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Autore: Monique Namie    19/02/2017    4 recensioni
Ambientazione steampunk.
Da una parte, un sensitivo guidato da una premonizione giunge in una città sconosciuta: un posto meraviglioso in cui architetture del passato e del futuro si mescolano. Dall’altra, una principessa, soggiogata da un re e una regina alquanto manipolatori, è sulla soglia di una crisi di pazzia. Le loro strade sono destinate a incrociarsi e i due, in apparenza così diversi, scopriranno di essere in qualche modo legati.
- NOTA: È presente una scena lime che è uno dei motivi principali per cui ho scelto il rating giallo.
{Questo racconto ha partecipato al contest "È una storia sai..." indetto da Najara sul forum di EFP}
[Storia da revisionare]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Princess Sci-fi Story'
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10.

La principessa Fenna si portò le mani in testa e si scompigliò i capelli argentati. «Che pasticcio! Non potrò più tornare a casa.»

Dannick la guardò: tremava per colpa dell’aria fredda che sferzava la notte e che sul tetto del treno in corsa veniva amplificata. Le si avvicinò e le offrì un rifugio sotto al suo mantello. Dopo essersi accomodata su di lui continuò: «Spero che Thesel non si senta in obbligo di confessare e che nessuno si sia accorto dell’aiuto che ci ha dato a uscire dal palazzo.»

Il ragazzo sospirò pensando alla situazione in cui si erano messi. «Probabilmente penseranno che ti ho rapita», disse. «Alla prossima stazione ti farò scendere e tu potrai raccontare di essere fuggita. Ho già un’accusa di oltraggio alla nobiltà sulla testa. Non sarà difficile convincerli che ero un pazzo che aveva pianificato tutto per rapire la principessa.»

Fenna non disse niente, anzi, mise il broncio e il suo volto s’incupì. Era chiaro che quella soluzione non le piaceva. Ripensò al fidanzato che non voleva e che aveva visto solo in foto, e al suo imminente matrimonio. La prospettiva di passare la notte tra le braccia di qualcuno a cui voleva veramente bene, su di un treno diretto chissà dove, le sembrava molto più avvincente. Tuttavia, qualcosa le impediva di prendere una decisione.

Quando il treno si fermò alla stazione successiva, Dannick scese e tornò poco dopo con due coperte che aveva recuperato in un negozio che si affacciava alla ferrovia. Raccontò che le aveva barattate in cambio della lettura della mano, riuscendo a far sorgere un sorriso sul viso di Fenna, che commentò: «Potevi farti dare anche due crediti per il prossimo treno, no?»

«Purtroppo pare che abbiamo imboccato una tratta commerciale. In queste stazioni passano solo treni merci che non hanno posti per passeggeri», si giustificò lui.

«Mi sono informato anche sul percorso di questo treno e ho scoperto che è diretto allo spazioporto», aggiunse. «Adesso sta a te decidere che cosa fare.»

Protetti dall’oscurità della notte riuscirono a passare inosservati a tutte le stazioni in cui il treno sostava. Ogni volta Fenna trovava una scusa per restare a bordo fino alla fermata successiva.

Durante il viaggio Dannick le spiegò perché dopo che era suonato l’allarme alla stazione aveva detto che era stata tutta colpa sua. Le parlò di come, in certe occasioni, i suoi pensieri finivano per tramutarsi in realtà a breve termine. Una facoltà, questa, che finora non si era mai rivelata in nessun sensitivo e perciò destava in lui preoccupazione.

Mentre il ragazzo parlava, Fenna si strinse la coperta addosso pensierosa, poi sollevò lo sguardo verso l’alto e subito si sentì piccola e insignificante rispetto all’immensità del cosmo.

Attese che lui finisse di parlare e poi prese la parola: «Sai, tu sei l’unico che finora è riuscito a capirmi. Quella cosa che mi hai detto… che quando mi hai vista la prima volta ti è sembrato che la mia anima urlasse “ci sono anch’io”… beh, è proprio così! Il re e la regina non mi hanno mai presa in considerazione, tutte le loro attenzioni erano rivolte a mio fratello.» Fece una pausa, durante la quale si avvicinò di più a Dannick che le cinse le spalle con un braccio. Gli si rannicchiò contro in cerca di calore e poi riprese: «Nella mia vita ho collezionato un sacco di domande rimaste senza risposta, tutto perché i miei mi impedivano di interessarmi a qualsiasi cosa che non fosse la politica.[4]»

«Ma perché non ti sei mai ribellata», le chiese Dannick.

La ragazza non sapeva che cosa rispondere e tra i due calò momentaneamente il silenzio. Probabilmente non si era ribellata perché pensava di mancare di rispetto ai suoi, o forse perché si era abituata talmente tanto a quella situazione che le sembrava la normalità.

Accanto a lei, Dannick, si mise a maneggiare in modo irrequieto la sua sfera azzurra; i bagliori che emanava illuminavano il volto di lei e i suoi capelli argentati mossi dal vento. Sebbene la luce le recasse un po’ di fastidio, non lo rimproverò e si limitò ad affondare il capo sotto la coperta. Lo stress delle ultime ore l’aveva spossata e così finì per assopirsi. Quando si risvegliò le sembrò di aver già vissuto quel momento. Il movimento cullante del treno, la notte, il vento freddo, la blusfera tra le mani di Dannick: le sembrava che tutto avesse senso e che lei si trovasse nel posto giusto.

«Ti sei svegliata», le disse dolcemente il sensitivo, sistemandole un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. Anche quel gesto destò in lei la sensazione di aver già vissuto quei momenti.

«Appena ho riaperto gli occhi ho avuto un déjà-vu: tu dicevi esattamente quelle parole accarezzandomi i capelli», gli confidò.

Dannick sorrise. «Quando andavo a scuola, la mia maestra di cartomanzia mi diceva che i déjà-vu sono frammenti di sogni premonitori dimenticati. Non ho mai capito se lo dicesse sul serio.»

La ragazza sospirò ricordandosi di quella volta che aveva provato a registrare un sogno nel suo diario-specchio. La pozione del Kuinto che aveva creato l’aveva solo fatta addormentare e i fumosi ricordi del sogno erano spariti del tutto. All’improvviso le venne un’idea assurda. Provò a esprimerla solo per il gusto di avere ancora qualcosa in cui sperare.

«Non avevi detto», iniziò «che la pozione del Proserprofer…»

«Proferatio?», le andò in aiuto Dannick.

«Esatto, quella per rivelare particolari capacità! Avevi detto che non ha effetto se il mio dono è quello di avere sogni premonitori, giusto?»

Dannick corrugò la fronte assumendo un’espressione perplessa. «Sì, in effetti, il Proferatio ha questa caratteristica», confermò.

«Questo spiegherebbe tutto!», esultò Fenna. «Probabilmente è questa la mia capacità da svelare. Che ne pensi?», chiese.

Il ragazzo la osservò incerto. «Penso che non dovresti illuderti. Se poi scoprissi di non avere effettivamente nessun dono particolare, che cosa faresti?»

Il volto della principessa si rabbuiò. Quella cruda osservazione l’aveva rattristata. Si rese conto, però, che Dannick poteva avere ragione. La vista le si appannò per le lacrime e si morse un labbro per costringerle a restare nascoste. Da tre settimane tentava inutilmente di risvegliare le sue presunte facoltà senza successo e si sentiva sempre più un’inetta. Doveva essere impazzita a salire clandestinamente a bordo di un treno merci. Per fare cosa poi? Fuggire dalla città con un sensitivo conosciuto appena tre settimane prima?

Dannick si accorse poco dopo di aver toccato un tasto dolente e di essersi espresso forse in modo un po’ duro, dunque cercò di rimediare. Appoggiò momentaneamente la blusfera tra suoi piedi, in modo che non rotolasse giù a causa del dondolio del treno, poi prese dolcemente Fenna per mano e intanto con l’altra tolse dalla tasca interna della giubba una piccola fialetta di vetro.

«Assaggia questa. È una nuova soluzione benefica che ho da poco distillato. Deve essere perfezionata, ma sicuramente un po’ ti farà stare meglio. L’ho chiamata Fen, anche se sarebbe stato più corretto Proferatio II, dato che è un tentativo che ho fatto di perfezionare il primo distillato.»

La ragazza strinse la sua mano. «Non pensi più che io abbia una sensibilità fuori dal comune?», chiese con tono avvilito.

«Certo che lo penso! Mi sono solo espresso male. Ti chiedo scusa.»

La principessa lo osservò titubante per qualche istante, poi prese la fiala che le porgeva e bevve un sorso.

In quelle poche settimane di tempo che aveva avuto per conoscerla meglio, Dannick aveva assistito ai suoi sbalzi d’umore e ascoltato certi suo ragionamenti sconclusionati che spesso la facevano apparire sulla soglia della pazzia. Aveva imparato ad amarla e ad apprezzare il suo carattere complesso anche nei momenti in cui poteva sembrare esasperante. Quando non era impegnato a cercare d’insegnarle come incanalare l’energia nel modo corretto, lavorava sulla creazione di un elisir che potesse aiutarla a vedere le cose da un’altra prospettiva. Praticamente, in un modo o nell’altro, ogni suo pensiero era dedicato a lei. D’altronde da lei dipendeva il suo futuro.

Dannick si ripeteva spesso che, comunque sarebbe andata, non era colpa di nessuno se era finito in quella situazione. Lui non era bravo a parlare, Fenna era soggiogata dall’educazione reale e le premonizioni erano sempre state imprevedibili come il vento estivo. Questo aveva creato i presupposti perché si arrivasse a quel punto.

Almeno, nella libreria della principessa, aveva potuto trovare sollievo leggendo rari volumi introvabili. Le conoscenze che possedeva riguardo la mente umana erano già molto vaste, con quei nuovi libri le aveva ampliate ancora di più e aveva provato a metterle in pratica creando un perfezionamento del Proferatio: la soluzione che aveva appena offerto a Fenna.

Improvvisamente la principessa cambiò espressione, sembrò risvegliarsi da una sorta di torpore e Dannick capì che il suo intruglio stava facendo effetto.

«Dan! È fantastico!», disse la giovane alzandosi in piedi e guardando il cielo con le braccia rivolte verso l’alto.

«Fai attenzione, ricorda che siamo sul tetto di un treno in corsa», disse pronto ad afferrarla in caso di pericolo. Tuttavia Fenna era concentrata altrove e non aveva nemmeno udito le sue parole. Poco dopo aver bevuto l’elisir la sua mente aveva elaborato fantastici mondi inesplorati, paradisi di pace in cui placide sorgenti d’acqua pura sgorgavano dalle pendici di monti striati di venature d’oro.

«Che cosa vedi?», le chiese lui incuriosito, ma Fenna non rispose perché la visione era già cambiata. Ora era impegnata a guardarsi dall’esterno, e quello che vide non fu piacevole: una principessa corrotta dall’apatia e dagli agi di corte che preferiva invecchiare nella noia, piuttosto che decidere da sola della propria vita. Quell’immagine di lei, come un essere evanescente che passa per caso sulla terra senza fare nulla di buono, le provocò un moto di disprezzo nei propri confronti. Si voltò di scatto verso il ragazzo con una voglia pazzesca di dare una svolta alla sua vita. Gli si inginocchiò vicino e lo fissò per un istante con una luce strana negli occhi.

«Scompariamo per sempre!», gli disse.

«Scomparire?», chiese Dannick, un po’ confuso perché non si aspettava una tale reazione.

«Sì, sento che è la cosa più giusta da fare! Voglio passare una notte all’addiaccio nei sobborghi malfamati di una città aliena! Voglio vedere dove vanno a finire le stelle cadenti! Voglio esplorare un quadrante sconosciuto dell’universo! E lo voglio fare assieme a te!»

Tornò a sedersi a fianco del sensitivo e poi gli si avvicinò all’orecchio con fare sensuale, come per raccontargli un segreto che neanche il vento doveva sentire. «Ho ricordato una cosa. Ti ho sognato ancora prima di incontrarti. Adesso so con certezza che il mio posto è vicino a te.»

Più o meno nello stesso momento, al palazzo reale di Seresix era giunta dalla stazione dei treni la segnalazione dell’avvistamento della principessa Fenna. Lo stralcio del video che stavano rivedendo mostrava chiaramente la principessa e il sentivo che si tenevano per mano.

Il re, furibondo, avrebbe voluto mettere una taglia sulla testa di Dannick Pascal. Ma, infine, sotto suggerimento dei consiglieri, i sovrani si preoccuparono di inviare una risposta in cui spiegavano che doveva esserci un errore. Dissero che la principessa era al palazzo e che probabilmente le telecamere avevano ripreso una persona che aveva indossato una maschera del volto di loro figlia, per il gusto di creare un po’ scompiglio.

Speravano che questa dichiarazione potesse tenere calma la stampa in modo da scongiurare uno scandalo.

Fenna, dunque, avrebbe potuto stare serena: ci sarebbe voluto un bel po’ prima che a corte elaborassero un piano per andarla a recuperare. Anche perché, in realtà, i sovrani confidavano sul fatto che sarebbe tornata di sua spontanea volontà.

Il consigliere Thesel, che era l’unico informato sulla fuga, si finse del tutto estraneo e si curò di non raccontare nulla del loro piano. Aveva sempre sperato che la principessa riuscisse, prima o poi, a imporsi e a ribellarsi dall’oppressione dei sovrani che le toglievano la gioia di vivere. Certo, non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo così presto e in questo modo. In ogni caso, per nulla pentito di avere aiutato i due fuggitivi, si augurò che la giovane riuscisse finalmente a realizzare i propri sogni.

Nota:

4- La frase vuole essere un riferimento alle seguenti strofe della canzone “Ci sono anch’io”:

“[…] Io di risposte non ne ho

mai avute mai ne avrò
di domande ne ho quante ne vuoi […]

Fine.

N.d.A

Ci tengo a ringraziare chi mi ha lasciato una breve recensione, Najara per aver indetto il contest, e CaptainKonny che senza conoscermi si è letta nove capitoli tutti d’un fiato, e mi ha fatto gentilmente notare le cose che non le tornavano della trama.

Dopo questa storia ho intenzione di prendere una pausa. Prima di pubblicare cose nuove, devo prima revisionare ciò che ho già scritto. Il mio spirito perfezionista mi perseguita. Intanto riprenderò, forse, a pubblicare qualche breve poesia.

Alla prossima. :-*






"La principessa e il sensitivo
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