Fumetti/Cartoni americani > Batman
Segui la storia  |      
Autore: The Robin Flying    02/06/2009    5 recensioni
Faceva freddo quel giorno.
Bruce girava per le strade vuote di Central, cercando un buon negozio in cui comprare un bel regalo alla sua ragazza.
Natalie.
Di lei aveva capito, che i vestiti la rendevano felice.
Era una ragazza a cui piacevano i tessuti e i colori.
-Premetto: Non sono un nuovo autore, posto solo con un altro Nick Name v.v-
La dedico agli ammiratori di Robin (Dick)
-Si attiene un pò alla realtà ?riadattamento'- Buona lettura e recensite pease ^^^
Genere: Azione, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
bo

 

 

The beginning

 

 

 

 

Dick girovagava senza meta per i corridoi della grande casa.

Era nervoso.

Aveva voglia di uscire, ma il suo tutore glielo aveva vietato.

 

Sbuffò.

Avrebbe potuto benissimo scappare…

L’idea “c’era tutta”…

Ma c’era un problema: Alfred.

Il maggiordomo.

 

Si sedette su una poltrona.

Si lamentò nuovamente.

Sicuro che Bruce lo sarebbe venuto a sapere…

E sicuri erano altri giorni di punizioni…

Gli sarebbe stato con il fiato sul collo.

L’ultima cosa che avrebbe voluto.

 

-Serata noiosa?-

Sobbalzò.

Non si era accorto che il maggiordomo gli si era avvicinato.

Gli rifilò un’occhiataccia, riservata tutta per lui.

 

-Scherza poco!-

-Nervosetti direi…-

Ridacchiò.

 

-Vedi un po’ te! Sono 2 mesi che non esco da qui! Videogiochi, computer, cellulare…Tutto requisito! Uffa!-

Si agitò sulla poltrona.

 

-Che dovrei fare? Mi annoio! Nemmeno la sera posso “essere Robin”!-

-Studia. In fondo il tuo motivo “della segregazione”, come dici, è l’essere stato nuovamente bocciato.-

-Grazie per averlo ricordato! Ma quest’anno sono in secondo finalmente. Sono stato promosso e non fare più errori.-

-Vero… la verità è che sei un irresponsabile e io mi ricordavo i motivi della precedente “segregazione”-

Si rimediò l’ennesimo “sguardo assassino” da parte del ragazzo.

 

-E di preciso cosa avrei fatto stavolta?-

-Non lo so, dimmelo tu.-

-Sai sempre tutto. Non ci sarebbe gusto a raccontarti qualcosa.-

Dichiarò lascivo.

 

-Non mi sembra comunque che il telefono di casa sia occupato, oppure vietato.-

Fu l’ultimo commento del maggiordomo prima di uscire dalla stanza.

Stavolta lo sguardo del ragazzo fu stupito.

Non ci aveva pensato.

 

Si alzò.

Si diresse il più veloce possibile…

Quasi fulmineo, al telefono quando…

Lasciò perdere.

 

“Va che quando vede la bolletta, se guarda i numeri si accorge che ho chiamato.”

Amareggiato si buttò nuovamente sul divano.

Al massimo gli era concessa la tv…

Ma il telecomando, come al solito, era sparito.

Provò a cercarlo svogliato.

 

Ci mise un bel po’, trovandolo poi tra i cuscini.

Alzò gli occhi al cielo.

L’ultima volta che lo aveva trovato li, era da molto piccolo e, quando ancora non aveva il computer a casa, simbolo della sua ‘vita’, dato che la viveva li sopra ogni giorno.

Accese un canale qualunque…

Il notiziario…

No si disse, troppo frustrato per subirlo.

Cambiò canale.

Un film romantico.

Non era decisamente il suo genere.

Altri canali…

Reality show, li detestava.

Canale culinario…

Di offerte vendite…

Altro notiziario.

Canali musicali…

Alla fine eccoli.

Aveva trovato un canale con i suoi ‘amati’ anime Giapponesi.

Da quando era senza computer, si era ridotto a vedere solo quelli che già possedeva in dvd, oppure a leggere i manga vecchi.

Aveva gli arretrati di due mesi che ancor alo attendevano per le compere, la punizione appunto, comprendeva il niente uscite, era controllato sia prima e dopo la scuola, quindi non era riuscito a passare in una delle sue fumetterie.

 

Sistemò qualche cuscino basso sul bracciolo morbido.

Si sdraiò.

Comodo com’era, si lasciò andare sbragandosi letteralmente sul divano.

Sbadigliò.

Erano solo le 21.30, ma la noia lo portava alla stanchezza e anche se non sembrava, a poco sonno.

 

***°***

 

La porta che collegava alla camera da pranzo scattò.

Un uomo castano dall’immagine curata ne uscì.

La tv era ancora accesa nonostante l’ora, ma a illuminare la stanza buia, c’era una luce soffusa dal lato opposto.

Questi si avvicinò al divano, vedendo poco a poco il ragazzo dormiente.

 Sbuffò scuotendo la testa.

Prese il telecomando che teneva tra le mani e spense.

Si chinò su di lui richiamandolo.

 

Il ragazzo mugugnò contrariato.

Scacciò via la mano insistente.

L’uomo stava per strillargli in testa nonostante l’ora tarda, ma fu fermato.

 

-Signore, lo lasci dormire.-

-Sul divano?-

Chiese scettico.

 

-Si.-

-Fino a che ora ha guardato la tv?-

-Credo le undici signore.-

-E come mai se ava sonno non è andato a dormire?-

-La noia lo ha fatto assopire.-

-Alfred, non mentire come al solito per salvarlo.-

-Dico la verità signore. Il signorino è quasi depresso. Gira tutto il giorno per casa senza fare nulla…-

-Studiasse, ne ha bisogno.-

-Non crede, che ne risenta invece di una sua mancanza?-

-Cosa cerchi di dirmi?-

-Solo, che se lei si preoccupasse di fare qualcosa con lui, forse non starebbe così giù.-

-Lui è giù perché non si isola con gli amici.-

Il maggiordomo chiuse gli occhi.

 

-Il ragazzo non mi ha detto il motivo della sua segregazione.-

-Credevo lo avesse fatto.-

-Dice di non esserne al corrente.-

-Lo dovrebbe sapere: è un incosciente che si butta a capofitto la natte, senza curarsi di se stesso.-

-Si spieghi.-

-Due mesi fa, per recuperare un rubino che avremmo tranquillamente potuto recuperare poi con calma, per poco non si fa ammazzare.-

-Allora, ciò si collega veramente a ciò che le ho detto prima.-

-Ovvero?-

Inarcò un sopracciglio.

 

-Il signorino vuole attirare l’attenzione per essere considerato da lei.-

-Ti ha detto lui di dirmi questo per riavere la “libertà”?-

-No, l’ho intuito. Lei sa bene quanto sia orgoglioso. Non lo ammetterebbe mai, ma la situazione è quella che le ho detto.-

-E cosa dovrei fare scusa? Non ha più 6 -7 anni.-

-Si, ma non è nemmeno così grande, come ogni ragazzo alla sua età pensa di essere.-

Il maggiordomo, pensò bene di lasciare solo il padrone.

Lo conosceva abbastanza bene.

 

Bruce si sedette accanto al diciassettenne.

Con una mano andò a carezzargli i capelli, come un padre fa con il figlio.

Era diventato ormai un gesto naturale per lui.

Anche se dovette ammettere, che ultimamente erano radi verso di lui.

Usciva sempre più spesso con qualche fidanzata la sera.

Oppure assisteva a cene di lavoro.

A molte di queste, aveva cercato di portarci anche Dick…

Ben sapendo quanto quello le odiasse.

Eppure, a ben rifletterci non si era mai rifiutato, nonostante passasse l’intera serata in religioso silenzio, tra grandi potenti signori.

Veniva tagliato fuori dai discorsi delle signore.

Ed era meglio così, cosa avrebbe potuto dire?

Lui nemmeno ce l’aveva una madre…

E veniva tagliato fuori, dai discorsi di quei potenti signori, impegnati solo nel discorrere di soldi e bella vita.

Mentre Dick, ragazzino di solo diciassette anni, si trovava seduto accanto al padre adottivo, attendendo in religioso silenzio la conclusione della serata, senza che nessuno gli rivolgesse una parola.

 

Scosse la testa a quei pensieri.

Comprese quello che cercava di dirgli Alfred.

Era un continuo portarlo a feste  cerimonie importanti, a cui nemmeno i figli di altri partecipavano.

E nonostante ciò, truce si maledì, dimenticandosene la presenza sofferente.

Di lui ricordava solo il mutismo e i ritorni in macchina dormienti.

 

Si maledì mentalmente.

Si alzò, cercando poi, di tirare su l’altro.

Nonostante l’altezza e i fisico, era pesante pensò.

 

Salì le scale, posandolo ne letto.

Lo scoprì, per poi ricoprircelo.

Nel vederlo rannicchiare, gli tornarono alla mente i ricordi di quando era solo un bambino cresciuto troppo in fretta, a cui era stato tolto tutto.

Quel giorno, nel vederlo solo si era intenerito, gli aveva teso al mano e portato via con se donandogli una vita.

 

***°***

 

Faceva freddo quel giorno.

Bruce girava per le strade vuote di Central, cercando un buon negozio in cui comprare un bel regalo alla sua ragazza.

Natalie.

Di lei aveva capito, che i vestiti la rendevano felice.

Era una ragazza a cui piacevano i tessuti e i colori.

 

Si strinse nel cappotto appena in tempo.

Un’ondata di vento gelido lo aveva investito in pieno.

Chiuse gli occhi.

Migliaia di piccoli cristalli ti ghiaccio, trasportati assieme alla neve, gli ferivano gli occhi.

Si voltò di poco, vedendo tra le fessure della frangia movimentata, una piccola figurina…

Come un gatto, cercare di proteggersi.

Ma era troppo rosea e poco pelose pensò tra se.

Ma non ebbe cuore di lasciarlo li.

Gattino o meno pensò, poteva benissimo portare via quel cuccioletto da li e lasciarlo alle cure del primo veterinario che avrebbe incontrato.

Ma man mano che si avvicinava, prendeva sempre più consapevolezza.

Quello non era un animale…

Era un bambino.

Un bambino piccolo piccolo, che cercava calore tra le tubature gelide di fuori e cade all’interno, di un condizionatore dei un ristorante.

 

Gli si avvicinò aprendo il giaccone.

Voleva evitargli di prendere altra aria inutilmente.

Lo guardò per bene.

Indossava una camicia corta, così come i pantaloncini.

Le scarpe non le indossava.

Era livido di freddo sia in faccia che su tutto il corpo.

La bocca screpolata, così come le mani, e gli occhi contornati da occhiaie.

Era magrolino e smunto.

Aveva paura che potesse essere spazzato  via.

Lo guadò cercando di sorridergli, il più sincero possibile.

 

-Ciao piccolino. Hai freddo vero?-

Lo vide annuire.

 

-Come ti chiami?-

Non gli rispose.

 

-Mi senti?-

Fece cenno di si con la testa.

 

-Non mi vuoi dire il tuo nome?-

Negò.

Continuò a sorridergli.

 

-Vuoi venire con me, in un posto caldo?-

I profondi occhi verdi lo guardarono intensamente.

Allungarono una mano verso l’interno del cappotto.

Alla nuova sensazione di calore, prese a sorridere.

E non curante a toccarlo.

 

-Vuoi venire in un posto caldo così.-

Rapito com’era, si destò poco dopo.

Annuì.

E così Bruce avvolse quel piccoletto al suo petto, lo prese tra le braccia riscaldandolo.

Tremava.

Tossiva.

Tornò in dietro alla macchina.
Distese quel piccoletto sui sedili di dietro, avvolto nel caldo giaccone.

Gli aveva sussurrato dolci parole, facendolo addormentare.

 

Una volta tornato alla sua villa, era stato ben attento a non svegliarlo.

Preso in braccio, si era diretto dentro casa e accolto subito dal maggiordomo.

 

-Ben tornato Sign…-

-Prepara una camera Al.-

Si era affrettato a ordinare.

 

-Avremo un nuovo ospite per i prossimi giorni, e chiama anche un medico.-

-Non la capisco.-

Il castano rivelò la figurina mora accoccolata a se.

 

-Buon Dio…-

-Muoviti. Sta molto male.-

In capo a mezz’ora, il bambino si era ritrovato tra morbide e calde coperte, con una pezza fresca in testa.

 

-Mi raccomando, assoluto riposo e si attenga meticolosamente alle cure, io verrò a trovarla domani, per controllare. Qualunque cosa, chiami a qualsiasi ora.-

-La ringrazio mille dottore.-

Una volta sparito alla vista, il trentenne ritornò nella camera.

Si era avvicinato al piccolo che sembrava ricercare qualcuno.

Gli aveva teso una mano…

E lui si era rasserenato, facendolo sorridere.

Un sorriso dolce, tutto per quella creaturina, che era già riuscita a conquistargli il cuore, arrivando oltre la lastra di ghiaccio, quasi impenetrabile da molte donne.

 

Due…

Tre…

Quattro…

Al quinto giorno riprese un po’ di colorito aprendo gli occhi.

Erano rossi e lacrimavano.

Era confuso.

Ma la figura dell’uomo che credeva di essersi sognato, come il suo salvatore, era rimasto veramente a vegliarlo per tutto il tempo.

Gli stringeva ancora la mano.

 

Con difficoltà, dopo un violento attacco di tosse, era riuscito a risvegliare l’uomo.

E quello lo guardò sorridente.

Lo aveva visto di nuovo aprire gli occhi.

E il piccolo sorrise, anche se debole.

Ma era da tanto che nessuno gli donava felicità.

O forse non gli era mai stato dato tutto ciò.

Non lo sapeva.

E non lo ricordava.

 

-Ben svegliato.-

Gli era sto detto con voce morbida.

Bassa.

Calma e sicura al contempo.

E si era sentito protetto.

Aveva cercato di alzarsi.

Ma quelle grandi mani lo avevano trattenuto gentilmente.

 

-Resta fermo, hai ancora la febbre alta.-

Ma quegli occhi o guardarono confusi.

Come se non capissero.

 

-Mi chiamo Bruce.-

Gli aveva detto l’uomo sicuro.

E lui boccheggiò, facendo uscire finalmente un suono.

 

-‘Ick…-

-Rick?-

Domandò benevolo.

E scosse la testa.

 

-‘Ick…-

-Nick?-

Ancora una volta no.

 

-‘Ick…-

-Dick?-

E annuì.

 

-È un bel nome.-

-Anche il tuo…-

Articolò con difficoltà.

 

Passarono varie settimane e finalmente il bambino si era ripreso.

Si era capito che avesse solo due, se non tre anni.

E che gli bastava veramente poco per essere felice.

Nessun gioco.

Nessun dolce.

Solo la presenza di quell’uomo che gli sorrideva.

E a lui bastava quello per essere felice.

 

Si trovava sempre tra le sue braccia.

Sempre attaccato a lui.

Lo seguiva ovunque.

Persino negli uffici…

Bastava metterlo in un angolo, seduto, e lui stava buono li.

Senza fiatare.

Guardava l’uomo e sorrideva.

Ma questo, metteva tristezze in quel’uomo.

 Voleva veder giocare il ambino.

Voleva vederlo sorridere per conto suo.

Non voleva diventare un ostacolo per lui.

 

Si era rivolto alla polizia.

Era ricco…

Nel giro di ventiquattrore, era venuto a sapere tutto su di lui.

Sull’abbandono.

E sulla vera origine dei genitori, morti in seguito poco dopo.

E se ne era stupito.

Era riuscito a sopravvivere per diversi mesi da solo, fino a quando lui non lo aveva trovato.

Provarono a portarlo via.

Strillò richiamando l’uomo.

Non lo vide.

Smise di mangiare.

 

Bruce anche si intristì.

Quella figurina appiccicosa gli colmava il cuore.

Voleva riaverlo in dietro…

Voleva poterlo adottare…

E gli fu concesso, per il bene del piccolo.

 

Era ritornato a sorridergli gioviale.

Ma ben presto dovette mandarlo in un asilo, tra gli altri bambini.

All’inizio era molto riluttante.

Li vedeva giocare senza capire…

Non era abituato a giocare…

E si comportava in modo ‘diverso’, isolandosi.

Ma nessuno di loro era intenzionato a giocare con lui.

 

Ogni giorno capiva sempre meno e tornava a casa con il sorriso.

Aveva capito che non doveva far preoccupare il suo ‘nuovo papà’.

Ma quando lo veniva a portare via, lui non dormiva come tutti gli altri.

Restava sveglio ad attendere l’uomo e sentiva la maestra dirgli che si comportava diversamente dagli atri.

Ma lui non riusciva ad aprirsi.

Così come quando crebbe.

Man mano nessuno lo evitava ormai.

Sentiva le loro voce che parlavano prendendolo in giro.

E lui si chiudeva sempre più.

 

A casa Bruce restava sempre meno.

Ma le domeniche lo portava a giocare al parco giochi…

Oppure a pallone solo loro due.

E gli stava bene così…

Ma agli undici anni, smise definitivamente persino di portarlo in ufficio.

Smise di prenderlo a scuola…

E anche il maggiordomo aveva sempre più impegni.

E Dick iniziò a sentirsi solo in casa.

Proprio quando aveva iniziato a trovare degli amici.

Gli pareva un triste scherzo del destino.

Sola da una parte, e poi dall’altra.

Cercando quindi, conforto tra i suoi amici.

Fu in quel periodo che riscoprì la vera identità di Bruce Wayne…

E ne volle far parte.

 

 

 

 

 

Fineeeee!!

Umm diciamo che per ora fine primo capitolo XDDD
Non so bene come diavolo continuerà o finirà (come ogni mia storia v.v)
Non aggiornerò in fretta sappia telo ma aggiornerò prima o poi v.v io concludo sempre tutto v.v!!

 

 

Dona l’8% alla causa pro recensioni

Farai felici milioni di scrittori

 

E me XD!!

 

*Perché recensire non fa male alle ditina XD*

 

 

 

 

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Batman / Vai alla pagina dell'autore: The Robin Flying