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Autore: ChiiCat92    15/02/2017    1 recensioni
"« La risposta è no. » sbottò, le dita che continuavano a ticchettare sulla tastiera del suo computer.
Dovette costringersi a non distogliere lo sguardo quando il vago riflesso di Adam comparve nello schermo, confuso nella stringa di codice che stava trascrivendo.
« Non ti ho fatto nessuna domanda. »
Francis colse il sorriso intrinseco in quella frase, senza bisogno di vederlo sul suo volto.
Non si mosse, continuò a scrivere, per nulla distratto. Almeno all'apparenza.
« Fammi la domanda allora. »
« Ti andrebbe di... »
« No. »
« Pritchard. »
« Jensen. »"
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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14/02/2017

 

I don't really mean it

 

 

Stupido, a disagio, un po' infantile: mentre si guardava allo specchio si sentiva così.

La camicia migliore, la giacca migliore, il pantalone migliore e sembrava comunque qualcuno che non dormiva da giorni, settimane, e l'incarnato reso pallido un po' per via della reclusione forzata un po' per sua natura lo faceva apparire come un fantasma.

Dovette stringere di una tacca la cintura per evitare che i pantaloni lo facessero sembrare un bambino che gioca con gli abiti del padre.

Beh, si diceva, guardando il suo scarno profilo da fuscello, ho avuto molto da studiare in questo ultimo periodo, sono stato impegnato.

Certe volte bastava per giustificare il salto dei pasti, certe volte no. Oggi era una di quelle giornate in cui sì, bastava.

Non era una bugia, non stava mentendo a se stesso: l'università gli toglieva ogni briciola di energia, fisica e mentale, e l'unica cosa che voleva era solo poggiare le spalle a letto e dormire, ma dormire bene per una volta.

Non riusciva neanche a ricordare quando si era fatto una notte decente di sonno.

Probabilmente dall'esame di algoritmi e struttura dei dati. O forse dal coming out con la sua famiglia.

Riusciva a vedere le due cose allo stesso analitico, freddo piano, per non doversi soffermare sulle implicazioni emotive, e sugli effetti che stava avendo sul suo fisico.

Dire a suo padre che era gay non era paragonabile a passare a pieni voti l'esame di algoritmi e struttura dei dati.

Era passato qualche mese da allora, e le cose non erano molto cambiate in effetti: non aveva rapporto con la sua famiglia prima e non lo aveva neanche adesso.

Era cambiato qualcosa a livello sociale, a pensarci, perché finalmente aveva la solitudine fisica che gli serviva per portare avanti i suoi studi.

La sua vita si svolgeva lineare, su binari che avevano una sola direzione. Almeno, una sola direzione nel mondo reale, in quello virtuale prendevano una moltitudine di direzioni diverse.

Nucl3arsnake se la passava molto meglio di lui, chiuso nel suo mondo costruito in codice binario. Gli capitava di invidiarlo quando, con la sua bella apparenza, la sua forza, la sua massa muscolare e il suo bel viso, attirava altri giocatori e intratteneva conversazioni con loro.

Nucl3arsnake era molto più loquace e divertente di lui, Nucl3arsnake sapeva come parlare alle persone.

Sperò vivamente che Joshua non fosse innamorato di Nucl3arsnake, perché altrimenti la scatola di cioccolatini che aveva intenzione di portargli e il bigliettino smielato che era riuscito a scrivere dopo due ore di lunga tortura sarebbero stati fonti di imbarazzo per entrambi.

Aveva conosciuto Joshua tre mesi dopo aver cominciato a giocare a WOW. Dietro l'avatar di un'elfa scollata si nascondeva la persona di cui si era subito invaghito. Avevano cominciato a chattare, prima all'interno del gioco, poi online, poi si erano finalmente scambiati i numeri di telefono.

Francis ricordava ancora il primo messaggio che aveva ricevuto, dopo qualche giorno di timido silenzio, da parte di Joshua.

Ti ho registrato come Nucl3arsnake, LOL!”

Ancora lui, sempre lui, ma mai come allora Francis ringraziava il suo alter ego virtuale. Senza di lui non avrebbe conosciuto Joshua. Senza di lui non avrebbe avuto il coraggio di fare coming out.

Adesso non rimanere che fare l'ultimo passo: incontrarsi di persona. Perché no, a parte qualche fotografia rubata tra una lezione e l'altra e un attacco di panico e l'altro, non si erano mai visti prima di allora.

Non era mai il momento giusto per chiederglielo, non era mai il momento giusto neanche per provarci.

Poi, all'improvviso, l'occasione, l'evento, il cliché: San Valentino.

Chiederglielo era costato a Francis un'intera giornata di preparazione, e anche così non era stato sicuro di volerlo fare fino all'ultimo momento. Il messaggio di Joshua in risposta, poi, l'aveva quasi distrutto.

Prichard, mi stai invitando ad un appuntamento di San Valentino?”

Che stupido era stato, aveva mandato all'aria tutto e per cosa? Per una stupida romanticheria fuori moda?

Se il primo messaggio l'aveva distrutto, il secondo l'aveva ricostruito atomo per atomo.

Ci sto.”

Così semplice e lineare che quasi gli era caduto di mano il telefono per lo stupore.

E adesso eccolo qui, davanti allo specchio, Francis Wendell Pritchard, il recluso studente della facoltà di informatica, vestito di tutto punto per andare ad un appuntamento di San Valentino con un ragazzo conosciuto in rete.

Sembrava il perfetto prologo di una perfetta storia d'amore, quel genere di cose da raccontare ai nipoti. Sì, lo sembrava proprio.

 

Era un febbraio piuttosto freddo, come non se ne vedevano da anni, o forse era solo Francis a non essere più abituato all'aria fresca e al vento invernale.

In qualsiasi altro momento della sua vita avrebbe preso in giro e guardato con sdegno le coppiette di innamorati che passeggiavano lungo la strada, o i cuori rossi appesi alle porte dei negozi, o le ghirlande di fiori colorate sparse dappertutto. Quell'aria così innamorata non avrebbe fatto bene alla sua salute, anzi.

Invece adesso non poteva che respirare a pieni polmoni quel clima festoso, quell'amore sospeso tra le righe degli animi. Gli sembrava di vedersi in ogni coppia, in ogni ragazzo e in ogni ragazza, così simili pur nell'essere diversi.

Quanto male poteva fare l'amore se riusciva a sciogliere un cuore di ghiaccio?

Cercava di non pensare a tutte le volte che sua madre, guardandolo storcere il naso dopo averla vista baciare sulla labbra suo padre, gli aveva detto un sommesso quanto divertito “un giorno capirai!”.

Strano essere arrivati a diciannove anni per capirlo. I suoi coetanei sembravano essere a conoscenza dell'oscuro segreto dell'amore da tempo. Troppo tempo.

Una parte di sé si dava dello stupido per aver rifiutato una cosa così per tutti quegli anni, un'altra parte di sé – più cinica, ma anche più piccola – gli ricordava quanto il suo comportamento fosse ipocrita.

Oh al diavolo! Sono innamorato!

L'incontro era fissato per le cinque al parco. Francis diede un'occhiata all'orologio sul cellulare – e in cuor suo temette per un attimo di trovare un qualche messaggio di disdetta – e sorrise non solo perché era in perfetto orario, ma perché sul quadrante in alto l'anteprima del messaggio mormorava un dolce “Sto arrivando” da parte di Joshua.

La sensazione era quella di camminare sulle nuvole. Tutto gli sembrava ovattato e soppresso dal battito del suo cuore, tanto forte sa sembrare una grancassa. Ondeggiava come un ubriaco, preda di quel sentimento così dolce e così confuso che mal si mischiava all'adrenalina che gli scorreva in corpo. Era come essere sotto l'effetto di un letale cocktail di droghe. E il peggio era che gli piaceva, eccome se gli piaceva.

Era il loro primo incontro dal vivo, potevano succedere mille e più cose. Forse a Joshua non sarebbe piaciuto il suo aspetto, i capelli lunghi sempre tenuti insieme in una coda, il naso aquilino, ma avrebbe potuto amare i suoi occhi blu; forse avrebbe trovato ridicole le sue abitudini alimentari, o il suo attaccamento allo studio, ma avrebbe potuto amare la sua sensibilità e la sua intelligenza.

Sapeva di non essere attraente, ma sapeva anche di non potergli offrire più di se stesso. Sperava vivamente che bastasse.

Mentre camminava i suoi passi rimbombavano sull'asfalto, ma a malapena, con il tumulto del cuore in corsa, riusciva a sentirli.

Superò il cancello del parco e seppe che da quel punto in poi non poteva tornare indietro.

Gli alberi che stagliavano le loro mani scheletriche verso il cielo non sembravano tristi, o spogli o dimessi, sembravano la promessa di una primavera verde e fruttuosa, carica di aspettative quanto di bei fiori.

Prese una boccata d'aria, fredda e pungente, e si sentì rinvigorito.

Avanti, sempre avanti. Non poteva sopportare oltre l'attesa.

A quell'ora di pomeriggio, o forse in quel particolare giorno, il parco non era molto frequentato. Le coppie tendevano ad appartarsi in luoghi più intimi, i bambini per il freddo sceglievano di rimanere a casa ed evitare il parcogiochi. Qualche pensionato isolato sedeva lontano a dar da mangiare alle anatre vicino al laghetto.

Era terra di nessuno, e Francis sognò di poterla ribattezzare come dominio suo e di Joshua.

Si chiese se si sarebbero baciati. Il solo pensiero lo vece avvampare e all'improvviso dentro il cappotto sentì davvero troppo caldo.

Era il primo appuntamento, non sarebbe stato carino baciarsi al primo appuntamento, no? Come funzionava?

Infilò in bocca in una gomma da masticare alla mente, che lo teneva impegnato oltre che lontano dal pensiero di avere un alito terribile.

Dovevano vedersi alla panchina isolata dietro ai cespugli di agrifoglio. Erano alti abbastanza da coprirli perfettamente alla vista.

Era stata un'idea di Joshua incontrarsi lì, e Francis aveva subito acconsentito, esaltato all'idea che volesse incontrarlo in un luogo intimo e non in uno pubblico, dove avrebbero potuto affrontarsi l'un l'altro senza ulteriori distrazioni.

Il telefono vibrò nelle tasche e lui quasi sobbalzò per lo spavento. Con mani tremanti scorse il messaggio.

“Sono qui!”

Per un attimo ebbe l'impressione di aver dimenticato come si respira, come si vive, come si sta a questo mondo attratti dalla forza di gravità.

La sua mente annebbiata non registrò la presenza di una serie di passi alle sue spalle.

Superò la prima linea di cespugli e in lontananza lo vide.

Ma non era quello che sperava di vedere.

Conosceva la sagoma del ragazzo seduta sulla panchina, e non corrispondeva con quella di Joshua, non con le fotografie che lui gli aveva mandato almeno.

Impiegò un secondo di troppo per realizzarlo, quando ormai era troppo tardi per tornare indietro, quando ormai la strada era già sbarrata.

« Oh eccolo qui, il frocio. » Il ragazzo seduto sulla panchina si alzò, ridendo.

Francis lo riconobbe subito, ma per qualche ragione il suo nome non gli tornò alla memoria, come quando in un computer in crash si cerca di recuperare un dato fallato.

Provò ad indietreggiare ma andò a sbattere contro qualcosa, qualcuno. Dietro di lui, altri due ragazzi, che identificò come gli sgherri del Dimenticato.

« No. » riuscì a dire, così flebile e disperato che non seppe mai se arrivò a pronunciarlo davvero.

Il ragazzo contro cui era andato a sbattere lo spinse, forte. Le gambe instabili non riuscirono a reggere e crollò a terra.

Riuscì a salvarsi dalla caduta mettendo le mani avanti, ma la scatola di cioccolatini che aveva portato con sé si rovesciò a terra.

I tre risero. Risero di lui, di come si era vestito, del regalo patetico che aveva portato, di tutto. Di tutto.

Sam, Alex e Tom. I suoi incubi del liceo. Ora ricordava.

Non aveva passato giorno, ora, minuto, senza temere per la propria vita quando andava e tornava da scuola. Ogni suo respiro era gelato dal terrore di poter incontrare quel magnifico trio di giocatori di football, punta di diamante della scuola.

L'ultimo anno era stato un'altalena di orrori, culminato con l'umiliazione al ballo scolastico, da cui era dovuto scappare in mutande, e in lacrime.

Col tempo, mentre i lividi guarivano, aveva capito che non c'era un motivo specifico per quell'odio ingiustificato, era solo la legge del più forte, o la catena alimentare. Il pesce grosso mangia il piccolo, e lui era sempre stato il piccolo.

Ma con l'inizio della universitaria aveva pensato di essersi lasciato tutto alle spalle, si era rialzato, aveva combattuto, aveva ottenuto risultati. E oh, ne aveva ancora così tanti da ottenere.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime, e cercò di ricacciarle indietro, mentre le risate dei ragazzi li ferivano l'udito.

Perché, come, quando, domande che gli rimbalzavano nella mente a velocità nauseanti.

« Ha portato anche i cioccolatini! Che finocchio! »

Sam – o Alex? O Tom? I volti si confondevano in un'unica creatura a tre teste – pestò quel che rimaneva della scatola di cioccolatini, mentre gli altri scimmioni continuavano a ridere.

Francis non tentò neanche di alzarsi, sapendo benissimo che l'avrebbero spinto nuovamente a terra. Non voleva dargli il permesso di farlo.

Rimase accucciato con lo sguardo verso l'alto, gli occhi sgranati come quelli di un bambino, l'aria afflitta.

Il pensiero corse a Joshua. Sarebbe arrivato. L'avrebbero picchiato. Gli avrebbero fatto del male per colpa sua.

Stupido, stupido Francis. Lui non esiste. Non l'hai capito? Non esiste.

Stavolta ricacciare indietro le lacrime fu più difficile.

« Poverino, non capisce cosa sta succedendo. Lo aiutiamo? »

Il suo telefono squillò, la suoneria che aveva messo per Joshua fece ridere i tre ragazzi.

Love me like you do, love me, love me like you do.

« Rispondi, frocio. » lo apostrofò il mostro a tre teste.

Francis non riusciva neanche a vedere la differenza tra loro, tanto aveva la vista appannata.

Gli sembravano i tre demoni usciti dai suoi incubi, fusi in un unico terribile essere.

Riuscì a prendere il telefono al secondo tentativo, rispose e lo portò all'orecchio.

Quello che aveva chiamato ruttò all'apparecchio, e Francis sobbalzò, mentre i tre ridevano.

« Allora senti questa storia. » Sam, era Sam, in lui riconobbe la voce di Joshua. La stessa voce che l'aveva accompagnato la sera con parole confortanti, che l'aveva accolto gioiosamente ogni qual volta ne aveva bisogno, la stessa che sognava la notte. Era stato lui, per tutto il tempo. « Alex gioca a WOW, così per passare il tempo, non che quel gioco di sfigati sia interessante, e cosa scopre? C'è un tale che si è interessato a lui. Oh, viene a raccontarcelo e noi ce la ridiamo, ce la ridiamo eccome. E sai cosa pensiamo? Vediamo per quanto tempo riusciamo a farlo stare al gioco, vediamo quanto resiste. » gli altri due scimmioni ridevano, e ridevano, tanto che le loro risate sembravano parte integrante di ciò che stava dicendo Sam. « Ci scambiamo i contatti, no? La cosa si fa più seria. E cosa scopriamo? Non è proprio Pritchard, il nostro carissimo Pritchard, quello dall'altra parte dello schermo? La potevamo perdere un'occasione così? »

« No non potevamo. » in coro, come bambini.

« E quindi gli mandiamo foto, raccattate un po' sul web, gli diciamo paroline dolci, e il frocione ci chiede un appuntamento, dico, non è ironico? »

Francis lo sapeva, lo sapeva bene che un cuore non si può spezzare, eppure...il dolore era quello di un cuore spezzato, un cuore tradito. Il mugolio sofferente che gli salì alle labbra non trovò mai modo di sfuggire, perché le morse a sangue pur di non farsi sfuggire un suono.

Come avevano potuto fargli quello? Come avevano potuto giocare con lui in quel modo? Come avevano potuto distruggerlo così?

Si reggevano le pance per il troppo ridere, indicando la sua faccia pallida, i suoi occhi lucidi. Il suo cuore in frantumi.

Le gambe gli tremavano, ma fu in grado di alzarsi in piedi. La rabbia cieca che lo riempì lo lasciò senza fiato, inebetito di fronte ad un sentimento che non sapeva di poter mai provare.

Strinse i pugni, i denti scricchiolavano. Voleva ucciderli, voleva farli a pezzi, voleva fargli provare lo stesso dolore.

Non si rese conto di quanto fosse stupido il suo tentativo, se non quando il suo pugno chiuso incontrò il ferro della morsa di Sam, che stritolò la sua mano quasi fino a spezzargli le dita.

« Cerchi di combattere? Fai adesso l'uomo? Quando mormoravi “ti amo” al telefono non eri così duro. »

E in quel momento, con quelle parole, con quel tono derisorio, il fuoco della sua rabbia si spense come una candela al vento.

Non gli importò nulla del cazzotto che gli riservarono allo stomaco e che lo fece tornare a terra, strisciante come un verme, non gli importò del calcio sul viso che gli ruppe il naso. A stento sentiva il dolore.

Il suo corpo reagì in maniera automatica facendogli stringere le gambe al petto in modo da limitare i danni.

Ma cosa gli importava, che facessero un po' quello che volevano. L'avevano sempre fatto, si erano già presi la sua adolescenza, tanto valeva che gli lasciasse anche il suo primo amore.

Si rese conto di stare sanguinando quando fu costretto a sputare un grumo di sangue risalitogli su per l'esofago dallo stomaco tumefatto.

Fu stupefacente osservarne il colore e la consistenza mentre si mischiava con la ghiaia, mentre si coagulava all'aria.

Gli occhi blu, vacui, si spostarono sui suoi aggressori, apparentemente solo più insoddisfatti dal suo non reagire, poi tornarono a fissare il sangue.

Anche lui si sarebbe ridotto così, un grumo informe, caldo, che si sarebbe prosciugato fino a sparire.

Cosa sarebbe rimasto di lui?

Una storia, la storia del patetico Francis Pritchard, innamorato di un incubo.

Chiuse le palpebre, aspettando che il prossimo colpo gli facesse perdere i sensi. Ma non arrivò mai. Quasi mugolò per l'aspettativa tradita.

Quando tornò ad aprire gli occhi, uno dei due scimmioni di Sam era riverso a terra, gli occhi rovesciati all'indietro, il naso e il labbro spaccato.

Improvvisamente interessato a sopravvivere quel tanto che bastava per capire che cosa stava succedendo, Francis sollevò la testa.

Tutti i muscoli urlarono di dolore, e il sangue gli impediva di respirare. Dovevano averli deviato il setto. In bocca sentiva solo un terribile sapore metallico.

Lo vide come in un'apparizione, perché solo di un'apparizione poteva trattarsi.

Un ragazzo, alto, dalle spalle larghe, stava tenendo testa ai due ragazzi rimasti.

Francis aggrottò le sopracciglia, confuso.

Cosa ci faceva lì? Cosa voleva? Aveva interrotto la sua esecuzione!

Era vestito con abiti da jogging. Forse stava correndo nel parco ed era stato attratto dal rumore della colluttazione. Strano, lui non aveva emesso un suono.

Il ragazzo si prese un pungo in pieno stomaco, ma non vacillò, anzi, ricambiò con una gomitata sulla trachea dell'altro, che crollò come un sacco di patate.

Si muoveva come qualcuno che sa come muoversi, e che è pronto ad incassare tanti colpi quanti ne riceve.

Sam, rimasto solo in piedi, gli occhi sgranati e l'espressione di un bambino capriccioso a cui hanno tolto il giocattolo, fece l'unica cosa intelligente della sua esistenza: fece marcia indietro e se la diede a gambe.

Francis vide il ragazzo asciugarsi il sangue dal viso, e solo in quel momento si accorse che aveva un brutto taglio sopra l'occhio sinistro, a tagliare a metà il sopracciglio. C'era un coltello sporco di sangue a terra, tra le mani del primo bestione atterrato.

Quando si voltò verso di lui, occhi verde acquamarina gli trapassarono l'anima.

Si avvicinò, tendendogli una mano, e Francis si ritrovò quasi a soffiargli contro come un gatto.

Si rimise in piedi da solo, ma non era stabile sulle gambe, tanto che il ragazzo dovette correre in suo sostegno.

« Non ho bisogno...non... »

Però il mondo prese a girargli intorno, e non finì la frase per potersi mordere la lingua ed evitare di perdere i sensi.

« Hai una brutta cera, ti porto in ospedale. »

« No. No. »

I medici non potevano curare i cuori spezzati.

Il ragazzo doveva essere sordo o stupido, perché lo lasciò lamentare, ma non lo lasciò andare.

E non lo fece, per molto altro tempo ancora.

 

*

 

Non si poteva dire che Adam non avesse un passo felpato, non sarebbe sopravvissuto a lungo altrimenti. Ma aveva un modo tutto speciale di farsi sentire senza farsi sentire quando entrava in una stanza in cui sapeva esserci lui.

Senza prenderlo di sorpresa, senza volere neanche essere preso di sorpresa.

« La risposta è no. » sbottò, le dita che continuavano a ticchettare sulla tastiera del suo computer.

Dovette costringersi a non distogliere lo sguardo quando il vago riflesso di Adam comparve nello schermo, confuso nella stringa di codice che stava trascrivendo.

« Non ti ho fatto nessuna domanda. »

Francis colse il sorriso intrinseco in quella frase, senza bisogno di vederlo sul suo volto.

Non si mosse, continuò a scrivere, per nulla distratto. Almeno all'apparenza.

« Fammi la domanda allora. »

« Ti andrebbe di... »

« No. »

« Pritchard. »

« Jensen. »

Un sospiro. Lo immaginò uscire da labbra di cui conosceva ogni anfratto.

Represse il brivido caldo che lo prese divampando verso l'alto.

Fece per andarsene, il suo riflesso sparì dallo schermo. Francis sollevò le mani dalla tastiera, e fece ruotare la sedia nella direzione di Adam.

Non era andato da nessuna parte, e con le braccia incrociate stava appoggiato allo stipite della porta.

Il sorrisetto sulle sue labbra lasciava intuire che aveva già previsto la sua reazione.

« Jensen, se hai intenzione di usare il tuo ACISA su di me, sappi che posso progettare un virus in grado di farti credere di essere una bambina di sei anni. »

« Perché, avrebbe effetto su di me? »

« Vuoi scoprirlo? »

Adam portò le mani avanti, in segno di resa. Il metallo dei potenziamenti, così scuro, gli dava sempre l'impressione che sotto al cappotto indossasse un paio di guanti spessi.

Sapeva quanto poteva essere gelido ma piacevole quel tocco.

« Va bene. » disse quindi, scrollando le spalle.

Quando lui si voltò, Francis non riuscì a impedirsi di alzarsi per raggiungerlo, per afferrargli un braccio e fermarlo.

Divertente come si lasciasse fare, quando avrebbe potuto ucciderlo solo facendo pressione con i suoi arti metallici. Il pensiero lo eccitava e lo terrorizzava insieme.

Gli occhi blu percorsero il profilo del suo corpo, imprimendo la sagoma nella memoria come tante volte prima di allora aveva fatto.

Le differenze, le piccole cose tra l'Adam prima dell'“incidente” e questo Adam sono quelle che gli fanno paura. Non braccia e gambe di metallo, non un cuore sintetico, ma le piccole cose.

Il calore del suo tocco, il colore dei suoi occhi, la morbidezza della pelle.

Gli era rimasta una cicatrice sull'occhio sinistro, a tagliare in due il sopracciglio.

« Come ti sei fatto quella? »

« Te l'ho già raccontato. »

« Voglio sentirlo di nuovo. »

« Magari ne parliamo a cena? »

Francis lasciò la presa, come scottato, senza riuscire a reprimere un ringhio di frustrazione.

Voltò i tacchi e tornò a sedersi alla sua postazione, riprendendo il codice da dove aveva lasciato.

« Alle 20? »

« No. »

« Buon San Valentino, Francis. »

« Ti detesto. »

Adam non rise, ma lui riuscì comunque a cogliere del divertimento in lui, pur senza vederlo.

Il ragazzo che gli aveva salvato la vita più quindici anni prima, diventato uomo e collega, attentava pericolosamente alla sua sanità mentale.

Lo detestava, e non solo perché non si ricordava di lui, o non l'aveva riconosciuto.

Ma anche perché non era affatto vero che lo detestava.

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The Corner 

Bene. Buon...San Valentino in ritardo? 
Questa è una storia esperimento, 
non sono sicura che sia uscita come volevo 
ma voglio pubblicarla prima di pentirmene.
So che ci sono persone che si arrabbierebbero con me se non lo facessi.
Questa è dedicata a chi mi ha fatto partire la ship potente.
A ME PIACEVA MALIK, MALEDETTA. <3

   
 
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