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Autore: PrincessintheNorth    15/02/2017    3 recensioni
La storia si colloca verso la metà di Brisingr, nel capitolo del matrimonio tra Katrina e Roran.
Murtagh esce a cacciare, ma farà un incontro, che lo porterà ad imbucarsi alla festa.
E dalle sensazioni che proverà, prenderà delle decisioni.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Morzan, Murtagh, Nasuada | Coppie: Roran/Katrina, Selena/Morzan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sei sicuro? mormorò Castigo nella sua mente, preoccupato per quanto il giovane Cavaliere stava per fare. 

Sai che non lo so, brontolò Murtagh. 

Ti scopriranno!

Non mi scopriranno. 

Murtagh si tolse di dosso i ricercati abiti che indossava sostituendoli con un paio di pantaloni di pelle, stivali neri e una semplice maglia rossa. 

No, no, non scopriranno Murtagh il Regicida in mezzo a loro, il drago sbuffò. Sei un idiota. 

Stanco dei continui rimproveri del suo drago, il ragazzo chiuse la sua mente al compagno-di-cuore-e-di-mente e mormorò qualche rapida parola nell’antica lingua. 

Si stupì nel vedere che l’incantesimo aveva funzionato e un sorriso sciocco gli si dipinse sulle labbra quando incoccò la freccia sull’arco con una mano invisibile. 

Andiamo, voglio solo cacciare un po’ … non sarà perché ho deciso di ammazzare un montone che Galbatorix deciderà di torturarci, no?

Castigo, offeso dal fatto che il suo compagno non l’avesse ascoltato, nemmeno gli rispose. 

Murtagh sbuffò e uscì rapidamente dalla grande tenda che, come Cavaliere del Re, gli era stata assegnata, e corse rapido e silenzioso fino a raggiungere il limitare dell’accampamento imperiale, che dava su un boschetto nel quale, avendolo sondato con la mente, sapeva avrebbe trovato un bel po’ di selvaggina. 

Ovviamente non aveva bisogno di scomodarsi a procacciarsi la cena, con quel branco di servi che lo servivano e riverivano … per poi ridacchiare e fare battutine sulla sua sorte di schiavo e sulle somiglianze con il padre, Morzan. Ma sperava che la caccia gli avrebbe ricordato tempi più felici, come quando viaggiava con Eragon, lo sconsiderato ragazzino che aveva da poco scoperto essere il suo fratellino, permettendogli di riposare un po’ la  mente dai ricordi costanti delle violenze commesse su poveri innocenti che, come lui, non avevano altra colpa se non quella d’esser nati nel posto sbagliato, nel momento sbagliato.

Vadano al diavolo tutti, il ragazzo ringhiò nel silenzio della sua mente. Non sanno chi sono. Non devo dargli ascolto. Non meritano che dia ascolto alle loro menzogne. 

Erano diciannove anni che si ripeteva quella frase, che cercava di imporsi di non ascoltare i commenti che sentiva sul suo conto, su quello di sua madre. 

Ed erano diciannove anni che non riusciva nell’impresa. 

Era stata Selena, la sua mamma, a sussurrargli quella frase, l’attimo prima che Morzan la prendesse per un braccio e la strappasse da lui, per assegnarle una missione. 

E quando lei si era rifiutata, a subirne le conseguenze era stato lui, ritrovandosi con la maledetta spada rossa del padre nella schiena e incapace di ascoltare niente se non la malvagia e aspra risata di Morzan. 

L’uomo che gli aveva dato la vita. 

L’uomo che avrebbe dovuto amarlo, proteggerlo, giocare con lui. 

L’uomo dal quale Murtagh non aveva ricevuto altro se non offese, umiliazioni, percosse e un nome che l’aveva e l’avrebbe perseguitato fino ed oltre la morte.

Perché non si sarebbe mai liberato della sua ombra, soprattutto non ora che era diventato lo schiavo del tiranno, che gli assegnava compiti tanto terribili che nemmeno un uomo crudele come suo padre avrebbe compiuto.

E che forse nemmeno avrebbe assegnato a Selena, pensò Murtagh fra sé e sé. 

L’attimo dopo notò un enorme cervo seminascosto nella vegetazione. 

Un sorriso gli increspò le labbra. 

Tese l’arco e si acquattò dietro un cespuglio, prendendo bene la mira, intenzionato a colpire il maestoso animale nell’occhio nero. 

Ma venne preceduto.

La bestia cadde per mano di un arciere, che poco dopo uscì allo scoperto. 

Era un Varden, e dopo di lui ne spuntarono altri tre. 

- Sai che ti dico, Irwin? - disse un tizio grasso come pochi. - Che ci voleva proprio un bel matrimonio. 
- E io ti dico che hai ragione. - fece uno magro, che doveva essere Irwin. - Di sicuro risolleverà un bel po’ di morali a terra. 

Gli uomini raccolsero la carcassa del suo cervo e se ne andarono fischiettando e parlando allegramente di una certa Merta, una donna che prometteva notti indimenticabili, lasciando però Murtagh insoddisfatto. 

Chi diavolo si sposava?

La sua curiosità fu più rapida della sua intelligenza.

 

E così Murtagh seguì di soppiatto i cacciatori. 

 

 

 

 

Quella notte, Murtagh sognò il matrimonio. 

Nei suoi sogni rivide il fratello, gli occhi luccicanti, dichiarare loro cugino Roran e una ragazza bellissima, Katrina, uniti in matrimonio.

Ricordò la sensazione che aveva provato nel vedere suo cugino per la prima volta: fin da quando era piccolo la figura di Roran, più grande di lui di un anno, era stata un sottile filo di speranza che lo legava ad una famiglia umile ma felice, quella in cui sarebbe voluto nascere. 

Spesso si chiedeva se suo padre, negli abiti di un contadino o di un vasaio, sarebbe stato diverso. Meno cattivo. Più amorevole, magari. 

Poi scacciava il pensiero. 

Morzan sarebbe stato un crudele bastardo in ogni caso. 

Rivide Nasuada, vestita di uno splendido abito rosso ricamato d’oro, i capelli scuri raccolti in una splendida acconciatura e una collana di diamanti. 

E provò di nuovo il senso di solitudine che sentì quando Katrina strinse le braccia intorno al collo del marito per baciarlo, perché sapeva che nessuna lo avrebbe mai amato. 

Men che meno Nasuada. 

Non agitarti così, mormorò Castigo. Infilò la testa nella tenda del compagno e lo prese con le zanne per la maglia, attento a non fargli male. 

Troppo stanco per protestare, Murtagh si lasciò trasportare dal drago, che si acciambellò intorno a lui. 

Vedila così: se ti va male, ci sono sempre io, scherzò Castigo, strappando un sorriso al suo amico triste. 

Quando era più piccolo, prima che il re lo costringesse a crescere con la magia nera, lo chiamava così: sei il mio amico triste,e gli aveva anche detto perché: era raro che Murtagh sorridesse, o manifestasse un’emozione diversa dalla tristezza. 

Come poteva chiamarlo, se non “amico triste”?

Voglio che diventi il mio amico felice, mormorò Castigo. 

Appena Murtagh ricevette quelle parole, decise. 

Per il suo drago, per il suo Castigo, avrebbe cercato di essere felice, come suo cugino. 

   
 
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