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Autore: revin    13/02/2017    0 recensioni
Tornare alla vita di sempre non sarà facile per Gwen. Il ricordo di Michael continua a tornarle in mente, così come quello dei mesi trascorsi a Fox River. Senza contare i due galeotti che sembrano non riuscire proprio a starle alla larga e un segreto dietro l'angolo pronto a travolgere tutto e tutti.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo essere stata riaccompagnata in cella, la giornata proseguì lenta e mortalmente noiosa, proprio com’era accaduto nella giornata precedente.

L’evasione degli 8 galeotti aveva portato fuori da Fox River un bel po’ di mele marce e reso la mia permanenza in carcere molto più vivibile. Scomparse le molestie di T-Bag e le minacce di Bellick, la vita nel penitenziario era diventata improvvisamente “monotona”.
All’ora di pranzo avevo come al solito raggiunto il mio posto a mensa e afferrato il giornale per aprirlo alla pagina di cronaca, iniziando a leggere incurante dei presenti. In uno degli articoli si faceva riferimento al fatto che l’evasione degli 8 uomini sfuggiti al carcere di massima sicurezza di Joilet avesse sollevato un gran polverone, in particolare perché tra gli evasi spiccava il nome dell’uomo che era stato additato come l’assassino del fratello dell’attuale presidente degli Stati Uniti, assassino che quella stessa settimana sarebbe dovuto salire sulla sedia elettrica. In ragione di ciò, la cattura dei pericolosi 8 era stata affidata all’agente speciale Alexander Mahone, in servizio al Bureau da 14 anni e con alle spalle una decennale esperienza riguardo alla psicologia e alla cattura degli evasi.

Il fatto che il caso fosse stato affidato a Mahone era già di per sé una pessima notizia. Speravo solo che Michael non lo sottovalutasse perché sarebbe stato un grosso sbaglio.
Due mesi prima quando quello strano poliziotto era comparso sulla mia strada, avevo dato per scontato di poter mettere nel sacco lui come avevo già fatto con tutti gli altri, ma avevo commesso l’errore di sottovalutarlo. Non avevo capito quanto quell’uomo potesse essere astuto e attento. C’era qualcosa in lui che mi spaventava. Mahone era in grado di entrare nella psicologia dell’uomo, del criminale in particolare. Non sapevo come ci riuscisse, ma lui riusciva a mettersi nei panni altrui, prevederne in anticipo le mosse. Era un uomo molto pericoloso se schierato dalla parte opposta alla propria. Io lo sapevo bene.

La mattina seguente, come mi era stato preannunciato, venni prelevata dopo colazione e scortata in una stanzetta 3 metri per 6. Dentro, solo un tavolo fissato al muro e qualche sedia.
Sapevo che da un momento all’altro mi sarei vista spuntare quella faccia di bronzo di Mahone e non ero tranquilla. Mai come allora avrei desiderato trovarmi al secondo livello china a strofinare cessi. All’improvviso la mia postazione di lavoro risultava profondamente allettante.
Nell’istante in cui la porta alle mie spalle venne aperta però, sulla soglia non vidi l’odioso poliziotto come mi aspettavo, bensì Patterson tallonato dal mio patrigno, Keith Sawyer.
La guardia ci lasciò immediatamente da soli. 
  • Keith, grazie al cielo!  -  esclamai sollevata.
L’uomo ricambiò il mio saluto a disagio. Era stanco e affaticato dal viaggio, questo era evidente, come d'altronde era evidente quanto fosse seccato all’idea di essere stato richiamato a Fox River prima della mia scarcerazione.
  • Rieccomi nell’Illinois prima del previsto.  -  bofonchiò, evitando volutamente di avvicinarsi e di abbracciarmi come avrebbe fatto in ben altra circostanza.  -  Si può sapere che altro è successo e perché quel dannato poliziotto è ripiombato nelle nostre vite?
  • Non hai letto i giornali? E’ lui che si sta occupando della cattura degli evasi.
  • Ci mancava solo questa.  -  disse, marcando la voce con rabbia.  -  Un’evasione proprio qui a Fox River… e che evasione…
Era proprio arrabbiato.
  • Keith…
  • No, niente Keith! Cristo Santo Gwyneth, manca una settimana alla tua scarcerazione!  - 
L’uomo mi fissò scuotendo il capo con espressione furiosa. Se fossimo stati soli, o meglio, se avessimo avuto la certezza di non essere osservati da qualche telecamera nascosta o diavoleria elettronica simile, Keith avrebbe smesso di trattenersi e mi avrebbe urlato contro.
  • Hai idea del perché Mahone voglia interrogarti?  -  continuò cercando di controllarsi. 
  • Immagino pensi che sia coinvolta nell’evasione e che voglia scoprire se so qualcosa.
Lo vidi assottigliare gli occhi pronto ad aggredirmi.  -  Stai nascondendo delle informazioni relative all’indagine?
  • Noo, assolutamente no!
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, il mio sarebbe stato il prossimo cadavere al centro di quella stanzetta polverosa.
All’improvviso, la porta alle nostre spalle venne nuovamente aperta. Io e Keith ci voltammo nello stesso momento verso l’agente speciale Alexander Mahone appena arrivato.
Dal giorno in cui lo avevo conosciuto, non ricordavo di aver mai visto quell’uomo vestito con nient’altro che non fosse un vestito coordinato di tutto punto, lindo e pinto in ogni dettaglio. Nei suoi 42 anni già compiuti, Mahone era senza alcun ombra di dubbio un bell’uomo, di classe. Un viso pulito, affilato come un’accetta e occhi blu marino dallo sconcertante guizzo scherzoso, a tratti addirittura amichevole. Eppure da quell’uomo traspariva una netta contraddizione tra il suo viso e la sua figura che a volte lo faceva sembrare più vecchio di quanto non fosse, non sapevo dire se dipendesse dalla sua professione, dalle esperienze vissute o più semplicemente dall’opinione che avevo. C’era qualcosa di enigmatico in lui, qualcosa di segreto.
  • Buongiorno. Signor Sawyer, grazie di essere accorso come le avevo chiesto, è un piacere rivederla.  -  esordì il poliziotto, sfoggiando modi gentile e affabili e offrendo la mano al mio patrigno a mò di saluto.
Keith non ricambiò il gesto. Aveva ancora un’espressione lapidaria dipinta in volto.  -  Mi comprenderà se non condivido il piacere.  -  Solo lui poteva odiare Mahone più di me.  -  Cerchiamo di arrivare subito al punto, per favore. Perché siamo qui?
 
Il poliziotto indicò le sedie perché prendessimo posto. Né io né Keith ci muovemmo.
  • Come avrà già saputo dai giornali e dalle televisioni, 3 giorni fa da questo carcere sono evasi 8 pericolosi uomini e a me è stato affidato il compito di ricatturarli. Purtroppo, come ci stiamo rendendo conto in questi giorni, l’evasione è riuscita non solo per l’incredibile astuzia e intelligenza del suo ideatore, ma anche per la fiducia mal riposta del direttore Pope, per la disattenzione delle guardie, il coinvolgimento di un membro del personale medico e, come stiamo cercando di accertare, la complicità di qualcuno che ha operato insieme agli evasi dall’interno.
  • La smetta di girarci attorno. Mia figlia è per caso tra i sospettati?
  • Si, lo è.
  • Partendo da quali premesse?
Il federale mi lanciò un’occhiata prima di proseguire.  -  Gwyneth ha fatto parte del gruppo di lavoro inizialmente capitanato da John Abruzzi e poi affidato a Michael Scofield.  -  spiegò, come se la mia colpevolezza potesse trasparire solo da questo dettaglio.  -  Il gruppo fino a poco tempo fa si occupava della ricostruzione di un magazzino andato a fuoco accidentalmente, magazzino nel quale ad insaputa di tutti è stato scavato il passaggio per poter evadere. Sua figlia ha lavorato con il gruppo di Scofield per quasi un mese.
  • E allora?  -  lo incalzò Keith.  -  Gwyneth si è trovata casualmente a dover lavorare con il gruppo che poi è evaso. E’ per questo che la considerate una complice?
  • Errore. La ragazza non si è affatto trovata “casualmente” in quel gruppo. Secondo il direttore Pope, è stata proprio lei a chiedere di farne parte.
Immediatamente Keith si voltò verso di me in cerca di una spiegazione.
  • Devo rispiegarlo per l’ennesima volta?  -  sbuffai, andando a sedermi. Rieccomi sotto processo, impegnata nuovamente a giustificarmi.  -  Si, ho chiesto al direttore di sostituire il turno di lavoro nelle cucine per essere affiancata ai lavori di laboratorio affidati ad Abruzzi, ma avevo un’ottima ragione. Subivo delle molestie belle e buone durante quel turno.
L’espressione eloquente stampata sul viso di Mahone gridava: “E che ti aspettavi?”
  • Non avevo idea di cosa si stesse architettando in quella stanza e non ho avuto alcun sospetto fino a tre giorni fa.  -  continuai.
  • E’ stato scavato un buco nel bel mezzo del pavimento, com’è possibile che tu non abbia visto o sospettato nulla? Eppure per realizzarlo ci saranno volute settimane di lavoro e tu eri in quella stanza con loro.
  • Soltanto per il turno pomeridiano, dalle 15 alle 17. Se chiede in giro, scoprirà che passavo buona parte del turno fuori, accanto alla cisterna. Gli agenti Patterson e Rizzo potranno confermarlo. Inoltre la mattina avevamo turni differenti. Avrebbero avuto tutto il tempo per scavare quel buco senza che sospettassi niente, d'altronde neanche le guardie hanno capito cosa stesse succedendo finché non sono evasi.
Mahone seguì il mio esempio e prese una delle sedie per sistemarsi proprio di fronte a me.
  • Quindi mi stai dicendo che si è trattata di una coincidenza?
  • Sfortunata coincidenza, si.
  • Eppure, a quanto ho saputo, sembra che tu sia diventata molto amica dei due fratelli. Passavi molto tempo insieme a loro. Pope dice che il giorno prima che Burrows finisse sulla sedia elettrica hai chiesto di vederlo, nonostante il regolamento lo vietasse.
  • Non è contro la legge dire addio ad un amico che sta per morire.
  • No, però è contro la legge minacciare il direttore di un penitenziario per convincerlo a sorvolare sul regolamento.
Incassai il colpo senza sapere più cosa rispondere. Immaginavo che Mahone avrebbe adoperato ogni arma in suo possesso per mettermi in cattiva luce, ma sganciare quella bomba in presenza di Keith era stato davvero un colpo basso. Cosa avrei dovuto rispondere?
  • Hai davvero minacciato Henry perché ti permettesse di vedere quel delinquente?  -  mormorò l’uomo ancora in piedi al mio fianco, osservandomi sconvolto.
Nega. Menti. Fingi.
  • Io…  -  Nega. Menti. Fingi.  -  … volevo solo dirgli addio.  -  riuscii a dire invece.
Sapevo che qualunque giustificazione mi fosse uscita dalla bocca, non sarebbe servita a cancellare l’espressione delusa dal viso di Keith.
  • Lincoln è stato l’unico che mi abbia aiutata a sopravvivere qui dentro. -  proseguii sincera.  -  il giorno prima dell’esecuzione che poi è saltata, ho chiesto a Pope il permesso di poter salutare per l’ultima volta il mio amico, ci tenevo tanto, ma lui si è rifiutato…
  • … così l’hai minacciato.  -  mi anticipò Mahone.
  • No, l’ho pregato di riconsiderare la sua decisione.
  • Lo hai minacciato.  -  precisò, tagliando corto.
Mi sentii morire quando Keith distolse lo sguardo, sospirando. Non riuscivo nemmeno a pensare ad un modo per farmi perdonare in quel momento. Questa volta l’avevo combinata proprio grossa.

Mahone proseguì implacabile.  -  Beh, immagino non dovrei sorprendermi. Minacciare il direttore di un penitenziario, farsi rinchiudere nella sezione maschile, fare amicizia con un condannato a morte. Sono tutte cose che ti si addicono. Non mi stupirei affatto se si scoprisse che hai anche aiutato quei detenuti ad evadere.
  • Evitiamo queste insinuazioni signor Mahone, o la prossima volta che vorrà interrogare mia figlia mi presenterò con il nostro avvocato.  -  sbottò minaccioso Keith. 
Il poliziotto accolse la protesta con diplomazia e si concentrò nuovamente su di me.
  • Toglimi una curiosità Gwyneth, tu pensi che il direttore abbia in qualche modo favorito Scofield, oltre te, permettendogli di accedere a delle aree riservate del carcere?
  • No, Pope non lo avrebbe mai fatto.
  • E invece ti sbagli. Michael Scofield ha lavorato per tre ore a settimana ad un progetto personale del direttore. Spesso veniva addirittura lasciato solo nel suo ufficio.
  • E’ per questo che è stato licenziato?
  • Pope è stato disattento, ha sottovalutato l’astuzia di quel ragazzo, si è lasciato manipolare… e non soltanto da Scofield.  -  Quell’ultima frecciatina sembrava preparata appositamente per la sottoscritta.  -  Quel che più importa comunque è che se Scofield ha avuto accesso alla stanza del direttore, è possibile che abbia avuto modo di procurarsi il codice e la chiave dell’infermeria che poi gli hanno permesso di portare a termine il suo piano. Pope però giura di non essere mai stato in possesso né del codice, né della chiave. C’è chi pensa che sia stata la dottoressa Tancredi a lasciare la porta aperta a Scofield e compagni perché potessero evadere. Sembra che la dottoressa avesse una cotta per Scofield. E’ vero?
Feci spallucce.  -  Questo dovrebbe chiederlo alla dottoressa.
  • Lo farò quando Sara Tancredi verrà dimessa dall’ospedale.
La notizia riuscì a catturare la mia piena attenzione.
  • Ospedale?
  • Esattamente. La sera stessa in cui i detenuti hanno scavalcato il muro, la Tancredi è stata ritrovata nel suo appartamento in fin di vita, a causa di una presunta overdose. Probabilmente si è sentita in colpa per aver lasciato la porta aperta al suo innamorato.
Quindi alla fine la dottoressa aveva deciso di aiutare Michael. Lui le aveva raccontato tutto e le aveva chiesto aiuto per suo fratello e lei lo avevo accontentato. Il motivo per cui lo aveva fatto era piuttosto scontato. Sara aveva messo a rischio carriera e reputazione decidendo di lasciare la porta dell’infermeria aperta per il gruppo di evasi. Per quale altro motivo avrebbe dovuto farlo se non perché provava qualcosa per Michael?
  • Adesso come sta?  -  chiesi ancora scossa.
  • Si è ripresa stamattina. Presto verrà interrogata e sapremo com’è andata.
  • Che cosa rischia?... intendo…per quello che ha fatto.
  • Se ha davvero fatto quello che pensiamo, la dottoressa rischia un’accusa di favoreggiamento e concorso in evasione, ma in fin dei conti stiamo parlando della figlia del governatore candidato alla vicepresidenza. Nel peggiore dei casi trascorrerà una notte in cella e sarà costretta a seguire un programma di riabilitazione per tossici.
Più scoprivo nuovi particolari, più mi rendevo conto di quanto la sera dell’evasione avesse segnato una profonda svolta per un bel po’ di gente.
Mi dispiaceva molto per ciò che era successo alla Tancredi. Non mi era mai stata particolarmente simpatica, però mi stavo rendendo conto di avere in comune con lei molto più di quanto volessi ammettere. Entrambe amavamo lo stesso uomo.
  • Non ne sapevo niente, mi dispiace.  -  dissi rattristata.  -  Comunque non credo potrò essere d’aiuto a fare luce sul rapporto che legava la Tancredi a Scofield.
Per un lungo istante vidi Mahone fissarmi divertito, quasi come se fosse arrivato ad una qualche personale conclusione che solo lui aveva intuito.
Rise.  -  Lo devo ammettere Gwyneth, quando penso di aver capito tutto di te tu mi smentisci puntualmente.  -  Si passò una mano sul volto, continuando a sorridere.  -  Ci sei cascata anche tu, non è vero? Ti sei lasciata raggirare da quel detenuto proprio com’è successo alla Tancredi.
  • Che sta insinuando?
  • Che è piuttosto ovvio quello che stai facendo. Tu lo stai proteggendo. Io credo che tu sapessi già dell’evasione. So bene di cosa sai essere capace con quel tuo cervelletto da studentessa di college e so quanto sai essere intuitiva. Hai scoperto che Scofield e compagni stavano progettando di evadere e invece che raccontarlo alle guardie, hai deciso  di utilizzare l’informazione a tuo vantaggio, ma a quanto pare Scofield è stato più furbo di te. Prima è riuscito ad ingannare Sara Tancredi con qualche parolina dolce facendole credere di amarla, poi ha fatto lo stesso con te per assicurarsi il tuo silenzio… e magari il tuo appoggio, è così? Ti sei lasciata fuorviare dalle belle parole di un detenuto, aiutando lui e i suoi amici ad evadere?
  • No, sei completamente fuori strada! 
Ecco perché ero spaventata a morte all’idea che Mahone prendesse parte a quella indagine. Oltre ad aver già avuto a che fare con me, era un uomo incredibilmente perspicace.
  • Non vi rendete conto di cosa avete fatto.  -  continuò imperterrito, alzando la voce.  -  Avete contribuito a rimettere in libertà dei criminali, degli assassini. Ieri un uomo innocente è stato ritrovato morto nel suo studio medico. Si trattava di un medico indiano che ha avuto la sfortuna di imbattersi in Theodore Bagwell. La prima vittima dopo nemmeno 24 ore che era tornato in libertà. Se quel pazzo fosse rimasto a Fox River, quel pover uomo sarebbe tornato sano e salvo dalla sua famiglia.
  • Adesso la smetta!  -  troncò Keith, prendendo le mie difese.  -  Gwyneth non ha nulla a che fare con l’evasione di quegli uomini. Non è responsabile delle vili azioni di quei criminali.
Era vero. Non ero responsabile di ciò che stava accadendo fuori e dei crimini commessi dagli evasi, però in parte Mahone aveva ragione. Era anche grazie al mio contributo che quegli uomini erano fuori. Pur di aiutare Michael e Lincoln avevo permesso che criminali del calibro di Abruzzi e Bagwell tornassero in libertà e quel pensiero mi faceva sentire colpevole.
  • Questo è tutto da dimostrare.  -  rispose tagliente il poliziotto, i suoi occhietti furbi di nuovo su di me.  -  Oggi sarà interrogato nuovamente Manche Sanchez, uno degli uomini che tre giorni fa ha tentato la fuga e l’unico che è stato ricatturato. Sai cosa significa questo?
Scrollai le spalle.  -  Che quel poveretto farà una lunga vacanza riposante in isolamento?  -  provai, accennando del sarcasmo.
  • No, significa che se dovesse saltare fuori il tuo coinvolgimento, le ripercussioni potrebbero non essere così leggere come lo saranno per la figlia del governatore.
Eccolo il caro vecchio Alex, sempre pronto a fare di me il suo capro espiatorio personale. Ero convinta che pur di placare il suo animo tormentato sarebbe arrivato anche a dichiarare di avermi vista con i suoi stessi occhi scavare quel buco. Purtroppo ne era capace.
  • Per l’ultima volta,  -  ricapitolai con convinzione ed evidente fastidio.  -  non avevo idea che quegli 8 stessero progettando di evadere, non so se Scofield e la dottoressa avessero una relazione e non ho mai sentito parlare di questo Sanchez!
  • Hai idea di dove possano essere diretti?
  • No!
  • Scofield e Burrows non hanno mai accennato a qualche luogo che avrebbero voluto raggiungere dopo la prigione?
  • Mai preso questo argomento.
  • Ma insomma, di cosa parlavate durante le vostre interminabili conversazioni in cortile o a mensa?
Ecco quella che in genere definivo una mezza verità.  -  Perlopiù di come arrivare vivi al giorno successivo.
 
Mahone mi lanciò uno sguardo contrariato, ma non aggiunse nient’altro. All’improvviso la porta della stanzetta venne aperta e un uomo in giacca e cravatta con gli occhialini, fermo sulla soglia, fece cenno a Mahone perché uscisse un momento. Doveva trattarsi di un altro agente dell’FBI, probabilmente un subordinato. Il poliziotto uscì dalla stanza come gli era stato chiesto e vi rimase non più di due minuti, dopodiché rientrò nuovamente calmo e pronto all’azione.
  • Signor Sawyer, Gwyneth, abbiamo finito. Purtroppo devo scappare, la caccia agli evasi non lascia tregua.
  • Ci sono delle novità?  -  chiesi senza potermi trattenere.
Sorrise sardonico.  -  Sembra che stasera stesso riavrai una tua vecchia conoscenza qui a Fox River.
Il cuore prese a battermi violentemente nel petto.  -  Chi?
  • John Abruzzi, il capomafia.  -  Avrei tirato un sospiro di sollievo se Mahone non fosse stato presente.  -  Immagino sarai di nuovo interrogata dalla commissione nei prossimi giorni. Per quanto mi riguarda, io qui ho finito. Non penso ci rivedremo.
  • E’ davvero finita?  -  domandò Keith, fissando il poliziotto come se al posto di quella domanda avesse voluto chiedere “continuerà a farci la guerra?
Per un attimo pensai che il federale fosse riuscito a leggergli nel pensiero.
  • Non è di me che deve preoccuparsi, signor Sawyer. Arrivederci.  -  concluse, uscendo definitivamente per dare modo alla guardia, ferma sulla soglia, di riaccompagnarmi.
Non mi furono concessi nemmeno 5 minuti per potermi chiarire con Keith e prima di essere riportata in cella ebbi giusto il tempo di salutarlo con gli occhi, ma in cambio ricevetti un’espressione gelida che mi gelò il cuore.
   
 
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