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Autore: Opalix    03/06/2009    22 recensioni
PARADOSSO DI KIERKEGAARD: Se ti sposi, te ne pentirai. Se non ti sposi, te ne pentirai lo stesso.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DECLAIMER: niente di mio, nemmeno le comparse.

AVVERTIMENTO: questa storia è da classificarsi AU in quanto non tiene conto dell’esistenza di quell’allucinazione collettiva che ha preso possesso delle ultime pagine di Harry Potter and the Deathly Hallows (l’epilogo, “diciannove-o-qualcosa-del-genere anni dopo”)

CAPITOLO 1: Mr. & Mrs. Malfoy

PRECETTO DI PRYCE-JONES
“Quando sei stufo di te stesso, sposati e stufati di qualcun altro.”

“Draco, io voglio il divorzio.”

Petulante.
Anche quando riusciva a dire qualcosa di assolutamente sensato, Pansy era sempre e comunque petulante.
Draco alzò distrattamente un occhio dalle pergamene che ricoprivano la sua scrivania per prendere atto della – molesta – presenza della sua adorabile mogliettina.
Certo, pensò, non si poteva negare che Pansy Malfoy, nata Parkinson, fosse estremamente decorativa. Era una ragazza di aspetto piacevole, gusti raffinati e maniere impeccabili quanto il suo pedigree, ed era una ragazza che poteva essere resa felice con frequenti, costosi regali e relativamente poco impegno. Quando l’aveva sposata, sei o sette anni prima, aveva pensato che sarebbe stato così carino averla intorno, accompagnarla alle serate eleganti, sentire le sue chiacchiere ogni mattina a colazione, e ascoltare il puntuale resoconto dei pettegolezzi di società ogni sera a cena.
Peccato che quel delizioso fiore di serra si fosse trasformato, negli anni, in un rampicante parassita e velenoso, in grado di risucchiare piano piano la pazienza e la buona volontà di cui Draco credeva di essere dotato. Oltre alle sue finanze.
Ed ora quel gatto persiano di razza purissima se ne stava in piedi, al centro del suo ufficio, tronfio nella sua pelliccia alla moda, e dall’alto dei suoi tacchi puntava sul marito il musetto atteggiato in una smorfia sprezzante.
“Mi sembra opportuno,” concesse Draco, riabbassando lo sguardo.
Mrs. Malfoy piantò una mano sul fianco e raddrizzò ulteriormente la schiena.
“Potresti prestarmi attenzione mentre ti parlo di cose serie!”
Il marito sospirò e ripose la lunga piuma di cigno; appoggiò stancamente i gomiti sulla scrivania e si decise a concedere a Pansy l’attenzione che lei aveva preteso con tanto garbo e gentilezza.
“Non preoccuparti, è difficile ignorarti quando spalanchi la porta del mio ufficio con tanta grazia e delicatezza. Per inciso, cara, ti ho chiesto mille volte di non usare quei tacchi in queste stanze: il parquet di quercia rossa è delicato.”
Pansy scrollò le spalle con indifferenza.
“Ho già contattato il mio avvocato.”
“Thed è il MIO avvocato, Pansy.”
“E cosa te lo fa pensare?”
Draco sollevò un sopracciglio.
“Il fatto che le sue parcelle sono indirizzate a Draco Malfoy?”
Pansy avanzò di gran carriera e sbattè i palmi aperti sul mogano della scrivania. Il marito fu costretto a ritrarsi di qualche centimetro, per portarsi a distanza di sicurezza dagli artigli laccati di rosso.
“Theodore farà esattamente quello che gli dico!”
“Possibile,” riflettè Draco, “dipende da cosa gli prometti per dopo il divorzio, suppongo.”
“Non osare!”

Ecco.
Convenientemente arrabbiata, Pansy smetteva di essere petulante.
E diventava… assordante.
Draco si massaggiò la fronte, infastidito.
“Tesoro, per cortesia, non strillare, lo sai che mi da il mal di testa. In fondo non ho detto nulla di male: se Thed sceglierà di lavorare per te, io troverò un altro avvocato. Non è un problema. Ora ti prego, dovrei davvero finire di sbrigare la corrispondenza, possiamo parlarne a cena come due persone civili?”
Pansy si raddrizzò, recuperando il suo autocontrollo, e sorrise. O qualcosa del genere.
“Certo. Hai ragione. La cena è alle sette, caro, come sempre.” disse con calma, inclinando graziosamente la testa. I capelli neri, che ricadevano sull’occhio sinistro in un’onda studiata, nascosero il lampo di trionfo che passò nel suo sguardo.
Andandosene, Pansy si fermò un istante sulla porta e lanciò uno sguardo al marito al di sopra della spalla.
“Draco?”
“Si, Pansy?”
“Voglio la tenuta in Bretagna. E l’attico su Diagon Alley.”
Draco chinò la testa per nascondere un sogghigno.
“Ci vediamo a cena, cara” disse, riuscendo a dare alla propria voce un tono vagamente rassicurante. Sentì le scarpe ticchettare sul pavimento e, quando alzò lo sguardo, Pansy era sparita.

SECONDA LEGGE DI GUITRY:
“Se uno ti porta via la moglie, la miglior vendetta è lasciargliela.”

Draco fece tintinnare il ghiaccio nel bicchiere di martini e cercò di rilassare le spalle contratte. Vide la persona che stava aspettando entrare trafelata nel pub e guardò l’orologio, con aria infastidita: le sei e quaranta.
“Sei in ritardo.”
Theodore Nott lasciò cadere il mantello bagnato di pioggia sulla poltroncina e si sedette, per nulla intimidito. Nonostante l’aria quasi esausta e i capelli neri arruffati dall’umido autunno inglese, il completo elegante e la camicia immacolata al di sotto di quel pizzetto curato gli conferivano un aspetto serio e distinto, ringiovanito appena dagli occhi di un celeste smagliante. Con quegli occhi da principe azzurro, Theodore sembrava guardare il mondo con il continuo divertimento di un ragazzino troppo cresciuto.
“Lo sai che lavoro fino a tardi.” Alzò una mano per chiamare la cameriera, “un martini anche per me, piccola. Veloce: il signore, qui, ha fretta di tornare dalla mogliettina.”
Draco storse la bocca, disgustato.
“A proposito di mogliettina. Immagino che Pansy ti abbia contattato.”
Thed si appoggiò allo schienale della poltrona e lo guardò di sottecchi.
“Subito al sodo, Draco? Dov’è finita la diplomazia Slytherin?”
“La sto risparmiando per i tempi di carestia.”
Thed rise di gusto e prese a mordicchiare l’oliva del suo martini.
“Ok. Dimmi che devo fare allora. Sei tu che mi paghi.”
Draco poggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le dita sotto al mento, il viso atteggiato in un’espressione esageratamente calcolatrice.
“Puoi farle da avvocato,” concesse.
Thed piegò la testa da un lato.
“E tu?”
“Ne troverò un altro.”
“Non ne troverai uno migliore di me per le cause civili. Pochi sono disposti a lavorare per Malfoy.”
“Non mi interessa. Voglio che ottenga tutto quello che vuole, purchè si tolga dai piedi. Occupati solo che abbia la custodia assoluta di Melanie. Un lavoro pulito, senza scandali.”
“La custodia di Melanie? Sei sicuro?”
Una visione di una bambina bruna, dai grandi occhi da birbante e un vezzoso fiocco di velluto rosso legato ai capelli attraversò la mente di entrambi. Draco alzò le spalle e si accese una sigaretta. Theodore si sporse verso di lui sul tavolo.
“Questo significa che se lei decidesse di andare a vivere dall’altra parte del mondo, potrebbe farlo e portarsi dietro la piccola.”
Malfoy soffiò uno sbuffo di fumo e allargò un braccio con aria annoiata.
“Andiamo Thed. Non ti aspetterai che creda che quella bambina è figlia mia, spero.”
Theodore distolse lo sguardo di scatto, imbarazzato, e Draco sogghignò.
“Non è nemmeno tua, sta tranquillo, sarebbe più intelligente se lo fosse. Ascolta,” abbassò la voce “non ho intenzione di dire nulla al giudice sul modo in cui Pansy prodiga i propri favori all’esterno del sacro vincolo, ma posso assicurarti che so tutto quello che c’è da sapere. Voglio un divorzio rapido e indolore: lei non deve uscirne come la moglie adultera, non voglio sospetti, anzi non voglio nemmeno che se ne parli in giro se posso evitarlo… falle da avvocato, falle ottenere la custodia di Melanie, un assegno mensile esorbitante, l’attico a Diagon Alley, e tutto quello che vuole. Tutto, sono stato chiaro? Toglimela dalle palle: non voglio più sentire i suoi tacchi sul mio fottuto parquet per il resto della mia vita. Poi puoi tenertela: a quel punto sarà così ricca che potrà pure mantenerti.”
“Draco…”
Malfoy alzò una mano.
“Non mi interessa, Thed. Sul serio. E adesso devo andare: ho promesso a mia moglie di essere a casa per cena.”
“Aspetta!”
“Che c’è?”
“Lei vorrà anche la tenuta in Bretagna.”
Draco sogghignò, aggiustandosi la spilla del mantello sulla spalla.
“Quelle tenute sono intestate a mia madre, Theodore. Se le vuole, dovrò andarle a chiedere a lei….”
Lo sguardo raggelato di Theodore Nott seguì il mantello nero di Malfoy che si allontanava, fendendo la folla con l’arroganza di chi ha quello che a tutti gli altri manca: i soldi. Tanti.

DETTO POPOLARE
“La vipera che morsicò mia suocera morì avvelenata.”

Il mattino dopo.

Gli uomini di casa Malfoy avevano notoriamente un mirabile senso estetico nello scegliersi le mogli.
Da un po’ di tempo Draco riteneva però che il DNA Malfoy avesse qualcosa di fallato – un istinto primordiale o forse una mancanza di esso - che portava inesorabilmente gli uomini della famiglia a sposare delle autentiche vipere travestite da belle donne.
“Mamma,” sospirò Draco, rivolgendo un saluto all’esemplare splendidamente conservato di pura razza Black che gli si era materializzato davanti. A stento si trattenne dal nascondersi sotto la scrivania e tapparsi le orecchie come un bambino: uno spessore di dieci centimetri di mogano massiccio non avrebbe comunque fornito un isolamento acustico adeguato nel caso in cui Madama Narcissa avesse deciso di esprimere la propria opinione. E ad occhio e croce era esattamente quello che stava per fare.
“Draco, esigo una spiegazione.”
Narcissa Malfoy, nata Black, gli stava davanti col mento sollevato e le mani sui fianchi, puntando i tacchi nel pregiato parquet; Draco pensò che le donne della sua vita lo avrebbero presto costretto a far sostituire quel particolare asse di legno. Da quell’ufficio lussuoso dirigeva da anni il vasto impero finanziario Malfoy, con abilità e intelligenza… ma gli esemplari femminili della sua famiglia continuavano ad essere ben al di là della sua giurisdizione.
Le donne saranno la tua rovina, vecchio mio. Ti strapperanno anche la pelle, e poi diranno che è insufficiente per fabbricare un coordinato borsa e scarpe.
“Riguardo a cosa, mamma?”
I palmi di Narcissa si abbatterono sulle carte di Draco facendolo sobbalzare sulla sedia. La sensazione di deja-vu si intensificò di pari passo con il suo mal di testa.
“Non fare l’imbecille con me, Draco. Ho saputo del divorzio.”
“Oh, Pansy è venuta a confidarsi con te? Che carine…”
Narcissa si tirò indietro di scatto, disgustata.
“Ma assolutamente no!” esclamò, “l’ho saputo dagli elfi domestici, mi sembra chiaro.”
Draco maledì mentalmente quelle dannate bestie e si ripropose di schiantarne sei o sette non appena gli sarebbero capitati a tiro.
“Bene, dunque sai già quello che c’è da sapere. Cos’altro desideri da me?”
“La promessa che tutto si svolgerà nel modo più silenzioso e pulito possibile.”
“Sarà così. Ho già disposto tutto.”
Madama Narcissa sembrò calmarsi e si sedette con grazia sulla poltrona, scrutando il figlio che le offriva un portasigarette d’argento.
“Voglio essere chiara, Draco,” ribadì accendendosi la sigaretta, “non ho lavorato tutti questi anni per ristabilire l’onore e il buon nome di questa famiglia, per poi vederlo gettare alle ortiche perché ti sei stancato della tua mogliettina. Per quanto petulante, Pansy è una ragazza rispettabile e benvoluta in società. Sua madre e la sua cricca ci servono. Non possiamo permetterci di perdere il rispetto che abbiamo ottenuto da quando tuo padre ci ha fatto la grazia di farsi condannare.”
“Farò tutto quello che posso perché Pansy se ne vada da questa casa senza lamentarsi con la stampa. Non ci saranno pettegolezzi e nessuno tirerà fuori dal cappello figli illegittimi o amanti bisognosi di soldi. D’altra parte, formalmente è stata lei a chiedere il divorzio…”
“E tu avresti dovuto negarglielo! L’apparenza è tutto per gente come noi: io sono ancor sposata a tuo padre, nonostante il Wizengamot mi abbia fatto la cortesia di sbatterlo ad Azkaban!”
Draco sogghignò.
“Si. E sei anche fedele quanto una novella sposina: hai cambiato cinque giardinieri negli ultimi tre anni perché non ti piaceva come curavano le rose.”
Narcissa arricciò il nasino aristocratico.
“Le persone che decido di ricevere nei miei appartamenti privati non ti riguardano, Draco” snocciolò freddamente.
“Ma mi riguardano quelle che mia moglie decide di ricevere nei miei! Cosa avrei dovuto fare? Permetterle di dare il mio nome ad altri due o tre piccoli bastardi solo perché la società la considera ancora una moglie perfetta?”
“La società può ancora rovinarci!” Narcissa si alzò e prese a passeggiare avanti e indietro, agitando nervosamente la sigaretta. “Oh, lo so Draco! Vorrei soltanto che quella ragazzina fosse stata una moglie migliore per te! Un divorzio gestito male potrebbe gettarci di nuovo nel disprezzo…”
Aveva ragione, e Draco lo sapeva, conosceva le parole nascoste tra quelle imprecazioni lamentose. Da quando Potter aveva fatto sì che Voldemort lasciasse questa valle di lacrime, i giornali non facevano che riportare futili pettegolezzi dell’alta società, come se non ci fosse altro di interessante al mondo. Eppure bastava un’ombra, un lieve sospetto di crudeltà o spregiudicatezza, un comportamento poco meno che impeccabile… bastava un minimo errore per rigettare nel disprezzo e nell’ignominia una famiglia che un tempo era stata implicata con Voldemort. Anche dopo morto, definitivamente morto, quel mostro riusciva a seminare zizzania.
Draco si alzò e posò una mano sulla spalla esile della madre.
“Lo so perfettamente, mamma, ma non preoccuparti. Sto già predisponendo tutto: il divorzio sarà rapido e il più possibile indolore, io mi comporterò da perfetto gentiluomo e darò a Pansy tutto ciò che desidera. Non sono i soldi che ci mancano. E Pansy si comporterà come si conviene ad una donna della sua classe, andandosene da questa casa il più in fretta possibile… Sa che ha troppo da perdere: non credo sarebbe difficile dimostrare che non sono il padre biologico di Melanie, anche se preferirei non dover arrivare a tanto. Thed mi aiuterà, è il miglior divorzista in circolazione.”
Narcissa strinse gli occhi grigi.
“Terrai come avvocato l’amante di tua moglie?”
“No. Thed sarà l’avvocato di Pansy.”
Si guardarono per qualche istante negli occhi, due paia di occhi così simili tra loro, e si sorrisero con aria diabolica.
“Perfetto, Draco… davvero perfetto! Poi non ci resterà che trovarti una seconda moglie adeguata a…”
Draco nascose a malapena un’espressione di orrore puro, “Mamma! No! Toglietelo dalla testa.”
“Ok, ok…” lo blandì Madama Narcissa agitando una mano. Se Draco la conosceva bene la metà di quanto pensava, nel cervello di Narcissa stava prendendo forma la lista di tutte le purosangue nubili in circolazione, rigorosamente in ordine di reddito. “Una cosa per volta, caro. Oh, regala a Pansy quell’attico su Diagon Alley… ormai è così demodé avere un appartamento in centro…”
“Ci avevo già pensato, mamma” rise Draco, “il problema potrebbero essere le pretese di mia moglie sulle tenute in Bretagna…”
Narcissa alzò un sopracciglio.
“Che provi a strapparmele...”

LEGGE DEL FATO
Ognuno di noi ha una donna che gli è stata destinata dal fato. Se riusciamo a evitarla, siamo salvi.

Sera tardi, uno qualsiasi dei giorni successivi.

Draco non era ancora riuscito a capire la differenza tra i ricevimenti di società e un tentato omicidio di massa nel pieno di una parata carnevalesca. Fondamentalmente, le signore facevano a gara nello sfoggiare costosissimi, nonché improbabili, abiti d’alta moda, mentre i signori passavano il tempo a desiderare di strangolarsi a vicenda con le impeccabili cravatte. O a strangolare le proprie mogli.
Lanciò un’occhiata a Pansy che sventolava la mano sinistra mentre chiacchierava animatamente con altre donne – delle quali sapeva avrebbe dovuto ricordarsi i nomi e chi avevano sposato, ma per questo c’era sempre stata Pansy al suo fianco, un po’ come un’agenda telefonica da portarsi in giro, però più carina. Sulla mano sinistra di Pansy brillava un diamante dalla caratura quasi imbarazzante, il regalo che lui le aveva fatto in occasione del il loro matrimonio, sette anni prima… gli si strinse la gola ripensando a quel giorno ormai lontano in cui aveva creduto che non si sarebbe mai più sentito solo, che avrebbe avuto qualcuno, qualcun fatto solo per lui da cui tornare la sera, qualcuno a cui pensare mentre era fuori e passava davanti ad un fioraio, qualcuno il cui viso si sarebbe illuminato per un regalo inaspettato. Per sempre.
Draco si concesse di allentare appena la cravatta ma la sensazione di strangolamento non accennò ad attenuarsi. Incontrò gli occhi di sua moglie e le lanciò uno sguardo che lei conosceva bene, il segnale che avrebbe dovuto liberarsi con gentilezza delle sue interlocutrici e raggiungerlo; Pansy accennò con il capo di aver afferrato e cominciò a scusarsi con quella sua cortese affabilità, frutto di anni e anni di duro allenamento sociale.
“Che c’è, caro?”
“Ho bisogno di andarmene. Riesci a scusarmi con i Greengrass senza che quella vecchia tartaruga cominci a spettegolare?”
La voce bassissima, la mano posata mollemente sul fianco della moglie, lei che gli sistemava con un gesto quasi affettuoso il nodo della cravatta… abitudini distratte, la facciata di un matrimonio perfetto da mostrare al mondo, frammenti di quelle maschere che si indossano anche in privato perché toglierle è troppo faticoso.
“Certamente. Dove vai?”
Draco pensò che se lei avesse fatto una scenata e gli avesse detto di risolversi da solo le sue fottute paturnie, forse avrebbe anche potuto pensare di provare a conquistarla di nuovo. Forse con un diamante ancora più imbarazzante… una pietra così grossa che avrebbe avuto bisogno di un elfo domestico per portarsela in giro.
“In ufficio, probabilmente. A domani, tesoro.”
Pansy gli baciò la guancia a beneficio delle signore – vecchi avvoltoi spelacchiati che erano i cento occhi di quel mostro chiamata “società” – e gli rivolse un sorriso freddo.
“Non lavorare fino a tardi.”

Draco Malfoy amava camminare.
Questa era una delle tante verità che preferiva tenere nascoste: una cosa tanto volgare non si addiceva a un gentiluomo della sua levatura. Nessuno del suo ceto sociale si sarebbe mai sporcato la suola delle scarpe nelle pozzanghere della vecchia Londra, né tantomeno infangato l’orlo del mantello sul selciato di una Diagon Alley mezza deserta, a quell’ora tarda della serata.
Ma Draco Malfoy amava camminare, anche e soprattutto di notte. In quel momento gli sembrava che le vocette bastarde dei suoi martoriati neuroni si quietassero, insieme al fastidioso e insistente ronzio prodotto dalle persone da cui era attorniato durante la giornata. Silenzio: dentro e fuori.
I rumori del mondo, quella parte di mondo così estranea alla sua vita, non sembravano infastidirlo: le risate degli uomini all’uscita del pub, le chiacchiere dei rari passanti, gli incantesimi sussurrati sulle scope perché nessuno le rubasse mentre i proprietari si concedevano burrobirre calde al Paiolo Magico… se tante persone insieme dicono le stesse cose, in fondo, è come se nessuno dicesse nulla. Purchè avessero la buona grazia di non strillargli nelle orecchie.
Puntò la bacchetta al proprio viso e mormorò un incantesimo di dissimulazione, per rendere i propri capelli meno biondi, i lineamenti meno aristocratici, gli abiti meno ricercati… non era una vera e propri maschera, chi lo conosceva bene avrebbe potuto identificarlo ugualmente, ma l’incanto smorzava i toni e lo rendeva meno appariscente in mezzo alla plebe che frequentava il locale in cui stava per entrare. Funzionava bene: nessuno degnava di uno sguardo quello strano e solitario straniero che saltuariamente veniva a bersi un firewhisky in santa pace.
Il locale era affollato, caldo e rumoroso; sotto la luce dorata maghi e streghe più o meno giovani si stringevano attorno a tavoli di legno consunti, boccali e bicchieri gocciolanti svolazzavano sulle teste degli avventori, e sbrigativi incantesimi di pulizia venivano strillati dalle cameriere non appena un tavolo veniva liberato. Draco si sedette in disparte, fece un ceno alla cameriera e prese ad osservare le persone attorno a lui, ai tavoli o sulla piccola pista da ballo… un vecchio grammofono levitava a mezz’aria vomitando a tutto volume un gracchiante rock’n’roll delle Sorelle Stravagarie.
La sua educazione e il suo status sociale gli imponevano di mostrarsi al mondo con il viso atteggiato in una maschera di noia perenne, come se nulla all’infuori di se stesso e della propria brillante esistenza fosse degno del benché minimo interesse. Un dettaglio trascurabile che l’esistenza di Draco Malfoy fosse in realtà una solenne rottura di palle.
Il suo sguardo si posava sugli altri astanti con una sorta di clinico interesse: distaccato e, allo stesso tempo, curioso. Osservava gli uomini e le donne della sua età, persone che vivevano con molta più difficoltà, che dovevano fare i conti con l’affitto, con i figli, con i medimaghi e con quei pochi galeoni che si ritrovavano in tasca… persone infinitamente più sfortunate di lui. Osservava i loro visi aprirsi in sorrisi, illuminarsi per le risate, rabbuiarsi di preoccupazione, ammorbidirsi di dolcezza per la moglie al proprio fianco. Lui sentiva di non provare mai nemmeno la metà di quelle sensazioni… e se anche le avesse provate, gli era stato insegnato che era così volgare manifestarle apertamente!
In fondo alla sala, sulla piccola pista da ballo, una coppia che si scatenava in un rock’n’roll attirò la sua attenzione. Lui era alto, largo di spalle e ben piazzato ma non particolarmente muscoloso; il viso sorridente non era né bello né elegante, ma abbastanza virile e regolare… e portava stampata nei grandi occhi buoni da pastore tedesco la forza d’animo e la stentorea lealtà che contraddistingueva alcuni bravi Gryffindor. Neville Paciock. Draco incurvò le labbra in un sorrisetto stupito… uno dei mitici eroi-per-caso della Seconda Guerra, uno di quei diciassettenni pronti a morire, leali fino alla morte, piccoli cavalieri senza paura ma col mantello pieno di macchie, paladini della resistenza come solo la torre di Griffyndor ne riusciva a sfornare.
Una figuretta piccola e agile seguiva Paciock in veloci giravolte, facendo ruotare la gonna leggera e ampia. Finita la musica, si appoggiò al braccio del suo cavaliere ridendo e cercando di sistemarsi i capelli con le dita, senza ottenere il minimo successo. Il colore del suo abito era così fuori moda che avrebbe fatto arricciare il nasino di Pansy a venti metri di distanza, e il taglio di quella gonna era abbastanza babbano da risultare quasi volgare. Una pioggia di capelli rosso fuoco le ricadeva sulla schiena, e quel rosso era un marchio inconfondibile: Weasley.
Draco soffocò una risata incredula e un sorso di firewhisky finì nel buco sbagliato.

LEGGE DELL’IDRAULICA CIBERNETICA DI LUBARSKY
C’è sempre una nuova falla.

   
 
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