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Autore: Lettere sussurrate    19/02/2017    1 recensioni
Un altro lampo uccise il buio insondabile della notte.
L'isola affiorò di nuovo, un frammento senza colore vomitato dallo squallore e la tristezza, occultata nella sua interezza dalla lieve foschia della nebbia.
Ma non fu la sola cosa ad emergere dall'oscurità.
Genere: Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo sciabordio delle onde si infrangeva sullo scafo dell'imbarcazione, mentre il marinaio solitario levava lo sguardo al cielo della notte.
I suoi occhi azzurri come il ghiaccio sconfinavano nella silenziosa contemplazione di un orizzonte nudo.
La luce sbiadita della luna argentata filtrava dal riverbero di grigi nuvole che si inseguivano fra di loro, mentre l'odore dell'oceano gli riempiva i polmoni.
Inspirò profondamente, come se potesse assorbire l'essenza mistica di quelle distese il giorno prima inesplorate.
Lettere cubitali decoravano la fiancata della barca.
"Zander" fendeva il mare, implacabile.

Il marinaio sapeva bene che le carte nautiche non erano in grado di assisterlo nella navigazione: se fossero state in grado di parlargli, probabilmente l'avrebbero redarguito prima che il molo dove attraccava la sua imbarcazione si trasformasse in una minuscola macchia indistinta, dissolvendosi completamente dopo che la vela si fosse riempita del vento. Ora era troppo tardi. La Zander aveva preso il largo, e l'orizzonte da meridione si era spogliato del suo paese marittimo.

" ORRORE. ABISSO. REALTA' INESISTENTE. BUIO. MALE. "
 
Le parole fluttuavano in disordine come vespe ronzanti nei meandri della sua mente. Concetti incorporei gli galleggiavano nella testa.
Frammenti di legno che danzano mollemente sul pelo di un lago piatto.
Poco dopo trovarono un criterio che trascese il caos e generò un discorso di senso compiuto.
Lettere disegnate dalla sua testa, trasformate in pallide tessere di un puzzle dell'orrore che si incastrano fra di loro.

"Ci sono cose che devono restare fuori dalla concretezza della realtà, David.
Cose che non possono emergere dall’abisso buio dei reami descritti nei libri dell’orrore."

L'enunciato espresso dalla sua coscienza era un soliloquio sussurrato, un terribile segreto tramandato dagli antenati più antichi della pietra primigenia stessa.
Il navigante alzò la testa alla volta celeste.
Una gelida folata di vento gli scompigliò i capelli ingrigiti dalla vecchiaia, coprendogli l'occhio sinistro.
Si sistemò il ciuffo cinereo e tornò a scrutare quelle costellazioni arcane: il mozzo che era stato tempo addietro aveva vissuto gran parte della sua esistenza fra le increspature di oceani tempestosi per veleggiare sotto il tridente del regno di Nettuno, ma in tutti quegli anni mai dimenticati gli astri del cielo non l'avevano tradito; sempre fedeli alle leggi che governavano il cosmo, guidavano l'esplorazione degli uomini di mare indicando la via che occorreva solcare.
Ma ora, al cospetto dei corpi celesti che brillavano violacei in quel cielo sconfinato e nero come l'inchiostro, il marinaio aggrottò la fronte rugosa.

"Tu lo sai bene.
Non c'è una linea di demarcazione che scinde il reale dall'universo metafisico dove abomini innominabili albergano in attesa.
Viscidi... nebulosi... esangui come cadaveri emersi dal loro preistorico sepolcro.
Sono in grado di scavalcare le pareti illusorie e di infrangere le barriere della ragione che noi stessi ci siamo stupidamente costruiti nel tentativo di non vedere oltre l'abisso insondabile.
E ti attendono al capezzale del tuo letto, immobili.
Loro sono pazienti, eccome se sono pazienti."

L'imbarcazione avanzò sotto il livido plenilunio che faceva capolino dalle nubi incorporee della notte.
Scivolò silenziosamente sul blu scuro delle acque salate come un tacito passante che supera una zona in balia del silenzio e sorpassò una stramba conformazione rocciosa che si ergeva ad ovest della prua.
David Lehard si soffermò a fissare la pietra scura, e la sua immaginazione impiegò meno di un secondo ad associarla alla nitida visione di una mano disumana che si protraeva verso la poppa della barca.
 Rabbrividì.


Inizialmente pensò che la sua memoria lo stesse tradendo.
Anzi, /sperò/ con tutto se stesso che fosse la vecchiaia ad annebbiare i ricordi degli anni passati fra le onde impetuose dell'oceano.
Ma non era affatto così.
 Le stelle gli mentivano, confondendosi in constellazioni differenti da quelle che i suoi ottant'anni trascorsi avrebbero rammentato come una filastrocca delle elementari (le classiche poesie sulla vita che ti tengono compagnia sino al trapasso, quelle che gli insegnanti hanno scolpito nelle menti plasmabili dei propri allievi a suon di bacchettate e punizioni.)

Per la prima volta in tutta la sua vita, David avvertì un arcana ostilità nell'entità che l'aveva sempre cullato fra le onde come una madre amorevole.
 Non era più il "Mare", placida fanciulla che alleviava le sofferenze con la spensieratezza della navigazione e allentava la morsa del caos urbano con il suono del vento e lo sciabordio dei flutti.
In quei muti attimi di smarrimento era il "Mare", l'essenza ultima di un male privo di eguali; un limbo senza fine che si estendeva come il Vuoto spianato dal nulla cosmico. La prigione delle carni che intrappolava le anime e le inghiottiva in una morsa priva di gioia e compassione.
  Scogli indefinibili avevano preso a stagliarsi a settentrione, in un orizzonte tenebroso: non erano macigni comuni come quelli che costeggiano in prossimità delle terre emerse, effigi benevole di una meta ormai raggiunta. Alcuni di loro parevano volti contorti e immondi che rivoltavano i loro lineamenti in smorfie di sofferenza e agonia, altre ancora non erano dissimili dai totem pagani venerati dalle tribù dell'avanti Cristo, il cui culto era stato dettato dal desiderio primordiale di amare le forze incomprensibili e onnipotenti.

"Tu lo sai bene.
Non c'è una linea di demarcazione che scinde il reale dall'universo metafisico dove abomini innominabili albergano in attesa.
Tutto, in questo mondo, ha avuto un origine.
Tu sei stato concepito dai tuoi genitori, questa imbarcazione è stata fabbricata dai carpentieri, il mondo stesso è stato plasmato come creta dalla mano di Dio.
Ma Dio non ha creato ogni cosa, David.
Quando si è messo all'opera accarezzandosi la folta barba bianca, Dio non ha avuto il tempo di rifinire la sua Terra nei dettagli.
Ed è lì che siamo adesso, vecchio mio, in un frammento dato in pasto alla corruzione. Questo posto è stato dimenticato dal creatore ed il male ha approfittato della sua distrazione per crescere... evolversi, divorare. Un erbaccia maleodorante che ha esteso i suoi domini in immensi diametri fradici di odio e paura."

Il vento sferzò contro David, costringendolo a stringere le palpebre.
Un lezzo pestilenziale era stato trasportato da quell'enigmatico maestrale. Si coprì naso e bocca con la manica del vecchio impermeabile.
Il suo stomaco si era contratto in un conato di vomito.
 Era un odore penetrante che associò subito alla Morte stessa, un puzzo talmente nauseabondo che gli faceva lacrimare gli occhi azzurri.
Da qualche parte in imperi da incubo, una mostruosità titanica doveva aver alitato i rimasugli della sua dieta a base di anime dell'oltretomba.


- E' troppo tardi per avere rimpianti.-

 Quella frase gli eccheggiò dentro come una voce solitaria che rimbalza sulle pareti rocciose di una caverna buia.
L'eco possedeva una proprietà vocale indipendente a se, ed era ben differente dal delirio interiore della sua coscienza terrorizzata.
C'era qualcosa, ed aveva parlato a lui. Ne era più che sicuro, non poteva essere altrimenti. Certo, la vecchiaia era una sanguisuga severa che poteva attingere nutrimento dalle facoltà mentali del soggetto che ne era preda... ma David e la sua fidata compagna di maree veleggiavano alla volta di acque oscure e occulte alle più consumate carte nautiche: se quell'angolo di malvagità era rimasto ignoto agli scarabocchi dei coloni e gli esploratori di mille oceani, un motivo doveva pur esserci. E l'anziano riusciva ad immaginare gli scheletri silenziosi di navi ed imbarcazioni che dormivano in un sonno eterno sul fondale di quelle acque dissacrate.

-Nessuno. E'. Mai. Tornato.-
 
Descrivere la paura.
Descrivere un brivido freddo che ti percorre la spina dorsle.
La gelida lama di una falce che ti sussurra all'orecchio.
Un serpente corvino dagli occhi gialli e taglienti che ti imprigiona con le sue squame impenetrabili.
Ed ora la voce era divenuta una malsana conferma, pronunciandosi per la seconda volta. Intercettava ogni pensiero frantumando l'intimità mentale delle sue riflessioni. Risposte agli interrogativi più proibiti dell'Inferno stesso, ecco cosa pronunciava il Nessuno che abitava in quel frammento di male.
Risposte che avrebbe preferito non conoscere.
Il marinaio non ebbe il tempo di interrogarsi sulla natura dell'ignoto parlante che strisciava nella notte enigmatica dalle costellazioni intraducibili, poichè gli orizzonti occultati dalla lontananza avevano cominciato a dissiparsi lentamente, lasciando posto a prospettive ben più peggiori delle precedenti.

L'acqua era diventata nera come il cielo cupo della notte, tanto nera che le stelle misteriose non riuscivano a specchiarsi come avevano sempre fatto. Lo scheletro di abete della nave emetteva scricchiolii sinistri intanto che fendeva l'oceano via via sempre più scuro e impenetrabile.
Il vento mormorava e gli accarezzava le fiancate consumate dai decenni di libertà esplorativa.
Lui teneva alto lo sguardo, la faccia intorpidita dal freddo, le mani incallite che sprofondavano nelle tasche dell'impermeabile. Assottigliò lo sguardo attento per vedere meglio.
Una sagoma poco definita si stava costruendo in lontananza.

Nubi di un grigio tendente al bruno scivolavano su quella porzione di cielo sconosciuto, gravide di pioggia e fulmini. Una tempesta si sarebbe scagliata con furore su di lui, a breve. Avvertiva l'odore inconfondibile del temporale che aleggiava come il pericolo incombente.

Una folgore purpurea squarciò il cielo della notte, illuminando ogni cosa nel raggio del suo bagliore. Per un attimo sembrava che fosse tornato il giorno, ma quell'impressione durò solo un istante.
Il flash di una macchina fotografica che rischiara l'oscurità profonda.
 Ma cos'era stato fotografato?

Un oasi asettica si stagliava sul pelo dell'orizzonte. Un isola. Grigia e morta, avvolta da una nebbia simile al fumo delle centrali nucleari. Il conglomerato ferrigno svettava in costruzioni imponenti e decrepite, ma il fulmine era durato per troppo poco tempo e non era possibile stabilire con certezza cosa fosse davvero quella cosa malata e cupa che puzzava di morte e follia.
Un violento tuono ruppe il sussurro sottile del vento marino. Poi lo sgocciolio leggero della pioggia che si infrangeva sulle onde del mare. Neanche una manciata di secondi, e fu tempesta: l'acqua cadde in uno scroscio rumoroso avvolgendo di bagnato l'uomo solitario, assieme alle vele gonfie e le lastre di abete scricchiolante sotto le suole delle sue scarpe. Il picchiettio della pioggia e il fragore di madre natura, però, non furono necessari a distoglierlo dalla motivazione che l'aveva trascinato fino ai confini degli oceani esplorati.
La nave avanzò.

Un altro lampo uccise il buio insondabile della notte.

L'isola affiorò di nuovo, un frammento senza colore vomitato dallo squallore e la tristezza, occultata nella sua interezza dalla lieve foschia della nebbia.
Ma non fu la sola cosa ad emergere dall'oscurità.

Era una statua di proporzioni titaniche, un tempo reliqua di nobili ideali andati perduti nel tempo ed il sangue. Gli uomini che avevano vissuto millenni addietro la guardavano con smisurato stupore, la sua bellezza poteva togliere il fiato a tutti gli studiosi che apprezzavano il fascino artistico nelle cose.
Ma non ora.
Ora era qualcosa di sbagliato, dannatamente sbagliato.
 Lucifero in persona doveva temerla, perchè adesso quella dea dalla corona con le sette punte era la nuova sovrana di un reame che sfuggiva alla comprensione di ogni entità.
L'enorme costruzione si ergeva maestosa al fianco dell'isola stagnante, un ghigno diabolico dominava sotto la tempesta. Gli occhi spenti scrutavano il visitatore dall'alto della sua statura; era uno sguardo freddo e ostile.
L'imbarcazione si avvicinava sempre di più, sospinta dal vento a favore. Il mare si agitò violento, le onde potevano salire a bordo per travolgerlo con la pioggia. Lo scafo era sballottato con furore.

Non poteva essere altrimenti. David lo capì.
La folgore schizzò fra le nubi nere alle spalle della grande scultura.

Quella era...

Il ruggito dei cieli fu tanto violento da far vibrare l'aria.
Il marinaio indietreggiò dinanzi alla figura ciclopica e l'isola cinerea, che all'avanzare dell'imbarcazione emergevano sempre più grandi sotto il bagliore dei fulmini.
Scivolò sulle lastre di legno fradice cadendo di schiena.
 Impotente, teneva alto lo sguardo.
Gli occhi sbarrati per il terrore e la sanità mentale che si frantumava come la vetrata colpita da un macigno.
Non potè fare a meno di urlare al vento e la tempesta tutti gli orrori che l'avevano fatto impazzire.

La statua della Libertà calò la pesante testa di metallo e sorrise alla piccola macchia che si stagliava fra le acque nere. Era viva, il ferro arruginito pulsava di vita propria.

Ella era posseduta, come lo era tutta l'isola che si sollevava fetida alle sue spalle.

- BENVENUTO A NEW YORK.  D A V I D . -

   
 
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