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Autore: xingchan    18/02/2017    9 recensioni
"C’era davvero tanto in comune, a dirla tutta spesso nei suoi comportamenti Ranma ci si ritrovava tanto: dalle reazioni alle sfide agli imbarazzi che avevano il potere di congelarli letteralmente, con il passare del tempo l’uno aveva trovato nell’altro uno strano appoggio del quale, per quanto freddo e fastidioso, non ci si può fare a meno. Il più delle volte questa affinità sfociava in una vera e propria competitività, e per i motivi più disparati.
Non mancavano però le occasioni in cui collaboravano fra di loro ed in cui si salvavano a vicenda, ed erano anche molto numerose. E quelle erano esperienze molto più importanti che stare ad urlarsi contro e a considerarsi rivali."
[Post manga]
Un ringraziamento speciale a faith84 per i taaaanti suggerimenti
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Akane Tendo, Akari Unryu, Altro Personaggio, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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A bro story

 

 

 

Ah, come sei ingenua Kasumi! Davvero tanto, tanto ingenua!

Davvero la maggiore delle sorelle Tendo credeva che un viaggio di allenamento in montagna potesse risolvere le cose fra lui e Ryoga, dopo quello che era successo al monte Hooh? Secondo lei sarebbero tornati a Nerima saltellando a braccetto come se niente fosse successo?

Li aveva visti tornare dalla Cina estremamente taciturni l'uno con l'altro, e sapendo che in fondo erano amici per la pelle alla ragazza dispiaceva moltissimo vederli così distanti. Così aveva candidamente consigliato loro un allenamento intensivo - forzato - per rinforzare la loro amicizia.

Ranma sorrise amaramente per le aspettative di Kasumi, mentre osservava con interesse il giovane amico ritornare con un po' di legna da ardere raccolta nel folto del boschetto e ravvivare il fuoco.

Con tutta probabilità finiremo per ammazzarci, noi due!

La sua vicinanza lo faceva sentire un po’ a disagio, tanto più che triste com’era poteva benissimo scatenarsi su di lui senza pensarci due volte.

Fu solo quando Ryoga si allontanò in direzione della sua tenda che il respiro di Ranma si regolarizzò. Ryoga era tornato nella sua tenda, forse per sistemare il suo sacco a pelo. D’altronde, anche lui lo aveva lasciato chiuso per cominciare gli allenamenti.

Rimestò lo stufato che stava preparando, notando con piacere che l'aspetto era anche migliore di tutti quelli cucinati da sé nella sua vita. Akane non avrebbe saputo fare neanche la metà della delizia che aveva davanti. Anzi, se ci fosse stata lei avrebbe voluto cucinare a tutti i costi, facendoli vomitare per il resto della loro permanenza fuori porta. E quel fesso di Ryoga glielo avrebbe lasciato fare, cercando di non vomitare per farla contenta.

Mille a zero per me, Akane!

Quasi riusciva a vederla, con le guance gonfie per la rabbia, rispedirgli ogni rimbrotto possibile e immaginabile per potere anche solo pagarlo con la stessa moneta, né più né meno.

Niente a che vedere con quell'Akane disidratata, in fin di vita.

Una forte stretta al cuore lo indusse a scacciare la brutta sensazione scompigliandosi i capelli con le mani.

Non erano rare le occasioni in cui Ranma perdeva il filo dei suoi pensieri ritornando alla notte in cui credeva Akane morta. Era un'immagine così reale che sembrava quasi di sentire il suo corpo minuto fra le sue braccia, ancora inerte.

Ritornò immediatamente ad un ricordo decisamente più sereno, per esempio alla sera prima della sua partenza. Aveva scambiato due parole con Ryoga, e a lui aveva regalato uno dei suoi magnifici sorrisi: e Ranma l’aveva ricambiata d’istinto, perso fra i suoi occhi bruni come la terra colmi di affetto e le sue labbra rosse e morbide. Avrebbe voluto baciarle, quelle labbra, tirando così fuori ciò che teneva nascosto per tanto tempo - forse pagando con la vita, visto com’era fatta Akane -, ma c’erano troppe persone intorno, e quello era un momento che doveva essere solo loro.

Un brivido piacevole gli sfrecciò per la spina dorsale, mentre con un sorriso appena accennato pensò a come aveva fatto una ragazza che di femminile aveva solo la gonna a farlo sentire così innamorato.

Maschiaccio che non sei altro.

"Che hai da ridere?"

Sorpreso nel bel mezzo dei suoi pensieri più intimi, Ranma sollevò di colpo la testa.

"Niente", rispose Ranma. "Vedo che ti sei deciso a parlare! Bravo Ryoga!"

Si diede una sonora pacca sul ginocchio prima di alzarsi e rovistare nel suo zaino in cerca delle ciotole, sentendo su di sé lo sguardo scuro del suo amico.

Nonostante avesse un atteggiamento abbastanza calmo, era evidente che Ryoga aveva qualcosa da ridire sulla situazione che si era creata: Ranma e Akane ritornati sani e salvi da una missione suicida; Ranma e Akane sul punto di sposarsi - cerimonia che tutti indistintamente, sposo compreso, hanno mandato a monte; Ranma e Akane tornati a quel fidanzamento turbolento che non riusciva mai a metterli d’accordo.

C’era come una sorta di frattura, di cui non si sapeva precisamente quale fosse la causa, ammesso che ce ne fosse una.

Messe così le cose, Ryoga non aveva intenzione di portarsi dietro il suo rivale, tanto quanto Ranma non aveva voglia di passare anche solo un paio di giorni e di notti lontano da casa Tendo.

Era troppo presto separarsi da Akane.

Insomma, era scampata alla morte praticamente per una questione di secondi, e Ranma avrebbe preferito stare con lei, per vederla mangiare, studiare, allenarsi nel dojo, sorridere alle sue sorelle e alle sue amiche, magari anche per farla arrabbiare, piuttosto che essere in compagnia di un suino che gli rinfacciava con una buona dose di collera repressa il suo risentimento.

Ce l’aveva con lui. Sempre, ma da quando alla colpa della sua maledizione si aggiungeva anche l’amore per la stessa ragazza le cose diventavano meno gestibili.

Era stato Ranma a salvare la vita di Akane, a rinunciare alla Nannichuan per lei, ad averla stretta a sé nel momento in cui lei aveva tentato goffamente di abbracciarlo. E Ryoga non accettava il fatto che non fosse stato lui a fare tutto questo. Non accettava che le cose fra loro potessero evolversi, mettendolo automaticamente da parte.

Si fermò di colpo, lasciando le ciotole a mezz'aria.

Cosa vedevano gli occhi degli altri da quando erano tornati dalla Cina? Certo, c'era ancora tanta incomprensione fra lui e Akane - in tutta franchezza Ranma non aveva neanche fatto niente per far sì che si arrivasse ad una risoluzione definitiva - ma dopo il matrimonio fallito non c'erano state avvisaglie particolari, né in positivo né in negativo.

Semplicemente, avevano ripreso la loro solita vita in mano, occupandosi di scuola, di amici rompiscatole e di arti marziali.

O era lui che non aveva afferrato la differenza?

Certo, forse c’erano molti più sguardi complici, guardarla negli occhi non sembrava così tremendamente imbarazzante come prima, ma tutto ciò non scongiurava i soliti litigi per le solite motivazioni: gelosia - di lei, sempre e solo di lei -, appellativi non proprio concilianti - soprattutto da parte sua - e a causa dei suoi orribili piatti.

Ranma inizialmente si era ripromesso che non l’avrebbe più presa in giro, ma d’altro canto farlo significava recuperare quella normalità interrotta. Perché per quanto si sforzasse Ranma non riusciva più a vedere le cose con il suo solito atteggiamento scanzonato. La paura della morte di Akane, il vuoto provato spesso gli facevano perdere la cognizione della realtà, ben diversa da quella che gli si era spalancata durante quella terribile avventura.

Spuntarono delle lacrime premature agli angoli dei suoi occhi, e lui le ricacciò indietro con fastidio. A cosa serviva rimuginare ancora, se doveva farsi del male in quel modo?

Ripresa la calma, tornò da Ryoga con passi moderati. Il giovane Hibiki era seduto sul tronco consunto che avevano trovato e trascinato fino all'accampamento, e osservava le fiamme del fuoco acceso. Muoveva le gambe freneticamente, come se volesse scappare via da quel posto.

Avrebbe voluto consigliargli di andarsene se ne aveva voglia, ma Ranma non aveva intenzione di allontanare nessuno. Ryoga gli aveva salvato la vita quando ormai Ranma era arrivato al punto di volerla perdere.

Un amico del genere era prezioso.

"Dispiace anche a me stare qui, ma rendiamo la cosa meno tesa, va bene?" puntualizzò, continuando a controllare la cottura dello stufato.

"Sono qui solo perché me lo ha chiesto Kasumi, e a Kasumi non si nega niente, chiaro?"

Ranma fece spallucce. "Non è che se te lo chiede lei devi fare una cosa che non vuoi, non ti pare?"

"Che cafone! Fai schifo!"

"Avresti potuto rifiutare. Ah, dimenticavo: ti saresti intrufolato nel letto di Akane, ma in fondo in fondo non te la senti, nevvero?" rise il ragazzo con il codino, spintonandolo con il gomito ripetutamente. “Senza contare che sai bene che mi da’ un fastidio della malora saperti nel suo letto, sotto le sembianze di porco o meno, questo non te l’ho mai nascosto. Faresti bene a sapere che non sono più disposto a sopportarlo.”

Hooh, abbracci, pianti: erano tutte parole che stranamente erano diventate dei veri e propri tabù per Ranma. Ma non lo era affatto fare capire a Ryoga che ad Akane non avrebbe rinunciato. Immaginarlo mentre strusciava il suo muso sul seno di Akane come già faceva in sua presenza lo mandava letteralmente in bestia.

Quasi mai” precisò il giovane Hibiki.

“Che vorresti dire?” ringhiò Ranma sulla difensiva.

“Che non avevi tanto da protestare quando eri tu a tradirla.”

“Io non ho mai tradito Akane, così come lei non ha mai tradito me. Non ha mai accettato le tue moine, o sbaglio?”

Ryoga ammutolì, riflettendo suo malgrado su tutte le volte che aveva cercato il suo amore con il cuore in mano senza risolvere granché.

Era ancora arduo ammettere la sua gelosia davanti a lei, ma quando Ranma era solo con Ryoga chissà come quel sentimento si scatenava senza nessuna remora. Ryoga era sempre stato un elemento molto pericoloso per il suo rapporto già dannatamente traballante con Akane: era gentile, romantico - molto più di Akane stessa, la cosa era alquanto divertente -, soprattutto aveva sempre saputo dare una definizione ai suoi sentimenti per lei, mentre lui era stato spesso molto più insicuro su questo aspetto. Sì, certo: l’orgoglio e la presunta debolezza derivante dalle emozioni giocavano una carta vincente sulla sua personalità; tuttavia la ragione dominante era la paura di sentire il suo cuore spezzarsi.

Akane non aveva tardato a diventare il suo punto fermo, e seppure involontariamente aveva messo radici dentro di lui. Gli aveva dato qualcosa di raro che lui non aveva mai chiesto o voluto. Ed era qualcosa di veramente forte, più forte della sua passione per le arti marziali, più forte del suo desiderio di ritornare un uomo a tutti gli effetti.

Se per un malaugurato caso tutto ciò si fosse rivelata una chimera, lui avrebbe smesso di respirare.

Forse anche per Ryoga era così, e forse era per questo che lo capiva più di chiunque altro, oltre ad Akane. Avevano gli stessi segreti da mantenere. Ecco perché non era imbarazzate o compromettente litigare con lui solo ed unicamente per Akane.

Era naturale come dare un calcio in faccia a Kuno.

“No, mai” sussurrò Ryoga senza espressione, abbassando la testa.

“Se hai voglia di ammazzarmi, fa’ pure. Ma Akane non la prenderebbe affatto bene. Preferisce uccidermi lei, con le sue dolci manine” puntualizzò con sarcasmo, agitando le mani con falsi movimenti raffinati.

“Ah”, rise amaramente il suo interlocutore “non sai che le sue mani sono dure come una vera artista marziale? Dovresti, dato che da lei ricevi così tante botte!”

Ranma fu disturbato dal fatto che lui rimarcasse sulla differenza di trattamento che la ragazza spesso riservava ai due. Mentre Ryoga dalle sue mani riceveva da lei ogni premura possibile - senza contare le migliaia di carezze che si prendeva in veste di P-chan - poteva quasi immaginare come, oltre la leggera peluria da maiale, Ryoga sentisse la ruvidezza delle sue palme -; lui il più delle volte ne sperimentava il potere distruttivo.

“Sì, tante” rimbeccò Ranma fingendo di pensarci su “ma non ricevo solo quelle, se è a questo che stai pensando!”

Ryoga si voltò verso di lui, osservandolo con un’espressione così stralunata che a Ranma faceva quasi ridere. Povero maiale.

“C... come?”

“Avanti”, proseguì il ragazzo con il codino “non penserai che ci siano stati solo un paio di abbracci fra noi due?”

Stava bluffando deliberatamente, giusto per poter vedere un po’ di vita su quella faccia abbattuta dalla rassegnazione.

Però c’erano sul serio delle volte in cui lei, superando l’imbarazzo prima di lui, faceva qualcosa che lui non si aspettava. Quando lo incoraggiava o quando era preoccupata per lui, Akane era capace di gesti di profonda tenerezza davanti ai quali Ranma non sapeva come comportarsi. Ne rimaneva imbambolato, letteralmente, e non sapeva cosa fare - se risponderle con calore, se risponderle con distacco. Ma la maggior parte delle volte diventava un pezzo di granito, e la testa si svuotava, riempiendosi di Akane, del valore inestimabile di quei gesti, della consapevolezza che in fondo, nonostante lei non facesse altro che scannarlo dalla mattina alla sera, combattiva com’era, doveva volergli bene. Doveva amarlo. Altrimenti perché glielo aveva chiesto, il giorno delle nozze mancate?

Non credeva che si potesse sacrificare in quel modo solo per la Nannichuan. L’avrebbe rubata, piuttosto. Perché Akane non avrebbe mai sposato qualcuno che non amava per cedere un po’ d’acqua, tanto meno avrebbe obbedito così umilmente a suo padre solo per fare piacere a lui e a Ranma.

Inoltre, non aveva motivo di legarsi a qualcuno per la sua eredità di artista marziale. Lei era sicura di poterlo mandare avanti da sola, e anche Ranma ne era convinto: quella ragazza che non sapeva cucinare e che aveva una paura matta dei film dell’orrore era una vera forza della natura, e ogni giorno che passava diventava sempre più forte e abile nel combattimento.

“Akane è troppo dolce e pura per fare cose simili!” esclamò il giovane con la bandana, sul punto di esplodere. Doveva aver pensato chissà cosa, proprio ciò che Ranma voleva.

Ecco, ci siamo! Un paio di pugni prima di cena non sarebbero male!

Assaporando già la sconfitta del suo avversario e i suoi muscoli piacevolmente indolenziti per il combattimento che sicuramente stava per cominciare, Ranma sfoggiò un sorrisetto sornione, cercando la cosa che avrebbe potuto irritarlo di più.

“Infatti, sono stato io a...”

“A fare cosa?” ringhiò di rimando Ryoga.

“A baciarla!”

Per un istante Ranma non sentì più il respiro del suo amico, ma poco dopo sembrò che non avesse detto assolutamente niente. Ryoga assottigliò gli occhi in segno di poca convinzione, mentre si affrettava a fargli intendere che no, che sicuramente non c’era stato alcun bacio.

“Non ci casco due volte, idiota!”

“Eh?”

“Me l’hai già detta, questa stronzata. Se ci avessi provato, Akane ti avrebbe spedito su Marte.”

Stava già ridacchiando, Ryoga, rincuorato dal fatto che avrebbe potuto giocare le sue ultime carte prima di mollare definitivamente, quando Ranma tentò ancora di stuzzicarlo, stavolta andandoci giù pesante.

“Ma non ci siamo mica fermati lì!”

“Basta!”

Un balzo, e Ryoga gli fu addosso in men che non si dica.

Finalmente!

Con agilità sovrumana Ranma lo evitò di un soffio, saltando a sua volta all’indietro finché non fu ad una distanza che gli avrebbe permesso di iniziare un vero combattimento. Ma Ryoga nuovamente lo raggiunse, deciso a non dargli tregua, e con un potente calcio caricò l’avversario. Ranma però gli afferrò la gamba appena in tempo, ma fu costretto a lasciargliela perché Ryoga ruotò su se stesso per liberarsi e preparare un altro colpo, stavolta con l’uso delle mani. Ranma parò un colpo, due, tre e provò a colpirlo con la tecnica delle castagne, anche se non tutti i colpi andarono a segno. Ryoga schivava con una velocità altrettanto impressionante, sottraendosi poi dalla sua mercé e attivando il suo Colpo del Leone.

Una luce immensa, seguita a ruota da un potente boato, illuminò l’intera radura per secondi che parevano interminabili, finché Ranma si sentì in briciole, letteralmente, e la potenza del colpo, diradandosi, lasciava spazio ad una grossa voragine nel terreno semi-roccioso. 

Ciò che rimaneva era un Ranma fumante dalla testa ai piedi, semicosciente, i resti della cena ormai sparsa chissà dove e la sola luce fioca della luna che rischiarava il profilo di Ryoga.

“Ry... o… gaaaa...!”

Era arrabbiato, e maledettamente triste, ma Ranma era troppo dolorante per preoccuparsi di questo.

“Te la sei cercata.”

“Ghaaaaa...”

“Non sono in collera con te perché Akane ti ama.”

Ranma si riprese di colpo.

Ryoga era fatto così: diretto, senza tanti preamboli, Ranma lo sapeva. Ma che ammettesse così serenamente di essere perfettamente consapevole che Akane lo considerasse solo un amico, questa era da segnare.

Rotolò di lato con fatica, sollevandosi piano da terra, mentre la voce ormai priva di energia del suo interlocutore stava perdendo sempre più tono.

“Sono arrabbiato perché la vita è ingiusta!”

Va bene, Ryoga, adesso mi stai spaventando!

Il cervello di Ryoga era andato in tilt, e Ranma non ci teneva proprio a stare a sentirlo. Sarebbe dovuto rimanere nel dojo, lo sapeva.

“Se proprio devi fare questi ragionamenti strani è meglio che me ne vada!”

Ranma si alzò di malagrazie e rientrò nella tenda, per poi uscirne qualche secondo dopo armato di una torcia con la precisa intenzione di smontare il suo giaciglio. Non ne poteva più davvero.

Sentì addosso lo sguardo indagatore dell’amico mentre con solerzia quasi maniacale preparava lo zaino da viaggio e se lo caricava sulle spalle.

“Cosa stai facendo?” chiese Ryoga palesemente spaesato.

“Torno a casa.”

“Adesso, nel bel mezzo della notte?”

“Voglio tornare a Nerima il prima possibile, e levarmi un certo maiale di torno.”

Mosse i primi passi in direzione del sentiero che scendeva verso la vallata, senza dare la possibilità a Ryoga di raccogliere il suo bagaglio e seguirlo.

“Ti manca di già, non è vero?”

Ranma abbassò il capo, cercando di schermarsi dall’occhiata inquisitoria del compagno.

Avrebbe voluto rispondergli che sì, Akane già gli mancava, e che non voleva separarsi da lei pochi giorni dopo averla salvata da morte certa - anche dopo averla letteralmente abbandonata all’altare senza spiegarle che se non ci fossero state le loro rispettive famiglie, i rispettivi spasimanti e soprattutto la Nannichuan di mezzo l’avrebbe sposata anche in pigiama - ma fu il suo silenzio a parlare per lui.

La luna stava ormai tramontando quando ripresero il cammino verso casa.

Entrambi procedevano a passo lento, in silenzio e a testa bassa, ciascuno cercando di mettere ordine nella propria mente.

Dal canto suo, Ranma avrebbe voluto che fra lui e Ryoga non ci fosse così tanto contrasto. Certo, era il primo a divertirsi quando lo provocava, e in fondo questo atteggiamento non aiutava granché. Ma quando si fermava a considerare il suo rapporto con Ryoga - ultimamente lo faceva molto più frequentemente - gli sembrava troppo limitato definirlo amico.

C’era davvero tanto in comune, a dirla tutta spesso nei suoi comportamenti Ranma ci si ritrovava tanto: dalle reazioni alle sfide agli imbarazzi che avevano il potere di congelarli letteralmente, con il passare del tempo l’uno aveva trovato nell’altro uno strano appoggio del quale, per quanto freddo e fastidioso, non ci si può fare a meno. Il più delle volte questa affinità sfociava in una vera e propria competitività, e per i motivi più disparati.

Non mancavano però le occasioni in cui collaboravano fra di loro ed in cui si salvavano a vicenda, ed erano anche molto numerose. E quelle erano esperienze molto più importanti che stare ad urlarsi contro e a considerarsi rivali.

Amici? No, noi due siamo come fratelli.

Ranma non aveva mai utilizzato questa parola per qualcuno. Avvertì l’unicità di quella presa di coscienza. Ma, diamine, non poteva dargli la soddisfazione di fare il sentimentale.

Il sentimentale è lui, non io!

“Io non voglio litigare con te, che questo ti sia chiaro. Siamo amici noi due, se non sbaglio” disse Ranma. Si aspettava che dopo una cosa del genere Ryoga negasse fino alla morte di considerarlo amico suo, ed il fatto che non ricevette alcuna risposta lo incoraggiò a proseguire. “E siamo anche molto simili.”

Ryoga sussultò, e per la prima volta dopo ore si concesse di guardare Ranma negli occhi, il quale sorrise.

“Sarà per la prossima volta, va bene?”

Il giovane Hibiki annuì, mentre cominciava pian piano ad albeggiare.

 

 

 

 

 

 

Tornarono nel pomeriggio.

Non si erano mai fermati.

In cucina c’erano Kasumi e Nabiki e un’altra ragazza che Ranma riconobbe come Akari.

Proprio quello che ci voleva, pensò Ranma.

“Oh, Ranma, Ryoga!” esclamò Kasumi, sbalordita. “Già di ritorno?”

Evidentemente non credeva che tornassero così presto. Dopotutto, avevano previsto che il viaggio di allenamento durasse almeno una settimana, e Ranma non aveva pensato ad una bugia da poterle raccontare. Accampò un sorrisetto di scusa, mentre l’argomento veniva subito accantonato grazie alla presenza della bella allevatrice di suini.

“Guardate chi c’è!” si affrettò a dire Nabiki, spostando l’attenzione verso Akari, che nel frattempo agitava la mano in segno di saluto. Ryoga era ancora nel bel mezzo dei suoi pensieri, e Ranma dovette dargli uno spintone per ritornare alla realtà.

Ryoga incespicò, imprecò contro l’amico, per poi rivolgere d’istinto la sua attenzione verso la ragazza che nel frattempo lo stava salutando con calore.

“Ciao, Ryoga!” disse Akari con un sorriso a trentadue denti. “Sono tanto felice di vederti!”

Ranma vide Ryoga fermarsi ed arrossire improvvisamente, prendere un sospiro e correre tutto contento verso Akari senza neanche liberarsi del peso dello zaino.

“Akari! Ma che bellissima sorpresa!”

Le prese le mani sotto lo sguardo dolce di Kasumi e quello incuriosito di Nabiki incurante di ogni altra cosa.

Ranma abbozzò un sorriso. Non si sarebbe mai abituato ai suoi repentini cambi d’umore.

Lo seguì con passo più moderato, osservandosi attorno cercando al contempo di non dare nell’occhio. Aveva colto l’occasione di tornare a casa Tendo e l’unica persona che voleva vedere non c’era. Forse Akane era uscita con le sue amiche, o semplicemente era in un’altra stanza.

“Ranma?”

Nabiki intercettò i suoi occhi, e con la testa fece un cenno verso la sua sinistra.

Il dojo.

Si precipitò verso il vialetto che portava al dojo, dimentico della stanchezza, del peso sulle spalle, della opprimente sensazione di lontananza.

Sentì delle feroci urla man mano che si avvicinava e, aprendo le porte del dojo, scorse il profilo sottile di Akane che con abilità dava calci, pugni, affondi ad un nemico che solo lei poteva vedere e percepire, con la fronte imperlata di sudore ed il fiato corto.

Ranma deglutì, il viso letteralmente in fiamme. Sperò che non fosse poi così agitato, o tutto avrebbe preso inesorabilmente una piega che voleva assolutamente evitare.

Si sfilò lo zaino per poggiarlo a terra, addossandosi lui stesso contro la parete incrociando le braccia al petto.

“È inutile che ti alleni, rimarrai sempre una schiappetta!” la canzonò.

Akane lo udì e senza pensarci troppo caricò un destro in direzione della sua faccia, che il ragazzo con il codino parò perfettamente.

Sempre lei. Sempre la solita testarda orgogliosa che non perdeva occasione di battersi, o semplicemente di coglierlo alla sprovvista.

Provò a colpirlo ripetutamente senza che Ranma incassasse nessuno dei suoi pugni, e questo la fece arrabbiare sul serio, perché l’esasperazione la portò a giocare sporco, tagliandogli velocemente ogni possibilità di difendere il viso per potergli dare un sonoro schiaffo sulla guancia.

“Ahia!”

Ranma si massaggiò la faccia, rendendosi conto che Akane aveva ripreso posizione, pronta a cominciare un combattimento. Da quando era così abile?

“Che bella accoglienza! È così che si saluta?” borbottò lui, le sopracciglia aggrottate. Avrebbe voluto ricevere un bentornato - un misero ciao, non voleva mica... un abbraccio - ma Akane non si sarebbe lasciata andare tanto facilmente.

Quelle erano situazioni più delicate, più pericolose; di conseguenza lei ovviamente era più tesa. Quando lui era sano e salvo non c’erano più inibizioni che la facessero desistere da quei gesti così dolci e sentiti.

Ora sembrava che volesse soltanto qualcuno con cui allenarsi. E lui capitava a puntino.

“Sono occupata. Che ci fai qui? Dov’è Ryoga?”

Ranma mise il broncio di fronte a quelle domande. Subito a pensare a Ryoga!

“È dentro, con Akari. A proposito, perché sei qui e non con le altre ragazze?”

“Non voglio saltare gli allenamenti.”

Già, dal giorno dei ritorno dalla Cina Akane dava tutta se stessa nelle arti marziali, tanto e anche più intensamente delle prime volte in cui si chiudeva nel dojo con lui.

“Ti stai allenando davvero duramente, Akane. Il tuo corpo ne risentirà se non stacchi la spina per un giorno” commentò lui.

“Voglio migliorare, Ranma.”

Una constatazione chiara, eppure carica di quell’angoscia che Ranma aveva conosciuto nel momento in cui credeva che Akane non potesse essere salvata. Anche lui aveva pensato di non essere abbastanza per lei, ed aveva deciso che doveva diventare l’uomo che Akane meritava.

Se non poteva annullare la sua maledizione, almeno poteva farla sentire al sicuro - anche se Akane sapeva cavarsela - e renderla orgogliosa di lui.

“Lo vedi che sai perfettamente di essere una pappamolle?” la schernì per sdrammatizzare.

La ragazza sfoggiò un sorriso tirato, che a Ranma sembrò quasi triste. “Ah, è così? Allora le vuoi proprio, le botte!”

“Beh, anche io voglio migliorare” disse infine, per tornare verso un piano più moderato. Allo sguardo interrogativo della fidanzata si grattò la testa, indeciso su cosa dire. “Credo di essermi lasciato un po’ andare!”

Ridacchiò un poco, cercando disperatamente di nascondere quel che realmente pensava.

Come posso dirti così su due piedi che mi sono ripromesso di migliorare per te?

“Hai proprio ragione! Se ti sei fatto colpire così facilmente!”

Rise di gusto, mentre il ragazzo con il codino visibilmente offeso si avvicinava pericolosamente a lei.

Piccola vipera! Io sto cercando di rimediare a quel che ho detto per non farti sentire da meno e tu mi prendi in giro!

La rincorse, ascoltando la musica delle sue risate, finché raggiungendola la afferrò per un braccio, tagliandole ogni via di uscita. Esausta, Akane gli fece un cenno di resa e si lasciò scivolare lungo la parete fino a sedersi. Chiuse gli occhi, e Ranma la osservò, dimenticando immediatamente il dispetto fattogli per poter dare spazio alla visione delle labbra della fidanzata, di come fossero appena incurvate in un sorriso stanco, e delle gambe esili avvolte dalle sue braccia.

Era piccola, Akane, e raggomitolata in quel modo lo era ancora di più.

“Avete litigato, tu e Ryoga, non è vero? Non vi sareste mai sognati di interrompere un allenamento fra le montagne.”

Non è che avessero proprio litigato... La situazione non era delle migliori, ecco.

Però! La perspicacia a volte non ti manca!

Aveva capito che qualcosa era andata storta, ma forse lei neanche sapeva che Ryoga era così follemente innamorato di lei al punto da essere... com’era? In collera con la vita? Sì, qualcosa del genere.

Le sue paturnie filosofiche non le capirò mai.

“Non me lo vuoi dire?” chiese lei, osservandolo con occhi curiosi.

“È complicato...”

Bella scusa.

Non poteva essere più semplice di così, invece.

“Va bene, non te lo chiederò più.”

Dalla casa provenivano delle risate, e Ranma si volse con espressione contrariata verso le voci.

Ma sentitelo! Io mi sto facendo una testa così e lui si sta divertendo un mondo!

“Ieri le tue fidanzate hanno chiesto di te” lo informò con cadenza infastidita. “Era festa e ti stavano cercando. Hanno occupato la casa per un paio d’ore e poi se ne sono andate” disse con noncuranza.

“Allora il viaggio con Ryoga non è stato inutile” commentò incrociando le braccia dietro la testa. “Almeno mi sono risparmiato le loro assurde pretese.”

Guardò di sottecchi Akane, in cerca di qualche segnale. Aveva preso la palla al balzo per farle capire ancora una volta che quelle stupide non erano altro che delle amiche che nel bene e nel male gli rompevano le scatole ogni due per tre. Ma ad Akane quell’affermazione apparentemente non sortì nessun effetto. Se ne rimase in silenzio, osservandosi distrattamente le ginocchia. Ranma sperò che fosse rincuorata da quelle parole, che capisse qualcosa e gli regalasse un sorriso, di quelli dolci, che solo lei sapeva fare. Ma non mosse un muscolo.

Ciò lo spaventò tantissimo. E se i suoi sentimenti per lui si fossero ridimensionati? Se ora avesse in mente di fare dei passi indietro? Non avrebbe potuto biasimarla, non erano neanche riusciti a sposarsi come una coppia che si ama sul serio.

Avanti, Akane! Di’ qualcosa!

“Pensavo che fossi felice della loro attenzione!” disse infine lei con pungente sarcasmo.

“Pensavi male, cretina.”

“E che solo la mia ti infastidisse.”

“Ti sbagli! Io”, e qui ogni barlume di rabbia svanì come se non ci fosse mai stato “non volevo andare. Kasumi ci ha convinti in buona fede ma io non me la sentivo di...”

Di lasciarti subito dopo quello che è successo.

“Anche a me dispiaceva, sai?”

Akane si strinse ancora di più le gambe al petto, forse per proteggersi dal nervosismo per ciò che stava per dire. Strofinò con forza le dita dei piedi sul pavimento di legno.

Era nervosa.

Ranma si sentì incoraggiato da quei sintomi. Significavano che molto probabilmente stava per dirgli finalmente qualcosa di carino.

“Eravamo appena... tornati, e quando Kasumi vi ha proposto di fare questo viaggio di allenamento ho dovuto lottare contro me stessa per non chiederti di portarmi con voi.”

Ranma sorrise. Anche lui aveva pensato a tutte le implicazioni nel caso in cui Akane fosse partita con loro, soprattutto di come paradossalmente gli avrebbe fatto piacere.

“Ti avrei portata volentieri.”

“Grazie...”

“A patto che tu non cucinassi!”

“Idiota!”

La solita atmosfera altalenante, fra parole carine e battutacce fuori luogo. Ma quel giorno era come se l’energia per litigare violentemente si fosse esaurita, permettendo che una nuova subentrasse, quasi di soppiatto. Timidamente, Ranma si avvicinò un po’ di più ad Akane, quel che bastava per sentire il suo calore sprigionato a causa dell’allenamento di poco prima.

Sentì il cuore martellargli nel petto con furia, ed aumentare di secondo in secondo i suoi battiti dal momento che gli ritornò con prepotenza alla mente quella serie limitata ma intensa di abbracci che lei gli aveva riservato, e che lui aveva ricambiato sul serio e senza doppi fini solo molto più tardi, quando lo stordimento incredulo di quella dose massiccia di felicità lo portò a stringersi al petto Akane nonostante fosse nuda e fredda.

Prese ad osservarla mentre sovrappensiero si mordeva ripetutamente le labbra.

Ranma provò l’istinto irrefrenabile di toccarle, magari con le proprie, ma c’erano parecchie possibilità di ritrovarsi a fare compagnia all’antenna sul tetto.

Era carina, Akane, sapeva essere romantica quando voleva, ma il suo caratteraccio - oppure l’orgoglio, proprio come lui - la portava spesso ad essere violenta, a pensare a difendersi piuttosto che a lasciarsi andare, a dare per scontato il fatto che lui la stragrande maggior parte delle volte la volesse solo prendere in giro quando le rivolgeva qualche parola di apprezzamento - e in fondo, non aveva tutti i torti, dati alcuni trascorsi.

Era anche questo che gli piaceva di lei. Paradossalmente si era trovato ad amare tutto di Akane, anche quella sua indipendenza, quella sua poca sensibilità verso i complimenti e quella caratteristica che le permetteva di vedere ciò che gli altri non erano capaci di intendere.

L’aveva salvata tantissime volte, l’aveva protetta anche quando non era estremamente necessario. Era quello il suo modo di amare. Glielo aveva dimostrato a suon di combattimenti e sacrifici, finché era arrivato alla ferma e irreversibile convinzione che per lei sarebbe morto.

“Ranma, tutto bene?”

La ragazza si accorse che Ranma la stava fissando con occhi lucidi, e lui dapprima fu tentato di battere in ritirata. Ma gli bastò vedere come le sue guance si fossero imporporate per farlo cadere nuovamente nel desiderio sfrenato di darle un bacio.

Akane avrebbe potuto pensare a mille cose diverse se Ranma l’avesse baciata di sana pianta; si sarebbe fatto ammazzare così, e magari si sarebbe fatto ridurre in poltiglia, ma che importava?

“Ranma?” ripeté lei, sventolandogli una mano davanti alla faccia.

Lesto, Ranma le bloccò il polso, e con altrettanta velocità posò dolcemente le sue labbra sulla bocca semichiusa di Akane.

Cazzo, l’ho fatto!

La sentì irrigidirsi, prendere a tremare e stringere a pugno la mano che le aveva afferrato, mentre il suo odore personale gli investì le narici con prepotenza fino a farlo sentire alla sua completa mercé.

Invece di farlo desistere, ciò lo eccitò al punto da liberarsi di ogni paura, e di certo fu quella la sensazione più bella dopo quella delle loro labbra unite: di non temere più di essere debole o ridicolo ai suoi occhi, ma soprattutto di non temere più di abbandonarsi completamente a lei.

Era stato terribile anche solo immaginarlo fino a quel momento. Ma ora era straordinariamente meraviglioso. Le labbra di Akane erano calde e morbide, pregne di un sapore profumato e deciso.

La giovane si dimenò in una debole e poco convincente resistenza finché, cedendo, timidamente rispose al bacio.

Il cuore di Ranma mancò di un battito, finché sorrise al culmine della felicità.

Si era fatto avanti per primo per scambiare con lei un gesto d’amore inequivocabile, e Akane non lo aveva cacciato, né preso a martellate. Aveva ricambiato, e ciò significava solo una cosa.

A malincuore la lasciò andare e, aprendo gli occhi, scorse i suoi che lo guardavano quasi increduli, con un complesso di paura e desiderio nel quale Ranma ci si poteva specchiare.

Le guance cariche di un rosso intenso la rendevano ancora più bella e ammaliante. Le carezzò piano. Erano bollenti.

“Akane, io... scusami, ti prego. Puoi prendermi a calci, se ti va...”

Lo disse con la voce più tenera e disarmante di cui era capace, quasi anche mortificata, ma ad Akane quasi venne da ridere.

“Ho visto come mi guardavi, l’altra sera...” sussurrò lei allusivamente con una punta di malizia. “Ti stavo aspettando, lo sai?”

Ranma non comprese ciò che Akane volesse dire; ma quando lei gli sfiorò lievemente le labbra con le dita - lo fece impazzire, quel gesto! - si rese conto che era stato uno stupido a temporeggiare in quel modo.  

Abbassò lo sguardo con aria colpevole, ma lei subito lo intercettò incatenandolo al suo.

“Puoi baciarmi ancora, se ti va...”

Ranma non si fece pregare. Avvolse il suo corpo esile con forza, sentendo le sue rotondità sotto il ji leggermente umido del suo sudore; e riprese il bacio lì dove lo aveva interrotto.

Ne avrebbe fatti altri di viaggi di allenamento, magari con Ryoga - se si fosse dato una calmata. Doveva e voleva allenarsi per poter rendersi degno di Akane e per far sì che niente e nessuno avrebbe potuto separarli.

Ma quello, così vicino a quegli eventi, così lontano da lei e dal suo calore, sembrava così privo di significato.

 



   
 
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