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Autore: Hikari_Sengoku    15/02/2017    2 recensioni
Kaname é ormai un membro esterno della Mithril, e ha bisogno di una protezione ridotta. Viene assegnata a Sousuke una nuova missione. Chi sará il nuovo soggetto da proteggere? In quali guai trascinerá i nostri eroi? (Nuovi capitoli a scadenze non assolutamente fisse, ma piú o meno ogni settimana per i primi tempi, credo!)
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kurz Weber, Melissa Mao, Nuovo personaggio, Sousuke Sagara, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno l’aria era più limpida del solito al Centro Grandi Ustionati di Tokyo, notò Kaname. Era  passato quasi un mese dallo scontro, ma Hikari non si era ancora svegliata. I ragazzi si davano spesso il cambio per venire a trovarla, ma era difficile per tutti vederla in quel letto d’ospedale, così a poco a poco erano rimasti  solo lei, Daiki ed il gruppo della Mithril più sporadicamente. Entrando nel corridoio, un forte tanfo di disinfettante la investí e le pizzicò il naso, ricordandole i pochi mesi passati al cappezzale di sua madre prima che morisse, ma ormai vi era abituata e scacciò il ricordo. Da quando veniva lí, era diventata un’abitudine raccontarle delle storie, e quel giorno gliene aveva portata una particolarmente interessante. Prima di entrare le fecero indossare guanti, mascherina, tunica e cuffia sterilizzata. Si sedette di fianco a lei, evitando accuratamente di incappare con lo sguardo sulle bende e sulla maschera di tela blu che portava sul volto. Hikari Kurojima era stata ricoverata in ospedale in condizioni gravissime. Aveva subito gravi lesioni interne e perso Il 75% della sua pelle, e da quando era stata ricoverata il suo cuore aveva smesso due volte di battere, la possibilità che sopravvivesse era del 20%. Kaname strinse le labbra, scacciando il pensiero della terribile diagnosi, e cominciò a parlare:
“Ehi, Hikari, Ti ho portato una storia interessante oggi, lo sai? Sousuke mi ha permesso di portarti i dossier sul tuo caso. Ho trovato un sacco di storie interessanti, vuoi che te le racconti?” Come al solito non ebbe risposta.
“ Lo prenderò per un sì. Ti racconto solo le cose più interessanti, d’accordo? Partiamo dal primo. Alí Amer, nato in T……stan il 3 agosto 1971. Era un promettente ricercatore in ambito biochimico. All’etá di 30 anni compí un viaggio in Grecia durante il quale conobbe sua moglie. Due anni dopo naque loro una figlia, Alessandra. Purtroppo anche lei era una Whispered. Avrebbe avuto la nostra stessa età, se fosse sopravvissuta. Qui dicono che era troppo piccola per gestire il risveglio del suo potere, e che è morta per questo quando aveva otto anni. Guarda, è lei” disse estraendo una foto sbiadita, macchiata di sangue. Nella foto c’era una piccola bambina sorridente, dai lunghi capelli chiarissimi, gli occhi grandi tra il grigio e l’azzurro e la pelle abbronzata, davanti ad una sagoma femminile. “L’hanno trovata sul suo corpo. La moglie seguí la figlia poco dopo, e lui rimase solo. È stato in questo periodo che é entrato nell’Amalgam. Il resto lo sappiamo”. Scartabellò ancora tra i dossier, finché non trovò: “Oscar Ousmane, giovane ricercatore in ambito bionanotecnologico, nato il 12 settembre 1984 in un villaggio dell’Africa centrale. Rapito in tenera etá, allevato ed istruito dal criminale pluriomicida Gauron, fedelissimo alla sua causa.” Il foglio si accartocciò nelle mani di Kaname, per poi finire in mille coriandoli sul pavimento. “Anche da morto, anche da morto!” esclamò con rabbia la ragazza. Si calmò poco dopo, ascoltando il lieve bip delle macchine. Per un attimo il rumore della rabbia lo aveva cancellato. “Andiamo avanti, ti va?” tremolò la sua voce sospirando. “Hitomi Harada, vedova dell’ufficiale dell’esercito giapponese Chojiro Rangetsu, pediatra, nata il 20 aprile 1980 a Tokyo. Non c’è scritto praticamente nulla. La sua vita è normalissima fino alla morte del marito. Strano, non trovi?” ma girandosi Kaname vide solo l’immobile maschera di tela azzurra e le candide bende che avvolgevano la sua amica.
“Parlare da soli è avvilente…” L’ora che passò con Hikari continuò a trascinarsi lentamente. Le raccontò dei due bambini dai capelli rossicci, che loro avevano fatto riunire alla madre durante il ricovero in ospedale. I piccoli si trovavano nell’Amalgam per pagare le cure della madre malata, poi la donna era guarita ma gli interessi erano aumentati a dismisura, e i bambini erano rimasti invischiati sempre di più. Poi finí le storie. Quando se ne andò, girandosi un’ultima volta le parve di aver vegliato un cadavere.
 
 
Daiki quella mattina era particolarmente agitato. Anzi era proprio disperato. Per giorni si era diviso fra due ospedali, sperando nel miglioramento dei suoi amici, ma le ultime parole di uno di loro l’avevano distrutto. Ormai era deciso, e lui non poteva fare più nulla. Era passato un mese e mezzo, un mese e mezzo di agonia. Era corso da lei sapendo che sarebbe rimasto senza risposta, che lei era lí, ma era come se non ci fosse. Lui non era uno che piangeva. Fece il tragitto fino alla stanza quasi senza accorgersene. 
“ Hik, È successa una cosa terribile! Sho sta peggiorando…” Ma la sua voce si spense nel vederla lì, immobile. Non la toccava niente. Non rispondeva. Lei non poteva rispondergli. Lo realizzò di nuovo per l’ennesimo giorno di fila. E stette in silenzio. Lui non credeva nelle favole. 
 
“E cosi, domani ti operano di nuovo.” Constatò Mathieu. Era la terza volta che la veniva a trovare. “Mi dispiace. Non sará bello dopo. Miranda, guarda che non ti morde, vieni avanti” la chiamò. Erano venuti insieme, lui, Miranda e Francis, prima che venisse operata di nuovo, anche se aveva praticamente dovuto costringere la ragazza a venire con loro. Mathieu si strofinò le lunghe cicatrici che gli attraversavano verticalmente l’interno degli avambracci, sovrappensiero. “Sará difficile, lo so. Vorrai suicidarti. Ma devi resistere. Sempre. Me l’hai insegnato tu, stellina” disse scuotendole il braccio inerte.
“Hai finito con i sentimentalismi? Mi fai venire il voltastomaco” si intromise la voce acida di Miranda.
“Oh, insomma, io sto qui che cerco di riabilitare la mia immagine di molestatore alcolizzato, ci metto tutti i sentimenti, e mi devo sentir dire queste cose?” ribatté lui piccato.
“Tesoro” rispose lei avvicinandosi sinuosa, “tu sei fin troppo dolce con stellina. Vogliamo darci un taglio? Non ho intenzione di passare la mattinata con un ex-aspirante suicida, un’ameba umana e una zombie carbonizzata, senza offesa, fa pure abbastanza schifo. Quindi, per favore, dimentichiamo le tragedie drammatiche del nostro passato,” disse esasperando il tono patetico “ e torniamo all’aria aperta, ti va?” disse strusciandosi addosso a lui.
Mathieu la guardò malissimo, ma alla fine si alzò e si congedò: “Au revoir, stellina” disse tenendo gli occhi fissi sui suoi avambracci scoperti, poi si allontanò con Miranda e Francis. “Bye bye!” sorrise la ragazza.
 
Quando si svegliò, la prima cosa che sentí fu la pressione di un tessuto elastico sul viso. Aprí gli occhi, e si rese conto di trovarsi in una luminosa camera d’ospedale, e di non potersi muovere per quanto l’avevano imbacuccata nelle bende. La gola riarsa non voleva saperne di esprimere un qualsiasi suono, non poteva chiamare nessuno. Era mattina presto, e da quello che poteva vedere, la stanza era deserta. Attaccato all’indice della mano sinistra, il rilevatore di pressione aveva cominciato a borbottare impazzito. Nel giro di pochi secondi, la stanza si riempí di medici ed infermiere, che le facevano domande, le puntavano fastidiose lucette negli occhi, la scuotevano… le montò la nausea. Era sola, in una stanza d’ospedale, senza i suoi amici, e quei medici la stavano rivoltando come un calzino. Finalmente, una mano caritatevole le porse un bicchiere. Mentre sorbiva uno sciroppo, sentí un gran trambusto provenire dai corridoi, come una massa di bufali impazziti. Daiki fece il suo trionfale ingresso nella stanza, stravolto ed affannato. Hikari lo osservò bene: Notò il viso sciupato, le occhiaie pronunciate, gli occhi rossi, e soprattutto i capelli scompigliati. Era un’immagine rara ed inquietante. Era magrissimo, avvolto nei vestiti che prima gli erano aderenti, la barba più lunga del solito ed insolitamente non curata. Nel suo viso però si leggeva un immenso sollievo.
“Hik” ansimò, “ti sei svegliata!”. Lo vide fermare un dottore per chiedergli qualcosa, poi intristirsi e sorridere. Aspettò che i dottori si dileguassero nei corridoi prima di sedersi al suo fianco, distendendo la gamba “difettosa”, come la chiamava lui. 
“Allora, come ti senti?” disse prendendole delicatamente la mano martoriata.
“Come mi dovrei sentire, secondo te?” rispose con la voce roca e strozzata dal poco utilizzo. La nausea non accennava a diminuire, e nonostante la sua percezione del dolore inesistente, sentiva un malessere diffuso un po’ovunque, oltre all’impellente bisogno di grattarsi sotto le bende ed alla voglia di strapparsi quella maschera sul viso.
“Giusto, domanda stupida. Vuoi che faccia qualcosa?” le chiese premuroso.
“Passami l’acqua, per favore” Daiki le porse il bicchiere alle labbra riarse.
“Quanto tempo sono stata incosciente?” gli chiese stancamente.
“Quasi tre mesi” rispose lui accarezzando delicatamente la pelle innestata. Non la guardava in faccia, ma si disse che era dovuto al suo pessimo aspetto in quel momento.
“Oh. Cosa è successo?” gli chiese fissandolo oltre la barriera azzurra della maschera. Daiki alzò gli occhi apprensivi su di lei. Le iridi azzurrine, quasi verdi, rilucevano sotto uno strato di lacrime. Hikari si spaventò.
“Daiki. Dimmelo” ordinò perentoria con la sua voce bassa e roca. Il ragazzo si strofinò gli occhi con la manica, poi, col labbro tremulo cominciò a parlare:
“Sho ha...” Sospirò dolorosamente, nello strenuo tentativo di trattenere le lacrime, stringendosi le ginocchia al petto, come i bambini piccoli.
“Sho ha…?” lo incitò lei, mentre l’apprensione saliva. “Mi stai spaventando. Mi dici cosa è successo?” Lo spavento era chiaramente udibile nella sua voce.
“… ha mollato!” quasi lo urlò, impastando la bocca contorta in una smorfia di dolore con le lacrime. “Non ce l’ha fatta, ha fallito, non c’è riuscito, è morto! È morto…” singhiozzò nascondendo il viso fra le ginocchia. Sotto la maschera azzurra di Hikari, calde lacrime rigarono il volto immobile.
“Come… com’è successo?” si uní ai singhiozzi del suo migliore amico.
“Lo sapevo. Sapevo che poteva non farcela. Da quando l’hanno preso non era più lo stesso. Poi dopo lo Scontro ha cominciato a stare sempre peggio. Sembrava che con te avessimo trovato una cura, ma tu non c’eri, dannazione! Da allora ogni cosa è andata a scatafascio. Lui si stava spegnendo lentamente col culo attaccato a quel lettino d’ospedale, mentre tu subivi un infarto dopo l’altro. Stavate morendo, ed io non potevo fare niente!” urlò alla fine, accompagnato dai singhiozzi disperati di Hikari. “Pochi giorni prima, Sho me l’ha detto. Ti avrebbe salvato. E l’ha fatto” disse ingoiando le lacrime.
Hikari immobile, con gli occhi chiusi sussurrava stridula una serie di “no” ossessivi. Dopo qualche secondo chiese con la voce nasale, impastata di muco e lacrime: “Come ha fatto? Come mi ha salvato?!”
 
 
Quando Kaname e gli altri arrivarono, l’ospedale era in fermento. Il gruppo era appena arrivato di fronte alla stanza, quando un urlo disperato provenne dalla porta chiusa. Si accatastarono tutti intorno alla stretta finestrella carceraria, guardando il triste spettacolo. Hikari, scossa dei singhiozzi, tentava disperatamente di strapparsi le bende che le avvolgevano il petto con le mani arrossate di sangue e le unghie spezzate. Riuscí a strapparne un frammento, rivelando l’inizio di una cicatrice chirurgica in mezzo al petto. Prima che potesse continuare la sua opera, Daiki si gettò sulle sue mani, implorandola di fermarsi.
“Gliel’ha detto” concluse Kaname, vedendoli abbandonarsi entrambi ad un pianto liberatorio, l’uno sul petto dell’altra. Poi si girò verso i compagni: “Torniamo a casa”. 
“Perché?” chiese Kurz.
“Saremmo solo degli intrusi” rispose lapidaria, afferrando i due ragazzi per le braccia e costringendoli ad uscire con lei.
 
 
 
 
Dopo due anni dalla fine della nostra storia, Hikari era stata finalmente dimessa. Col tempo, i due amici avevano superato insieme i rispettivi problemi e sensi di colpa, ma questa è tutta un’altra storia. Ciò che ora ci preme raccontare, caro lettore, è come questo terribile, lungo racconto si sia concluso con un nuovo inizio. Dopo una lunga terapia, Hikari poteva finalmente uscire dall’ospedale sulle quattro ruote di una sedia a rotelle semipermanente. Quel bellissimo giorno poi, sarebbe stato allietato dalla gradita visita di Kaname e Sousuke, che si erano finalmente diplomati e avevano deciso di andare a convivere stabilmente, senza la perenne minaccia dei poteri Whispered. Quando i due arrivarono, Kaname poté finalmente vedere il nuovo volto di Hikari, un po’ gonfio, con qualche cicatrice violacea sui bordi, la pelle un tantino butterata… però era il suo viso. Daiki la accompagnava come al solito al suo fianco, lasciandole il completo controllo del mezzo. I quattro ragazzi si salutarono festanti.
“Come va la vita, da quelle parti?” chiese Daiki.
“Oh, da noi tutto bene, ci si barcamena. Io a breve darò l’esame per entrare in polizia, Sousuke continuerá la sua carriera alla Mithril…” cominciò a raccontare Kaname.
“Come va con Kurz e Melissa?” chiese Hikari interessata. 
“Al momento si trovano in missione in Russia” si intromise Sousuke..
“Insieme?”
“Insieme” confermò Kaname. Un silenzio imbarazzante calò sovrano.
“Allora… partite” disse insicura Kaname.
“Si, troppi ricordi” affermò lapidaria Hikari, scurendosi per un attimo.
“Andremo un po’ in giro per il mondo, Cina, Africa, Indonesia, Europa…” sproloquiò Daiki nel tentativo di schivare la minaccia del malumore di Hikari, stringendole affettuosamente le spalle. Lei si girò sorridendogli solare. Kaname aveva come il sospetto che non fosse un sorriso qualsiasi, quello che lei gli aveva riservato.
“Allora è un arrivederci”
“Un’arrivederci, certamente.” Rispose Daiki sorridendo. Le due ragazze si abbracciarono strette, mentre i ragazzi si salutavano con un’insicura stretta di mano. Hikari osò, ed abbracciò il giovane moro, aggiungendo un “comportati bene, e non far impazzire Kaname, d’accordo? E tu cerca di essere meno severa” rivolgendosi infine a Kaname. Anche Daiki e la giovane dai capelli blu si scambiarono una stretta di mano. Ormai i saluti erano fatti, e non rimaneva loro che andare.
 



Ed è su queste poche pagine conclusive che si chiude il nostro racconto, lasciando probabilmente i lettori basiti su ciò che potrebbe sembrare la fretta di un autore che si è stancato della sua storia, ma in realtá frutto di settimane di scervellamenti. Dovete sapere infatti che sebbene la storia non meriti, ho preferito risolvere comunque le situazioni sospese. Sappiate che Sho era condannato sin dall’inizio, e che sono conscia del fatto che le ultime recensioni di questa storia saranno un inno al mio evidente desiderio di torturare la mia povera protagonista. È probabile che per un po’ dopo la fine di questa storia io mi diletti con qualche one-shot, prima di cominciare una nuova long, riesumando i miei propositi di scrivere qualcosa di leggibile, con un maggiore approfondimento dei personaggi, senza troppe torture e con un filo logico evidente. Al momento sto decidendo quale fandom strappare alla normalitá. Spero comunque di aver fatto cosa gradita e ringrazio tutti coloro che hanno letto, seguito, preferito, recensito questa storia dal profondo del mio cuore, coltivando la speranza che continuiate a farlo anche in futuro. Infinitamente grata,
                                                                                                                                                                   Hikari_Sengoku



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