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Autore: MisterXPaulPollo    11/02/2017    0 recensioni
Sono nato un venerdì.
Il tredici di un venerdì di Maggio, alle ore 17:00.
Ho la sfiga impiantata addosso come Wolverine l'adamantio.
Sono talmente sfigato che stamani, nel tentativo di avvelenare il latte del mio schifoso coinquilino infetto, non mi sono accorto che il figlio di puttana aveva invertito le tazze.
Risultato.
Ho avvelenato il mio latte.
La mia tazza adesso è infetta.
Il latte di riso è finito.
Oggi muoio.
Genere: Commedia, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo VII

11/08/2014 – Londra, Chatham St – Ore 16:11

Non mi è ancora chiaro il perché di tutto questo.
Sedici giorni passati a socializzare come due vecchi amici su un social network che puzza di falsità ed emoticon, per poi fissare un incontro in un parco.
E se non è come nelle foto?
Con Skyler me la sono cavata egregiamente, nonostante quelle due cose appiccicate al petto, ma con lui?
È un uomo.
E se quest’ammasso di belle parole, altro non è che Lui?
No, Lui non poteva essere capace di dipingere.
Richard dipingeva, disegnava, osservava.
Come me.
È un artista, forse è questo il motivo che mi ha spinto a chiedergli di poterlo osservare. L'arte è sempre stato oggetto dei miei interessi, forse perché anche i quadri, come me, sono muti. Immagini silenziose con tanto da trasmettere, immagini immobili, ferme nel tempo come un orologio. Strane, complesse e bellissime. Non so bene cosa aspettarmi da questo incontro, non riesco ad immaginare niente. È tutto un mistero, un'incognita. Sospiro appena, mentre entro nella mia stanza per recuperare il taccuino e la penna, amici e confidenti immancabili nella mia vita, le parti fondamentali del mio corpo.
Non penso che li userò molto, non voglio disturbarlo mentre osserva quelle persone così complesse per la mia mente forse troppo fragile, e le riporta sul taccuino con la semplice graffite.
Improvvisamente sento vibrare la tasca destra, tasca in cui custodisco il telefono. Un messaggio da parte dell'Artista. Sì, lo avrei chiamato così, è un bel soprannome. Adesso però devo proprio scendere, non posso farlo aspettare tanto, dopotutto si è pure preso la briga di passare a prendermi sotto casa.
Esco dalla camera con un passo piuttosto svelto, prendendo le chiavi dalla tasca sinistra dei pantaloni per poter chiudere la porta una volta uscito di casa. Voltandomi, lancio uno sguardo carico d’odio nei confronti dell’ascensore, certo del fatto che se fossi entrato, si sarebbe sicuramente fermato.
La sfiga io ce l'ho nelle ossa.
Come Wolverine l’adamantio.
Aperto il portone dell'appartamento, il mio sguardo si posa immediatamente su quella figura poggiata contro la carrozzeria di quella punto grigia tirata a lucido.
Richard, un uomo dai capelli neri ed arruffati, occhi grandi dal taglio lievemente asiatico nonostante il suo essere austriaco, labbra carnose, lineamenti del volto delicati sebbene fosse un uomo, ed una fossetta sul mento.
Richard, un uomo dalla figura snella ed un collo sottile e lungo.
Un uomo alto. Decisamente alto.
Richard, una giraffa.
Alzo la mano destra all’altezza del petto, agitandola appena in segno di saluto, per poi abbandonarla tra i miei capelli forse troppo chiari.
I suoi occhi color nocciola a quanto pare hanno appena finito di analizzare la mia intera abbagliante figura e, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, sorride. Forse per ricambiare quel mio saluto stitico, o forse solo per cortesia, ad ogni modo la dentatura ora lascia spazio alle corde vocali, e le mie mani corrono ormai abituate, al taccuino quasi pieno ed alla penna gelosamente custodite nella tasca posteriore destra dei pantaloni.

« Ciao Paul. Volendo fare le presentazioni ufficialmente, sono Rich, e tranquillo non ti stringerò la mano. »
“ Mister X, o Pollo, o Paul. Chiamami come vuoi. Senti, questo silenzio forzato non ti infastidisce? Voglio dire, non capita tutti i giorni di interagire con un muto, capisco che possa essere complesso.. ”
« Mister X... Perché Mister X? Sono curioso.
E no, perché dovrebbe infastidirmi? È solo complesso, come hai scritto tu. »
“ Mister X è il mio mentore. È il personaggio di un libro che ho letto fino alla nausea. Quel libro sembra quasi una biografia. È il mio nome da assassino, comunque. Ancora non ho ucciso nessuno però, è difficile se sei perseguitato dalla sfiga... ”
« Non è la prima volta che lo dici, ma sei davvero serio quando parli di uccidere? »

La penna si blocca di colpo a quella domanda, e il mio sguardo vola verso quello della giraffa che ho ora di fronte a me, ad una distanza minima di sicurezza di almeno sessanta centimetri. Abbastanza per permettergli di leggere in quel taccuino pieno di parole scritte con quella grafia che non sembra causargli alcun disturbo visivo o perplessità, ma la cosa non mi stupisce. Già dalla prima infanzia ho imparato a gestire la mia calligrafia in modo chiaro e lineare, in modo che tutti avessero la possibilità di capire ciò che scrivevo. Anche se non molti si fermavano a leggere ciò che volevo esprimere. Era frustrante, a volte lo odiavo, poi semplicemente mi rassegnavo al mio silenzio. Abbasso nuovamente lo sguardo sul mio fedele compagno cartaceo e, con l’ausilio dell’indice, volto pagina per continuare a scrivere e quindi rispondere.

“ In questo modo quella puttana di mia madre mi noterà, no? Se uccido qualcuno, finirò nei telegiornali, quotidiani, internet. Sarà impossibile per lei non notarmi, giusto? Deve vedere cosa è uscito fuori dal suo ventre, deve vedere che anche io esisto, tutti devono vedere che anche un muto è capace di compiere gesti che potrebbero sconvolgere la quiete pubblica a cui tutti sono ormai abituati. Non lo faccio per la gloria, non mi importa di finire in carcere, voglio solo dimostrare che anche una persona silenziosa, può produrre rumore e confusione. Ancora non sono riuscito nell'impresa, la sfiga mi perseguita da quando sono nato e sta facendo di tutto per impedirmi qualsiasi gesto sconsiderato voglia compiere. Omicidio, suicidio, niente di tutto questo pare essermi concesso. Esilarante, vero? ”
« Ed hai intenzione di uccidere me? »

Esito nel rispondere a quella domanda posta con un tono di voce così calmo e naturale, da far gelare perfino i suoi occhi nocciola dallo stupore.
Abbasso velocemente lo sguardo verso la mia mano destra, diafana e fredda, immobile di fronte allo spettacolo offerto dalle nocche desiderose di mostrarsi in tutta la loro rigidità.

“ No, non sei tu il mio bersaglio. Ho provato ad uccidere altre persone senza successo, ma ho capito che c'è solo una persona che vorrei davvero uccidere.
Io, voglio uccidere la persona che ha gettato inchiostro sulla mia vita, la persona che mi ha fatto ammalare. ”

Un lungo momento di silenzio si fa spazio tra noi adesso, nessuno dei due parla o scrive, nonostante l’Artista mi abbia gentilmente invitato solo con i semplici gesti delle mani a salire in macchina per raggiungere il luogo dell’appostamento.
I nostri sguardi si scontrano come le vetture di un autoscontro.
La curiosità mal celata di lui, ed il mio peggior incubo.

11/08/2014 – Londra, Green Park – Ore 17:50

La fantomatica panchina, quella in legno scuro con rifiniture in ferro, la numero ventitré di altre non so quante, probabilmente anche lui ha perso il conto, collocata in una zona un po’ isolata rispetto alle altre, riparata dalle foglie di una grande quercia. Il che costituiva un valido riparo per la mia pelle lattea dai temibili raggi ultravioletti, portatori di tumori.
Non ho ben chiaro da quanto tempo siamo seduti su quella panchina ad osservare chiunque attirasse l’attenzione del ragazzo seduto alla mia sinistra, con la sua borsa ed un bel pezzo di panchina a delineare un confine che non ho intenzione di superare, ma quella quiete mi piace, come trovo interessante l’attenzione per tutti quei dettagli che spesso noto solo io.
È piuttosto semplice capire quando il suo sguardo agguanta la preda come un felino, perché inizia a seguirne la sagoma fin quando non ha tutti i dettagli necessari per poter proseguire con il carboncino, e quando la punta nera poggia sulla carta, i lineamenti sul suo volto si rilassano come se stesse dormendo.
Non so bene come spiegarlo, ma non mi sto annoiando in sua compagnia, al contrario.
È interessante osservare l’osservatore mentre svela alla carta la sua abilità nel marchiarla, ma al tempo stesso non posso in alcun modo venire meno alla mia promessa e disturbarlo. Insomma, mi aveva concesso quel privilegio, no?
Mi sporsi lievemente verso di lui, non riuscendo però a vedere bene dalla lontana posizione in cui mi sono messo. Devo avvicinarmi se voglio sperare di poter cogliere ogni movimento eseguito dalla sua mano. Sì, devo avvicinarmi cercando di non fare movimenti bruschi o azzardati, per questo a malincuore strusciai i pantaloni sulla panchina per raggiungere una posizione ideale dal quale sporgermi senza alcun problema. La sua mano così concentrata nello schizzo, porta la mia mente a ricordare il fallimento del mio tentativo di trasformare le parole in figure.
Ne uscì un ammasso di faccine e omini stecco.
Davvero imbarazzante.
Le mani restano immobili sopra le cosce, le dita strette attorno alla costola del taccuino ed alla penna nera.
Se il moro non avesse alzato il carboncino dal foglio, trasalendo forse per la mia inaspettata vicinanza a lui, probabilmente quel momento così pacifico, come sospeso nell’aria, non sarebbe mai terminato.
D’altro canto quella sua reazione mi ha sparato nuovamente in quella realtà malata che mi circonda, costringendo il mio corpo ad assumere la stessa flessibilità di un pezzo di marmo. O di un salmone appena congelato.
Richard scuote la testa, dipingendo sul suo volto un sorriso caldo che accompagna la mano con il foglio di carta appena disegnato, nell’ora breve distanza che separa i nostri corpi. Devo ammettere che Richard ha un bel sorriso, cosa a me sconosciuta. Avevo riso solo un paio di volte durante i miei venti anni di vita, forse troppo pochi per essere davvero catalogati come sorrisi o risate dal profondo dell'anima.
I suoi occhi invece sembrano fremere di curiosità, aspettando forse una mia opinione sul frutto del suo lavoro e della sua attenzione per i dettagli.
Mi affretto ad osservare il disegno di quella ragazza di media statura che perfino io ho notato. Capelli rossi, forse tinti, con una treccina di fili colorati, maglietta legata sopra l’ombelico, jeans corti, scarpe sportive ed un cerotto sulla guancia destra. Quello probabilmente è il dettaglio più insignificante di tutti, ma non riesco a spiegare la strana felicità che ho scatenato negli occhi di Richard indicando proprio quel cerotto.
Io ho scatenato quel sorriso caldo e smagliante?
Sul serio?
A quanto pare, a Richard non servono parole per esprimere un parere sul suo disegno, sembra felice già solo per il fatto che ho notato quel particolare e, in qualche modo, quel suo sorriso sta scaldando anche me.
Lo sguardo del moro torna dopo pochi attimi ad osservare l’affluire delle persone che ora più che mai sembra percorrere il manto erboso del parco, con i suoi sentieri e gli animali lasciati liberi.
Un senso di pace che non ho mai sperimentato, uno strano fastidio alla bocca dello stomaco che non posso accomunare a nessuna delle malattie che ho letto sui libri.
Che diavolo è questa leggerezza addominale che sento?

11/08/2014 – Londra, Green Park – Ore 18:30

Strana successione di eventi quella che ha preceduto la passeggiata verso il tavolino esterno dello starbucks che abbiamo occupato.
Richard mi ha regalato un taccuino nuovo dopo che, come da tradizione, ho bruciato quello ormai terminato. Poi la signora anziana ricurva su sé stessa, che custodisce gelosamente una busta di carta dalla quale ogni trenta secondi distribuisce briciole di pane alle papere ed ai piccioni che popolano il parco.
Sul momento ho pensato che era solo uno strano hobby, poi la mente ha deciso di scavare all’interno di quella figura, ed è volata via con la fantasia. Non sono riuscito a staccare gli occhi di dosso da quella donna.
Soffre, lo posso capire dall'aria stanca che il suo volto emana, dalla poca voglia che ha di gettare briciole ai piccioni affamati.
È stata privata dell'unico uomo che ama, probabilmente stroncato da una malattia che non lascia spazio alla speranza. Si reca tutti i giorni al parco per ripetere i gesti dell'amore della sua vita, come a volerne onorare la memoria. Fantasia, di certo ne ho troppa, ma ciò che davvero mi ha impedito di staccare gli occhi da quella figura stanca e ricurva, è quel pensiero che ancora adesso ronza nella mia mente come una fastidiosa zanzara.
Anche lei, come me, è morta dentro.
Ed infine il disegno di Richard, i miei tratti impressi nella carta perché, come sostenuto da lui, mi trova interessante.
Quel pensiero mi frulla ancora nella testa, ed è con questo pensiero che aspetto con ansia il mio tè verde, i cui polifenoli prevengono la formazione del cancro.
Un vero toccasana.

« Eccomi qua! Scusa se ti ho fatto aspettare, la fila sembrava non finire più. »

Alzo lo sguardo verso l’Artista che poggia la bevanda terribilmente vicino alla pelle nuda delle mie braccia, avvertendo lo spostamento d’aria fin troppo vicino all’inesistente peluria degli avambracci, ma la successiva vicinanza con il suo volto mi porta a trattenere il respiro.
Richard, seduto di fronte a me, nel compiere il gesto si è avvicinato tremendamente al mio volto afflitto da quella terribile dermatite. Sicuramente il suo occhio attento si è posato sulla mia pelle flagellata, non può dare ragione ai medici che si ostinano a dire che non ho proprio un bel niente.
Torno a respirare solo quando i polmoni iniziano a bruciare all’interno delle mie ossa malate, e là incontro lo sguardo di Richard, un misto di curiosità e preoccupazione, probabilmente ha percepito il mio irrigidimento.

« Tutto bene Paul? Sei diventato ancora più bianco di quanto già non lo fossi. »
“ Sì, sì sto bene. Scusa, è che non sono abituato a tutta questa attenzione o vicinanza. Permetto solo a Noah di avvicinarsi così tanto. ”
« Noah? Perdonami se sono indiscreto, ma credo che ormai tu abbia capito quanto sono curioso. »
“ Non sei indiscreto, anche io sono molto curioso per mia sfortuna. Noah è mio fratello. Io tra i due sono il figlio di puttana, nato da una relazione extraconiugale tra un grande imprenditore, e la sua segretaria. Noah è il figlio legittimo di quell’uomo, abbiamo la stessa età, ma io sono il maggiore per poco più di un mese. Lui mi è sempre stato vicino, lui sa tutto, sa anche il linguaggio dei segni. Mi manca mio fratello, ma non mi manca affatto New York. ”
« Quindi è come se avessi un gemello, no? Insomma, avete la stessa età e condividete qualsiasi cosa..
Anche mio fratello non è proprio a portata di mano e sì, spesso ne sento anche io la mancanza, però ogni volta che ci vediamo, non so, mi sembra speciale. »
“ Una specie. Lui è alto, ed io sono un nano. Lui è sano, ed io sono malato. Lui ha i capelli neri, ed io sembro albino. Lui non è nato da una fogna, io sì. Siamo entrambi nati a Dublino. Lui parla, io no. È anche bravo a cucinare, riesce sempre a riempire il mio insaziabile stomaco.
Sembro anoressico, ma ti assicuro che mangerei anche il buio se potessi farlo. ”
« Io e Tim siamo molto simili invece, ma lui mangia il triplo di me ed è anche più magro, forse. E lui sa andare in bicicletta perfettamente. »
“ Se ti può far stare meglio, io non sono mai andato in bicicletta. Ho sempre avuto paura di cadere, perché se mi fossi fatto seriamente male, nessuno se ne sarebbe accorto. La bicicletta è il miglior modo per permettere ad uno sconosciuto qualsiasi di analizzarti il cervello su un marciapiede. Perché sì, io mi spaccherei la testa. ”

Afferro quel bicchiere di cartone con la mano destra, trovandolo forse troppo caldo per la mia pelle. Non è un caso il rossore improvviso che mi colora la parte interna delle mani e le guance. Il surriscaldamento del corpo non va bene per il mio fisico malato, ma quel torpore è incredibilmente piacevole in un momento come quello, e non è la prima volta che mi concedo un lusso simile. L’Artista ha lo sguardo divertito per il mio racconto, sono più che sicuro che la sua mente sta già visualizzando il mio cervello stampato sul marciapiede come la foto di una polaroid, ma ciò non trattiene le sue labbra dal muoversi.

« Mai salito su una bici? Davvero? Io ne vado pazzo, ma non riesco a controllare tutto. I freni, il manubrio, i pedali, il campanello, le macchine, i sensi unici... Eh sì, i sensi unici sono la mia più grande difficoltà in bici. Non ne hai idea. »

Le mie palpebre si aprono a quel terrificante racconto, e la mente si focalizza sull’immagine di una bicicletta che si schianta rovinosamente sul portabagagli di una macchina, o che abbraccia il cofano di un pullman in un senso unico.
Poso velocemente la tazza sul tavolino, rischiando quasi di rovesciare il contenuto bollente ed ustionarmi una mano, ma è di vitale importanza che io comunichi a quell’uomo i pericoli a cui va incontro ogni volta che le sue chiappe si posano sul sellino di quello strumento di morte.

“ Come diavolo fai a non smettere di andare in bicicletta se tutte le volte che ci monti rischi la vita? Non sei terrorizzato? Io non riuscirei mai a fare una cosa del genere, come fai? Spiegamelo! ”
« Terrorizzato? No, la mia bici non mi ha mai tradito, semmai sono io che le ho fatto prendere qualche bella botta. No, no, non ho proprio paura di questo, non so bene come spie... »

Come spie?
Che diavolo sta dicendo, perché non termina la frase?
E perché i suoi occhi si sono abbassati sulla sua mano destra?
Agitazione.
Panico.
La mia mano sinistra sopra il dorso della sua destra. Quando è successo? Perché non mi sono accorto di niente?
Il mio sguardo si alza sul suo, non riesco a recidere quel contatto che ho creato involontariamente, perché la mia mano invece di staccarsi, di ritirarsi come suo solito, stringe maggiormente la presa?
Non controllo il mio corpo, la mano destra sembra impazzita sul taccuino, la penna completamente fuori controllo, non leggo neanche ciò che sto scrivendo.

“ Scusa... Scusa... Scusa... Scusa... Scusa... Ti sto trasmettendo malattie... Sto aiutando germi e batteri a prolificare su di te... Sono malato... Non voglio... Scusa... ”

Cerco di interpretare una qualche espressione sul volto dell’Artista, ma è tutto così complesso in quel momento.
Ho paura.
Il volto di Lui potrebbe accavallarsi su quello di Richard in qualsiasi momento, non voglio che accada, Richard non è Lui.

« Paul, Paul è tutto a posto. Credo che la maggior parte delle malattie non venga trasmessa attraverso le mani. Non è un problema, cerca di calmarti. »

Calmarmi, sì è questo che devo fare, respirare e stare calmo, respirare e stare calmo, respirare e ritirare la mano.
Respiro lentamente, i polmoni bruciano, i muscoli sono tesi e fanno male, ma devo mantenere la calma.
Lo guardo ancora una volta, la mia espressione lentamente cede spazio a quella calma obbligata.
I muscoli ed i nervi della mano si rilassano lentamente, la tensione abbandona le mie membra, sul volto dell'Artista, adesso si accavalla l'espressione di Noah.
Schiudo le labbra, le muovo per un breve istante.
Sto parlando, quel fastidioso sibilo rauco udibile solo da un orecchio molto allenato esce dalla mia bocca, poi la chiudo, e serro con forza le labbra.
Non recido il contatto con quella mano, Richard aveva detto che non potevo fargli del male, e non ne avrebbe fatto a me dato che è pulito.
Richard non è Lui.
Richard non è Lui.
Richard non è Lui.

« Paul, stai bene? »

Dentro di me sto affrontando una lotta interna senza precedenti, da una parte voglio recidere quel contatto, dall’altra è come se non posso farne a meno.
Abbasso lo sguardo sulla mia mano, ora tanto fragile ai miei occhi da eguagliare un cristallo. Sono certo che se l’indice della mano destra la toccasse, quest’ultima si staccherebbe dal polso, e probabilmente senza neanche versare una goccia di sangue.
Respiro a fondo, riuscendo a trovare la forza per guardare l’espressione dipinta sul suo volto, ma ciò che vedo è solo un lieve rossore sulle guance e le sopracciglia inarcate per dare una marcia in più a quello sguardo preoccupato.
La mano destra, che mai ha abbandonato la penna in quel terrificante frangente, si posa ora sul taccuino, per scrivere cosa, una frase? Una confessione? Non ne ho la minima idea, e sinceramente neanche mi interessa.
Chissà quale tipo di espressione si è invece schiantata contro la mia faccia.

“ È stato un movimento inconscio trasmesso dal cervello ai nervi della mano. Non era mia intenzione toccarti.
Questo contatto mi spaventa, ma è anche strano. Prima, mi hai ricordato Noah, una persona che non mi farebbe mai del male, la persona che ha capito ed accettato la mia situazione. I tocchi di Noah sono gentili, lenti, non bruschi e violenti come quelli di Lui. I tuoi tocchi, Artista, come sono? Sono come quelli di Noah? O come quelli di Lui? Ho paura di scoprirlo, ne sono terrorizzato, ma ormai avrai capito che sono curioso. Sono ad un bivio, e non so quale strada prendere. È una situazione fastidiosa e paurosa. ”

Vedo le labbra di Richard che si schiudono, per poi richiudersi subito dopo, senza emettere alcun suono.
Non parla, la sua stessa figura è immobile, tranne il volto.
Mi regala un nuovo e delicato sorriso, forse l’ennesimo da quando è venuto a prendermi sotto casa, poi il mio sguardo stupito si posa sulla mano ancora posata sulla sua, e sul movimento che sta compiendo.
Il suo palmo adesso coincide con il mio, ma il suo pollice mi accarezza il dorso con un movimento fluido, deciso ma gentile allo stesso tempo. Come una pennellata.
Non era il tocco di Noah.
Non era il tocco di Lui.
Che stupido che sono.

“ Il tuo tocco, rispecchia ciò che sei. Un artista. ”
« Il tuo tocco invece com’è? »

Il sorriso sul suo volto non smette di allargarsi, così come i suoi occhi non smettono di brillare e il rossore sulle sue guance di accentuarsi.
Chissà se anche io sono arrossito, chissà se l’innalzamento della temperatura corporea è ancora dovuto alla bevanda eccessivamente calda.
Il mio tocco? Istintivo, sbadato, delicato.
La sua mano libera si posa delicatamente sulla mia sinistra, mozzandomi il fiato per una manciata di secondi.
Titubante, la mano destra abbandona la penna e si avvicina con l’indice al dorso della sua grande mano.
Respiro profondamente prima di posare appena la punta del mio indice sulla sua pelle, tracciando linee forse confuse che però hanno un senso.

- Grazie. -

Ritiro immediatamente il dito dopo quella breve trascrizione, e alzo lo sguardo per posarlo sull’espressione stupita di Richard che mi guarda come se non mi avesse mai visto.
Solo la superficie riflettente di uno specchio avrebbe potuto mostrarmi quel lieve accenno di un delicato sorriso, dipinto sulle mie inconsapevoli labbra.
   
 
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