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Autore: _littlemrsallmagcon_    15/02/2017    1 recensioni
Una ragazzina quasi quindicenne, che viene adottata dal gruppo musicale casinista dei "The Vamps" ?!
Sembra una follia.
Lei, Skylynn.
Loro, i "The Vamps".
Lei, durante la sua adolescenza, ne vedrà di tutti i colori.
Loro, sapranno salvarla, e prendersene realmente cura, come se fosse una figlia, oppure una sorella minore?
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Non ho dormito per niente, questa notte, ed il rumore alquanto assordante, provocato dalla sveglia sul comodino di fianco al mio letto, non aiuta affatto, visto e considerato che il mio mal di testa non accenna per niente ad affievolirsi.
- Bradley, stiamo per andare, dovresti far presto. -
- Tristan, non rompere. -
Tra tutte le risposte che ho sempre dato ai miei coinquilini, questa è decisamente la più breve e "dolce". Con la mia solita sfacciataggine, tiro fuori dal mio armadio un paio di jeans neri, una maglia a maniche corte anch'essa nera, una felpa abbastanza lunga, nera. E pensare, che persino le mie Converse, sono total-black. Passo una mano fra i miei capelli leggermente arricciati al ciuffo. Dovrei davvero prendere sul serio ciò che stiamo per fare, ma io non riesco a non pensare a quanto mi dia fastidio avere qualcun altro, oltre a quei pochi, da sopportare per il resto dei miei giorni. Sbuffo, pensando ad una bambina di otto, nove anni, che corre per la casa, portandola in un soqquadro da manicomio.
- Bradley, andiamo, dai. -
- Arrivo, Connor. -
Questa risposta, è invece una delle più neutre ed apatiche che abbia mai dato. In genere, mi sarei messo ad urlare, dire che non avrei mai voluto vivere così, la mia vita in questo modo, in questo luogo, in questi ambienti, con queste persone. Vorrei tanto decidere io, per me, ma purtroppo la mia vita prende sempre il sopravvento, ed io non riesco mai a far nulla per cambiare le cose, va' sempre tutto come io non vorrei che andasse.
- Potresti evitare di sbuffare, quando lei sarà in quest'auto, proprio accanto a te? -
- Tu quale credi che possa essere la mia risposta? -
Tristan alza gli occhi al cielo, passandosi nervosamente una mano fra i capelli. A volte, ammetto di portare tutti alla disperazione, con il mio tono apatico, e per niente amichevole, come in questo caso. Non mi fa' piacere, ma mi diverte parecchio. Tristan parcheggia l'auto dinanzi una struttura dalle mura di un cupo grigiore tetro, quasi spettrale. Anni fa, questo tipo di ambientazione mi avrebbe spaventato a morte, ma ora come ora, il mio ego e la sua sfacciataggine, superano persino paure di questo genere. Ed è grazie ad essi, che sto tirando avanti, a vivere questa vita indesiderata. L'interno è di un bianco quasi accecante, pavimenti lucidi, luminari ovunque, file e file di porte chiuse, rampe di lunghe scalinate ovunque, soffitti altissimi.
- Saremmo in un orfanotrofio?! -
- Vedo che,con quella testa che adesso ti ritrovi, una dote intuitiva non ti manca. -
Sbuffo, consapevole che questa sia l'ennesima volta che ciò accade, e che Tristan mi guarda preoccupato.
- Salve. -
Connor saluta cordialmente una signora sulla sessantina, seduta ad una scrivania al centro della grande sala. Ha uno chignon mal fatto, che fa' ricadere i suoi capelli canuti su una spalla, un paio di enormi occhiali da vista, ed il dito indice puntato costantemente su una tabella disegnata a matita a mano, su un foglio stropicciato.
- Oh, salve, giovanotti.  -
L'anziana signora, si pone in posizione eretta, sorridendo gentilmente.
- Cosa cercate, in questo lugubre e spaventoso luogo? -
- Cercheremmo una bambina o un bambino, da adottare. Sa', siamo sempre chiusi in casa, e magari, beh.. crediamo, che un bambino ci faccia da buon pretesto per convincerci ad uscire. -
- Oh, capisco come ci si sente, a non uscire mai. Io, non sono mai uscita da questo luogo, qui c'è tutta la mia vita, ho passato persino qui, la mia infanzia, abbandonata da tutto e da tutti, e per questo ho fondato e diretto delle "operazioni di soccorso", per salvare tutti i bambini della regione, prendendomi cura di loro, affidandoli a delle famiglie che siano ben disposte a continuare il mio lavoro di "badante". -
Si allontana dalla vecchia scrivania, facendoci segno con il dito indice, di seguirla, attraverso le grandi file di porte chiuse.
- Salvare tutti i bambini della regione? In che modo? Chiudendoli in questo carcere minorile? -
Sbotto, incurante del fatto che tutti i presenti, mi stiano lanciando delle furenti occhiate.
- Giovanotto, ecco la prova che tu, non hai ascoltato una santa parola, del discorso di prima. -
Ridacchio, ha una voce strana, quando urla. L'unico che non emette suono, o movimento, è James. Sembra che sia chiuso nel suo mondo, sembra che non gli importi minimamente di tutto ciò che sta accadendo, sembra essere tornato il ragazzino introverso e taciturno, che era all'inizio di tutto. Distolgo il mio sguardo dalla sua minuta figura, dai suoi occhi tristi e spenti, dal lieve tremare del suo labbro inferiore, dal suo stringere i pugni nella consunta e grande tasca di quella pesante felpa che tiene da anni nel suo armadio. E ciò, è davvero strano.
- Purtroppo, almeno in gran parte, i bambini al di sotto dell'età adolescenziale, sono già stati tutti adottati, questa è l'ala di quelli dai tredici anni ai diciassette, ed è esattamente l'ultima. -
Mi sporgo a leggere i nomi di tutti, esposti in caratteri cubitali, su larghe targhe di un grigio metallizzato: Ryan Carter, Emily Stewart, Zoe Amber Chantal.
- E questa è l'ultima porta. -
- Mi scusi, non c'è alcun nome, su questa porta. -
Noto, con grande stupore. Perchè mai, debba mancare proprio a questa?
- Beh, in questa stanza vive da anni una ragazza problematica, nessuno ha mai voluto adottarla, e se lo hanno fatto, dopo qualche settimana, l'hanno riportata qui dentro. Questo è precisamente il motivo per cui, sulla porta, manca la targa con il suo nome. -
- Potremmo vederla? -
Chiede, Connor, con voce bassa.
- D'accordo, io vi ho avvisati. Ragazzi avvisati, ragazzi salvati, questo dovreste saperlo, ma visto che ci tenete così tanto, a vederla, prego,  entrate pure. -
La porta si apre, rivelando una stanza davvero grande, e ben curata, tralasciando qualche pezzo mancante di carta da parati grigia, che ricade, stropicciata, ai piedi del muro, schizzato di vernice di vari colori, tutti al di fuori del nero e dei suoi derivati. Sembra un altro mondo, un universo diverso dal mondo esterno alla stanza, è tutto così colorato.
- Di nuovo, signorina? Chi ti ha dato il permesso e la vernice per rendere questa stanza, peggio di quanto non lo fosse già prima ? -
- Nessuno. -
Ha un modo sfacciato, di parlare, molto diretto e serio, anche contemporaneamente ironico.
- Signorina, non usare quel tono con la sottoscritta, oppure, non appena questi giovanotti vanno via, avrai una ricca punizione. Percepirai il dolore nelle ossa e nelle vene, per tutti i miseri giorni, della tua misera vita. -
Deglutisco, l'anziana fa' sul serio.
- Bene, noi abbiamo deciso, signora. -
Guardo Tristan, che con guardo deciso e serio, e pugni stretti, cerca di mostrarsi il più superbo possibile.
- Lei, è perfetta. -
- Voi non capite, come stanno le cose, per adesso. Lei, è una ragazza pericolosa, problematica, lunatica, irresponsabile, immatura. -
- Bene, noi sapremo in che modo farla divenire meno pericolosa, meno problematica, meno lunatica, per niente irresponsabile, e perfettamente matura. -
Dopo parecchi minuti, di giochi di sguardi e sfide, lampi di rabbia negli occhi, l'anziana si ritrova a doverci mostrare il luogo dove possiamo firmare tutte le carte e le impostazioni formative necessarie.
- Dovete necessariamente firmare tutti, è d'obbligo. Dopo queste quattro carte formative, date un'occhiata anche al certificato d'adozione, ed alle impostazioni. -
Dopo una decina di minuti interminabili, mi ritrovo, seduto su una di quelle scomode sedie in plastica, con la mano tremante, obbligato a firmare delle stupide scartoffie, per una stupida ragazzina indecente. Lancio una fugace occhiata ai ragazzi, Connor è già fuori, ad aiutare la ragazza a caricare la sua poca roba in auto, mentre Tristan e James mi fissano insistentemente, mentre con le labbra, mimano un "Fallo e basta". Impugno fortemente la penna fra le dita, ed in una decina di secondi termino il tutto, riponendo il certificato d'adozione nella tasca destra dei miei jeans. Sospiro, entrando in auto, come previsto, avevo la ragazzina proprio di fianco.
- Bradley, ragazzi, lei è Skylynn, il cognome è ancora da decidere, ma presto vedremo quale affibbiarle. -
La musica proveniente dalla radio dell'auto, è sovrastata da un coro di "Che carina" oppure di "Vedrai,ti troverai bene con noi", oppure ancora di "Sono così felice, che tu sia con noi". Sbuffo.
- Bradley, i ragazzi si sono già presentati. Fallo anche tu. -
Trucido Tristan, con uno sguardo intimidatorio.
- Non c'è niente da dire, mi chiamo Bradley, mi piace il nero, non mi piacciono le ragazzine stupide e gli orfanotrofi, pieni di bambini piagnucoloni e di ragazzini stupidi, non mi piacciono le visite, non mi piace dover parlare di me, a gente di cui non mi importa minimamente. Ecco, ho terminato. -
La ragazzina, si volta stupita verso di me, rivolgendo successivamente uno sguardo ferito ed offeso verso lo specchietto retrovisore, dove Tristan sta ricambiando il mio precedente sguardo.  Mima con le labbra "faremo i conti", non mi interessa. Questo inutile essere di sesso femminile, deve sapere quanto io la odi, partendo da questo momento, per tutti i giorni della mia vita, a seguire.
- Comunque, tanto per la cronaca, io sono Skylynn. - la sento ripetere. - E, tanto per la cronaca, l'odio è reciproco, Bradley. -
L'ultima cosa, prima che tutti scendano dall'auto, raccogliendo i bagagli, ed entrando in casa. Vorrei dire qualcosa, ma una misteriosa forza all'interno del mio animo, mi blocca dal farlo. Come se si fosse attivato un meccanismo secondario, come se fosse entrato in atto un qualcosa di strano, al mio interno. Scuoto la testa, sto per entrare in casa, quando un braccio mi blocca il polso, con uno scatto fulmineo, stringendolo sino a farmi stringere i denti dal dolore, per non emettere alcun suono che permetta di capire quanto male mi faccia.
- Dobbiamo parlare, ricordi? - 
   
 
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