Crossover
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Autore: Odinforce    21/02/2017    2 recensioni
Una serie di one-shot ambientate su Oblivion, il mondo in cui è narrata la mia maxi-opera Interior Dissidia. Storie parallele dedicati a personaggi diversi, sopravvissuti all'eterno ciclo di guerre e che cercano disperatamente di farsi valere a modo loro. Idee scartate dalla storia originale, ma non per questo dimenticate o mai avvenute.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’inizio della fine
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Oblivion, settore “Agrabah”. Ieri.
L’urlo di dolore echeggiò per ogni sala del palazzo, tale da attirare l’attenzione di tutte le donne che lo abitavano. Alcune furono spaventate da un simile suono, ma la maggior parte provò solo un lieve turbamento. Nessuna di loro, invece, provò ad avvicinarsi alla porta dietro la quale era avvenuta la tragedia: sapevano che sarebbe stato inutile intervenire... era troppo tardi per tutto.
Solo la padrona scelse di farsi avanti, dirigendosi a passi lenti verso la soglia. Costei era Lilith, superstite di un altro mondo come tutte loro. Quando fu davanti alla porta, questa si aprì improvvisamente dall’interno. Lilith arretrò di un passo mentre dalla stanza usciva l’unico uomo presente in tutto il settore. Un giovane dai capelli neri sulla ventina, vestito di nero, gli occhi azzurri e colmi di dolore. Avanzò con decisione senza curarsi di Lilith, né delle altre donne, diretto verso l’uscita del palazzo.
Il suo nome era Noctis, ultimo superstite del suo mondo.
Lilith lo seguì con lo sguardo per qualche attimo, poi si voltò verso la stanza da cui era uscito. Vide ciò che aveva spinto il principe a urlare in quel modo poco prima: la principessa Lunafreya giaceva sul letto, immobile. Morta. La padrona sospirò, amareggiata; non aveva potuto fare nulla per salvarla... Oblivion aveva appena raccolto un’altra vittima.
Possibile che non ci fosse fine a questo caos? Che tutto fosse destinato a scomparire?
Lilith guardò le sue ragazze, importanti per lei come figlie o sorelle. Non poteva più sopportare questa serie di tragedie. Tornò a guardare Noctis, ormai prossimo all’uscita, e lo raggiunse un attimo dopo con un balzo. Il principe si fermò a guardarla.
« Ti ha detto qualcosa? » chiese la demone, seria.
Noctis non rispose subito. Una lacrima solcò la sua guancia ancora una volta.
« Mi ha detto cosa devo fare... e lo farò. »
« Capisco. Potresti aver bisogno di aiuto. »
« Sì. Assicurati che il mio messaggio giunga a destinazione. »
Lilith annuì, mentre il principe le spiegava cosa avrebbe fatto.
 
Oblivion, settore “Varykino”. Oggi.
Darth Vader stava in piedi sulla terrazza. Osservava come al solito la meraviglia che lo circondava ogni giorno da quando aveva deciso di rifugiarsi laggiù. La brezza, la quiete e i bei ricordi, materializzati al suo fianco grazie al potere della Forza: le immagini illusorie di sua moglie e dei suoi figli alleviavano il dolore e la solitudine. Sarebbe stato tutto perfetto, ma la consapevolezza di trovarsi su un altro mondo, devastato dal caos, smorzava ogni tentativo di restare in pace. Inoltre era preoccupato per suo figlio: quello vero, ancora disperso chissà dove là fuori.
Luke...
Qualcosa lo fece distrarre all’improvviso. Un disturbo nella Forza, che lo spinse a voltare lo sguardo. Vader notò qualcuno in lontananza, sulla riva del lago. Allarmato, si avvicinò subito con pochi balzi: erano due persone, ma lui rivolse tutta l’attenzione su quella sdraiata a terra.
Suo figlio, Luke Skywalker. Il giovane cavaliere Jedi giaceva immobile tra i sassi, gli occhi chiusi. Una donna gli stava accanto, osservandolo tranquilla.
« Luke! » esclamò Vader, inginocchiandosi accanto al figlio.
« Non temere, è ancora vivo » disse la donna.
Il Sith si voltò a guardarla. Era una donna nera, molto bella, con una folta chioma di capelli dorati e occhi da serpente. Non aveva vestiti, ma in compenso portava alcune placche dorate simili a squame che le coprivano le parti più intime.
« Tu chi sei? Che cosa gli hai fatto? » chiese Vader, minaccioso.
« L’ho salvato dalle acque in cui rischiava di annegare. »
« Sento molta oscurità in te. Non tentare di ingannarmi, donna. »
« Non sono una donna, sono Lilith » ribatté lei, alzandosi in piedi. « Non intendo nascondere i miei peccati, ma non voglio nemmeno ingannarti, Signore dei Sith. Se non vuoi credere a me, credi a tuo figlio. Se guardi nei suoi ricordi scoprirai la tragedia a cui è sfuggito per miracolo... nella quale io non ho alcun ruolo. Ma ti consiglio di farlo più tardi, ora è meglio apprestargli le dovute cure. Non ti pare? »
Vader tornò a guardare Luke, e si rese conto che quella aveva ragione. Era molto debole, e rischiava di morire senza un intervento immediato. Così, senza più esitare, prese il figlio tra le braccia e si diresse verso la villa. Lilith lo seguì a ruota, calma e silenziosa.
Poco più tardi, la situazione si era stabilizzata. Luke riposava ora in una stanza della villa, opportunamente medicato. Vader uscì dalla stanza, sollevato: come suggerito da Lilith, aveva guardato nei suoi ricordi per scoprire cosa gli fosse accaduto. Lo scontro all’ultimo sangue, insieme ai suoi compagni, contro un essere terrificante: un oscuro signore, ancor più terribile e malvagio dell’Imperatore. Uno scontro da cui Luke era uscito vivo per miracolo.
Ci avrebbe pensato più tardi, si disse, poiché aveva ancora un’ospite di cui occuparsi. Lilith era rimasta nel corridoio, ad aspettare.
« Immagino che ora ti aspetti gratitudine da parte mia » mormorò il Sith.
« Non l’ho fatto per la gratitudine » rispose Lilith. « Piuttosto l’ho fatto per avere la tua attenzione... e la tua fiducia. »
« Fiducia? Non la concedo più così facilmente... e tu hai un legame con Nul, lo sento. »
Lilith sogghignò.
« Oh, non temere per questo. Per quanto mi dia piacere il suo calore tra morbide lenzuola, non sto affatto dalla sua parte. Non bramo la distruzione totale come lui. Cerco di salvare delle vite, quando posso. »
« Vite fasulle. Creature di fantasia... come te e me. »
Lilith tacque, visibilmente colpita. Si dava il caso che Vader avesse scoperto da tempo la vera natura di tutti coloro che mettevano piede su Oblivion. Il fatto che provenissero tutti da opere come film, libri, fumetti o videogiochi. Opere di fantasia, fonte d’intrattenimento per chi esisteva davvero.
« Dunque lo sai » osservò la demone dopo una pausa. « Sei più in gamba di quanto immaginassi, Vader. »
« Che cosa vuoi, allora? Arriva al punto » incalzò il Sith.
« Se sei così in gamba, perché ti nascondi? Perché ti rifugi in un luogo così remoto, in compagnia dei tuoi ricordi, mentre il mondo va in pezzi? Mentre la guerra infuria e miete innumerevoli anime? Hai grandi capacità, Darth Vader... ma ti rifiuti di sfruttarle nell’ultima battaglia che ti attende. »
Vader restò in silenzio, apparentemente impassibile.
« Non intendo combattere per il diletto di un dio » mormorò infine.
« Uhm, è una buona ragione. Ma se ti dicessi che Nul non è affatto un dio? Che le sue capacità, per quanto potenti, hanno una debolezza? Se tu e gli altri eroi rimasti la sfrutterete nel giusto modo, potreste fermarlo una volta per tutte. »
Vader guardò la porta al suo fianco, oltre la quale riposava un ignaro Luke.
« Ti stai rivolgendo al guerriero sbagliato » obiettò il Sith. « Non sono un eroe... non lo sono più. »
« Questa guerra non può essere vinta solo dagli eroi » dichiarò Lilith. « Qui non si tratta di sconfiggere le forze del male, ma di fermare una volontà che vuole annientare ogni cosa. Sia la luce che l’oscurità. Ecco perché, oltre alla luce, serve l’oscurità per fermarla. »
« Vuoi che Nul sia sconfitto, dunque. Ma se è così, perché non sei tu stessa a muoverti contro di lui? »
Lilith non rispose subito. Sul suo volto apparve una profonda amarezza.
« Per lo stesso motivo per cui tu non hai mai desiderato uccidere tuo figlio... per amore. Evidentemente non sei ancora pronto per portare il fardello che desidero affidarti, Vader, ma posso aspettare. Tornerò da te... quando non avrai altra scelta che unirti alla battaglia. »
Voltò le spalle a Vader, procedendo nel corridoio diretta verso l’uscita.
 
Il Cimitero dei Mondi. Ieri.
Noctis aspettava. Dopo un lungo vagare era finalmente giunto alla meta: il cuore di Oblivion, luogo che più di tutti ne costituisce l’essenza. Il Cimitero conteneva i resti di ogni battaglia consumata sul mondo, ammassati in giganteschi cumuli come immondizia. Il principe stava in quel momento sul punto più alto della discarica, seduto su un trono fatto interamente di spade fuse insieme. Ingannava il tempo smanettando sul suo smartphone, tra immagini e applicazioni varie. Non sapeva quanto avrebbe dovuto aspettare, ma era paziente... una virtù che aveva sviluppato nel suo hobby preferito, la pesca. In effetti, la situazione non era troppo diversa: anche in quel caso si trattava di catturare un pesce... uno molto sfuggevole, per non dire pericoloso.
Doveva pazientare, ma per fortuna aveva tutto il tempo del mondo.
L’attesa fu lunga, ma alla fine fu premiata. Noctis alzò lo sguardo non appena udì il rumore di un battito d’ali. Vide ciò per cui era venuto: lo vide scendere dal cielo e atterrare con grazia di fronte a lui, con un paio di maestose ali di corvo. Nul, il Mai Nato, era giunto: vestito di nero, con un lungo soprabito bianco dotato di cappuccio che gli celava il volto.
Noctis restò al suo posto, mentre il nuovo arrivato si avvicinava silenziosamente a lui. Inquietante, minaccioso, implacabile: Nul era tutto questo fin da quando aveva dato inizio alla guerra tra eroi e nemesi nel suo regno. Pochi erano sopravvissuti per vederlo di persona, e quel giovane seduto sul Trono di Spade era appena stato aggiunto alla lista. Il che non era necessariamente un bene, ma Noctis restò al suo posto, continuando a digitare sullo smartphone.
« Stai comodo? » domandò Nul, dopo una pausa.
« Non molto, in verità » fu la risposta. « Questo trono è freddo è duro... non capisco proprio come fai a starci seduto così a lungo. »
« Non potrei desiderare sedia migliore su cui osservare la mia opera. »
« Sì, be’... se tardavi ancora un po’ mi si addormentavano le chiappe. »
« Perdonami, la mia agenda è piena di impegni, ma alla fine ho trovato il momento per raggiungerti. »
Nul tacque, facendo un leggero inchino.
« Dunque... principe Noctis Lucis Caelum » aggiunse, fissando il ragazzo. « Il quindicesimo eroe... l’ultimo del suo mondo. A cosa devo l’onore della tua presenza sul mio posto preferito? »
Noctis distolse lo sguardo dallo smartphone, indurendo la sua espressione.
« Davvero non lo sai, o ci tieni ad ascoltarlo dalle mie labbra? Ho perso tutto ciò che avevo di più caro: il mio regno, i miei amici... Luna. L’ho vista morire davanti ai miei occhi, non molto tempo fa. Lei era tutto ciò che mi restava. Ora sono rimasto solo, in questa discarica che tu chiami casa. »
Ancora silenzio. Noctis vide Nul chinare leggermente la testa, un chiaro segnale di rammarico. La cosa lo stupì... ma se fosse un sentimento sincero o fasullo, non sapeva dirlo.
« Mi dispiace » ammise l’incappucciato. « Distruggervi non mi appassiona neanche un po’, ma è il mio dovere. È la Volontà Suprema: non c’è vittoria, non c’è ritorno. Tutti voi sprofonderete nel nulla. »
Noctis sospirò. Si era preparato a una simile risposta. Aveva studiato a lungo il suo nemico prima di decidere di affrontarlo: sapeva a cosa sarebbe andato incontro. Non aveva speranza di convincere un tipo del genere a cambiare idea, a mutare il suo obiettivo; non con le parole, almeno. Davanti a sé vedeva un’unica scelta, perciò si alzò dal trono, posando a terra il cellulare.
« Come vuoi » dichiarò. « Ma ti garantisco, sbruffone, che suderai parecchio per farmi sprofondare nel nulla. »
Nul non sembrò battere ciglio alla minaccia. Ne aveva sentite ben altre, in passato. Ecco perché, senza alcuna esitazione, allargò le braccia, evocando un gran numero di armi intorno a sé. Spade, scudi, lance e pugnali; lame affilate e pronte all’uso, sospese nell’aria, in attesa di colpire. La maestosa riserva di armi del regno di Lucis. Aveva replicato alla perfezione il potere di Noctis... un fatto che lo stesso principe fu costretto ad ammettere con una buona dose di turbamento.
« Preferirei assicurarti una morte rapida e pulita » annunciò Nul, gelido. « È la tua ultima occasione, principino: resta immobile, non reagire... e il ricongiungimento con i tuoi cari sarà immediato. »
Noctis sorrise beffardo, ignorando le numerose lame puntate contro di lui.
« Preferisco farli aspettare ancora un po’, se non ti dispiace. »
« Te l’ho già detto... mi dispiace eccome. Molto bene, che la battaglia abbia inizio! »
Una tempesta di lame si abbatté su Noctis, attaccandolo da ogni parte con rapidità fulminea. Il principe evocò a sua volta alcune armi, proteggendosi da ogni colpo. Resistette, senza urlare né arretrare; ci fu un lampo, infine, e le armi di Nul furono respinte. Questi rimase dov’era, immobile per la sorpresa.
Tritamago.
Noctis non perse tempo e si scagliò sul nemico, impugnando un paio di daghe dalla lama ricurva; Nul parò l’attacco appena in tempo, con armi simili a quelle del principe. Respinse il principe e sferrò vari fendenti, senza riuscire tuttavia a colpirlo. Noctis schivò ogni colpo con maestria; spiccò un salto e lanciò una daga alle spalle di Nul. Il ragazzo scomparve, per poi riapparire nel punto esatto in cui la daga si era conficcata. Nul parò il colpo successivo con un’ala, che lo protesse come uno scudo. Si voltò e attaccò ancora, ma Noctis fu più veloce: sferrò un altro fendente, così forte da spezzare entrambe le daghe del nemico.
« Oh? » fece Nul, sorpreso.
« Pft... dovresti cambiare fabbro! » esclamò Noctis. Attaccò ancora, ma Nul aveva già evocato una nuova arma, una spada. Parò il nuovo attacco e scattò di lato, per mantenere la distanza.
Doveva ammetterlo, non gli capitava da tempo un avversario simile.
Fraternity.
Noctis abbandonò a sua volta le daghe. Al loro posto apparve una lunga spada, azzurra come il mare e dotata di un nastro rosso; era diversa da quella impugnata da Nul, ma il principe era certo di poter contrastare il suo potere. Scattarono ancora, l’uno contro l’altro, incrociando le lame; rimasero a contatto per lunghi istanti, facendo forza sulla propria arma. L’eroico principe contro l’angelo sterminatore: la loro forza era pari.
« Nnngh... è questo il meglio che sai fare? » esclamò Noctis, continuando a spingere.
Nul rise da dietro la sua spada.
« No... perché tu sai fare di meglio! »
Sferrò una pedata al ginocchio di Noctis, facendolo sbilanciare. Nul vibrò un nuovo colpo, ma il suo tentativo di tagliare in due il nemico andò a vuoto: Noctis evocò un pugnale e lo lanciò lontano, teletrasportandosi insieme ad esso. Lo afferrò ancora e lo rilanciò, dritto contro Nul; questi gettò la spada e afferrò il pugnale al volo. Noctis riapparve di fronte a lui. Cercò di sferrargli un pugno, ma colpì solo del freddo acciaio. Il principe si era protetto con uno scudo oro e azzurro, appena evocato.
Nul cominciò ad irritarsi.
Noctis attaccò ancora. Respinse l’avversario con lo scudo, mentre sull’altra mano evocava una spada. Ansimava un po’ per la fatica, ma continuò a sorridere. Nul reagì: spada e scudo apparvero sulle sue mani, ma fu allora che si rese conto che qualcosa non andava. Sfortunatamente, non aveva tempo per pensarci su; Noctis si era lanciato di nuovo alla carica.
Ci fu una serie di affondi e parate da entrambe le parti. Nul era il più aggressivo fra i due, ma Noctis contrastava bene i suoi attacchi; si era preparato a lungo, grazie alle informazioni acquisite prima di raggiungere il Cimitero dei Mondi. Ecco perché lottava senza alcun timore. Colpì ancora e ancora, senza esitare... finché un colpo, finalmente, andò a segno.
« Argh! »
La lama del principe colpì l’avversario al volto. Nul perse l’equilibrio e cadde all’indietro, rotolando giù per le rovine. Noctis riprese fiato e lo raggiunse, osservandolo mentre si rimetteva in piedi. Il cappuccio bianco che celava a tutti il volto del distruttore, strappato dal colpo di spada, si era abbassato.
Ora riusciva a vederlo in faccia.
Noctis aveva di fronte un ragazzo, non più vecchio di lui. Aveva il naso e la mascella sottili, sopracciglia arcuate e occhi bianchi come il ghiaccio. I suoi capelli erano invece d’argento, lisci e lunghi fino alle spalle. Un taglio fresco spiccava dalla sua guancia destra, dove la spada lo aveva colpito.
« Bah » commentò Noctis, serio. « Mi aspettavo ben altro che una faccia del genere da un distruttore di mondi... sembri quasi uno normale. »
Nul fece un sorriso orribile, maligno.
« Già... questo è il volto di un eroe. Un eroe ispirato da tipi come te, Noct... un eroe mai nato. È questo che sono in realtà! Ti aspettavi un mostro? Be’, sappi che i mostri peggiori si nascondono dietro un bel faccino... non c’è cattivo più cattivo di un buono, quando diventa cattivo. »
Noctis sospirò.
« Hai finito? Sai, non è che non m’importi del tuo problema, ma francamente non saprei che dirti. Dovresti parlarne con uno psichiatra. »
« Tu, invece... dovresti solo crepare!! »
Nul spiccò un salto enorme, evocando nel frattempo uno spadone. Noctis indugiò per un istante: aveva combattuto un sacco di volte insieme al proprietario di quell’arma, sul suo mondo, per non riconoscerla. Vederla ora in mano a un simile nemico era pari a un insulto. Restò immobile, apparentemente privo di guardia. Vide lo spadone calare su di lui e, appena prima che lo raggiungesse, fece la sua mossa. Il principe abbandonò spada e scudo e si protesse a sua volta con uno spadone. Nul fu sbalzato all’indietro, ma atterrò in piedi grazie alle sue ali.
Il giovane dai capelli d’argento fissò sorpreso la nuova arma impugnata da Noctis. Uno spadone grande quasi quanto lui, di colore grigio, dotata di due fori sopra la guardia. La conosceva bene: l’aveva già vista in passato, in mano a un altro eroe.
La Buster Sword.
Com’era possibile? Nul fissò l’arma tra le sue mani. Era diversa: ciò che impugnava era una replica di quella usata da Noctis in battaglia, forgiata su Eos e brandita dall’amico Gladio. Ora se ne rendeva pienamente conto: quel ragazzo non stava lottando con le sue solite armi... per questo era riuscito a ferirlo.
Il principe sorrise ancora, notando l’espressione del suo nemico.
« Cominci a rendertene conto, vero? » dichiarò. « È sempre soddisfacente vedere il proprio nemico in difficoltà... soprattutto quando scopre di essere stato fregato!
« Sai, non posso dire di essere un esperto di divinità... ma per quanto ne so, non si è mai visto un dio sanguinare. Forse perché tu non sei un dio, dico bene? Né un angelo, né un demone... sei solo umano. Se ora sanguini, è perché ho scoperto il difettuccio nel tuo superpotere. Devo riconoscerlo, sai replicare alla perfezione i poteri e le tecniche di chi affronti... ma se il tuo avversario rinuncia alle sue capacità e combatte con armi diverse, le cose cambiano. Cominci a capire, stronzo? Ecco come sono riuscito a fregarti. »
Nul era allibito. La sua mano passò sulla ferita alla guancia, respirando forte per la rabbia.
« Dove... hai preso quelle armi? » sibilò.
Noctis guardò per un attimo la Buster Sword, cupo.
« Erano dove le hai lasciate » rispose. « Accanto ai cadaveri degli eroi a cui appartenevano! Squall, Gidan, Cloud, Firion, Kain, Lightning... e tanti altri. Ho combattuto con loro, erano miei amici... e sono morti uno dopo l’altro. Morti nella battaglia in cui tu ci hai costretti a lottare. Sarei morto con loro, se non fosse stato per Luna... se non mi avesse convinto a restare con lei nei suoi ultimi momenti. Le ho promesso che avrei affrontato quest’ultima battaglia... e l’ho fatto. »
Fece un cenno, e molte armi apparvero di colpo intorno a lui. Quindici armi in totale, che andarono a disporsi in fila ai suoi fianchi. Nul vide spade e lance, daghe e scudi, di varia forma e fattura. Le riconobbe tutte, dalla prima all’ultima arma: appartenevano ad eroi già incontrati, poiché caduti da tempo su Oblivion. Tutti morti.
Nul poteva quasi vederli accanto a Noctis, in quel momento, schierati ancora una volta contro di lui. Gli eroi dei quindici mondi: cavalieri e principi, guerrieri e maghi, salvatrici e alieni... accomunati da un’unica parola. Fantasia.
Percepiva i loro spiriti, carichi di orgoglio e sfida... e lui si sentiva quasi inerme al loro cospetto.
Solo.
« Questo è l’inizio della tua fine, Nul » dichiarò Noctis, puntando la sua arma in avanti.
Fu allora che Nul scoppiò a ridere, contro ogni aspettativa. Rise a lungo, sempre più forte: poco importava se fosse ferito, spogliato della sua onnipotenza; si faceva comunque beffa di quel principe coraggioso.
« Bene... ti sei dimostrato in gamba, Noct » commentò, ricomponendosi. « Davvero in gamba. Oltre ogni mia aspettativa. Hai scoperto la mia debolezza, complimenti... hai appena compiuto un passo che ben pochi altri prima di te sono riusciti a compiere. Temo, tuttavia, che non procederai più avanti di così. »
Noctis alzò le spalle, poco convinto.
« Hah... tu dici? »
« Oh sì » ribatté Nul. « Credi di avere la vittoria in pugno, adesso? Sono spiacente, bello, ma sei fuori strada... scoprire la mia debolezza non ti darà alcun vantaggio. Lo ammetto, non sono un dio. Posso essere ferito nel modo che tu hai appena dimostrato... ma questo segreto non ti permetterà di uccidermi. »
« E perché mai? »
Nul fece un passo in avanti.
« Io sono come te, Noctis. Sono un eroe, il protagonista di una grande avventura... ma a differenza di te, io non sono mai nato. La mia avventura non è mai cominciata, perciò non ho mai vissuto. Per questo... non posso morire! »
La sua mano destra scattò in un gesto fulmineo. Nuove armi si manifestarono al suo comando e si scagliarono su Noctis, rapide come saette; il principe fece in tempo a muovere le sue armi e a proteggersi da quella violenta pioggia di colpi. Nul non rimase in disparte: si scagliò a sua volta contro il giovane pochi attimi dopo e, afferrata la prima spada a portata di mano, cercò di tagliarlo in due. Noctis parò con lo scudo. Nul tentò di nuovo, mentre una tempesta di lame infuriava intorno ai due guerrieri. Noctis reagì, afferrando una nuova spada: era lunga e argentata, con il manico di un revolver. Vibrò un colpo, dritto con il fianco di Nul, che tuttavia riuscì a parare con una lancia. Noctis non aveva finito; non appena la lama del suo Gunblade toccò l’arma del nemico, premette il grilletto; ne seguì una piccola esplosione che prese Nul in pieno, scaraventandolo fuori dalla tempesta di lame.
Il giovane alato crollò a terra, ma riprese l’equilibrio con una capriola. Spalancò le ali e si alzò in volo; Noctis riuscì nel frattempo a disperdere le lame nemiche, afferrò un pugnale e lo lanciò contro Nul.
« Non ci casco di nuovo! » gridò l’angelo. Afferrò il pugnale al volo con una mano, l’altra pronta a sferrare un sonoro pugno a colui che si sarebbe materializzato davanti a lui tra un istante...
Ma non accadde.
« Cosa? »
Nul abbassò lo sguardo, e capì l’inganno. Quella di Noctis era stata solo una finta per distrarlo: il principe aveva infatti lanciato una seconda arma in un’altra direzione, sulla cima del cumulo di rovine più vicino. Nul lo vide teletrasportarsi su quel punto e scagliarsi su di lui un attimo dopo, con un’altra spada.
Noctis sferrò un fendente, ma Nul si protesse con un’ala e lo respinse. Il principe reagì ancora: la spada tra le sue mani mutò forma, riconfigurandosi in un’arma da fuoco...
Blam, blam, blam!
Un paio di colpi perforarono un’ala, tranciandola di netto. Un altro prese Nul in piena fronte, bucandogli il cranio. Lo sguardo sorpreso del Mai Nato si congelò nei suoi occhi, insieme al resto del corpo, mentre precipitava come un sasso verso terra. Noctis lo guardò soddisfatto per un attimo, prima di proiettarsi a terra in tutta sicurezza.
Nul si schiantò a terra subito dopo. Non si mosse. Possibile che fosse davvero finita? Noctis, pur desiderando che fosse vero, non riusciva a crederci: non era ciò che si aspettava. Rimase in guardia, evocò numerose spade e le scagliò sul corpo del nemico, impalandolo al suolo. Nul non reagì in alcun modo.
E’ finita...?
Noctis attese ancora, infine tirò un sospiro di sollievo. Era fatta. Aveva vinto.
Forse le precauzioni prese non erano più necessarie, dopotutto.
« Ahahaha... »
Il principe alzò la testa, allarmato. La risata echeggiava nell’aria, come se fosse il vento stesso a ridere. Stupefatto, vide il corpo di Nul sgretolarsi tra le sue spade come cenere; sentì la risata farsi più forte, poi questa tacque. Al suo posto udì altre voci.
« Però, è un tipo tosto » commentò la prima, giovane e femminile.
« Già... era da tempo che non ci capitava un avversario simile » rispose una seconda, maschile e matura.
« Lo abbiamo sottovalutato. Questo è stato il nostro errore » dichiarò la voce di un terzo giovane.
Noctis si voltò in ogni direzione, ma non vide nessuno. Chi stava parlando? Spiriti? Fantasmi? Non riusciva a capirlo. Eppure aveva parecchia esperienza alle spalle su entità del genere...
Poi una mano estranea si posò sulla sua spalla. Si voltò e vide Nul: lo sguardo era gelido, la testa e le ali di nuovo integre, come se non gli avessero mai sparato. Noctis fu così sorpreso che non fece in tempo a reagire, mentre Nul lo afferrava per la gola con una forza micidiale.
« Un errore che non ripeteremo più » disse. La sua voce era strana, come se fossero le tre precedenti a parlare all’unisono.
Strinse la presa sul principe e si alzò in volo, trascinandolo con sé. Raggiunse un’altezza molto elevata, tale da sovrastare l’intero Cimitero dei Mondi, mentre manteneva la presa sulla gola del suo avversario. Noctis non riuscì a reagire in alcun modo, tanto era impegnato a cercare di respirare.
Eppure, quando Nul smise di sbattere le ali, non riuscì a fare a meno di porgli una domanda, con il poco fiato che aveva.
« Chi... cosa diavolo... sei? »
Nul allentò leggermente la presa, mentre i suoi occhi si colmavano di una rabbia indescrivibile.
« Noi... IO SONO NUL! »
Detto questo, lo scaraventò via. Noctis precipitò con la forza di un missile, del tutto impotente a causa dello shock. Dopo un breve volo, il suo corpo precipitò contro un edificio che delimitava il Cimitero, e finì al suo interno dopo aver sfondato la parete. Fortunatamente era riuscito ad evocare uno scudo che ridusse l’impatto, ma la caduta fu comunque rovinosa. E dolorosa.
Per un po’ non vide più nulla: nella sua testa c’erano solo dolore e caos. Aveva delle fratture, perdeva sangue e respirava a fatica. Si avvicinava la fine, lo sentiva.
Poi, quando fu di nuovo capace di vedere e sentire normalmente, si accorse di non essere solo.
Nul era a pochi metri da lui, in piedi sul pavimento di quell’edificio abbandonato. Un sorriso di trionfo era dipinto sul viso, rivolto ora sul suo corpo malconcio.
« Allora, principino » commentò l’angelo, soddisfatto di ciò che vedeva. « Credi ancora che questa sia la mia fine? »
Lentamente, Noctis cominciò a ridere. Nul ne fu sorpreso, ma poi cominciò a notare qualcosa. Quell’espressione gli era familiare: l’avevano avuta molti altri eroi, tra quelli affrontati di persona. Eroi che lo avevano sfidato pur sapendo di andare incontro alla morte; guerrieri temerari che avevano dato la vita per una speranza in cui credevano. Morti con scopo ben preciso, come proteggere qualcosa... o qualcuno. Perciò li aveva visti morire con il sorriso sulle labbra... perché si erano spenti nel modo in cui ritenevano giusto.
Fu allora che Nul capì le intenzioni del principe.
« Tu non sei venuto con l’intento di uccidermi » esclamò, puntandogli contro un dito. « Ora capisco... il tuo piano era un altro, non è così? Volevi guadagnare tempo? Proteggere qualche persona cara dalla guerra? O volevi esalare l’ultimo respiro con la soddisfazione di avermi visto sanguinare? Allora sei patetico, come tutti gli altri tuoi predecessori... simili sacrifici non servono a niente nel mio mondo. Non c’è scampo da Oblivion! Non esiste vittoria, non esiste ritorno! »
Noctis rimase zitto e sorridente, ancora riverso su quel pavimento polveroso. La cosa parve irritare Nul, che sospirò seccato.
« Non vuoi dirmelo? Come vuoi... tanto cominciavo a stufarmi. »
Evocò una spada e fece un passo avanti, pronto a sferrare il colpo di grazia. Noctis continuò a ridere.
« Questa... non è la fine. È l’inizio... l’inizio della tua fine. »
« Cosa? »
Nul si fermò.
« Sapevo di non poterti uccidere » riprese Noctis. « Ma ciò che ho fatto... permetterà ad altri... di finire il lavoro. Sapevo che sarebbe accaduto... e so come finirà. Presto, tu e il tuo mondo... sparirete. »
« Oh, e chi dovrebbe riuscire in tale disperata impresa? »
Noctis rise ancora, rifiutandosi di rispondere.
Nul cominciò a perdere la pazienza. Nel frattempo nella sua testa serpeggiava il dubbio, arricchito con una notevole dose di timore. Che quel giovane agonizzante riverso ai suoi piedi dicesse sul serio? Che sapesse davvero ciò che sarebbe avvenuto?
« Lunafreya » mormorò, giungendo alla verità. « Ma certo... lei era una veggente. Ti ha mostrato il futuro, vero? Hai agito così perché sapevi come sarebbe andata. Ecco perché conoscevi il mio punto debole... e lo hai sfruttato fino in fondo. Eppure sapevi a cosa andavi incontro. Mi hai sfidato, pur sapendo di affrontare una battaglia persa... perché eri destinato alla sconfitta! Lo hai fatto perché era già scritto nel tuo futuro! »
Si avventò su Noctis, afferrandolo per la giacca.
« Chi sono questi “altri” di cui parlavi? » gli chiese, minaccioso. « Come faranno a sconfiggermi? Dimmelo! »
Wham.
Qualcosa di lungo e sottile colpì Nul in piena faccia. Questi cadde all’indietro, mollando la presa su Noctis. L’angelo si rialzò quasi subito, ma rimase esterrefatto quando capì cosa era accaduto.
Era stato lo stesso Noctis a colpirlo, con una canna da pesca. L’aveva evocata, come una delle sue numerose armi.
Il principe tossì sangue, ma poi riprese a ridere.
« Heh... così sto sicuro... che non dimenticherai questo giorno, pesciolino » dichiarò, sempre più stremato. « Il giorno in cui hai abboccato al mio amo... fin da quando abbiamo incrociato le spade. Certo, alla fine hai vinto tu... ma morirò felice, sapendo che da questo momento... tu e il tuo mondo avete i giorni contati. »
Nul strinse i pugni e digrignò i denti. Ne aveva abbastanza di questa storia, voleva solo porvi fine il prima possibile. Guardò Noctis dritto negli occhi e replicò ancora una volta il suo potere, evocando una grande quantità di armi. Noctis vide spade, asce, lance e spadoni saettare in ogni direzione, conficcandosi su ogni colonna portante di quel piano; queste cominciarono a sgretolarsi, indebolite gravemente dai colpi appena subiti.
Nel frattempo Nul gli aveva voltato le spalle, dirigendosi a grandi passi verso l’esterno.
« È l’inizio... della tua fine! » gli gridò Nocits, deciso. « Gli ultimi pilastri... loro sapranno come fermarti... scopriranno il tuo segreto... grazie a me. »
Non ottenne risposta, ma ormai non aveva più importanza. Il principe si abbandonò sul pavimento, pronto ad accogliere l’inevitabile. Calcinacci sempre più grandi venivano giù dal soffitto, mentre le colonne andavano in pezzi. Il palazzo stava crollando, ma Noctis restò al suo posto. Tenne lo sguardo verso l’alto, vedendo ben più di una semplice parete che andava in frantumi.
Vedeva suo padre, i suoi amici più cari, e Lunafreya. Gli sorridevano e gli tendevano la mano, come per invitarlo a seguirlo. Lui continuò a sorridere, perché era pronto. Sapeva che questo era solo l’inizio: il preludio dell’ultimo conflitto, che si sarebbe concluso con la fine del caos.
Ma sarebbero stati altri eroi a porvi fine, come Luna gli aveva rivelato prima di morire.
« Il custode della chiave. La predatrice di tombe. Il ragazzo che è sopravvissuto. Il guerriero che cammina nei sogni. La mano destra del destino. L’alchimista d’acciaio. Il guerriero dragone. Il cavaliere delle stelle caduto. Loro vinceranno... ci riusciranno grazie al tuo sacrificio. »
« Ce l’ho fatta... Luna » mormorò con le sue ultime forze. « Hai visto? Andrà tutto bene... torneremo tutti... a casa. Non saremo dimenticati. »
Sollevò una mano tremante verso l’oscurità. Stava per tornare da loro.
Nul atterrò sulla duna di macerie dove sorgeva il Trono di Spade e vi sedette, appena in tempo per godersi lo spettacolo: davanti a lui, l’edificio nel quale aveva lasciato Noctis stava crollando. Sentì la vita del principe spegnersi mentre una nube di polvere e macerie si levava nell’aria. Un altro eroe era appena caduto: l’ultimo di una lunga serie. Oblivion aveva preso un’altra vita.
Per una volta, tuttavia, Nul non poté ritenersi soddisfatto del risultato. Lo scontro con quel ragazzo lo aveva scosso più di quanto avesse immaginato: non solo era arrivato a guardarlo in faccia, ma era riuscito anche a ferirlo; aveva scoperto la sua debolezza... ma soprattutto, era riuscito a ingannarlo.
Mentre si copriva nuovamente il volto con il cappuccio, la minaccia di Noctis risuonò nelle sue orecchie. Non riusciva a crederci, ma la cosa continuava a turbarlo: com’era possibile? Oblivion, la guerra, lui stesso... tutto aveva avuto origine per mano della Volontà Suprema. Solo Lui aveva il potere di porvi fine. Come avrebbe potuto un gruppo di eroi far cessare tutto questo?
E soprattutto, come avrebbe potuto Noctis rivelare loro il suo punto debole, se era appena morto?
A meno che...
L’angelo abbassò lo sguardo. Noctis stava seduto su quel trono poco prima dello scontro, intento a smanettare sul suo cellulare...
Un cellulare che ora sembrava svanito nel nulla.
 
Altrove, in quello stesso momento...
Lilith stava sulla cima del grattacielo più alto della città, intenta ad osservare ciò che si era appena compiuto. In lontananza poteva scorgere una grande nube di polvere sollevarsi dal suolo, là dove sorgeva il Cimitero dei Mondi. Anche lei aveva percepito la vita di Noctis spegnersi in quel momento, e provò un gran dispiacere. Avrebbe voluto un destino diverso per quel giovane, se solo avesse avuto il potere per cambiarlo.
Ci fu un lieve boato, seguito da uno spostamento d’aria. Lilith si voltò: nulla sembrava cambiato su quel tetto, ma poi una figura si materializzò davanti ai suoi occhi. Era una donna dai capelli bruni raccolti in una coda di cavallo, vestita solo con un bikini nero, collant strappati e un cinturone militare. Non disse una parola mentre si avvicinava a Lilith, che le sorrise.
« Com’è andata? » domandò la demone.
L’altra donna non rispose, ma afferrò un oggetto dalla cintura e glielo porse.
Lilith lo prese. Era lo smartphone di Noctis, rimasto intatto. Esaminandolo, notò come il dispositivo fosse stato impostato sulla registrazione di un video, terminata da poco.
« Bene... ottimo lavoro, Quiet. »
Quiet annuì.
« Sai, sono lieta che tu abbia resistito alla tentazione di sparare al mio amato » proseguì Lilith. « So che non deve essere stato facile per te, ma credimi... questa era la cosa migliore. Questa è la speranza per la salvezza di tutte noi. »
Entrambe lasciarono il grattacielo poco dopo. 
 
Oblivion, settore “Varykino”. Oggi.
Darth Vader non esisteva più. Al suo posto era tornato Anakin Skywalker, il cavaliere Jedi che era sempre stato. Spronato dai fantasmi del suo passato dopo la morte del figlio, era riuscito finalmente ad uscire dall’oscurità, abbandonando la maschera del male. Il suo urlo echeggiava ancora per tutto il settore, disperdendosi tra le montagne che circondavano il lago.
Non c’era tempo da perdere. Gli ultimi eroi avevano bisogno del suo aiuto: percepiva il loro dolore anche da così lontano. Avrebbe combattuto al loro fianco, come desiderava Luke. Perciò, senza più indugiare, si alzò dalla riva del lago e tornò nella villa, recuperando tutto il necessario per affrontare una battaglia. Dopo aver indossato nuove vesti, più consone al suo aspetto ringiovanito, Anakin raggiunse la soglia, ma vi trovò qualcuno ad aspettarlo.
Era Lilith. Inquietante come sempre, ma con un sorriso compiaciuto impresso sulle sue labbra.
« Guarda un po’ chi è riemerso dalle tenebre » commentò la demone, osservando bene il Jedi.
« Ancora tu » mormorò Anakin, infastidito dalla sua presenza. « Che cosa ci fai qui? »
« Ti senti meglio, vero? Come amo ripetere, niente è meglio dell’amore per rimettere in piedi un eroe. Hai una grande forza, ma anche tu avevi bisogno di una mano dal tuo amore per recuperarla. »
Anakin non sembrò capire, ma poi rivolse lo sguardo verso la riva del lago, dove aveva incontrato lo spirito di sua moglie Padmé.
« Era opera tua? » domandò a Lilith. « Sei stata tu a farmi questo, con la visione di Padmé? »
Lilith alzò le spalle.
« Ha importanza? » fece. « Quello che conta, ora, è che stai meglio... ma soprattutto che sei pronto ad affrontare ciò che ti attende. L’ultima battaglia, quella decisiva per il destino di tutti. »
« Lo so. È proprio laggiù che voglio andare, perciò fatti da parte... non ho tempo da perdere. »
Lilith non si mosse.
« Non così in fretta, eroe... dopotutto non sai ancora come affrontare Nul. Per questo sono di nuovo qui: ora sei pronto per portare il fardello che desidero affidarti. »
Tese una mano e gli porse uno smartphone, appartenuto un tempo al principe Noctis Lucis Caelum. Anakin lo fissò incerto: per lui era solo un primitivo mezzo di comunicazione... del tutto ignaro della storia che circondava quell’oggetto.
« In esso troverai informazioni importanti » spiegò Lilith. « Troverai il modo per affrontare Nul... per ferirlo. Con queste informazioni, tu e gli altri eroi rimanenti trionferete su questo caos una volta per tutte. »
Anakin restò in silenzio, mentre un pensiero amaro attraversava la sua mente.
« Era questo che volevi rivelarmi la volta scorsa » mormorò. « Potevi farlo... o potevi scegliere Luke per questa impresa. Forse sarebbe sopravvissuto. Perché hai scelto me? »
Alzò lo sguardo, solo per rendersi conto che Lilith era sparita. La sua risposta, tuttavia, echeggiò nell’aria in quel momento.
« Perché tu sei stato scelto fin dall’inizio. »
E Anakin partì poco più tardi, diretto verso il luogo dove sarebbe avvenuta l’ultima battaglia. Avrebbe combattuto al fianco degli ultimi eroi rimasti, gli amici di Luke, forte delle informazioni appena apprese sul conto di Nul. Gliel’avrebbe fatta pagare cara, sfruttando fino in fondo le sue debolezze venute alla luce con il sacrificio di Noctis.
Presto sarebbe giunta la fine, per tutto e tutti.
   
 
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