami?” biascicò la ragazza, studiandomi attentamente e poggiando una mano al palo del lampione per non rovinare a terra.

Sì, era palesemente sbronza. Ecco perché, nonostante il gelo di quella sera, non sembrava affatto infreddolita.

Accesi finalmente la mia canna e, dopo aver preso la prima boccata di fumo, risposi: “Daron”.

Mantenni un tono calmo e distaccato, anche se la consapevolezza di ciò che stavo vivendo mi riempiva di rabbia e frustrazione. Quel luogo mi mandava in bestia nella sua interezza.

Uh, sei un bel tipo! Scommetto che non vedi l'ora di farti una sana scopata... in genere faccio pagare ottanta, ma siccome sei un figo e mi stai simpatico te la do a sessantacinque. Ci stai?” propose, avvicinandosi ancora di più a me e tentando di sembrare seducente.

Io non voglio fare sesso con te” tagliai corto in tono piatto.

Non ci credo! Uff, ho bisogno di lavorare, oggi non ho trovato nessuno” borbottò delusa. “Ti prego, Daron...”

Come ti chiami?” le chiesi, cogliendola di sorpresa.

Lei aggrottò le sopracciglia. “Che te ne frega del mio nome? Sei sicuro che non mi vuoi?”

Sembrava un cucciolo abbandonato, mi implorava come fossi la sua unica salvezza. Come poteva una ragazza ridursi così? Era inaccettabile.

No, io voglio sapere il tuo nome” ribadii, addolcendo il tono della voce.

Lei mi studiò ancora con aria diffidente. “Hilary. Beh, che dobbiamo fare? Io devo lavorare...”

Hilary era una delle tante prostitute che vagavano tristemente per le vie di Los Angeles in quell'esatto momento. Tutti se le sbattevano e nessuno si interessava a loro; per una volta, per una sera, volevo stare a sentire cosa avevano da dire, volevo che almeno una di loro si sentisse capita e amata.

Parliamo” la interruppi, prendendo posto sul gradino del marciapiede e facendole cenno di imitarmi.

Dopo qualche istante di esitazione si appollaiò al mio fianco, stringendosi le ginocchia al petto. “Io non ho niente da dire. Comunque sei uno strano.”

Se non avessi niente da dire non avresti accettato di parlare con me. Quanti anni hai?” domandai, continuando a fumare.

Che situazione assurda! Non sapevo cosa mi avesse spinto ad agire così e non pensavo di poter reggere una conversazione con Hilary, dato che non ero molto loquace di natura. Decisi tuttavia di infischiarmene ed esibirmi senza vergogna sul grande palco della vita.

Diciassette. Ma perché cazzo ti sto dicendo tutte queste cose? Nemmeno ti conosco!” sbottò all'improvviso, allontanandosi di qualche centimetro. Continuava a strascicare le parole e l'alcol le annebbiava ancora la mente, impedendole di ragionare lucidamente.

Io invece, dopo la dose di erba, mi sentivo pienamente padrone di me ed ero in grado di gestire la situazione con sicurezza.

Non potevo credere che quella ragazzina avesse solo diciassette anni; non era ancora maggiorenne!

Perché te le sto chiedendo” risposi prontamente.

Che stronzo... beh, però anche io voglio sapere qualcosa di te, altrimenti non vale! Cosa fai nella vita? Anche se con quei capelli sembri un barbone...”

Mi ritrovai a sorridere per la prima volta da quando avevo incontrato Hilary. “Il chitarrista.”

Eh? Ma che lavoro è? Ti guadagni da vivere suonando? Allora devi essere molto famoso” osservò ammirata.

Abbastanza. Sì, diciamo che sono stato fottutamente fortunato.”

Mi sentivo quasi in colpa ad ammettere di fare ciò che più amavo come lavoro davanti a una persona che non aveva scelta.

Ah, allora un giorno mi suonerai una canzone! Pensa che io invece sono qui perché la mia famiglia fa schifo e se non ci fossi io non riusciremmo a campare!”

Quella frase mi colpì molto. Capii che avrebbe voluto continuare a parlare e sfogarsi, così le domandai: “Sei figlia unica?”

No! Da poco mia madre si è fatta non so chi ed è nato Stevie. Quel bambino è una rottura di coglioni, però poverino: ogni volta gli devo togliere le siringhe che lascia in giro quella stronza di mia madre, altrimenti finisce che il bambino si droga e sono casini” raccontò. “Mia madre è una bucomane di merda: dice di essere depressa ed è per quello che si fa, ma secondo me è solo una scusa. Io l'ho provata quella roba – in realtà era cocaina, non eroina – ma io quella roba non la tocco più. Non voglio diventare una drogata come lei.”

Hilary era un fiume in piena: le pareti della sua anima avevano ceduto e ora non riusciva più a fermarsi. Probabilmente non si rendeva conto di ciò che stava facendo, raccontava la sua situazione come se nessuno la stesse ascoltando.

Ma io ero lì, c'ero con tutto il mio cuore, e quelle parole mi stavano devastando come la lama di un coltello sulla pelle.

Tuo padre?” domandai in un sussurro, temendo di risultare indiscreto.

Hilary scoppiò a ridere istericamente e la sua voce si sparse tutt'attorno a noi. “Mio padre? Boh, e chi lo conosce? Quello lì si faceva mia madre, poi quando è arrivato il momento di prendersi le responsabilità se n'è andato! Un giorno, se dovessi avere una famiglia, non seguirei di certo l'esempio dei miei genitori! Daron, tu credi ai miracoli?”

La domanda mi spiazzò. “Dipende” proferii.

Io sì, ma non a quelli religiosi. Sono convinta che un giorno arriverà uno che mi ama davvero e mi porterà via da questo posto di merda, allora vivremo contenti e non rivedrò mai più la mia famiglia. Ma lo sai come ci sono finita qui? Fino a qualche anno fa ero una delle tante: feste, droga di tutti i tipi, sesso con i più fighi del quartiere... insomma, tutto pur di stare lontano da casa. Poi non avevamo più i soldi per comprarci da mangiare – in realtà eravamo dei poveracci anche prima – e allora mia madre mi disse: perché al posto di darla a quei coglioni dei tuoi amici non cominci a farti pagare?; e sai com'è: c'era il bambino e io non volevo lasciarlo allo sbando come ha sempre fatto mamma. Ed eccomi qui a battere. Almeno ho i soldi per comprarmi l'alcol: sono sempre sbronza, ma alla fine è meglio così.”

Ero immobile e muto a incassare quel duro colpo.

Vedi Daron, la fortuna non è stata dalla mia parte. Non è facile andare avanti così, però bisogna farlo e non ci sono tante alternative. Guardami: non riesco più neanche a piangere, non provo più emozioni!” Si indicò il viso. “Per le strade sono tutti falsi e approfittatori, le emozioni sono inutili quando l'unica cosa che conta è sfruttarsi a vicenda. E quei ricconi bastardi che stanno al governo che fanno per noi? Ci portano via dalle strade per caso? No, perché loro hanno i loro fottuti soldi... e io qui a battere per mangiare!” si infervorò, prendendo a gesticolare.

Non è giusto, cazzo! Questo che ci circonda non è giusto, quello che fai ogni giorno non è giusto, questo mondo di merda non è giusto! Prendi tutto e scappa via Hilary, ti do io i soldi. Manda a fanculo tutti; io non posso accettare di vedere te e tanti altri ridotti a questo modo! Magari non sarò in grado di salvare chissà quante vite, ma voglio che almeno tu abbia un futuro. Vai via da queste strade!”

Avevo pronunciato quelle parole con una passione tale che mi ero sorpreso di me stesso; avevo afferrato le mani di quella ragazza così fragile e distrutta e le avevo strette tra le mie. Volevo donarle nuova vita, nuovo calore, nuova forza.

Non poteva essere vero che Hilary avrebbe dovuto vivere così per sempre.

La vidi sorridere per la prima volta; era un sorriso privo di qualsiasi gioia, ma allo stesso tempo il più bello che avessi mai ricevuto.

Chitarrista, io non posso scappare e non posso prendere i tuoi soldi. Sono una puttana, sono una disagiata, ma non una piattola. Tante volte ho sognato di scappare, ma poi mi sono resa conto che l'unico modo per andarmene è uccidermi. È che io non ho il coraggio per suicidarmi. Forse è giusto che vada così, che io viva così, forse è una specie di punizione del destino o di Dio o di chiunque governi questo fottuto mondo. Qui per la strada in fondo ci si può procurare di tutto... tranne una cosa: gli abbracci, quelli veri che ti fanno sciogliere il cuore, hai presente? Qui ti puoi comprare sesso a volontà, ma gli abbracci non te li compri. Scusa se straparlo e dico cose a caso, ma sono ubriaca.”

Io, Daron Malakian, la persona più misantropa che possa esistere, quel giorno decisi di levare la maschera di inibizioni e difese che mi ero costruito e strinsi Hilary in un abbraccio sincero, di quelli che fanno sciogliere il cuore. Avete presente?

Non potei fare a meno di cullarla tra le mie braccia, difenderla da quel luogo che l'aveva generata e che la stava divorando. Lei, intanto, piangeva tutte le lacrime che non credeva di possedere e ripeteva che da anni i suoi occhi erano asciutti.

Scusami se ho pianto come una bambina rincoglionita” si scusò infine quando si fu ripresa, ancora aggrappata al mio braccio destro.

Vieni via da qui?” le domandai nuovamente, stringendole forte una mano.

Non posso. Però ti voglio chiedere una cosa: racconta la mia storia, scrivi una canzone per me.”

Ti prometto che lo farò, racconterò la storia di te e di tutte voi.”

Hilary si alzò e si mise faticosamente in equilibrio sui suoi tacchi. Io la imitai e con un piede schiacciai i resti della canna a un lato della strada.

Ora devo andare, chitarrista. Grazie di tutto, sei il mio chitarrista preferito. Ti voglio bene, mi hai fatto sciogliere il cuore” concluse con un sospiro, per poi stringermi di nuovo in un abbraccio. Sentivo le sue esili braccia aggrapparsi a me come se il suo corpo potesse cedere da un momento all'altro. Quando quel contatto terminò, mi strinse ancora la mano e prese a esaminare distrattamente con il pollice un anello che indossavo. “Un giorno ci rivedremo” mormorò.

Un giorno ci rivedremo” convenni; lasciai andare la sua mano e le regalai una carezza sul viso, sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Hilary si allontanò lentamente, da sola, lungo quel marciapiede di incertezze e sofferenza. Poi si fermò e si voltò verso di me con un sorriso sulle labbra, il secondo, stavolta con gli occhi lucidi di pianto. “Ricordati della canzone. Ci conto, Daron” concluse, per poi nascondersi di nuovo nell'oscurità e sparire nella notte.

Sospirai e rimasi immobile per qualche altro minuto, mentre un gelido soffio asciugava le lacrime di Hilary dal mio giubbotto e dai miei capelli.

Fissavo l'oscurità con gli occhi carichi di rabbia, una rabbia cieca per chi aveva permesso tutto questo.

Poi mi lasciai inghiottire nuovamente da Los Angeles, divorato dalla consapevolezza che non avrei mai più visto quella ragazza.




♠ ♠ ♠




Avevo queste parole e questa canzone dentro di me da troppo tempo. Non so cosa mi sia preso e non so che dirvi; so solo che mentre scrivevo mi sono commossa tanto e ci ho messo davvero tutta me stessa.

Forse quest'immagine di Daron è la più sbagliata che potessi trovare, ma tra queste righe non poteva essere in nessun altro modo.

Ringrazio Hanna McHonnor per la sua richiesta di approfondire il personaggio di Hilary, quando lesse Crime Witbout Face mesi e mesi fa. Le avevo promesso che avrei scritto qualcosa su di lei e non me ne sono mai dimenticata.

Ringrazio Kim_Sunshine per avermi fatto conoscere i System Of A Down tanti anni fa, per avermeli fatti amare e per un miliardo di altri motivi.

Ringrazio StormyPhoenix per avermi fatto adorare Daron e i System Of A Down con la sola forza di una sua storia.

Senza loro tre non sarei mai riuscita a scrivere una fanfiction.

Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui.



   
 
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