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Autore: ___Page    21/02/2017    3 recensioni
"«Lasciala!» ripeté con più chiarezza la donna, riemergendo con il viso dal mare di ciocche scarlatte.
Lui la osservò atono qualche istante. «Non penso proprio.»
«Come?»
«Tra un bicchiere o due non sentirai più nemmeno il sapore. Non posso permettere che un liquore di questo calibro vada sprecato per una bevuta così. Se ti vuoi ubriacare prendi del normale vino rosso.» la liquidò, allontanandosi."
*Fan Fiction partecipante al Sfigaship&Crack's Day indetto dal Forum FairyPiece-fanfiction&images*
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ATTENZIONE: Storia contenente coppie strane. Il Forum consiglia la lettura a un pubblico con alto tasso di sospensione dell'incredulità. Può presentare tracce di latte e frutta a guscio.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Cobra, Erza Scarlet
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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FRAGOLE E BARBERA
 
 
A Daimler...



Finì di pulire il bancone con un gesto energico del braccio prima di lanciarsi lo strofinaccio di nuovo sulla spalla e spostarsi a spillare un’altra birra, la settima, per Bacchus, a cui era bastato un gesto della mano per ordinare.
Forse non era un tipo molto socievole ma riteneva che era da queste piccole cose che si riconosceva un bravo barista. Imparare a conoscere i propri clienti, memorizzare i loro gusti, trovare con loro un modo rapido e immediato per comunicare. Un cliente servito in fretta era un cliente felice. Il suo udito sopraffino di certo aiutava. Tutti lo credevano un specie di veggente perché indovinava sempre quando qualcuno degli habitué del bar, che ormai non dovevano più nemmeno ordinare ma venivano serviti in automatico, decideva di provare un nuovo drink e nessuno aveva ancora capito che era sufficiente averlo  dichiarato ad alta voce al proprio compagno o compagna di bevute perché lui lo sapesse.
Sì, decisamente si reputava un bravo barista. Meglio di Sorano di sicuro, comunque, che non si ricordava le facce, figuriamoci i nomi, nemmeno dei clienti che frequentavano il bar da una vita. Lui non solo ricordava i clienti abitudinari ma anche quelli sporadici e anche quelli che erano passati di lì magari una volta soltanto, magari per caso.
Posizionò il boccale sotto il rubinetto del distributore alla spina e cominciò a spillare, attento a far infrangere la schiuma sul vetro, affinché si distribuisse uniformemente. Osservò il liquido ocra dai riflessi rossastri riempire lentamente il boccale qualche istante prima ci concedersi una rapida panoramica del locale, lasciando istintivamente  andare la leva al momento opportuno.
Gli avventori erano quelli di sempre, in un tavolo ad angolo erano sedute due ragazze, Lucy e Levy, che si recavano lì giusto una volta al mese, sempre di martedì. Uscita fissa mensile probabilmente.
«Sorano.» la chiamò asciutto e l’albina si girò scocciata verso di lui, lo fulminò con un’occhiata e poi si avvicinò ancheggiando al bancone, lanciando quasi il vassoio sulla liscia superficie di legno scuro.
«Che vuoi?» mormorò annoiata, facendolo ghignare con scherno.
«Non troppa educazione, mi raccomando.» commentò con voce lievemente strascicata, per poi farsi nuovamente serio e poggiare il boccale di birra sul vassoio rotondo. «Per Bacchus. Datti una mossa.» le disse, atono, ignorando il modo in cui lei subito fece schioccare la lingua, contrariata.
Si rimise a pulire il bancone e scandagliare il locale. Sting e Rogue stavano ovviamente discutendo, ignorati da Gajeel e Natsu che lanciavano occhiate più o meno furtive verso il tavolo delle due amiche dell’uscita fissa mensile. Cana stava provando a convincere Kagura a unirsi a lei in una gara di bevute, inutilmente, e  Freed veleggiava intorno a Laxus, gli occhi luccicanti, chiedendogli se poteva fare qualcosa per lui, ordinargli un altro drink magari o pulirgli le scarpe.
«Ehi cameriere!»
Si girò immediatamente verso l’unica avventrice solitaria, nonché l’unica che aveva preso posto al bancone. In contrasto con l’autorità con cui lo aveva chiamato, la sua espressione urlava a tutto spiano una sola parola. Sconfitta.
Non quello sconfitto che fa tenerezza, che fa dispiacere, che ti fa venire voglia di consolare la vittima di qualsivoglia ancestrale scherzo dell’universo. Era più uno sconfitto da cui stare alla larga, omicida, irritato, assetato di vendetta. Non che lui si spaventasse per così poco e non sentì il bisogno di mostrarsi più cortese di una semplice alzata di sopracciglio per farle sapere che l’aveva sentita e aspettava direttive.
La donna, capelli rosso fuoco e tailleur blu scuro elegante, sollevò il bicchiere vuoto. «Un altro.» dichiarò, prima di reimmergere il viso nel braccio abbandonato sul bancone, l’altra mano saldamente stretta intorno al bicchiere, appena macchiato sul fondo di liquido color vinaccia.
Barbera.
Mentre recuperava la bottiglia e si avvicinava a lei, considerò che di sicuro aveva buon gusto. Un altro avrebbe scelto qualcosa di molto più scadente per ubriacarsi, guardando più al portafoglio che alla qualità. Riempì il bicchiere per tre quarti con millimetrica precisione, senza far cadere fuori nemmeno una goccia, e poi le voltò nuovamente le spalle, indifferente alla sua disperazione.
«Lscla.»
Le lanciò un’occhiata da sopra la spalla, accigliato. «Mh?»
«Lasciala!» ripeté con più chiarezza la donna, riemergendo con il viso dal mare di ciocche scarlatte.
Lui la osservò atono qualche istante. «Non penso proprio.»
«Come?»
«Tra un bicchiere o due non sentirai più nemmeno il sapore. Non posso permettere che un liquore di questo calibro vada sprecato per una bevuta così. Se ti vuoi ubriacare prendi del normale vino rosso.» la liquidò, allontanandosi. Ma fatti due passi qualcosa, una forza sovrumana avrebbe osato dire, lo riportò indietro, obbligandolo a voltarsi di centottanta gradi e a piegare il busto in avanti.
A occhi sgranati si ritrovò con il viso a pochissimi centimetri da quello della donna, che sembrava essersi trasformata in un demone del Tartaro e lo tratteneva dal bavero della camicia bianca, un po’ aperta sul torace e con le maniche arrotolate a metà avambraccio. «Senti un po’…» ringhiò a denti stretti, facendo scorrere gli occhi sul suo petto, alla ricerca di un cartellino che indicasse il suo nome.
«Erik.» venne in suo aiuto, già ripresosi dallo spavento.
«Erik.» riprese furiosa la donna. «Io sono la cliente e quello è un prodotto in vendita con un prezzo. Se io posso pagare il prezzo non ti deve interessare per cosa lo uso, chiaro?!»
Lievemente impressionato, ma testardamente impassibile, fu il turno di Erik di far vagare lo sguardo sul viso della donna, il suo abbigliamento che, per quanto austero, non riusciva a nasconderne il corpo prosperoso, la ventiquattrore posata ai piedi dello sgabello. «Avvocato?» chiese e non trattenne un sorrisetto sghembo di soddisfazione per il proprio intuito quando la donna sgranò gli occhi e schiuse per un attimo le labbra, presa in contropiede. Rimasero immobili ancora per un attimo in quella posizione finché lei non lo lasciò andare e si risedette con un sospiro sul proprio sgabello prima di afferrare il bicchiere e scolarne metà in una sorsata.
Erik la osservò, nascondendo la curiosità che gli suscitava dietro una maschera di scetticismo. Per quanto si mostrasse fiera e caparbia a un’occhiata più attenta si vedeva quanto fosse pesta. Erik ne aveva viste passare tante e sapeva ormai riconoscerne i sintomi. Non si spiegava come una donna con quel carattere potesse essere così malridotta per un uomo ma il suo atteggiamento non lasciava dubbi.
Andando contro ogni suo principio in quanto persona ma seguendo la deformazione professionale che il lavoro di barista portava con sé, Erik riappoggiò la bottiglia sul bancone, fuori dalla portata della donna e con la mano ben stretta intorno al suo collo, e agganciò il pollice dell’altra mano alla cintura del grembiule. «Sai, qualunque cosa ti abbia fatto lo stronzo non vale la pena né la spesa di ridursi così. Tantomeno sprecare un vino così buono.»
La donna lo guardò stranita ma Erik attese, dando il tempo al suo cervello già un po’ annebbiato di mettere tutti i pezzi insieme. E quando accadde la donna aggrottò le sopracciglia. «Non c’entra un uomo.» incrociò le braccia sotto il seno, distogliendo lo sguardo. «È una donna.»
Stavolta Erik non riuscì a trattenere la propria sorpresa ma, per fortuna, lei non lo stava guardando. Visto il carattere avrebbe anche potuto attentare alla sua vita se avesse pensato che aveva un problema con l’omosessualità. In realtà per lui non c’era nessun problema se era lesbica, a parte il fatto che non poteva negare che era proprio un peccato, se non che non aveva idea di che consigli darle.
Le erano capitate molte donne deluse ma mai da un’altra donna. Strusciò il piede a terra, pronto a indietreggiare e dileguarsi.
«Avevo la giuria in pugno e poi lei se n’è uscita con quella prova a sorpresa!» proseguì, il viso contratto in una smorfia arrabbiata. Erik aggrottò le sopracciglia e la guardò piegare un braccio e agitare il pugno nell’aria. «Ma questa è l’ultima volta che mi freghi, Minerva Orland!»
Okay, allora forse dopotutto non era lesbica e non era lì nemmeno per una questione di cuore. Sperando vivamente che non fosse un avvocato penalista e non ci fosse di mezzo la libertà di qualche innocente, Erik riappoggiò il piede a terra e studio l’avventrice che stava scolando l’altra metà del bicchiere di Barbera. Senza una parola, avvicinò il collo della bottiglia al bordo del bicchiere e verso un’altra dose di vino, poi lasciò scivolare l’avambraccio fino ad appoggiarlo completamente al bancone e si piegò verso di lei, spontaneamente questa volta.
«Potremmo fare così.» cominciò, cercando di suonare conciliante. «Io ti lascio la bottiglia di Barbera ma tu mangi insieme qualcosa.»
La rossa sbatté le palpebre, colta alla sprovvista, e sembrò riflettere seriamente sulla proposta per qualche istante, prima di chinare il capo e lasciare che la frangetta le oscurasse gli occhi, lasciando tutta via visibile la vena che prese a pulsarle nervosamente sulla fronte.
«Non ho bisogno che qualcuno mi dica come badare a me, d’accordo?!» s’inalberò, picchiando il pugno sul tavolo ma Erik non fece una piega.
Né tantomeno se la prese. Vedeva fin troppo bene quanto fosse provata e stanca e priva di freni a causa dell’alcool. Qualunque cosa fosse successa in tribunale doveva essere stata una bella mazzata per lei ed essendo lui per primo un tipo orgoglioso non poteva dire di non capirla.
«D’accordo.» si strinse nelle spalle Erik. «Quando cominciano a tremarti le mani comunque chiamami che te lo verso io. Se proprio dobbiamo buttarlo via così almeno non sprechiamolo per dissetare il bancone.» le disse e non trattenne un ghigno sghembo quando la rossa tornò a guardarlo, sorpresa. Poi la sua espressione si distese e rimasero fermi così, a fissarsi per cinque secondi abbondanti, studiando l’uno il viso dell’altra.
O meglio Erik studiando il viso della donna. Non era sicuro al cento per cento che lei fosse in grado di memorizzare alcunché nello stato in cui versava. In realtà aveva il dubbio che prima di recarsi lì fosse già stata a bere altrove ma, da quella distanza, sentiva bene che il suo alito sapeva solo del dolce aroma del Barbera. Ergo non aveva una grande resistenza, la ragazza, visto che era solo al quarto bicchiere in quel momento.
Per dire, Cana cominciava a stare così alla quarta bottiglia, considerò mentre si spostava di nuovo lungo il bancone, con l’intento di lavare un vassoio di bicchiere vuoti che Sorano gli aveva appena gentilmente scaricato nel lavello, senza miracolosamente romperne nessuno. Arrotolò ulteriormente le maniche fino ai gomiti e fece per aprire l’acqua.
«Erik!!» esclamò una voce entusiasta mentre due mani picchiavano sul bancone, seguite da un prosperoso seno e una pancia piatta, quando Cana si spalmò sul ripiano, guardandolo dal basso verso l’alto le palpebre socchiuse. «Ciao bel maschione!»
«Ciao Cana.» ribatté, senza dare a vedere quanto lo divertiva il suo atteggiamento disinibito. «Hai convinto Kagura a fare la gara con te?»
Cana piegò le labbra in una smorfia. «Ovviamente no.» sospirò, rassegnata prima di sgranare appena gli occhi come colpita da un’idea. Piegò il capo di lato e sorrise maliziosa. «Vuoi sfidarmi tu?»
Erik sollevò un sopracciglio. «Sto lavorando.» le fece presente. «Perché non chiedi a Bacchus?»
Fu il turno di Cana di sollevare un sopracciglio. «Perché voglio vincere.» rispose, come se fosse ovvio.
«… un vero uomo che la sfidi a una gara di bevute?! Ma ci sono io!!!» risuonò nel locale la possente voce di Elfman.
Cana si girò verso il proprio tavolo, dove il suo gigantesco amico stava dando spettacolo, ignorando le timide richieste di Lisanna di abbassare la voce. «Beh, a quanto pare ho trovato il mio avversario.» mormorò con una luce eccitata negli occhi. «Vado!»
«Cana, aspetta.» la richiamo Erik, estraendo al volo due bicchierini e una bottiglia di sambuca. Li riempì con il liquore trasparente e gliene allungò uno. «Offre la casa.» precisò, prima di picchiare il suo bicchierino una volta contro quello di Cana e tre volte sul bancone, in simultanea con lei, e gocciare lo shottino.
Il tempo di raddrizzare la testa e scuoterla appena, mentre l’alcool gli defluiva prima tutto al cervello poi tutto nelle gambe, per poi dissolversi lasciandogli solo una piacevole sensazione altezza stomaco, e Cana era scomparsa. Girò il capo verso il suo tavolo, dove Elfman grugniva come un gorilla, esibendosi in una specie di danza prima di iniziare la gara di bevute. Meglio se si dava una mossa, era chiaro che a breve avrebbe dovuto rabboccare i loro bicchieri.
Mentre si rigirava verso il lavello, lo sguardo gli cadde sulla vetrinetta, ormai vuota, dove tenevano le torte che Juvia portava calde e fragranti ogni mattina. Non duravano molto, di solito, ma quel giorno per miracolo una fetta di cheesecake alle fragole si era salvata. Un pensiero colpì Erik, che lanciò un’occhiata in tralice alla rossa avventrice, impegnata a versarsi il bicchiere chissà che numero di Barbera.
Era stata fin troppo chiara al riguardo ma un tentativo non poteva nuocere. Male che andasse l’avrebbe lasciata e se le sarebbe portata a casa lui per farci colazione il giorno dopo. Con la sua immancabile flemma, recuperò un piattino e una forchettina da dolce, trasferì con la spatola la fetta di torta dalla vetrina al piattino, poi recuperò una penna, scribacchiò un “Offre la casa” su un tovagliolino e si avvicinò alla donna. Con noncuranza, abbandonò piatto e tovagliolino davanti a lei, a portata di mano e proseguì per uscire da dietro il bancone e rifornire il tavolo di Cana&Co. con un paio di bottiglie di vodka e gin, prima ancora che gliele chiedessero.
Non si preoccupò di verificare se la rossa avesse notato la torta e come l’avesse presa. Che reagisse come meglio credeva, a lui non importava e avrebbe scoperto a tempo debito se il suo gesto era stato bene accolto.
Attraversò il locale, fulminando Sorano con un’occhiata quando la beccò sbuffare perché un cliente l’aveva chiamata per un ordine, consegnò le due bottiglie di liquore a Lisanna, consapevole che se le avesse appoggiate sul tavolo le avrebbero gettate a terra prima di subito, e tornò indietro.
«Ehi Erik.» lo chiamò, una voce asciutta e fredda come il metallo.
«Dimmi Gajeel.» lo invitò che non aveva nemmeno finito di voltarsi e tornare sui propri passi.
Natsu e Rogue si erano scambiati di posto e ora il rosa si trovava di fronte a Sting, impegnato con lui in una sfida a braccio di ferro. Le mani in tasca, si avvicinò al tavolo. Gajeel indicò con il mento un punto che si trovava alle sue spalle. «Tu le conosci?»
Erik sbirciò da sopra la propria spalla e si ritrovò a fissare il tavolo in angolo. «Si chiamano Lucy e Levy, vengono qui una volta al mese, sempre di martedì. Lucy, la bionda, studia astronomia e le mancano tre esami, è appassionata di scrittura e prende sempre la piña colada. Levy studia lingue orientali e sta per laurearsi con una tesi sull’influenza del sanscrito su non ho ben capito cosa, vive di pane e libri e non prende quasi mai alcolici, credo perché regge poco visto che non arriva al metro e cinquanta, ma quando capita ordina il Cuba Libre.» snocciolò rapido. 
Gajeel lo guardò basito. «Ma come fai?»
«Ascolto.» si strinse nelle spalle Erik, prima di sorridere senza un’apparente motivo, sghembo e malizioso. «Ma perché? Vi interessano?» domandò, spostando lo sguardo da Gajeel a Rogue. Poco ci mancò che Gajeel si soffocasse nella propria birra mentre le guance gli prendevano un interessante tinta rosata.
«Ma che ti viene in mente?!» protestò, burbero. Erik e Rogue si scambiarono un’occhiata e sollevarono un sopracciglio scettici. «È a Salamander che interessa la bionda!»
Nel sentirsi chiamare a quel modo, Natsu si distrasse e smise di fare resistenza proprio nel momento in cui Sting ci metteva tutta la forza che aveva in corpo per strappare la vittoria. Il braccio di Natsu si schiantò con un tonfo micidiale sul tavolo, crepandolo al centro, e il drink di Rogue schizzò fuori dal bicchiere, inondando completamente il viso del moro, che non fece una piega ma si limitò a chiudere gli occhi e recuperare un tovagliolino per asciugarsi.
«Sìììììììì! Hoooo vintoooo!!!» esultò Sting, mentre lanciava entrambe le braccia verso il soffitto e si alzava in piedi, colpendo accidentalmente con l’anca il proprio drink che si rovesciò e si sparse per tutto il tavolo
«Che hai detto Gajeel?! Vuoi sfidarmi per caso?!» domandò Natsu, già infiammato, battendo un pugno sul tavolo e sollevando una pioggia di malibù in cui il suo braccio era immerso. Una goccia schizzò dritta nell’occhio di Gajeel, accecandolo, e il ragazzo ringhiò imbestialito mentre allungava la mano e afferrava Natsu per il colletto della maglietta.
«Idiota!» lo apostrofò. «Ti riduco in poltiglia! Altro che sfidarti!»
«Ehi! Sei tu che hai cominciato! Che avevi da chiamarmi allora?!» s’imbronciò Natsu.
«Non ti stavo chiamando!» latrò Gajeel a denti stretti, lasciandolo andare e tornando ad appoggiarsi pesantemente allo schienale della panca. «Stavo solo dicendo a Erik che ti interessa la bionda laggiù.»
«Che per inciso si chiama Lucy.» aggiunse Rogue, gli occhi fissi e atoni sul suo migliore amico che, ora in piedi sulla panca, canticchiava “Ho vinto! Ho vinto!”, dimenando il bacino per la gioia di Cana che aveva addirittura smesso di bere per girarsi a guardarlo. E a giudicare dall’espressione di Yukino, intenta a chiacchierare con Kagura e Mirianna, e dal colore che aveva preso la sua faccia, Cana non era l’unica ad apprezzare.
Natsu si accigliò perplesso. «Luigi? Ma non è un nome da uomo?»
«Lucy, imbecille! Non Luigi!» sbraitò Gajeel mentre Erik voltava loro le spalle.
«Ora gli faccio avere due drink da parte vostra.» li avvertì con un noncurante gesto della mano. Era piuttosto certo che non lo avessero sentito ma non gliene fregava niente. Avrebbe preparato due analcolici, tropicale per Lucy e al pompelmo per Levy, decise mentre ripercorreva a ritroso il percorso di poco prima per tornare dietro al bancone. Girò dove il bancone si piegava a elle e superò lo sgabello della rossa.
Su cui però la rossa non c’era più.
Ci mise due passi per realizzarlo e, per un qualche motivo, la cosa lo colpì. Non dubitò nemmeno per un istante che non avesse pagato il conto ma una qualche forza superiore lo obbligò a voltarsi verso il poso dove fino a pochi minuti prima lei era seduta.
Sul bancone i resti della sua serata di disperazione. Il bicchiere vuoto, macchiato di rosa sul fondo, la bottiglia di barbera piena ancora per metà, due banconote posate lì accanto e un piattino da dolce su cui giacevano solo qualche briciola, una forchettina e un tovagliolo che, ben lungi dall’essere stato usato, sembrava essere stato riposto con cura.
A passi lenti, le mani in tasca, Erik tornò verso lo sgabello, si avvicinò al bancone e posò gli occhi sul tovagliolo. Sotto il suo scarabocchio non troppo leggibile, due parole erano state aggiunte con un rossetto color pesca, sobrio e delicato, in una grafia sinuosa ed elegante.
 
Grazie. Erza.
 
Con un sorriso storto che era tutto un programma, Erik ripiegò il tovagliolo e, attento a non farsi vedere da nessuno, se lo infilò con cura in tasca.
 

§
 

Ingolfò la sciarpa nel collo del giubbotto, per riparare la gola. Anche se il clima si stava facendo più mite e l’aria croccante, la brezza era ancora pungente in quegli ultimi giorni di febbraio.
Attraversò la strada senza nemmeno premurarsi di verificare che non ci fossero macchina in arrivo, e si portò sul marciapiede a sinistra della carreggiata, camminando spedito lungo Etherion Street, diretto a casa. Era raro, per Erik, non lavorare la sera, un turno che per altro gli piaceva molto. Conosceva tutti, il bar era la sua seconda casa, senza contare che faceva fatica a prendere sonno presto. Era anche vero, però, che ogni tanto non era male fare il mattino.
Mani in tasca e sguardo indifferente, lanciò un’occhiata al capannello di gente, ammassato sulla scalinata del tribunale di Magnolia, che sorgeva in Caelum Plaza, all’ombra della Torre del Paradiso, l’orgoglio architettonico della città, opera dell’architetto Gerard Fernandes. A giudicare dal brusio e dai flash che lampeggiavano nell’aria, doveva essersi appena concluso un caso importante. Senza sapere perché, Erik rallentò il passo, allungando il collo per sbirciare, senza avvicinarsi alla folla di curiosi.
Le imponenti porte di legno scuro si aprirono e due figure apparirono in cima alle scale, camminando fiere e a testa alta, ignorando le domande a raffica dei giornalisti con consumata classe. Entrambe bellissime, entrambe sicure di sé. Una mora, sopracciglia ad ali di gabbiano, occhi lievemente a mandorla. L’altra rossa, il fuoco negli occhi nocciola, un velo di rossetto pesca sulle labbra.
E prima di essersene accorto, Erik si era fermato e messo in ascolto, curioso. Non ci mise molto a cogliere chiaramente, fra tutte le domande che i giornalisti stavano lanciando a raffica, un “Avvocato Orland” rivolto alla mora. Così come registrò chiaramente e archiviò in un ben preciso angolo della propria mente l’“Avvocato Scarlett” rivolto invece a Erza.
Erik ghignò storto.
Erza Scarlett. Molto azzeccato, non c’era che dire.
Le due donne scesero gli scalini, ignorando testardamente i giornalisti e mantenendo il massimo riserbo, finché, raggiunto il marciapiede, non si girarono l’una verso l’altra per stringersi la mano.
«Splendida arringa, Minerva.»
«Neanche la metà della tua, Erza. Non fosse stato per quella prova dell’ultimo minuto avresti vinto tu anche stavolta.»
Erza sospirò. «Ti ricordi cosa ci diceva sempre il professor Neekis?»
«”Finché la mattina vi riuscite a guardare allo specchio e anche così le vittorie sono più delle sconfitte, state facendo un ottimo lavoro.”» ripeté a memoria Minerva, sorridendo radiosa.
Erza annuì, riflettendo il sorriso dell’avversaria ed Erik rimase colpito dalla sincerità che riverberava nelle loro voci. Non sembravano affatto ai ferri corti, men che meno nemiche. Anzi…
«Allora sabato mattina solito posto, solita ora?» chiese Minerva, cominciando ad allontanarsi verso Succubus Street.
«Confermato! Ma non ci provare, a questo giro tocca a me offrire la colazione!» l’ammonì Erza, puntandole contro l’indice.
Minerva sollevò le mani ai lati del viso. «Non oserei mai, avvocato Scarlett.»
«Sarà meglio!» la salutò Erza, ridacchiando e avviandosi a sua volta verso Etherion street e dritto dritto verso Erik che, colto alla sprovvista e non perché si fosse incantato a guardarla, assolutamente no, lui non si incantava proprio davanti a niente, non riuscì a levarsi dalla sua traiettoria in tempo per non essere visto.
Con noncuranza, ficcò le mani nelle tasche del giubbotto e tornò serio, pronto a fare finta di niente semmai Erza non avesse dato segni di averlo riconosciuto, cosa altamente probabile visto la quantità di alcool che aveva in corpo quando si erano conosciuti e vista anche la decisione con cui Erza stava camminando, senza accennare a rallentare o fermarsi, il che andava benissimo perché non era che lui…
«Ciao Erik.» Erza si fermò di botto, di fronte a lui. Erik sbatté le palpebre un paio di volte, interdetto ma senza darlo a vedere. «È Erik, giusto?» chiese conferma dopo un attimo, aggrottando le sopracciglia dubbiosa.
«Sì è Erik.» ribatté asciutto lui. «Ciao a te.»
«Cosa fai qui?» tagliò corto Erza, diretta come sempre.
Erik sollevò un sopracciglio. Stava già per rispondere la verità, cioè che stava tornando a casa ed era passato di lì per caso, ma un pensiero lo colpì e non riuscì a trattenersi.
«Lo sai, di solito si lascia il numero di telefono insieme al nome.»
Erza arcuò le sopracciglia e per un attimo Erik sospettò che non si ricordasse del dettaglio del tovagliolino e pensò di aver fatto una colossale figura di merda. Se Erza si ricordava di lui ma non di tutto il resto era perché tutto il resto erano solo dettagli irrilevanti e a lui non piaceva passare per quello che teneva a mente i dettagli irrilevanti. Dava l’impressione che gli importasse quando non era affatto così e…
«Il mio numero per una fetta di cheesecake?» domandò Erza, riprendendo a camminare e superandolo. «Dovrai fare di meglio.»
Erik sgranò gli occhi e, per la prima volta in tutta la sua vita, per un attimo dubitò delle proprie orecchie. Ma se c’era una cosa di cui poteva andare sicuro, a cui sapeva che avrebbe potuto affidarsi senza tentennamenti in qualunque situazione, da un cliente insoddisfatto a un’apocalisse di zombie, quello era il suo udito.
Una scossa lo attraversò da capo a piedi. «E per una fetta di cheesecake e una bottiglia di Barbera?» domandò, guardandola da sopra la propria spalla. Un moto di trionfo lo innaffiò, quando Erza si fermò di nuovo.
«L’ho pagata la bottiglia.»
«Non quella di stasera.»
Fu il turno di Erza di sbirciare sopra la propria spalla, il sopracciglio sollevato.
«La causa l’hai persa e il Barbera è la tua medicina preferita.» proseguì imperterrito Erik, senza preoccuparsi di usare più tatto né di non offenderla.
Erza puntò di nuovo lo sguardo di fronte a sé. «Però preferisco la crostata di fragole.»
Dovette attendere solo pochi istanti per sentire dei passi lenti avvicinarsi, fino a fermarsi proprio accanto a lei. «Fragole e Barbera, allora. Ho preso il tuo ordine.»
Erza gli lanciò un’occhiata di striscio e poi, senza chiedere il permesso né aspettare un qualsivoglia invito, agganciò la mano libera dalla ventiquattr’ore al gomito di Erik. Il ragazzo si irrigidì, preso in contropiede, ma solo per pochi millesimi di secondo prima di riprendere a camminare con Erza sottobraccio, come se niente fosse, come se fosse tutto perfetto normale.
«A proposito…» mormorò dopo qualche metro in assoluto silenzio. «Come mai tutta questa calma oggi? Settimana scorsa sembravi alla fine della tua vita per questo caso.»
Erza si strinse appena nelle spalle. «Ho avuto tempo per metabolizzare e prepararmi psicologicamente.»
«Ah. Quindi devo supporre che non ti ubriacherai stasera?»
«Dipende dalla compagnia.» ribatté prontamente Erza, lanciandogli uno sguardo che era tutto un programma.
Erik ghignò apertamente.
Sarebbe stata una serata molto interessante.
E, possibilmente, la prima di una lunga serie.
 
 
 
 
   
 
 
Angolo dell'autrice: 
Salve a tutti voi del fandom di Fairy Tail! Intanto ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno letto e vi auguro un buon Crack&SfigashipDay a tutti! 
Voglio ringraziare anche qui il Forum FairyPiece che ha reso questo evento che io adoro con tutta me stessa! 
Ma ora vorrei dire un paio cose alla persona a cui questa storia è dedicata. 
Mari. 
Punto numero uno: Sì, l'altro giorno quando abbiamo parlato di Erza avvocato e Erik cameriere l'avevo già scritta tutta e ti giuro che non sai che fatica non confessarti tutto! Tenere sta sorpresa è stata una delle cose più complicate che io abbia mai fatto! 
Punto numero due: Io non so se li ho fatti IC, non so se li ho resi bene. So solo che spero con tutto il cuore che ti sia piaciuta perchè io ci ho messo tutto il mio impegno per scriverla e so che non è granché ma migliorerò, parola di scout! 
Punto numero tre: No, non è solo per ringraziarti. Sì, ora li shippo male anche io. 
Punto numero quattro: Sì, è nata per ringraziarti e questo è quello che voglio fare. Grazie per tutto il tuo appoggio, grazie per le chiacchierate e il fangirl e l'ascolto e tutto. Grazie davvero di cuore. 
E grazie anche a tutti voi che siete arrivati fin qui. 
Un bacio enorme. 
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