Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: jess803    15/02/2017    0 recensioni
In un mondo post-apocalittico, segnato profondamente dagli esiti di una distruttiva guerra nucleare, in cui le risorse idriche e i generi alimentari scarseggiano, si muove una donna, Hadiya De Wit, spia al servizio della Confederazione, ossessionata dai demoni del passato e legata da una catena invisibile ad un amore misteriosamente scomparso.
Ambientata nel torrido deserto nord africano, è una storia di spie, amicizie tradite, intrighi politici, ma soprattutto di un amore destinato, forse, a non finire mai.
"Erano come due anime in bilico sull’orlo dello stesso precipizio, che lottavano contro la stessa forza invisibile che cercava in tutti i modi di farle andare giù, che avrebbero potuto restare in equilibrio solo se fossero rimaste immobili a sostenersi a vicenda… due anime a cui sarebbe bastato solo il soffio di un alito di vento per precipitare sul fondo del baratro e restarci per sempre."
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
17



Quando gli agenti Nikolaidis e Molinaro, altro uomo della squadra di Huber, arrivarono alla fabbrica abbandonata -in realtà uno dei tanti nascondigli dell’Agenzia in terra africana- in cui Hadiya e Cox avevano condotto e successivamente interrogato il generale Essid, trovarono l’uomo ammanettato e legato ad una sedia al centro della stanza e i due colleghi, seduti ad un vecchio tavolo traballante, impegnati a ordinare una lunga pila di videocassette consumate.
<< Finalmente hanno mandato qualcuno ad aiutarci>> disse sbuffando Kieren ai due nuovi arrivati, non staccando un attimo gli occhi dai nastri.
<< E’ un piacere rivederti anche per me, Cox>> rispose piccato Nikolaidis, che non aveva ancora dimenticato lo scambio al veleno avvenuto qualche tempo prima col biondino.
Dopo quei fatti, e soprattutto dopo la scoperta del tradimento di uno dei più stimati generali alleati, la tensione all’interno dell’Agenzia non aveva fatto altro che aumentare, il conflitto tra Huber e Marchand si era inasprito e la squadra si era ormai spaccata in due, influendo negativamente anche sui rapporti già incrinati tra Cox e il greco.
Hadiya invece, al contrario del suo collega, si mostrò subito contenta del loro arrivo. Prima si alzò in piedi facendo il formale saluto militare, poi prese dalle braccia del greco un vecchio videoregistratore inviatole direttamente da McIntyre e infine gli sorrise calorosamente, prendendogli la mano e stringendola forte. L’uomo rispose con altrettanto calore; sembrava non si vedessero da un pezzo.
<< A che diavolo vi serve quel coso?>> chiese poi incuriosito Misha, che, spedito nuovamente a Tripoli con il compito urgente di recapitare ai due colleghi più giovani quel preistorico aggeggio, non aveva avuto neanche il tempo di chiedere spiegazioni al capitano.
<< Vi preparo una tazza di caffè e poi vi racconto tutto>> rispose seria la donna.
Salito il caffè, i quattro si spostarono insieme alle loro tazze in una stanzetta in fondo al corridoio e si sedettero intorno ad un tavolo rotondo, simile a quello della base sottomarina, dove Hadiya riferì ciò che la talpa aveva confessato durante l’interrogatorio, mentre Cox rimase tutto il tempo con gli occhi bassi, distratto da chissà quali altri pensieri.
Tutto era cominciato quando, una sera di nove mesi prima, la moglie del generale aveva contattato l’uomo durante una missione all’estero per informarlo della scomparsa della figlia Jala. Il mattino precedente, infatti, la bambina era uscita da sola a piedi per andare a scuola, distante appena 500m da casa, mentre la madre adottiva si era dedicata a sbrigare certe questioni lavorative nel suo ufficio. La mattinata, uguale a tante altre, era trascorsa tranquilla e la donna si aspettava che la ragazzina rientrasse come al solito nel primo pomeriggio, appena suonata la campanella; ma le cose non andarono come previsto: il tempo passò, ma della bimba non si vide neanche l’ombra.
All’inizio la madre pensò che dovesse essersi trattenuta con qualche amichetta al parco giochi, ma quando cominciò a fare buio la donna iniziò seriamente a preoccuparsi e decise di contattare insegnanti, amici e parenti per avere notizia della figlia, facendo una terribile scoperta: nessuno sapeva dove fosse, nessuno l’aveva vista, a scuola non ci era mai arrivata. La polizia, avvisata seduta stante, se ne lavò le mani dicendo che prima dello scorrere della canoniche ventiquattro ore non era possibile cominciare le ricerche. L’unica cosa che le restava da fare, ormai, era avvisare il capofamiglia.
Il mattino seguente il generale tornò a casa con uno dei peggiori mal di testa della sua vita; aveva sonno, era preoccupato per la figlia e sicuramente non era pronto ad affrontare tutto ciò che poi gli sarebbe capitato. Prima ancora che riuscisse a varcare la soglia di casa per prendere un’aspirina, si dovette fermare davanti alla cassetta della posta a ritirare un pacco, il primo dei tanti, che gli avrebbe cambiato per sempre la vita. Era rettangolare, appoggiato sulla sommità della cassetta, troppo grande per essere imbucato e non aveva né mittente né destinatario. Un caleidoscopio di pensieri si affollò in quel momento nella sua testa: e se all’interno di quello scatolo ci fosse stata una bomba? Se qualcuno avesse voluto uccidere lui e la sua famiglia? O peggio ancora, se gli avessero spedito un dito o una mano della figlia, come in quelle scene cruente che si vedono in certi film?

Lo aprì lentamente, spaventato ma tuttavia deciso a fare chiarezza. Ciò che vi trovò all’interno lo inquietò ancora di più di quello che aveva immaginato in precedenza: una videocassetta e un bigliettino, guardalo da solo. Approfittando della assenza della governante e della moglie, ancora impegnate nelle ricerche della bimba tra i compagni di scuola, l’uomo fece partire il filmato: la protagonista era la bambina, la sua adorata Jala, col viso gonfio e arrossato, il sangue che le sgorgava da un taglietto sulla fronte, seduta su una sedia in una stanza buia, -in una posizione non molto diversa da quella in cui si trovava lui mentre raccontava la storia ai due agenti della Confederazione- che reggeva il quotidiano del mattino e dietro di lei, a puntarle contro un fucile, un uomo incappucciato. Doveva aver pianto a lungo quella notte; poteva dirlo dal rossore dei suoi occhietti scuri, dal moccio rappreso sotto alle narici. Doveva aver cercato la mamma e il padre, doveva averli chiamati disperata, urlando, chiedendo perché fosse finita in quel guaio, lei che non era mai stata cattiva, lei che aveva sempre fatto tutti i compiti assegnati dalla maestra. Chi mai aveva potuto fare una cosa del genere ad una bambina di dieci anni? Quale animale vile e disgustoso aveva deciso di strappare via dalle cure della sua casa e della sua famiglia un indifeso esserino quale era lei? E a quale scopo, soprattutto?
Quasi come se qualcuno avesse sentito la sua domanda, in sovraimpressione comparve una scritta, ancora bruciante, indelebile nella sua memoria, che diceva: se vuoi rivedere viva tua figlia, presentati oggi alle dodici al Tripoli National Park davanti alla fontana centrale, da solo; se dovessimo anche solo sospettare che tu abbia allertato la polizia, la bambina verrà fucilata all’istante.
Verrà fucilata all’istante. Quelle quattro parole gli rimbombarono nella testa per un tempo che sembrò infinito. All’orario stabilito si fece trovare davanti alla fontana del parco; all’incontro si presentò inaspettatamente un ragazzino di circa quindici anni con uno skateboard che, senza neanche assicurarsi che fosse la persona giusta, gli consegnò un’altra busta anonima. Riuscì a farsi dire, prima che questi si dileguasse tra la folla, solo che era stato ben pagato da un tale per fare la consegna, uno alto e ben vestito che non aveva mai visto prima, uno che non lo aveva neanche guardato in faccia e che quindi non avrebbe saputo né descrivere né riconoscere.
La busta conteneva una esplicita richiesta di informazioni riservate, un libro, Il giovane Holden, e un altro fogliettino con una serie di cifre che sembravano dei numeri di telefono. Sul retro, le istruzioni per decifrare l’ora e luogo del successivo incontro -secondo il metodo già scoperto da Hadiya e Cox due giorni prima- che si tenne una settimana dopo in una viuzza del centro di Tripoli.
E così, di volta in volta, settimana dopo settimana, libro dopo libro, i misteriosi uomini gli avevano fatto recapitare a casa altri pacchi, con nuovi messaggi da decifrare, nuovi video della ragazzina con cui consolarsi e nuove richieste di informazioni; informazioni sempre più ardite, che il generale aveva silenziosamente fornito senza batter ciglio a quell’entità sconosciuta, a quel mostro che gli aveva rovinato la vita e di cui non conosceva neanche il volto. Questo fino a quando, qualche tempo prima, non era stato scoperto dagli uomini dell’Agenzia. Se lo aspettava, la storia dell’attentato al presidente Nadym era troppo grossa per sfuggire all’attenzione dell’Intelligence. Il suo tempo da traditore della patria era ormai finito.

<< Accidenti, che brutta storia! Ho bisogno di una sigaretta>> disse provato il greco ai colleghi; poi, dopo essersi acceso un drummino, indicò un punto sulla scrivania, << e quelle videocassette? Cosa sono?>>.
<< Sono tutti i video che hanno consegnato a Essid nel corso del tempo in cambio delle informazioni: pare mostrino la bambina con in mano dei quotidiani freschi di stampa a dimostrazione del fatto che sia viva e, se così si può dire, in buona salute. Li abbiamo recuperati da una cassetta di sicurezza appena qualche ora fa. Li aveva nascosti lì dentro contravvenendo all’ordine dei sequestratori di distruggerli subito dopo averli visionati. Per una volta nella sua vita, quel tipo ne ha pensata una giusta>> fece strofinandosi gli occhi la donna, che aveva evidentemente trascorso più di qualche notte in bianco, << fino ad ora li abbiamo solo catalogati per data e ora, ma adesso che abbiamo il videoregistratore possiamo finalmente cominciare a spulciarli uno ad uno, sperando che in almeno uno di essi ci sia qualcosa ci aiuti a trovare la piccola>>.
Non riuscì a finire la frase ché sbadigliò rumorosamente: era davvero stremata, aveva bisogno di una bella dormita. E di una vacanza.
<< Chissà perché hanno utilizzato un mezzo così desueto come i VHS per registrare i video>> disse poi pensieroso Molinaro.
Cox si girò per la prima volta verso i colleghi e rispose dondolandosi sulla sedia: << I bastardi sono stati furbi: le videocassette non lasciano alcuna traccia informatica, non si può risalire alla loro origine da un computer ed essendo state consegnate a mano non possiamo neanche seguirne a ritroso il percorso; anche l’analisi delle impronte digitali si è rivelata totalmente inutile, ci abbiamo trovato solo quelle di Essid, come se prima di lui nessuno le avesse mai toccate, come se si fossero registrate e consegnate da sole. Sarà davvero un’impresa trovare la piccola Jala… sempre se non l’hanno già fatta fuori>>.
Hadiya lo fulminò con lo sguardo. Il padre della bambina era a pochi passi da loro, separato solo da una parete sottile, e non era il caso di peggiorare ulteriormente la situazione lasciandosi andare a catastrofici proclami. Cox si rese presto conto del suo sbaglio e chiese scusa con un cenno del capo ai colleghi. Ha ancora tanto da imparare, pensò Nikolaidis davanti alla sua ingenuità.
<< Vi ha detto che genere di informazioni gli hanno chiesto i terroristi? Magari se siamo fortunati, riusciamo a capire che razza di intenzioni hanno. Dubito che il loro obiettivo finale fosse davvero l’assassinio del presidente, c’è di sicuro qualcos’altro sotto>> disse l’uomo dal naso aquilino.
<< Hanno chiesto di tutto e di più, anche informazioni che apparentemente non hanno utilizzato. Liste di nomi di agenti, turni di guardia, coordinate bancarie, orari delle visite mediche, codici di sicurezza. Se avessero voluto avrebbero potuto distruggere dall’interno l’intelligence africana, invece l’unica cosa che hanno fatto è stata tentare di uccidere Nadym. Tutto quello che hanno ora è inservibile, quelli dell’A.I.S. hanno cambiato persino il fornitore di acqua per i distributori. Forse avevano solo bisogno di esche confondenti per nascondere ciò a cui erano interessati davvero>>.
<< E il generale? Volete tenerlo legato lì come un salame fino a quando non ci saranno novità? I terroristi, se sono davvero furbi come dite, potrebbero accorgersi della sua assenza e cambiare nascondiglio, o peggio ancora, potrebbero davvero uccidere la ragazzina. Tanto a quel punto il padre come contatto sarebbe bruciato, perché dovrebbero tenersi tra i piedi una minorenne che potrebbe addirittura averli visti in faccia?>> chiese poi Nikolaidis sottovoce, con una certa cognizione di causa.
<< Avevamo già pensato a questo problema, ma la verità è che abbiamo avuto talmente tante cose da fare che non abbiamo ancora trovato una soluzione. Tu cosa consigli? Non pensi sia troppo rischioso rispedirlo a casa e fidarci sulla parola che non farà scherzi?>> chiesa la donna con sincera preoccupazione.
Davanti a quella domanda spontanea, Cox rimase profondamente sorpreso: era la prima volta che vedeva la collega chiedere umilmente consiglio a qualcuno su una questione di lavoro.
Aveva capito sin dai primi giorni quanto Hadiya stimasse il greco e quanto si fidasse di lui, almeno sul piano lavorativo, ma solo ora, vista anche la confidenza con cui si erano salutati poco prima, stava intuendo che forse c’era dell’altro tra loro, addirittura dell’affetto; forse la sua vita a bordo del sottomarino gigante non era stata poi così vuota e terribile come aveva pensato; o forse questo era solo ciò che voleva credere per non sentirsi più così a disagio e impotente davanti al suo triste passato. Forse aveva bisogno di credere che c’era ancora qualcosa di buono nel mondo.
<< Dobbiamo immediatamente portarlo a casa sua e fare in modo che continui a vivere la sua vita come se nulla fosse, per nessuna ragione al mondo dobbiamo dare modo ai rapitori di sospettare qualcosa>> rispose serio Nikolaidis dopo aver riflettuto un attimo sul da farsi. << Io e Molinaro terremo d’occhio lui, la sua famiglia e ogni canale di comunicazione ventiquattro ore su ventiquattro e ci accerteremo che non faccia brutti scherzi, mentre tu e Cox vi occuperete di scovare il luogo dove nascondono la ragazzina. E’ il massimo che possiamo fare al momento, con mezza base spedita in giro per il mondo da Huber a indagare sugli strani fatti delle ultime settimane>>.
Cox e DeWit si guardarono negli occhi e, dopo qualche tentennamento, accettarono di seguire il piano proposto dall’uomo, che compose il numero del capitano Huber dal suo cellulare satellitare per informare il superiore sugli ultimi risvolti e per dirgli che avrebbero avuto bisogno dell’aiuto di Ben per controllare le linee telefoniche di Essid.
Messi a punto gli ultimi dettagli, i due rinforzi inviati dall’Agenzia e l’uomo dell’intelligence africana partirono alla volta della villetta assolata nella periferia di Tripoli, pronti a mettere in piedi quella sceneggiata che avrebbe permesso a Cox e Hadiya di portare avanti le proprie indagini senza interferenze. I due si congedarono con garbo e si misero immediatamente al lavoro.
Passarono diverse ore e i due agenti, nei circa tre quarti dei video visionati, non riuscirono a trovare alcun indizio utile. Erano dei filmati brevi, dalla durata di al massimo un paio di minuti, di cui la maggior parte mostrava la bambina seduta immobile su un letto all’interno di una stanza buia e senza finestre, alla quale si accedeva attraverso una porticina nella parete posteriore; altri, invece, mostravano la bimba intenta a mangiare brodini incolori o a giocare svogliatamente con delle costruzioni. Sul suo visino spento si percepiva tutta la disperazione e la stanchezza della prigionia.
Nonostante l’attenzione cui prestarono ad ogni minimo dettaglio, non trovarono nulla, neanche il più banale degli indizi, che potesse suggerire dove tenessero la piccola. Erano davvero in alto mare e sapevano anche che non sarebbe passato molto tempo prima che i terroristi venissero a sapere che Essid era stato scoperto. La loro si configurava sempre di più come una corsa disperata contro il tempo.

La noia del caldo pomeriggio africano fu interrotta dallo squillo del cellulare di Hadiya, che si allontanò svogliatamente dalla sua postazione per rispondere. Cox, incuriosito dalla segretezza della collega, tentò di origliare la animata conversazione che ne seguì, ma non riuscì a coglierne il senso: era evidente che si stava esprimendo in una lingua a lui sconosciuta. Quando tornò alla postazione, la donna non gli diede spiegazioni, ma annunciò solo che sarebbe uscita a sbrigare una faccenda importante.
<< Continua a guardare tu quei filmati, tanto sono tutti uguali>> gli disse sbrigativamente, mentre sistemava la pistola nella fondina della divisa. << Se scopri qualcosa, avvisami sul cellulare>>.
Ormai Cox, seppur a malincuore, aveva pienamente accettato quel tacito accordo per cui la ragazza avrebbe smesso di essere una spina del fianco e l’avrebbe cominciato a considerare come un collega e non come una palla al piede, solo se lui non si fosse immischiato troppo nelle sue questioni private.
Se la donna avesse mai deciso di confidarsi con lui bene, sennò avrebbe fatto meglio a far finta di niente e a restare in silenzio. Le disse solamente di fare attenzione e di non mettersi nei guai, che se avesse avuto bisogno di aiuto o se si fosse trovata in pericolo lui sarebbe accorso immediatamente, poi la salutò con un cenno del capo. La vide mettere in moto il fuoristrada dell’Agenzia e allontanarsi a tutta la velocità attraverso le sabbiose strade della periferia.

<< E cosa dovrei farmene secondo te di questi quattro spicci?>> disse disgustato il vecchio dalla barba incolta e i capelli disordinati guardando i duecento euro che Hadiya gli aveva appena messo nelle tasche; li gettò a terra e li pestò con un piede, come se fossero stati ricoperti di blatte.
<< Che ne so, potresti farti un giro dal barbiere… o uno sotto la doccia, tanto per cominciare>>, rispose sarcastica l’altra, dopo aver dato un’occhiata alle condizioni in cui versava il vecchio.
L’uomo fece un sorriso amaro, mostrando i denti ingialliti. << Dammi qualcosa che mi faccia sopravvivere fino a Natale o giuro che non ti dico più nulla>>, replicò quello con aria decisa, incrociando le braccia. Hadiya lo afferrò per il colletto della camicia a quadri consumata e lo sbatté senza essere troppo brusca al muro retrostante, << senti Spookie, devo per caso ricordarti che appena quattro mesi fa ti ho passato quell’oggettino proveniente dagli scavi archeologici di El Cairo che ti avrà fruttato, al minimo della sforzo, almeno cinquemila bigliettoni? Con quello mi sono garantita la tua collaborazione per il resto della tua miserabile vita. I soldi di oggi sono solo un extra perché mi sento generosa, non ho alcun obbligo nei tuoi confronti. Quindi taglia corto e dimmi cosa sai di Ouary>>.
<< Va bene, va bene, ho afferrato il concetto. Ora mettimi giù però>> disse deluso il vecchio, che sperava di poter spillare altri soldi alla sua benefattrice. Si sistemò il colletto, si mise avidamente in tasca il denaro prima gettato a terra e poi cominciò a parlare: << è un moccioso di appena ventidue anni, è entrato nel giro da poco. Ha solo il compito di mettere in contatto gente con altra gente, nient’altro che un messaggero insomma, una nullità. Una volta, da ragazzino, è stato beccato dagli sbirri a vendere della coca ai tossici al parco, ma si è fatto solo qualche anno di riformatorio. Ora bazzica sempre in quel letamaio di Mamed giù al porto, all’ora di cena. Dovresti trovarlo lì insieme alla peggior feccia della città, tra birra e puttane. Lo riconosci facile: è alto quanto uno sputo e ha un uccello tatuato sul braccio>>.
<< Ah, la vecchia locanda di Mamed! La sua birra che sa di piscio e segatura mi è davvero mancata>> fece Hadiya con un sorriso fintamente nostalgico.
<< Resta sempre rintracciabile Spok, potrei avere ancora bisogno di te>> concluse l’agente, che si congedò salutandolo con la mano destra aperta tra medio e anulare. L’uomo le sorrise e le fece un inchino togliendosi il capello, << è sempre un piacere rivederti, zuccherino>>.

La locanda di Mamed era una fatiscente baracca di legno che sorgeva in un anfratto del molo turistico, lontano da occhi e orecchi indiscreti. Era gestita ancora dal vecchio Mamed in persona e sfamava da più di trent’anni le bocche dei più malfamati delinquenti di Tripoli, nonché quelle dei marinai dei mercantili che facevano sosta per la notte nel grande porto della capitale. La locanda era il luogo ideale non solo per procurarsi un po’ di divertimento facile, ma anche per entrare in contatto con gli scagnozzi dei signori della droga e del traffico d’armi. Lo stesso Aguilar, in passato, aveva costantemente tenuto uno dei suoi uomini di stanza al locale per procurarsi nuovi clienti e ampliare la sua già fitta rete di conoscenze. Hadiya, per non destare sospetti, subito dopo la chiacchierata col suo informatore aveva comprato e indossato dei jeans stretti e una semplice t-shirt bianca, si era poi diretta alla locanda arrivando alle sette in punto, proprio quando il proprietario stava servendo il primo giro della venefica zuppa di merluzzo. La ragazza prese posto su uno sgabello laterale del bancone e ordinò una birra scura al doppio malto; nel rumoroso vociare del locale, tra risate sguaiate, battutine volgari e palpatine promiscue, cominciò a cercare senza dare nell’occhio il ragazzino col tatuaggio sul bicipite.
Le si sedette accanto un ragazzotto sulla trentina, alto e con le spalle larghe quanto un armadio, che ordinò una birra uguale alla sua.
<< Come ti chiami, splendore?>> chiese quello cercando di mostrare un sorriso seducente. Hadiya continuò a sorseggiare dal suo bicchiere, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
<< Lo sai che mi piacciono i tuoi capelli, bambolina? Hanno questo aspetto così selvaggio, così mascolino. Dimmi almeno come va, dai>> riprese quello, per nulla scoraggiato dall’indifferenza di lei.
<< Fino a prima che arrivassi tu, bene>> rispose secca la donna.
<< Ho capito, sei una di quelle esigenti tu>>, fece l’altro con un sorrisetto malizioso stampato in faccia.
Il tizio tirò fuori cento dinari dal portafogli e li appoggiò sul bancone, << tra cinque minuti, io e te al piano di sopra>>.
Hadiya si girò lentamente verso il tipo, poi con un’espressione tra il divertito e l’indignato gli disse: << Hey amico, ti sembro una puttana per caso?>>.
L’uomo scosse il capo come imbarazzato dalla gaffe, poi però tentò lo stesso di toccarle il fondoschiena con un colpo di mano. La ragazza gli prese la mano assalitrice, la strinse forte nella sua facendogli sentire un dolore atroce, poi gli sussurrò minacciosa: << levati immediatamente di torno tu e i tuoi schifosi tentacoli o giuro che questo braccio te lo stacco e te lo faccio ingoiare>>.
L’uomo strabuzzò gli occhi, raccolse in fretta i suoi soldi dal bancone e dopo un po’ andò a fare la sua profferta ad un’altra donzella seduta qualche tavolo più in là.

Dopo circa mezz’ora di attesa, Hadiya finalmente riuscì ad individuare l’uomo indicatole da Spookie. Era un ragazzino dalla pelle e gli occhi scuri, alto al massimo un metro e sessanta, con un’ampia fenice tatuata sul braccio che scendeva fino al gomito. Si era avvicinato con cautela ad un tavolo di chiassosi omaccioni, probabilmente appena sbarcati da uno dei tanti mercantili che affollavano il molo, chiedendo loro se avessero bisogno di “roba”. Fu scacciato in malo modo, quindi prese posto al bancone e ordinò sconfortato una pinta di birra. La ragazza gli si avvicinò con naturalezza e tentò di cominciare una conversazione amichevole.
<< Stasera si batte la fiacca, eh?>> chiese con un sorriso benevolo.
Il ragazzo alzò le sopracciglia stupito, poi le disse con sgarbo: <>.
Gli tese la mano: << Piacere, sono Suni>>.
<< Sì, sì, come ti pare, io sono Tahar>> rispose l’altro svogliato.
Dopo qualche tentativo andato a vuoto e più di qualche birra, il ragazzo cominciò finalmente a scambiare due chiacchiere con l’agente. Le raccontò di come la sua situazione lavorativa fosse precaria e di come avesse urgente bisogno di denaro per prendere una nave e raggiungere la Confederazione, dove lo aspettava un lontano zio proprietario di un panificio.
<< Con tutta quella storia dei ribelli del sud-est, in questo paese di merda è diventato ancora più difficile tirare avanti onestamente, si può solo cercare di arrabattare qualcosa piazzando un po’ d’erba qua e là. Si è costretti a vivere giorno per giorno sul filo del rasoio, cercando di non essere presi dagli sbirri e di sfuggire in tempo ai creditori, che ormai di scrupoli non se ne fanno più, ti ammazzano anche alla luce del sole. E al TG ancora parlano della prima elezione democratica della storia del paese. Ah! Chi vogliono prendere in giro quegli stronzi? Il nuovo presidente è solo un bluff, dice tante belle parole, ha tanti begli ideali, ma alla fine si rivelerà uno stronzo come tutti gli altri, più interessato a fare soldi che alla nostra pelle. A questo punto sai cosa ti dico? Se ne vadano tutti affanculo, i poliziotti, i politici corrotti, questo paese disastrato, prendo tutto e me ne vado in Europa a fare il pane>> disse agitando l’indice per aria il moretto, facendo poi un altro sorso dal suo boccale. Cominciò a massaggiarsi le tempie con le dita, sofferente per le fitte e per il chiacchiericcio inconsulto del locale.
<< Volete chiudere per un secondo quelle maledette fogne? Bastardi!>> urlò ai marinai seduti al tavolo retrostante; gli uomini lo guardarono un attimo perplessi, poi lo ignorarono bellamente e ripresero a parlare.
<< Che hai, non ti senti bene?>> chiese Hadiya preoccupata quando lo vide roteare gli occhi all’indietro. << Sto bene, ho solo bisogno di un po’ d’aria. Credo di aver bevuto troppo>>.
Il ragazzo tentò di alzarsi dallo sgabello per uscire, ma inciampò rovinosamente su un’asse di legno divelta. Hadiya lo aiutò a rialzarsi, girò il suo braccio intorno al collo e lo portò fuori a prendere una boccata di ossigeno.
Il ragazzo finì per vomitare l’anima dietro ad una delle barche del molo, mentre l’altra lo osservava con le braccia incrociate. Passarono circa due ore prima che il moretto riuscisse a smaltire definitivamente la sbornia e a ritornare in sé. Hadiya attese pazientemente in silenzio, aiutandolo a ripulirsi e prendendogli del caffè, poi, di punto in bianco, senza giri di parole, gli chiese: << Senti, di quanto denaro hai bisogno?>>.
<< Almeno di duecento dinari>> rispose pulendosi la bocca con il bordo della maglia il ragazzetto.
<< Stasera sei fortunato, te li puoi guadagnare in un niente. Basta solo che tu mi dia qualche informazione su Ignacio Aguilar>>.
Al solo udire quel nome il ragazzo divenne più pallido di quanto già non fosse e cominciò ad arretrare verso la banchina. << Chi cazzo sei tu?>> le urlò spaventato, mentre cercava di non inciampare nei fili delle reti abbandonate del porto.
<< Nessuno che ti voglia fare del male, Tahar, te lo giuro. Mi serve solo che tu mi dica qualcosa su un certo cliente che hai messo in contatto con Aguilar due o tre mesi fa e poi non solo ti darò il denaro per andare in Europa o in America o ovunque tu voglia, ma ti troverò anche un buon posto di lavoro una volta giunto a destinazione>> disse con calma e gentilezza la donna.
<< E chi saresti tu, il genio della lampada? Non so perché lo fai, ma stai ficcando il naso in affari pericolosi. Quelli mi ammazzano se parlo! E ammazzano anche te!>> disse sempre più spaventato l’altro.
<< Ti posso proteggere, Tahar. La mia gente può farlo>>.
Il ragazzo fece una risatina amara e disse sconfortato: << non hai neanche idea contro chi ti stai mettendo. Quelli se ne sbattono della tua gente, se ne sbattono di chiunque>>.
<< Se ne sbattono anche dell’Agenzia?>> chiese, tirando fuori il documento di riconoscimento e mostrando la pistola che aveva nascosto sotto alla maglia.
Davanti a quel pezzo di carta il ragazzo parve calmarsi un attimo, poi mormorò: << stai dicendo che se non parlo mi arresti, o peggio, mi ammazzi?>>.
<< Sto solo dicendo che ti conviene pensare bene se vuoi metterti contro di me e la Confederazione ora o se vuoi fidarti di noi e metterti contro quella gente poi, quando avrai tempo per scappare>> rispose con una certa soddisfazione Hadiya.
<< Va bene, va bene, ho afferrato il concetto>>.
Il ragazzo si sedette su una cassetta di legno poco distante e cominciò a parlare tenendosi la testa tra le mani: << In realtà non posso dirti molto, solo che tre mesi fa è arrivato questo tizio ben vestito alla locanda, che sapeva perfettamente chi fossi, che mi ha chiesto se potessi passare qualche messaggio ad uno degli uomini di Aguilar. Gli ho detto di rivolgersi direttamente al tipo che il brasiliano mandava ogni sera in avanscoperta alla locanda, ma quello ha rifiutato e ha insistito affinché fossi io e solo io l’intermediario dell’affare, senza spiegarmene il motivo>>.
<< Non ricordi che aspetto avesse?>>, lo incalzò l’agente.
<< Bah, era un tipo davvero anonimo. Alto più o meno un metro e settantacinque, occhi scuri, capelli scuri pettinati all’indietro, naso dritto, labbra sottili. Poteva essere originario di qui come di mille altri posti. Parlava perfettamente l’arabo, ma non aveva nessuna cadenza, come gli attori dei film al cinema. Non aveva un tatuaggio, né una cicatrice, nemmeno un segnetto sul viso, nulla. Era calmo, tranquillo, posato, nessuna flemma o emozione. Potrebbe davvero essere chiunque>>.
<< E cosa voleva da te?>>.
<< Mi ha solo detto di consegnare, una volta che si fosse allontanato dalla locanda, una busta all’uomo di Aguilar e sparire. Mi ha mollato tre centoni e poi se n’è andato. Io ho fatto il mio dovere e non mi sono fatto vedere da queste parti fino a tre settimane fa, quando ho saputo che Aguilar era stato arrestato>>.
<< E nessun’altro si è fatto più vivo con te da allora? Né Aguilar, né l’uomo del mistero?>>.
<< Beh, è capitato solo un’altra volta che il tizio mi chiedesse di consegnare un messaggio al galoppino del vecchio alla locanda; sembrava una cosa piuttosto urgente, infatti mi è venuto a cercare a casa, ma ovviamente non so di cosa si trattasse. Questo è successo più o meno a fine maggio. Da allora nulla>>.
<< Sforzati un attimo Tahar, cerca di ricordare se c’è qualcosa, anche un dettaglio insignificante, che possa aiutarmi a capire chi è questo signor nessuno. E’ una questione di vita o di morte>>.
Il ragazzo stette un attimo a pensare grattandosi il mento con il pollice e l’indice, appollaiato alla meglio sulla cassetta di legno. Rimase in contemplazione del vuoto per almeno cinque minuti, quando, come se avesse avuto un’illuminazione divina sul senso della vita e del mondo, balzò in piedi e disse: << Ci sono!>>. Non continuò la frase; si riaccucciò di nuovo in silenzio: l’entusiasmo di un attimo prima sembrò placarsi.
<< In realtà non so se questa sia davvero un’informazione utile, ma quando il tizio è venuto a cercarmi la seconda volta aveva le mani e il polso della camicia sporchi di vernice. Erano delle piccole macchioline, nulla di esagerato, ma ricordo di averlo notato subito perché stonavano con lo splendore e l’eleganza del resto del vestito. Ah e indossava anche un pacchianissimo crocifisso dorato! Non c’è altro>> aggiunse con aria poco convinta.
<< Va bene Tahar, va bene così. Mi sei stato di grande aiuto>> gli disse Hadiya porgendogli una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi.
<< E la mia ricompensa?>> chiese fiducioso il ragazzo, sperando di non essersi sbagliato a fidarsi di quella sconosciuta incontrata appena qualche ora prima nella bettola di Mamed.
<< Sono una persona di parola, ho promesso che ti avrei aiutato e lo farò. Lasciami solo fare qualche telefonata>> rispose seria la donna, che si affrettò a chiamare il capitano Huber per trovare un passaggio veloce e sicuro al ragazzino. Dopo qualche minuto di fitte confabulazioni, l’agente tornò indietro con aria vittoriosa, << partirai domani mattina stesso con una nave mercantile dell’Agenzia. Sbarcherai al porto di Genova e da lì prenderai un treno verso casa di tuo zio; e senza sborsare un soldo, ovviamente. Fai il nome del capitano Huber e ti faranno salire a bordo senza problemi>>.
Gli scrisse tutti i dettagli su un fogliettino stropicciato e glielo consegnò con solennità. Il ragazzo strabuzzò gli occhi, ancora incerto se credere o meno alla immensa fortuna che aveva avuto quella notte di fine luglio, ma con tutta la voglia di fidarsi di quella sconosciuta, che gli sembrò davvero appena uscita da una lampada per esaudire tutti i suoi desideri. Le si lanciò addosso e la strinse in un lungo abbraccio, a cui Hadiya rispose imbarazzata con qualche pacca sulla spalla; non era abituata a quelle calorose dimostrazioni di affetto. Si salutarono qualche minuto dopo davanti all’ambasciata della Confederazione, dove la donna lo aveva condotto per trascorrere la notte. Gli strinse la mano forte, poi gli disse: << buona fortuna Tahar! E una volta arrivato a destinazione, mi raccomando, non metterti nei guai. Tutti abbiamo diritto ad una seconda occasione, ma la terza è un privilegio che spetta a pochi>>.
Il ragazzo fece un pegno solenne incrociando le dita, la ringraziò nuovamente e poi si girò verso il cancello in ferro battuto dell’elegante edificio, che gli si era aperto dinnanzi proprio come se fosse stato un re. Si incamminò lungo il sentiero alberato e proprio mentre stava per varcare la soglia d’ingresso, si sentì di nuovo chiamare dalla donna.
<< Ah, Tahar!>> fece quella urlando e agitando le mani, << ricordarti sempre che gira brutta gente al mondo, non dare confidenza agli sconosciuti nei bar!>>.
Il moretto sorrise e annuì, poi scomparve dietro le mura dell’ambasciata.

Era ormai passata mezzanotte quando Cox udì il rumore dei pneumatici del SUV arrestarsi davanti alla base. Hadiya rientrò cercando di non fare rumore, convinta che il collega fosse già a letto da un pezzo, e, senza neanche togliersi la pistola dalla fondina, si lanciò sullo sgangherato divano all’ingresso.
<< Allora, che novità ci sono?>> chiese Cox sbucando dall’ombra della stanzetta laterale.
Hadiya sobbalzò, spaventata dalla figura del collega che si intravedeva nel buio del corridoio.
<< Cazzo Kieren, mi hai spaventato!>> urlò lanciandogli contro uno dei VHS appoggiati al tavolino. L’uomo non si mosse di un centimetro; nonostante lo avesse visto perfettamente arrivare e quindi potuto anche scansare, lo beccò in piena fronte, nello spazio tra le due sopracciglia. In quel momento sentì, più che il dolore atroce per il colpo, uno strano calore che partiva dallo stomaco e che lo aveva paralizzato sul pavimento: era la prima volta che la ragazza lo aveva chiamato per nome. Rimase in silenzio nel buio ancora per qualche secondo, poi scosse la testa per risvegliarsi da quel torpore e le si sedette accanto sul divano.
<< Sei cretino? Perché non ti sei scansato?>> gli urlò quella quando vide il livido che gli si era formato da sotto all’attaccatura dei capelli fino al ponte del naso. L’altro non rispose, scrollò le spalle.
La ragazza corse a prendere un po’ di ghiaccio dal mini-frigo e glielo poggiò sulla fronte. Cox le scostò bruscamente la mano e si premette forte l’impacco sull’ecchimosi, dicendole che non c’era bisogno che si preoccupasse.
Hadiya, sentendosi troppo stanca per fare discussioni, si arrese e lasciò che facesse da solo. Si alzò e si tolse la pistola dalla fondina, poggiandola sul tavolino tra i ritagli di giornale e le videocassette.
<< Credo di aver trovato qualcosa>> le disse poi Cox a bassa voce.
<< In che senso?>> chiese l’altra mentre si toglieva anche le scarpe.
<< Tra i video intendo; credo di aver trovato qualcosa che ci possa essere utile>> continuò come se nulla fosse il biondo.
Hadiya gli si avvicinò di nuovo e gli prese il viso tra le mani, << davvero? E tu solo ora me lo dici? Parla, per l’amor del cielo! Cosa hai trovato?>>.
Il ragazzo la guardò dritto negli occhi e poi, accennando un sorrisetto malizioso, le disse: << Un calo di corrente. Ho trovato un calo di corrente>>.
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: jess803