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Autore: Robigna88    19/02/2017    0 recensioni
Quando Freya Mikaelson le telefona per chiedere aiuto in merito alla drammatica situazione venutasi a creare con Lucien e la sua trasformazione in una specie di Ibrido 2.0, Allison sa che c'è una sola persona che può davvero aiutarla senza rischiare la vita: l'Arcangelo Gabriel. Annientato Lucien però a Gabriel viene chiesto aiuto anche per un'altra cosa, salvare Camille dal morso letale dell'oramai defunto vampiro. Gabriel può farlo ma li avvisa che salvandola altererà l'ordine naturale delle cose e che per quella vita salvata qualcun altro dovrà pagare. Con molta probabilità quel qualcuno sarà proprio Allison che è l'unica umana. Nonostante le proteste di Elijah la cacciatrice accetta, pronta a rischiare per salvare la vita della giovane barista. Quello che non sa però è che ci sono diversi modi per ristabilire l'ordine naturale e alcuni sono più sconvolgenti della morte stessa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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6.

 

 

 

 

 

Allison mise l’ultima t-shirt in valigia, la chiuse e la tirò giù dal letto con un po’ di fatica. Respirò a fondo mentre si portava una mano sul ventre e per la prima volta da quando era rimasta incinta percepì la fatica di un gesto tanto semplice come spostare una valigia dal letto al pavimento.

Raccolse i capelli in una coda di cavallo lenta dalla quale sfuggirono alcuni ciuffi che le ricaddero sugli occhi e si intimò di fare più in fretta; Elijah non era in casa e se si fosse data una mossa sarebbe potuta partire senza che lui le facesse una delle sue solite paternali o le dicesse ancora una volta cosa gli faceva e non faceva piacere che facesse in quel momento tanto delicato. Perché credesse di avere alcuna voce in capitolo, vista la scarsa partecipazione, rimaneva un mistero ma era Elijah e con lui tutto era… complicato.

Neppure Hayley e Hope erano in casa, la cacciatrice immaginò che fossero tutti e tre insieme come una perfetta famigliola, da qualche parte a prendere un gelato o a fare una passeggiata, senza l’ostacolo in dolce attesa tra i piedi; esattamente come l’Ibrida desiderava. Mentre faceva scattare l’asta allungabile della maniglia con una mano, con l’altra si portò il telefono all’orecchio dopo aver fatto partire una telefonata diretta al numero di Gabriel.

Rispose, dopo tre squilli, la segreteria con un messaggio per i suoi contatti che era in pieno stile burlone più che Arcangelo. Ma in fondo Gabe era entrambe le cose in egual misura.

“Gabriel, come da tua richiesta ti sto telefonando invece di evocarti con un incantesimo e un sigillo, e come sempre accade mi ritrovo a parlare con la tua segreteria. Per favore, richiamami appena senti questo messaggio, c’è una cosa importante di cui vorrei parlare con te.” Riattaccò e si fermò in cima alle scale chiedendosi se ce l’avrebbe fatta ad arrivare fino in fondo con il peso della valigia. Aveva decisamente mangiato troppo, si ripromise di non assecondare mai più tutti gli attacchi di fame che le sarebbero venuti o sarebbe arrivata a fine gravidanza sotto forma di balena, o sarebbe morta prima per un infarto a causa di tutti gli hamburger.

Con uno scatto richiuse la maniglia allungabile e afferrò quella normale. Uno, due, tre gradini ed Elijah le fu davanti; la cravatta allentata sulla camicia perfetta. Abbozzò un sorriso pensando che l’azzurro gli donava, anche se lei aveva sempre trovato che le camicie bianche fossero quelle che gli stavano meglio.

“Dove pensi di andare?” le chiese prendendole la valigia di mano. “Freya ha detto che stai partendo.”

“Devo andare a Los Angeles per qualche giorno” lei si riprese il suo bagaglio. “Fammi passare per favore.”

“Vuoi guidare fino a Los Angeles?” Elijah mise le mani nelle tasche dei pantaloni, provando ad essere ragionevole, distratto dalla luce che Allison emanava; aveva capelli splendenti, la pelle luminosa e quel delizioso vestitino che indossava abbracciava perfettamente il ventre appena arrotondato.

“Certo che no” la donna scosse il capo, poggiò la valigia su uno dei gradini e allungò le mani fino alla cravatta di Elijah. La strinse e raddrizzò sotto il suo sguardo, poi gli sorrise. “Cami verrà con me. Ci sarà lei alla guida, io dormirò e mangerò per tutto il viaggio e considerato che ho una fame esagerata direi più la seconda. Ci vediamo presto.”

L’Originale la guardò superarlo e la seguì giù per le scale fino all’atrio, dove Camille la attendeva giocando con Hope sotto lo sguardo sereno del resto della famiglia. “Non credo sia una buona idea” le disse scuotendo il capo, lanciando uno sguardo agli altri affinché lo aiutassero, affinché dicessero qualcosa.

“Perché no?” Allison mise le mani sui fianchi fronteggiandolo. “Dimmi un solo motivo valido.”

“Sei incinta.”

Lei fece una smorfia. “Questo non è un motivo valido. La gravidanza non è una malattia.”

“Elijah ha ragione” intervenne Hayley. “La gravidanza non è una malattia ma la tua non è del tutto ordinaria. Non sappiamo con cosa abbiamo a che fare esattamente. Dovresti rimanere qui.”

“Primo” Allison si voltò a guardarla. “Tu non hai assolutamente nessun ruolo in questa gravidanza quindi non parlare al plurale. Secondo, non sei tu che poche ore fa mi hai… indirettamente invitata ad andarmene così da non essere un ostacolo al tuo felice futuro con Elijah?”

Elijah poggiò lo sguardo sull’Ibrida. “Tu cosa?”

“Non è quello che le ho detto” si difese lei.

“Terzo” Allison si tirò dietro la valigia mentre si avvicinava a Hope per salutarla. “Decido io cosa è meglio per me, è il mio bambino quindi l’ultima parola spetta  me.”

“È il nostro bambino” la corresse Elijah avvicinandosi. “Smettila di comportarti come se non avessi alcuna voce in capitolo.”

“Smetterò di comportarmi così quando tu inizierai a comportarti da padre” gli disse dura lei, senza distogliere lo sguardo da quello sorpreso e ferito del vampiro. “Fino ad allora sono l’unico genitore che questo bambino ha e dunque prendo io le decisioni.”

Un altro bacio ad Hope e un saluto veloce agli altri ed Allison e Cami erano fuori dalla tenuta. Elijah si allentò di nuovo la cravatta mentre saliva al piano di sopra, in silenzio.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

“È qui” Allison lesse di nuovo il bigliettino sul quale aveva appuntato l’indirizzo e sospirò guardandosi intorno.

“In che quartiere ci troviamo?”

“Boyle Heights” la cacciatrice sospirò. “Vivo a trenta minuti da qui e non sapevo neppure che esistesse la famiglia Grimaldi.”

“Allison” Camille le si mise accanto. “Los Angeles è una città piuttosto grande, non puoi conoscere tutti.”

“Lo so” l’altra annuì. “È solo che sono disgustosamente emotiva ultimamente, colpa degli ormoni suppongo.”

“Anche quello che hai detto ad Elijah prima che partissimo è colpa degli ormoni? Perché sei stata un tantino dura, non credi?”

Allison si strinse nelle spalle. “Ho solo detto la verità.”

“Hai detto la tua verità.”

“Sì forse, ma lo sguardo ferito che mi ha riservato significa che la mia verità combacia con la sua” fece qualche passo in avanti e suonò il campanello. Mentre lo faceva si accorse che una parte di sé sperava che nessuno aprisse, mentre l’altra parte stava già preparando un discorso per quando la porta si sarebbe aperta. Passò un minuto scarso e una donna aprì; aveva gli occhi azzurri e stanchi, i capelli di un bel biondo dorato. Somigliava incredibilmente a Gwen e la cacciatrice perse memoria di ogni parola che si era ripromessa di dire.

“Salve” le disse la donna. “Posso aiutarvi?” si sforzò di sorridere sia a lei che a Camille.

“Ehm” Allison sembrò tornare lucida. “È lei Maria Grimaldi?”

“Sì, sono io. Voi chi siete?”

“Lei è Camille ed io sono… Sono Allison Morgan.”

Gli occhi di Maria si illuminarono. “Sei tu” mormorò afferrandole le mani. “Quando la dottoressa ci ha comunicato che qualcuno aveva pagato per la cura sperimentale Gwen ha subito sostenuto che fossi tu. Diceva che eravate amiche, che vi eravate incontrate in sala d’attesa, che eri il suo angelo custode e che ti piacciono le ciambelle. Continuavamo a dirle che il donatore era anonimo ma lei era così certa che fossi tu. E se sei qui adesso significa che aveva ragione.”

Allison deglutì a vuoto. “Ho pagato per la cura di Gwen ma non sono un angelo” lasciò cadere qualche lacrima. “Se lo fossi non avrei permesso che morisse. Mi dispiace Maria, mi dispiace che non abbia funzionato.”

“No” la donna scosse il capo piangendo piano. “Non devi scusarti; tu ci hai dato due settimane in più con la nostra bambina. E so che ti sembrano nulla ma sono state moltissime per noi. Abbiamo fatto così tante cose in quelle due settimane…” si fermò e sospirò, Allison invece aveva la sensazione di non essere più capace di respirare.

“Stai bene?” le domandò Camille poggiandole una mano sulla schiena.

“Sì” la sua amica annuì. “Sto bene. Ho solo un po’ di nausea.”

“Venite dentro” le invitò Maria. “Gwen ha lasciato una cosa per il suo angelo custode, quindi per te. E inoltre credo che tu abbia bisogno di sederti.” le accarezzò piano il ventre poi precedette lei e Camille dentro casa.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Elijah si versò un altro bicchiere di bourbon e si accorse di aver perso il conto. Era il quarto o forse il quinto… forse il decimo, proprio non se lo ricordava. Poco male, avrebbe continuato fino a quando non si fosse ubriacato e i fumi dell’alcool non avessero cancellato le parole che Allison gli aveva detto prima di partire oramai quasi due giorni prima. Bruciavano come il fuoco, proprio lì al centro del suo petto, comodamente sedute tra il suo senso di colpa e la sua frustrazione.

Scosse il capo guardando il fuoco scoppiettare dentro il camino; si era comportato in modo terribile con lei, l’aveva trattata esattamente come Klaus aveva trattato Hayley durante la gravidanza: come un contenitore per un figlio che non era neppure sicuro di volere. Sì, quelle parole erano come un incendio dentro perché erano la pura verità. Lo capiva solo in quel preciso istante.

Non era neppure arrabbiato con Hayley, non era sua la colpa. L’unico colpevole era lui. Lei aveva ragione, si erano rincorsi per così tanto che non essere felici ora che potevano sembrava incredibilmente irrispettoso nei confronti dei loro sentimenti, persino nei confronti di coloro che erano capitati nel mezzo di quella storia d’amore mai davvero iniziata.

Non voleva rinunciare a quel sentimento ma Allison meritava un’attenzione maggiore. Si disse che al suo ritorno da Los Angeles avrebbero chiarito tutto e ogni cosa sarebbe andata per il meglio. Se fosse tornata… Aveva la brutta sensazione che quel viaggio in California sarebbe diventato un viaggio di sola andata.

Decise di affogare quella ulteriore preoccupazione in un altro bicchiere di bourbon.

 

 

 

 

 

   
 
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