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Autore: riccardoIII    10/02/2017    3 recensioni
La versione di Remus di uno dei momenti più difficili che i Malandrini abbiano mai dovuto affrontare: lo "scherzo" del Platano e i confronti che ne sono derivati. Perché "Affrontare i nemici richiede notevole ardimento. Ma altrettanto ne
occorre per affrontare gli amici" (Silente, da "Harry Potter e la Pietra Filosofale").
Dedicato a una persona speciale.
I personaggi appartengono a J. K. Rowling; scrivo senza scopo di lucro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlus Potter, Dorea Black, I Malandrini, Lily Evans, Remus Lupin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'La Chiave di Volta - Other Voices'
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A matilde22,
che ha atteso con pazienza il mio ritorno e il suo premio;
che mi ha saputa motivare, rimettendomi tra le mani questa storia per "chiudere il cerchio";
che c'è sempre, silenziosamente, stata;
che mi ha regalato parte di sé e che, spero, abbia ricevuto altrettanto da me.
Grazie di tutto, Malandrina. La Corda resta tesa.

 


Le palpebre calarono in fretta quando il cigolio della porta che ruotava sui cardini si spanse nella stanza bianca; la discussione con Sirius l’aveva profondamente scosso e si stava ancora sforzando di metabolizzare tutto ciò che gli aveva rivelato l’amico, sempre che potesse ancora definirlo così dopo quello che lui aveva fatto… Dopo quello che Remus gli aveva urlato contro…
Non era pronto ad incontrare qualcun altro, chiunque fosse. Due chiacchierate gli erano bastate in quell’inizio di giornata di mer… Burrascoso, grazie tante.
Gli ci volle poco più di un istante per rendersi conto che probabilmente quel particolare visitatore non era lì per lui; i passi scoordinati, inframmezzati da un leggero suono di legno contro pietra, lasciavano ben pochi dubbi sull’identità del nuovo venuto e Remus ringraziò di aver finto di dormire, perché davvero non sarebbe stato capace di affrontare la delusione e la rabbia negli occhi di uno degli uomini che più rispettava sulla faccia della terra.

Quando una mano sottile e delicata l’aveva accarezzato, qualche tempo prima, era rimasto sconvolto; non molte persone gli dimostravano dolcezza e Dorea Potter era sempre stata parte di quella ristretta cerchia dacché l’aveva conosciuta… Ma aveva pur sempre tentato di sbranare suo figlio meno di dodici ore prima. Remus aveva tenuto gli occhi chiusi per un motivo preciso, cioè posporre l’incontro che temeva con quegli occhi così simili a quelli del suo amico, perché aveva la netta sensazione che vi avrebbe scorto la commiserazione e la pena. Una madre, come lui sapeva bene, aveva quella particolare attitudine a prendersi cura degli altri, soprattutto se si trattava di ragazzini deboli e malati, che faceva passare in secondo piano anche le cose più turpi. E davvero non aveva bisogno di essere consolato da una donna che per colpa sua aveva rischiato di perdere suo figlio.
Lui non voleva essere consolato da nessuno.
Da Charlus, tuttavia, non si aspettava tenerezze indesiderate quanto sprezzo. Non per il suo essere Lupo Mannaro, dubitava di conoscere un uomo meno corrotto dai pregiudizi, ma perché aveva mancato ad uno dei requisiti fondamentali per rientrare nelle grazie dell’Auror: l’onore.
Aveva messo a rischio la vita di tante persone venendo meno alla parola data al Preside, e aveva rischiato di diventare un assassino. Non proprio azioni capaci di farlo brillare per la propria integrità morale. Il fatto che ad andarci di mezzo fosse stato James poteva essere un’aggravante, ma non la prima colpa che il signor Potter gli avrebbe imputato; nulla di troppo facile da affrontare, comunque. E fintantoché avrebbe potuto nascondersi dietro la debolezza dovuta alla trasformazione e alle ferite, avrebbe continuato a farlo. Si vergognava già abbastanza di sé stesso, dimostrarsi una volta di più un codardo rimandando un incontro necessario non avrebbe di certo intaccato troppo la sua autostima in agonia.
Sempre che i genitori di James non sapessero che aveva sobillato tre studenti perché infrangessero l’intero regolamento scolastico e un paio di Leggi Magiche per eccellenza; in quel caso avrebbe fatto meglio ad evitarli per il resto della sua miserabile vita, perché quella degli Animagus sarebbe stata una faccenda difficile da mandar giù anche per le vedute ampie di Dorea e Charlus Potter.
Oh Merlino, rischiava la prigione! La rischiavano tutti quanti!

Sobbalzò quando una mano delicata si posò sulla sua fronte, di nuovo, per controllare che non avesse la febbre, e inevitabilmente aprì gli occhi e si ritrasse come un piccolo cucciolo spaventato al tocco di Dorea.
-Ciao Remus. Come ti senti?-
La dolcezza degli occhi della donna e la calma serafica nella sua voce lo lasciarono senza parole; non si era aspettato accuse da lei, ma nemmeno lo stesso sguardo che gli dedicava dacché l'aveva conosciuto. Niente pietà, niente paura, nemmeno un briciolo di commiserazione.
-Io… Sto bene, Signora Potter. James?-
-Oh, lui è impegnato a discutere con suo padre, credo ne avranno per un po’. Hai riposato un po’? Perché probabilmente non ti permetteranno di dormire. Lo conosci James…-
In effetti le voci provenienti da dietro il paravento poco distante parevano piuttosto concitate, ma Remus si sforzò di concentrarsi sulla donna seduta al suo capezzale per evitare di cogliere le parole precise. Non gli piaceva intromettersi nelle vite degli altri, senza contare che in quel particolare momento sapere che uno dei suoi migliori amici stava discutendo col proprio padre a causa sua non era propriamente un pensiero che lo facesse sentire meglio.
-Ho dormito anche troppo, in effetti. Posso…-
La donna lo interruppe battendo le mani con aria soddisfatta, senza nessuna remora.
-Bene, perché Madama Chips ha giusto lasciato questo vassoio della colazione per te e credo proprio che tu abbia bisogno di mangiare qualcosa. Che marmellata preferisci?-
Remus la guardò con tanto d’occhi.
-Io… More. Ma non deve…-
-Non dire sciocchezze! Non ti formalizzerai mica se spalmo un po’ di marmellata sul tuo pane tostato, dopotutto ci conosciamo da anni e meno ti affatichi meglio è. James non mi lascia più fare queste cose per lui e mi manca coccolare i miei figli-
Dorea non aveva guardato Remus, parlando, ma lui notò lo stesso che le sue dita strinsero spasmodicamente, per un solo attimo, la fetta di pane che stava imburrando proprio nello stesso momento in cui lo stomaco del ragazzo si strizzò al velato riferimento a Sirius.
Prima che potesse fare qualunque cosa oltre a prendere un respiro profondo la Signora Potter gli ficcò in mano una tazza di tè nero bollente e il pane tostato che lo tennero impegnato per qualche minuto; appena ebbe preso anche l’ultimo sorso di tè la donna sostituì la porcellana con una ciotola di porridge, e poi con un piatto con uova e bacon e un bicchiere di succo di zucca. Non parlarono più, lui si limitò a costringersi ad ingurgitare il cibo che lei gli offriva (imponeva sarebbe stato meno educato, ma più esatto) e lei si sforzò di guardare oltre la finestra per non metterlo in imbarazzo più di quanto le voci accalorate di James e suo padre già non facessero. Quando anche il bicchiere fu vuotato Remus lo strinse tra le mani con forza, fino a farsi sbiancare le nocche, e prese un respiro. Era il momento di assumersi le proprie responsabilità.
-Signora Potter, io… Mi dispiace tanto-
Ancora una volta le dita affusolate della donna giunsero nel campo visivo del ragazzo, che si ostinava a tenere lo sguardo basso, ma non per carezzarlo; si limitarono a sciogliere la presa ferrea di Remus sul calice incriminato, permettendo alla sua circolazione di riprendere a funzionare correttamente.
-Tu non hai nulla di cui dispiacerti, Remus. Sei l’unico, probabilmente, a non aver motivo per scusarti in questa situazione… Spiacevole. Nessuno di noi pensa che tu abbia colpe. Non fare l’errore di creartene di nuove, ti faresti solo del male-
Il ragazzo rialzò lo sguardo dalle sue dita vuote e lo posò sulla donna che aveva accanto; lei, senza scomporsi, gli sorrise genuinamente e si voltò ancora una volta verso il comodino.
-Io… Ho rischiato di far del male a delle persone, a James. Anche a voler… Ignorare ciò che sono…-
La signora Potter lo investì con lo sguardo più gelido e affettuoso che avesse.
-Io non ignoro nulla, Remus; ciò che il Preside è stato costretto a rivelare e me e Charlus questa mattina è ben stampato nella mia mente, credimi, e comprendo ciò che sei costretto a subire ogni giorno forse meglio di quanto tu possa immaginare. Non perché io sia più grande di te, o perché sono una madre. Semplicemente perché tu, se mi permetti di dirlo, hai una visione distorta di “quello che sei”, come dici tu. Perché tu ti vedi con gli occhi di una società che è bigotta e ignorante, ritenendo una colpa l’essere diventato una vittima del sistema malato che ci amministra e di cui mi rammarico di far parte. Io, invece, ti guardo e vedo un ragazzo forte, intelligente, con potenzialità enormi che è stato derubato della salute e delle possibilità che avrebbe dovuto avere e che comunque lotta e vince ogni giorno contro tutta la corruzione del Mondo Magico. Tu commetti l’errore di considerarti un colpevole, quando sei un martire.
E sono piuttosto certa che non faresti del male nemmeno ad un vermicolo, figurarsi a James. Tu, Remus, non gli faresti mai del male. E ciò che non puoi controllare non sei tu.
Dovresti rifletterci, dopo aver bevuto questa pozione-
Remus continuò a fissare la donna con la bocca semiaperta, incurante delle urla di James e della boccetta che gli era stata ficcata nelle mani ancora inerti, le guance rosse e gli occhi vacui, e venne risvegliato solo dall’uscita di scena del suo amico che, lasciandosi tutti alle spalle senza una parola, raggiunse a grandi passi la porta dell’Infermeria e se la sbattè alle spalle.
-Temo abbia preso la teatralità da me, perdonateci. Come ti senti, Remus?-
Charlus Potter, privo di sguardo deluso o di tracce di rabbia sul volto, si accostò alla moglie posandole una mano sulla spalla e corrucciando le sopracciglia mentre scrutava con attenzione e cura le fasciature  che sbucavano dai lembi del pigiama del ragazzo. Remus si sentì ancor più impaccciato da quell’indagine silenziosa e si affrettò a dire qualcosa anche solo per rompere quel silenzio carico di imbarazzo.
-Io sto bene, Signore-
Charlus sorrise al suo indirizzo, la preoccupazione non del tutto svanita dai suoi tratti forti; se fosse per lui o per il figlio fuggitivo, questo Remus non avrebbe potuto dirlo.
-Ne sono davvero felice. Io e Dorea eravamo piuttosto preoccupati, ma vedo che si è già divertita a farti da mamma oggi- fece in tono birbante, ammiccando all’indirizzo del vassoio della colazione svuotato.
-Con tanto di ramanzina, Signore- rispose Remus con un sorriso stentato, annusando la pozione e storcendo il naso. Un familiare luccichio divertito passò negli occhi verdi dell’uomo.
-Ah, bene, così io posso fare la parte dell’Auror buono!-
Remus ingoiò il liquido giallognolo e storse il naso per evitare di rispondere, ma la pacca decisa che lo colpì sulla spalla quando tossicchiò lo fece sentire un po’ meglio, assestandogli nella testa le parole pronunciate dalla Signora Potter qualche minuto prima e facendogli dimenticacre, per un attimo, tutte le sue sciagure.
 
-Ciao-
La porta del Dormitorio si chiuse alle sue spalle con un lieve cigolio e il suo saluto fece rizzare Peter sul suo letto, dove stava chino su un libro di Incantesimi. James rialzò la testa dal cuscino per fissarlo con occhi che sembravano enormi, non essendo velati dalle lenti.
L’aria sembrava appestata, viziata. Pesante. Remus non si era mai sentito così oppresso in quella stanza, nemmeno il giorno in cui i suoi tre amici l’avevano messo all’angolo e gli avevano rivelato con pochissimo tatto di essere a conoscenza del suo più oscuro segreto.
-Non ci hai detto che ti avrebbero dimesso oggi. Saremmo venuti a prenderti- disse James con aria rigida e tono monocorde, recuperando gli occhiali e ficcandoseli maldestramente sul naso per metterlo a fuoco. Remus rispose con un sorriso stanco, scuotendo le spalle per scrollarsi di dosso quella sensazione di cupo soffocamento.
-Madama Chips ha acconsentito a lasciarmi uscire solo mezz’ora fa, quando le ho promesso che sarei filato direttamente a letto-
James annuì, fissando i suoi occhi con attenzione quasi maniacale.
-Come ti senti?- fece Peter, apprensivo come sempre. Remus scrollò ancora le spalle, senza ottenere risultati soddisfacenti.
-Sto bene, mi ha risistemato in fretta ma ha voluto controllare che le ferite si rimarginassero prima di lasciarmi libero. Voi, piuttosto? Come mai siete rintanati qui?-
Peter lanciò un’occhiata eloquente a James, che sbuffò in risposta come se si stesse preparando ad affrontare per l’ennesima volta un discorso che considerava già ampiamente chiuso. In quel momento Remus si rese conto che c’era qualcosa che non andava nella stanza, oltre all’atmosfera tesa e claustrofobica. Qualcosa che gli fece mancare un battito.
-Dov’è Sirius? Dove sono le sue cose?-
Quando pronunciò il nome del quarto Malandrino l’espressione di James si contrasse istantaneamente in una smorfia rabbiosa e Peter abbassò lo sguardo sul libro che ancora reggeva tra le mani, pur avendo tutta l’aria di non vederlo davvero.
-È sparito. Se n’è andato dal Dormitorio, e penso che non frequenti nemmeno più la Sala Comune. Ci ha lasciati in pace- buttò fuori il moro con astio, ma Remus scorse benissimo la luce sofferente nei suoi occhi e la piega amara tra le sue sopracciglia. In quel momento, mentre annuiva sforzandosi di mandar giù il magone che gli ostruiva la gola e posava le sue cose sul comodono voltando le spalle ai suoi due amici, si sentì inspiegabilmente un po’ più vuoto, un po’ più solo di prima. E perfino un po’ meno arrabbiato con quel decerebrato di un Black.
 
Tentava di ascoltarla, ma ogni parola che la ragazza pronunciava arrivava attutita alle sue orecchie, e lui non riusciva a coglierne il significato, perso com’era nei suoi pensieri. Cercava di guardarla per leggere le sillabe dalle sue labbra, ma i suoi occhi si perdevano ad osservare il pulviscolo vorticante tra loro due, a studiarne il moto enfatizzato dalla luce, e non riusciva a vederla davvero. Semplicemente, non riusciva a concentrarsi. La sua mente rimaneva ferma ad analizzare i fatti di qualche sera prima, come aveva fatto pressoché incessantemente da quando si era risvegliato in infermeria con Sirius al suo fianco. Per quanto fossero passati giorni, per quanto avesse cercato di razionalizzare la situazione, non riusciva ancora a credere a ciò che era accaduto. Era ancora attonito, frastornato, come se stesse sognando e il sogno si fosse inceppato, procedendo al rallentatore. Doveva rallentare il mondo, doveva rallentare tutto, perché lui aveva bisogno di tempo per analizzare i fatti a mente fredda, e ormai cominciava a pensare che per capire come tutto ciò fosse potuto accadere gli sarebbe servita tutta la sua vita, dato che la sua mente invece di essere fredda ribolliva come la pozione nel paiolo…
-Rem? Mi stai ascoltando?-
-Oh, si, certo Lily!-
-Allora saprai dirmi quante volte è necessario girare la pozione in senso antiorario per ottenere una perfetta Bevanda della Pace-
-Lily, sai benissimo quanto faccio pena in pozioni…-
-Te l’ho appena detto Rem! E tu non stavi ascoltando! Non mi dispiace darti una mano, lo sai, ma non ci stai mettendo nemmeno un briciolo di impegno! E probabilmente sarà richiesta ai G.U.F.O.!-
Stavolta preferì rimanere in silenzio, per evitare di insultare l’intelligenza di entrambi. Abbassò lo sguardo verso il consunto tavolo di legno della biblioteca e si passò una mano sulla fronte. Sapeva di doversi comportare come se nulla fosse, ma gli riusciva difficile fingere con lei, una delle poche persone su cui poteva contare davvero.
Ah si, Remus? Puoi contare su di lei? E allora perché non le dici quello che stava per succedere appena una settimana fa? Perché non  le racconti cosa diventi una volta al mese e cosa stavi per fare la notte in cui avresti dovuto essere al capezzale della tua “morente” madre?
“Perché sono un vigliacco”, rispose la sua mente alla voce della coscienza, “E sono così debole che non riesco nemmeno più a fingere per bene di essere forte e normale. Un normale quindicenne. Un normale quindicenne mago. Un normale quindicenne mago Malandrino. Un normale quindicenne mago, Malandrino e Lupo Mannaro.”
-Remus… Dimmi cosa c’è che non va. Non sono stupida, so bene che qualcosa ti turba. Non ci vuole un genio a capirlo. Questo non sei tu. E qualsiasi problema tu abbia, puoi parlarmene, davvero. So di non essere all’altezza di Potter e Black, ma so ascoltare anch’io, sai?- scherzò sulle note finali, come per tirarlo su di morale.
Lui alzò lo sguardo dal legno scorticato, punto sul vivo da quel commento apparentemente innocente, e lo fissò negli occhi verdi di lei. Erano già pieni di dolcezza e comprensione, ancor prima che lui si confidasse.
“Forse potrei davvero dirglielo…”
Si, potresti. E allora lei sarebbe ancora così premurosa? Sarebbe ancora al tuo fianco sapendo che stavi per sbranare il suo migliore amico grazie a quel genio del tuo migliore amico? Sarebbe ancora pronta a sostenerti sapendo ciò che sei veramente?
Abbassò gli occhi ancora una volta.
-Lily, sto bene, davvero. Sono solo preoccupato per mia madre. Sai, sono stato da lei l’altro giorno, e peggiora sempre più…-
-Rem-
La sua testa scattò verso l’alto. La ragazza aveva  usato un tono allo stesso tempo deluso e rammaricato, come se lo biasimasse. Gli occhi verdi erano colmi di dispiacere, ma vi si leggeva anche una punta di risentimento.
-Mi dispiace che tu stia così male. So cosa significa avere problemi del genere, con la salute precaria di mio padre che ci tiene sempre in bilico, e io mi sento totalmente impotente perché nonostante la magia non posso aiutarlo in alcun modo. In più a ciò si aggiunge il resto, sai, tra l’essere una rinnegata per mia sorella e un rifiuto per la maggior parte delle persone qui nel Mondo Magico, il tutto per qualcosa che non posso controllare e non dipende assolutamente da me. Ho un’idea di come puoi sentirti, per questo ti dico che puoi parlare con me quando vuoi di tutto ciò che vuoi. Io ci sarò sempre per te, in qualunque caso, qualunque cosa accada, perché sei uno tra i miei migliori amici e nulla potrà mai cambiare questo-
Remus la fissò, faticando a tenere la bocca chiusa per lo sgomento. Era basito. Lei sapeva. Era l’unica spiegazione. Il messaggio che aveva volontariamente lasciato trapelare tra le righe, con la voce lievemente furente e la determinazione incisa nelle linee del suo viso, rivelava palesemente che sapesse benissimo che il problema non era, e non era mai stato, la fantomatica malattia di Hope Lupin. Aveva rimarcato il fatto che fosse lei, invece, ad avere un genitore malato, e Remus si sentì terribilmente colpevole per aver tentato di nascondersi dietro a una bugia tanto vile.
E non si era nemmeno lasciato sfuggire il riferimento al suo essere ghettizzata dal Mondo Magico a causa delle origini Babbane. L’analogia tra la situazione di Lily e la propria non avrebbe potuto essere più evidente di quanto l’avessero resa le parole della ragazza, e lui non era davvero così stupido da non cogliere le allusioni, se gli venivano sbattute sotto il naso con tanta brutalità.
Soprattutto, non avrebbe potuto dimenticare nemmeno impegnandosi le parole che si erano cementate nella sua mente. Lily non l’avrebbe abbandonato mai, in nessun caso. Il calore che gli riempì la mente a quella dichiarazione di fratellanza imperitura riuscì perfino a calmare il ribollire del calderone dei suoi tumultuosi pensieri.
Sei sicuro di non aver frainteso, di non aver capito ciò che desideravi lei ti dicesse?
Si, ne era sicuro. Guardando la fierezza con cui lei lo squadrava, severa, fu sicuro che tutto il discorso che Lily aveva pronunciato non era null’altro che una parafrasi di: “Inutile che ci provi, lupastro, io so tutto e tu non puoi e non devi prendermi in giro”.
Il senso di colpa tornò a farsi sentire più forte che mai, ferendolo mortalmente. Si sentì una persona orribile, un mostro, e per la prima volta nella sua vita non si giudicò tale a causa della sua Maledizione.
Si sentì un mostro per averle nascosto la verità, per aver dubitato di lei, per averla ferita non concedendole la sua fiducia, ma soprattutto per essere stato tanto vigliacco da non dirle che aveva quasi attaccato Piton. Che il suo migliore amico avrebbe potuto morire, e la causa sarebbe stata lui.
Non ci fu, a quel punto, nemmeno bisogno di prendere una decisione.
-Mi dispiace Lils. Ti andrebbe di fare una passeggiata, così ne parliamo con più… Calma?-
-Certo. Lasciamo pure qui i libri, torneremo più tardi-
La sua voce era ancora un po’ fredda, ma Lily si alzò comunque e lo seguì fuori dalla biblioteca, lungo i corridoi e verso il portone d’ingresso, tenendo il passo in completo silenzio. In mezzo al chiacchiericcio degli studenti che affollavano i corridoi della scuola i due formavano quasi una bolla, un mondo a parte privo della frenesia tipica di una scuola piena di adolescenti intenti a discutere di lezioni, compiti, Quidditch o ragazzi. Remus, una volta di più, si sentì lontano da tutti gli altri, isolato. Diverso.

Quando giunsero in riva al Lago Nero lui si sedette sull’erba  e lei si accomodò al suo fianco, tenendo lo sguardo fisso sui deboli raggi del sole che si infrangevano dolcemente sul pelo dell’acqua. Le temperature di febbraio erano rigidissime, in Scozia, e una brezza gelida accarezzava i loro visi e scuoteva le divise, eppure nessuno dei due diede segno di aver freddo. Rimasero qualche istante fermi come due statue, avvolti nel mantello a fissare il moto placido e ipnotico delle piccole onde che il vento creava sul pelo dell’acqua, poi il ragazzo si passò di nuovo una mano sulla fronte e, continuando a guardare il Lago quasi che quello riuscisse a riportare la calma dentro di lui, si risolse a parlare.
-Io sono un Lupo Mannaro- disse tutto d’un fiato, in modo da non poter più rimangiarselo. Lei non distolse gli occhi dalle piccole onde, ma Remus si accorse che si era impercettibilmente rilassata.
-Lo so- rispose semplicemente.
-Si, l’avevo intuito. Come… Come hai fatto a capirlo?-
-Ho fatto solo due più due. Ti conosco da cinque anni, e sparisci una volta al mese con una certa regolarità. È bastato ricavare lo schema e confrontarlo col calendario. Ovviamente non potevo esserne sicura, ma era una supposizione piuttosto fondata-
Remus la guardò dritta negli occhi e se ne sentì quasi inglobato, rassicurato; gli occhi verdi di Lily, colmi di comprensione e razionalità, lo portarono a raggiungere un nuovo livello di consapevolezza e si decise a vuotare il sacco raccogliendo tutto il fantomatico coraggio Grifondoro che ci si aspettava che lui possedesse, tutto il coraggio che gli sarebbe servito per affrontare l'ennesima complicatissima conversazione.
-Si, infatti. Mi… Dispiace non avertelo detto prima, ma è una situazione… Complicata. Sono cresciuto col timore che qualcuno lo scoprisse e mi denunciasse, che mi cacciassero da Hogwarts… Che perdessi tutto. Capisci perché mi riesce così difficile aprirmi? Perché non te ne ho parlato prima?-
Di nuovo una durezza inaspettata raffreddò i lineamenti della ragazza. Ecco, ora Remus si sentiva un po’ meno coraggioso.
-Si, certo, lo capisco. Ma tu dovresti conoscermi, Rem, avresti dovuto sapere di poter contare su di me. Come hai potuto pensare che ti avrei tradito?-
Lui prese un sospiro e abbassò il capo, incapace di reggere la delusione di lei. Di Lily, una delle poche persone che considerava davvero amiche.
-Pensavo che mi avresti allontanato. Che non avresti voluto più avere nulla a che fare con me, che la pensassi come la maggior parte della popolazione magica. Non potevo… Non potevo perderti, capisci?-
Si era voltato verso di lei, supplichevole. I suoi occhi erano pieni di vergogna e paura, imploravano, e lui ne era cosciente me per una volta non cercò di sopprimere le proprie emozioni. Lily rilassò i muscoli del viso in un sorriso caloroso e pieno di dispiacere, ma poi lo strinse in un abbraccio saldo che rimise a posto un po’ dei pezzi dell’anima di Remus.
-Rem. Come avrei mai potuto farlo? Sei la persona più dolce e gentile che conosca! Sei mio amico! Come avrei potuto abbandonarti per una disgrazia che ti è capitata, per qualcosa che sfugge a qualsiasi controllo? Proprio io, che per il mio essere Nata Babbana vengo insultata ogni giorno? Non puoi ritenermi così meschina!-
Doveva suonare forse come un rimprovero, ma le lacrime che Remus sentì sfiorare il suo collo e cadere sulla sua spalla rovinarono un po’ l’effetto che la rabbia nella voce della ragazza avrebbe voluto ottenere.
-Noi non siamo mostri, Rem, siamo persone. Persone che hanno lo stesso diritto degli altri di stare in questo posto e di camminare a testa alta. Non importa ciò che siamo, come nasciamo o cosa la vita ci riserva, ciò che conta è come noi sfruttiamo le nostre occasioni, e tu hai scelto di essere una persona splendida. Non hai colpe e io non ti abbandonerò mai. Ti voglio troppo bene.-
Remus sentì la voce sussurrata di Lily scaldargli l’orecchio e il cuore, e quando lei sciolse l’abbraccio la guardò asciugarsi le lacrime con gli occhi ambrati carichi di riconoscenza e affetto. Tutto quello che avrebbe voluto dire, che desiderava ardentemente rivelarle gli rimase incastrato nel groppo che gli serrava la gola.
Ci volle qualche istante prima che riuscisse nuovamente a parlare, ma non riuscì a guardarla in viso.
-Non è tutto qui. Lo scorso Plenilunio è successa una cosa, una cosa orrib…-
Una mano sottile si posò sul suo braccio.
-Lo so già. Ho sentito delle voci su Sev che si è cacciato in un guaio ficcandosi in un passaggio sotto un certo albero e ho fatto due più due. L’ho già detto, Remus, non è colpa tua, non puoi controllare certe cose. E so che stai per dire che sei pericoloso, ma non è colpa tua. Sei qui da cinque anni e non è mai successo niente, le misure di sicurezza sono perfette. Se qualcuno ha colpa, quello è Severus. Non si sarebbe dovuto immischiare in cose che non lo riguardano. Se lui non fosse così ostinato ad avercela con voi, con te, e non ti fosse venuto a cercare, non sarebbe successo niente.-
Remus tornò a guardare il Lago, incapace di rivelare la parte più angosciosa di tutta quella scabrosa vicenda affrontando direttamente il giudizio di quegli occhi che, nel bene e nel male, sarebbero sempre stati implacabili.
-Non è del tutto vero. Non sarebbe riuscito ad entrare se qualcuno non gli avesse detto come fare. E’… E’ stato Sirius a parlare. Era convinto che non avrebbe avuto il fegato di provare, l’ha fatto sottovalutando ciò che poteva succedere… E’ stato avventato. E se non ci fosse stato James a sistemare la situazione… E’ stato lui a salvare Piton, quando ha scoperto cosa era successo. Ha rischiato di rimetterci la pelle, per salvare Piton. Non… Non parla più a Sirius. Non so se te ne sei resa conto. L’ha preso a pugni per quello che ha fatto, e ora non gli rivolge la parola. E io… Io non so cosa fare. È per questo che ero tanto distratto oggi-
Remus si rese conto di non riuscire più a smettere di parlare, dopo aver rotto gli argini. Si ritrovò a vomitare addosso a Lily tutto ciò che più lo angustiava, rovesciando fuori tutti quei sentimenti che lo stavano logorando e che non avrebbe mai potuto rivelare a nessun’altro. Improvvisamente il coraggio non serviva più.
Lily, da parte sua, rimase in silenzio ad ascoltarlo, immobile come se fosse stata pietrificata, come ogni volta in cui si concentrava totalmente su qualcosa, mentre le parole cominciavano a riversarsi di nuovo dalle sue labbra.
-Non so come comportarmi con lui. Con entrambi. Dovrei odiare Sirius, stavo per uccidere una persona, o peggio, per la sua sbadataggine, ma non ci riesco. Gli voglio troppo bene. E questo mi fa stare solo più male. Io… Io gli ho detto delle cose orribili. Ho provato soddisfazione, piacere, nel ferirlo. Ho mentito e l’ho fatto solo per fargli del male, ho usato la conoscenza che ho di lui, del suo carattere, del suo vissuto e dei suoi sentimenti… Ho usato l’amicizia che ci ha legati per fargli più male che potevo. E James… Come si fa ad immaginare un Sirius senza un James? Come potrà tornare tutto com’era dopo tutto questo? Io… Non posso perderli. James, Sirius, Peter, loro sono… Sono tutto ciò che ho. Hanno fatto così tanto per me, così tanto… E ora sta andando tutto in malora… E io non so che fare…-
Remus si afferrò la testa con le mani, le dita solcarono i capelli castani a ripetizione, tirandoli e rilasciandoli per scaricare la tensione. L’ansia si era avvertita distintamente nella sua voce, durante lo sfogo di poco prima. Era profondamente, realmente disperato e non era più capace di nasconderlo.
Una mano si posò sopra le sue, ad accarezzargli la testa, e un braccio avvolse le sue spalle. Sollevo il capo e trovò due occhi verdi incorniciati da capelli incredibilmente rossi che lo scrutavano, pieni di lacrime che sapeva non sarebbero mai cadute e al tempo stesso colmi di determinazione.
-Si sistemerà tutto. Te lo prometto, non li perderai. Te lo giuro, Remus, tutto andrà per il verso giusto. Tutto si risolverà. Non perderai mai i tuoi amici.-
Lily lo strinse a sé come se fosse un bambino da rassicurare con promesse cantilenate all’orecchio e carezze sulle spalle. Per un istante Remus provò il feroce desiderio di tornare un bambino, un bambino di quattro anni che ancora non aveva conosciuto il dolore dei morsi del Lupo; poi si rese conto con una stretta al cuore che ciò che più bramava, per la prima volta da quando era cominciata la sua vita da Licantropo, non era più essere normale. Non era più tornare umano.
Era ritrovare i Malandrini.
 
Note:
questa storia, come il titolo dovrebbe chiarire, era già stata postata prima ancora che potessi immaginare che mi sarei trovata un giorno a scrivere "La Chiave di Volta". Mi è stato chiesto da matilde22 di ampliarla e rivederla, per inserirla nella serie "Other Voices", come premio per aver risolto l'indagine sulla spia nella long. Questa è l'ultima delle tre One Shot premio create per i primi tre lettori che hanno indovinato l'identità dell'infiltrato.
Ho tentato di spostare qui le recensioni che erano state fatte alla precedente versione prima di eliminarla, ma non i sono riuscita. Mi dispiace davvero di aver perso le vostre opinioni, ragazzi, perdonatemi!
Spero di riuscire a postare il nuovo capitolo della long domenica.
Grazie infinite a tutti voi che leggete, e un grazie speciale lo dedico,oggi, a matilde22.

 
   
 
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