10.
La
principessa Fenna si
portò le mani in testa e si
scompigliò i capelli argentati. «Che pasticcio!
Non potrò più tornare a casa.»
Dannick
la guardò: tremava per colpa dell’aria fredda che
sferzava la
notte e che sul tetto del treno in corsa veniva amplificata. Le si
avvicinò e
le offrì un rifugio sotto al suo mantello. Dopo essersi
accomodata su di lui
continuò: «Spero che Thesel
non si senta in obbligo
di confessare e che nessuno si sia accorto dell’aiuto che ci
ha dato a uscire
dal palazzo.»
Il
ragazzo sospirò pensando alla situazione in cui si erano
messi.
«Probabilmente penseranno che ti ho rapita», disse.
«Alla prossima stazione ti
farò scendere e tu potrai raccontare di essere fuggita. Ho
già un’accusa di
oltraggio alla nobiltà sulla testa. Non sarà
difficile convincerli che ero un
pazzo che aveva pianificato tutto per rapire la principessa.»
Fenna
non disse niente, anzi, mise il broncio e il suo volto
s’incupì.
Era chiaro che quella soluzione non le piaceva. Ripensò al
fidanzato che non
voleva e che aveva visto solo in foto, e al suo imminente matrimonio.
La
prospettiva di passare la notte tra le braccia di qualcuno a cui voleva
veramente bene, su di un treno diretto chissà dove, le
sembrava molto più
avvincente. Tuttavia, qualcosa le impediva di prendere una decisione.
Quando
il treno si fermò alla stazione successiva, Dannick scese e tornò
poco dopo con due coperte che aveva
recuperato in un negozio che si affacciava alla ferrovia.
Raccontò che le aveva
barattate in cambio della lettura della mano, riuscendo a far sorgere
un
sorriso sul viso di Fenna,
che commentò: «Potevi farti
dare anche due crediti per il prossimo treno, no?»
«Purtroppo
pare che abbiamo imboccato una tratta commerciale. In
queste stazioni passano solo treni merci che non hanno posti per
passeggeri»,
si giustificò lui.
«Mi
sono informato anche sul percorso di questo treno e ho
scoperto che è diretto allo spazioporto»,
aggiunse. «Adesso sta a te decidere
che cosa fare.»
Protetti
dall’oscurità della notte riuscirono a passare
inosservati a tutte le stazioni in cui il treno sostava. Ogni volta Fenna trovava una scusa per
restare a bordo fino alla
fermata successiva.
Durante
il viaggio Dannick le
spiegò
perché dopo che era suonato l’allarme alla
stazione aveva detto che era stata tutta
colpa sua. Le parlò di come, in certe occasioni, i suoi
pensieri finivano per
tramutarsi in realtà a breve termine. Una
facoltà, questa, che finora non si
era mai rivelata in nessun sensitivo e perciò destava in lui
preoccupazione.
Mentre
il ragazzo parlava, Fenna
si
strinse la coperta addosso pensierosa, poi sollevò lo
sguardo verso l’alto e
subito si sentì piccola e insignificante rispetto
all’immensità del cosmo.
Attese
che lui finisse di parlare e poi prese la parola: «Sai, tu
sei l’unico che finora è riuscito a capirmi.
Quella cosa che mi hai detto… che
quando mi hai vista la prima volta ti è sembrato che la mia
anima urlasse “ci
sono anch’io”… beh, è proprio
così! Il re e la regina non mi hanno mai presa in
considerazione, tutte le loro attenzioni erano rivolte a mio
fratello.» Fece
una pausa, durante la quale si avvicinò di più a Dannick
che le cinse le spalle con un braccio. Gli si rannicchiò
contro in cerca di calore
e poi riprese: «Nella mia vita ho collezionato un sacco di
domande rimaste
senza risposta, tutto perché i miei mi impedivano di
interessarmi a qualsiasi
cosa che non fosse la politica.[4]»
«Ma
perché non ti sei mai ribellata», le chiese Dannick.
La
ragazza non sapeva che cosa rispondere e tra i due calò
momentaneamente
il silenzio. Probabilmente non si era ribellata perché
pensava di mancare di
rispetto ai suoi, o forse perché si era abituata talmente
tanto a quella situazione
che le sembrava la normalità.
Accanto
a lei, Dannick, si mise
a
maneggiare in modo irrequieto la sua sfera azzurra; i bagliori che
emanava
illuminavano il volto di lei e i suoi capelli argentati mossi dal
vento.
Sebbene la luce le recasse un po’ di fastidio, non lo
rimproverò e si limitò ad
affondare il capo sotto la coperta. Lo stress delle ultime ore
l’aveva spossata
e così finì per assopirsi. Quando si
risvegliò le sembrò di aver già
vissuto
quel momento. Il movimento cullante del treno, la notte, il vento
freddo, la blusfera tra
le mani di Dannick:
le sembrava che tutto avesse senso e che lei si trovasse nel posto
giusto.
«Ti
sei svegliata», le disse dolcemente il sensitivo,
sistemandole
un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. Anche quel gesto
destò in lei la
sensazione di aver già vissuto quei momenti.
«Appena
ho riaperto gli occhi ho avuto un déjà-vu: tu
dicevi
esattamente quelle parole accarezzandomi i capelli», gli
confidò.
Dannick
sorrise. «Quando andavo a scuola, la mia maestra di
cartomanzia
mi diceva che i déjà-vu sono frammenti di sogni
premonitori dimenticati. Non ho
mai capito se lo dicesse sul serio.»
La
ragazza sospirò ricordandosi di quella volta che aveva
provato
a registrare un sogno nel suo diario-specchio. La pozione del Kuinto che aveva creato
l’aveva solo fatta addormentare e i
fumosi ricordi del sogno erano spariti del tutto.
All’improvviso le venne
un’idea assurda. Provò a esprimerla solo per il
gusto di avere ancora qualcosa in
cui sperare.
«Non
avevi detto», iniziò «che la pozione del
Proser…
profer…»
«Proferatio?», le
andò in aiuto Dannick.
«Esatto,
quella per rivelare particolari capacità! Avevi detto che
non ha effetto se il mio dono è quello di avere sogni
premonitori, giusto?»
Dannick
corrugò la fronte assumendo un’espressione
perplessa. «Sì, in
effetti, il Proferatio
ha questa caratteristica»,
confermò.
«Questo
spiegherebbe tutto!», esultò Fenna.
«Probabilmente è questa la mia capacità
da svelare. Che ne pensi?», chiese.
Il
ragazzo la osservò incerto. «Penso che non
dovresti illuderti.
Se poi scoprissi di non avere effettivamente nessun dono particolare,
che cosa
faresti?»
Il
volto della principessa si rabbuiò. Quella cruda
osservazione l’aveva
rattristata. Si rese conto, però, che Dannick poteva
avere ragione. La vista le si appannò per le lacrime e si
morse un labbro per
costringerle a restare nascoste. Da tre settimane tentava inutilmente
di
risvegliare le sue presunte facoltà senza successo e si
sentiva sempre più
un’inetta. Doveva essere impazzita a salire clandestinamente
a bordo di un
treno merci. Per fare cosa poi? Fuggire dalla città con un
sensitivo conosciuto
appena tre settimane prima?
Dannick
si accorse poco dopo di aver toccato un tasto dolente e di
essersi espresso forse in modo un po’ duro, dunque
cercò di rimediare. Appoggiò
momentaneamente la blusfera
tra suoi piedi, in modo
che non rotolasse giù a causa del dondolio del treno, poi
prese dolcemente Fenna
per mano e intanto con l’altra tolse dalla tasca
interna della giubba una piccola fialetta di vetro.
«Assaggia
questa. È una nuova soluzione benefica che ho da poco
distillato. Deve essere perfezionata, ma sicuramente un po’
ti farà stare
meglio. L’ho chiamata Fen,
anche se sarebbe stato più
corretto Proferatio II,
dato che è un tentativo che
ho fatto di perfezionare il primo distillato.»
La
ragazza strinse la sua mano. «Non pensi più che io
abbia una
sensibilità fuori dal comune?», chiese con tono
avvilito.
«Certo
che lo penso! Mi sono solo espresso male. Ti chiedo scusa.»
La
principessa lo osservò titubante per qualche istante, poi
prese
la fiala che le porgeva e bevve un sorso.
In
quelle poche settimane di tempo che aveva avuto per conoscerla
meglio, Dannick aveva
assistito ai suoi sbalzi
d’umore e ascoltato certi suo ragionamenti sconclusionati che
spesso la
facevano apparire sulla soglia della pazzia. Aveva imparato ad amarla e
ad apprezzare
il suo carattere complesso anche nei momenti in cui poteva sembrare
esasperante. Quando non era impegnato a cercare d’insegnarle
come incanalare
l’energia nel modo corretto, lavorava sulla creazione di un
elisir che potesse
aiutarla a vedere le cose da un’altra prospettiva.
Praticamente, in un modo o
nell’altro, ogni suo pensiero era dedicato a lei.
D’altronde da lei dipendeva
il suo futuro.
Dannick
si ripeteva spesso che, comunque sarebbe andata, non era colpa di
nessuno se era finito in quella situazione. Lui non era bravo a
parlare, Fenna era
soggiogata dall’educazione reale e le
premonizioni erano sempre state imprevedibili come il vento estivo.
Questo
aveva creato i presupposti perché si arrivasse a quel punto.
Almeno,
nella libreria della principessa, aveva potuto trovare sollievo
leggendo rari volumi introvabili. Le conoscenze che possedeva riguardo
la mente
umana erano già molto vaste, con quei nuovi libri le aveva
ampliate ancora di
più e aveva provato a metterle in pratica creando un
perfezionamento del Proferatio:
la soluzione che aveva appena offerto a Fenna.
Improvvisamente
la principessa cambiò espressione, sembrò
risvegliarsi da una sorta di torpore e Dannick
capì
che il suo intruglio stava facendo effetto.
«Dan!
È fantastico!», disse la giovane alzandosi in
piedi e
guardando il cielo con le braccia rivolte verso l’alto.
«Fai
attenzione, ricorda che siamo sul tetto di un treno in
corsa»,
disse pronto ad afferrarla in caso di pericolo. Tuttavia Fenna
era concentrata altrove e non aveva nemmeno udito le sue parole. Poco
dopo aver
bevuto l’elisir la sua mente aveva elaborato fantastici mondi
inesplorati,
paradisi di pace in cui placide sorgenti d’acqua pura
sgorgavano dalle pendici
di monti striati di venature d’oro.
«Che
cosa vedi?», le chiese lui incuriosito, ma Fenna non rispose
perché la visione era già cambiata. Ora
era impegnata a guardarsi dall’esterno, e quello che vide non
fu piacevole: una
principessa corrotta dall’apatia e dagli agi di corte che
preferiva invecchiare
nella noia, piuttosto che decidere da sola della propria vita.
Quell’immagine
di lei, come un essere evanescente che passa per caso sulla terra senza
fare
nulla di buono, le provocò un moto di disprezzo nei propri
confronti. Si voltò
di scatto verso il ragazzo con una voglia pazzesca di dare una svolta
alla sua
vita. Gli si inginocchiò vicino e lo fissò per un
istante con una luce strana
negli occhi.
«Scompariamo
per sempre!», gli disse.
«Scomparire?»,
chiese Dannick, un
po’
confuso perché non si aspettava una tale reazione.
«Sì,
sento che è la cosa più giusta da fare! Voglio
passare una
notte all’addiaccio nei sobborghi malfamati di una
città aliena! Voglio vedere
dove vanno a finire le stelle cadenti! Voglio esplorare un quadrante
sconosciuto dell’universo! E lo voglio fare assieme a
te!»
Tornò
a sedersi a fianco del sensitivo e poi gli si avvicinò
all’orecchio con fare sensuale, come per raccontargli un
segreto che neanche il
vento doveva sentire. «Ho ricordato una cosa. Ti ho sognato
ancora prima di
incontrarti. Adesso so con certezza che il mio posto è
vicino a te.»
Più
o meno nello stesso momento, al palazzo reale di Seresix era giunta dalla
stazione dei treni la segnalazione
dell’avvistamento della principessa Fenna.
Lo
stralcio del video che stavano rivedendo mostrava chiaramente la
principessa e
il sentivo che si tenevano per mano.
Il
re, furibondo, avrebbe voluto mettere una taglia sulla testa di
Dannick Pascal. Ma,
infine, sotto suggerimento dei
consiglieri, i sovrani si preoccuparono di inviare una risposta in cui
spiegavano
che doveva esserci un errore. Dissero che la principessa era al palazzo
e che
probabilmente le telecamere avevano ripreso una persona che aveva
indossato una
maschera del volto di loro figlia, per il gusto di creare un
po’ scompiglio.
Speravano
che questa dichiarazione potesse tenere calma la stampa in
modo da scongiurare uno scandalo.
Fenna,
dunque, avrebbe potuto stare serena: ci sarebbe voluto un bel
po’ prima che a corte elaborassero un piano per andarla a
recuperare. Anche
perché, in realtà, i sovrani confidavano sul
fatto che sarebbe tornata di sua
spontanea volontà.
Il
consigliere Thesel, che
era l’unico informato
sulla fuga, si finse del tutto estraneo e si curò di non
raccontare nulla del
loro piano. Aveva sempre sperato che la principessa riuscisse, prima o
poi, a
imporsi e a ribellarsi dall’oppressione dei sovrani che le
toglievano la gioia
di vivere. Certo, non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo
così presto e
in questo modo. In ogni caso, per nulla pentito di avere aiutato i due
fuggitivi, si augurò che la giovane riuscisse finalmente a
realizzare i propri
sogni.
Nota:
4-
La frase vuole
essere un riferimento alle seguenti strofe della canzone “Ci
sono anch’io”:
“[…] Io di risposte non ne ho
mai avute
mai ne avrò
di domande ne ho quante ne vuoi […]”
Fine.
N.d.A
Ci tengo a ringraziare chi mi ha lasciato una breve recensione, Najara per aver indetto il contest, e CaptainKonny che – senza conoscermi – si è letta nove capitoli tutti d’un fiato, e mi ha fatto gentilmente notare le cose che non le tornavano della trama.
Dopo questa storia ho intenzione di prendere una pausa. Prima di pubblicare cose nuove, devo prima revisionare ciò che ho già scritto. Il mio spirito perfezionista mi perseguita. Intanto riprenderò, forse, a pubblicare qualche breve poesia.
Alla prossima. :-*
"La principessa e il sensitivo
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie