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Autore: LuciaDeetz    21/02/2017    5 recensioni
Thor è immortale, Jane no - e non vuole diventarlo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Foster, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anni

Sono quaranta, Thor.
E certi tipi di logica proprio non li concepisci.
«Darei il nostro tempo per scontato» è il muro contro cui si spiaccicano tutte le proposte di futuro che le avanzi. «Vivrei sotto forma di soluto: giornate poco concentrate, senza una scadenza stabilita che mi imponesse di non sprecare il presente. Capisci, no?»
No. Per le Norne, non capisci. Capisci però che ti manca il sangue freddo del disonesto quando, nel guardarla versarsi del succo di mela estratto dal frigo, finisci per insospettirla con l'insistenza dei tuoi occhi. L’immaginazione della tua speranza l'ha vista portarsi il bicchiere alle labbra, la realtà ti ha sferzato la guancia ruotandoti la faccia a novanta gradi verso destra.
«Questo è per il soluto!»
E giù nel lavandino: 90% succo e 10% linfa con cui lo hai allungato. La dea Iðunn[1], saputolo, ti ha rincorso col fiatone per tutto il frutteto. Razziatore! Farabutto! Lo dirò a Padre Tutto! Deduci che non abbia cantato perché dal cielo nessun esercito è sceso a prelevarti per alto tradimento.
Móði e Magni[2], eredi amati, riveriti e coccolati, se la spassano piuttosto bene, almeno loro.

Sono cinquanta, Thor.
La gelosia la senti come un sassolino in frizione sotto la suola, e se provi a sfilarti le scarpe te la ritrovi come un moscerino nella palpebra. Non puoi sbarazzartene, e il fastidio si rinnova giorno dopo giorno in forma di polvere caffelatte: quella che ti si incolla alle mani la notte, mentre le carezzi il viso, e quella che rende metallico il sapore dei baci sulla pelle.
«Quello specchio ha più attenzioni di me!»
E gli specchi mentono.
Che il tempo non vada sprecato te l’ha predicato chi ora vedi spignattare sui fornelli e dedicare ore alla critica della propria immagine riflessa. Se solo considerasse che anche i tuoi occhi sono una superficie riflettente, e che restituiscono una realtà ben diversa!
Sono tre mattine che, nell'augurare il buongiorno al suo cuscino, vieni salutato da fette di cetriolo e maschere allo yogurt. Ora basta, ti sei detto al quarto risveglio, e hai rinsaldato la presa sul Mjolnir.
Tre martellate, frammenti ovunque, ventun anni di guai! Mentre le fondamenta di casa tremano sotto a parole irripetibili, ti riesce ancora di stirare la bocca verso l'alto, e così anche a lei, dopo lo sfogo.

Sono sessanta, Thor.
Proprio non ci tieni alla salute del tuo udito, né a quella delle sue corde vocali. Ma tanto valeva un secondo, onesto tentativo, no?
Mentre Iðunn, lassù, prende atto di esser stata ancora derubata, tu, quaggiù, attenti al cuore del farmacista assaltando la porta del suo negozio.
«MI SERVE UN RIMEDIO CURATIVO PER LA ROCHEZZA!»
«Vuole dire raucedine?»
«COME LA CHIAMATE VOI!»
«Ne è sicuro? A me la sua voce semb-»
«È PER JANE!»
Jane Foster per te, Jane Vattelapesca per il camice bianco. Ma il rettangolo verde di carta che sbatti sul banco dissipa ogni altra domanda e tu imperversi fuori dalla farmacia veloce come sei entrato.
Le differenze estetiche cominciano a balzare all’occhio, tanto che al parco t’han detto che hai una madre proprio bella. Non importa, vi dite: le vostre ombre sul sentiero non si divideranno mai.

Sono settanta, Thor.
La foto che Magni ti allunga sullo schermo del suo tablet vi ritrae guancia contro guancia.
Siete sempre stati sole e terra. Sole e neve, siete ora, nell'inquadratura, e non importa quanto calda brillerà la tua luce: il nuovo manto è lì per restare e non si scioglierà.

Sono ottanta, Thor.
Non c'è paio di lenti che raggiunga le stelle più lontane. L'astronomia, se non più fra il calore di un sacco a pelo in giardino, la condividete fra le pagine stampate di un libro, ma anche quella comunione va stimolata da fondi di bottiglia. Che le siano ad anni luce o a pochi centimetri dal naso, l'astrofisica, questi astri, a occhio nudo proprio non li distingue più.
A te ammiccano da ogni angolo della notte, vividi come mai!

Sono novanta, Thor.
E la fiammella sulla torta oscilla appena sotto a un respiro che non si gonfia oltre.
La tua lealtà talvolta inciampa e c'è un pensiero che ti stuzzica la coscienza. Sei ancora in tempo per girare la clessidra, e lei non ha più la voce né la forza per fermarti.
Ma come puoi, come potresti? Già una persona ti ha odiato: sai quant'è grama la vita di chi ama e viene disprezzato.

Non sono cento, Thor.
Chi calcola gli anni sull'epitaffio si fermerà a novantanove.
Un corvo gracchia sul ramo di un cipresso, e fra tutti i presenti sei solo tu, cane vigliacco, a rompere il cerchio di teste chine per alzare lo sguardo. Ora che il filo invisibile s'è spezzato, non credi di poterlo riabbassare, non su quella voragine aperta di fresco.
È una fine ingloriosa, la sua. Tramite gli occhi della tua mente, il rosso di fiamme ruggenti si sovrappone all'azzurro impietoso del cielo. Il legno dovrebbe nutrire il fuoco, pensi, non i vermi sottoterra.
La pala compie il giro delle mani, e quando arriva il tuo turno, l'ultimo, la coda di quell'assurdo rito, la sagoma del feretro si indovina soltanto sotto al terriccio dissodato. Maledizione, hai abbassato gli occhi. No, ti ripeti, non puoi tollerarlo!
La stretta al polso che ti impedisce di lanciarti in avanti, al suo salvataggio, verso più alte cerimonie, è troppo giovane e decisa per provenire da chi ti sta di fianco. Mentre ti volti, fai in tempo a catturare un lampo nero, ali di corvo che scuotono l'aria allontanandosi, ma la tua pelle trattiene ancora uno spettro doloroso di cinque dita. Davvero quella pressione è stata un gioco della mente? O forse spira l’una, risorge l'altro, in un pendolo di equilibrio? La tua mente si riempie di parole mai dimenticate.
Oggi, domani, cento anni. Non sono niente. Un battito del cuore. Non sarai mai pronto. L'unica donna di cui hai caro l'amore ti sarà portata via[3].
Stark ti guarda. Ti guardano tutti, in realtà, perché al tuo amico di metallo trema il braccio a furia di reggerti la pala sollevata dal lato del manico.
Non sarai mai pronto.
Tre son le vite che finora hai sofferto. Hai celebrato la prima, hai negletto la seconda... stai cercando di sopravvivere alla terza, ma più guardi quel manico di legno chiaro e più ti convinci che i tuoi muscoli cederanno alla più lieve resistenza. È buffo, se consideri che dovrebbe essere la tua mano, fra tutte, la più addestrata a stringersi a pugno.
Ti hanno temprato per mille battaglie... esclusa questa, tutta interiore.

~fin~



Angolino d’autrice:
[1] Iðunn, nei miti norreni, è quella che coltiva le mele dell'immortalità che, se mangiate, *Capitan Ovvio in arrivo* permettono agli dèi di avere lunga vita. Qui ho pensato... perché solo gli dèi possono beneficiarne? :3

[2] Móði e Magni, sempre mitologicamente parlando, sono i figli di Thor.

[3] Le frasi in corsivo sono un prestito da Thor: The Dark World (disconosco la battutina sui "cinquemila anni, più o meno"). Non mi sento realizzata finché non inserisco qualche presenza lokiesca nelle fanfiction che scrivo.

Spero vi piaccia!

   
 
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