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Autore: ItalianDork    22/02/2017    2 recensioni
Una madre, una figlia, il Nulla, l'Eterno.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marina non aveva mai creduto nella perfezione prima di stringere Angelica tra le braccia; c’era qualcosa di una dolcezza indescrivibile nell’osservare quel paffuto visino di bambola premuto contro la sua spalla, nel sentire i respiri regolari della piccola scaldarla fin dentro al cuore. Mai aveva visto una bambina tanto bella, dall’aspetto tanto sereno.

Crescere una figlia da sola non sarebbe stato facile, glielo avevano ripetuto tutti, più e più volte. La giovane donna non poteva certo negare di aver pensato all’interruzione volontaria, soprattutto quando si era trovata fra le mani conti su conti, tasse non pagate e rifiuti di pubblicazione, ma quando l’aveva vista per la prima volta, con le sue ciglia scure e le sue piccole e tenere dita che le si stringevano caldamente intorno all’indice, aveva capito di aver fatto la scelta giusta.

Non era stato facile all’inizio, non con il suo precario lavoro di scrittrice e il più stabile (ma decisamente poco remunerativo) impiego da cassiera, ma almeno aveva trovato degli alleati nei suoi genitori, che non l’avevano abbandonata a se stessa. C’erano stati giorni in cui si era ritrovata con le mani fra i capelli bruni e una tazza di tè sempre più freddo che torreggiava fra la moltitudine di fogli sparsi sul tavolo, mentre lacrime silenziose le scorrevano lungo il viso e le sgocciolavano dal naso, inzuppando chetamente l’ennesima bolletta. Non era quella, la vita che aveva sempre sognato, si diceva in quei momenti; d’altronde, neanche l’essere lasciata dal proprio fidanzato al secondo mese di gravidanza era mai rientrato nei suoi piani.
E, così, Marina si alzava, andava in bagno e si lavava la faccia, con il viso della sua Angelica che rideva e la chiamava “mamma” per la prima volta ben impresso in mente.

Poi, un giorno, ce l’aveva fatta: il suo primo libro, una raccolta di fiabe che le aveva ispirato sua figlia, era stato pubblicato. Aveva cantato e ballato per tutta casa, con la piccola di poco più di un anno che le zampettava dietro incerta, ma ugualmente gioiosa nel suo ridere e battere le mani. Da lì in poi le cose erano state un po’ più facili, essendo stato oltrepassato l’ostacolo più grande.

Angelica cresceva ogni giorno più bella, una bambina minuta e vispa dagli indomabili capelli neri, che a soli quattro anni dimostrava un’attenzione immensa e un’incredibile curiosità per il mondo circostante. La sera, si accoccolava sotto le lenzuola, avvolgendosi come un bozzolo e piantando i suoi grandi e luminosi occhi verdi in direzione della madre, aspettando che venisse a leggerle una delle sue fiabe. Marina rideva, sedendosi di fianco al suo piccolo fagotto e cercando invano di sistemarle qualche ciocca di capelli, per poi sottoporre i propri scritti all’analisi della sua critica più severa, sempre pronta a darle nuovi consigli, come l’aggiunta di prati pieni di fiori e boschi sconfinati.

Quella bambina amava la natura più di ogni altra cosa al mondo: al ritorno dai giardinetti era sempre piena di foglie, fiori e rametti, con le dita e le ginocchia sporche di terriccio e, in genere, un qualche insetto nascosto in tasca. Marina apprezzava enormemente questa sua passione, e, appena poteva, la portava in una grande zona erbosa appena fuori dalla città, un grande prato che sembrava quasi essere privo di confini. Era un piacere raro e prezioso vederla correre a perdifiato e ridere deliziata mentre inseguiva qualsivoglia animale le si parasse davanti, fosse un passero o una libellula, sentire il suo peso stanco che le si accoccolava in grembo.

In quei piccoli istanti di pura felicità, mentre passava la mano fra le ciocche scarmigliate della figlia e la sentiva respirare serena contro il suo stomaco, Marina si ritrovava a pensare e sperare, dicendosi che tutto sarebbe andato bene.

***

Si sbagliava.

***

Un’auto se l’era portata via il ventuno di Marzo mentre andava al parco con la nonna, quando aveva appena cinque anni.

La telefonata era arrivata a Marina mentre era al lavoro, e la signora di mezz’età che le stava davanti non seppe mai quanto le dovesse. Marina aveva corso come mai aveva fatto, raggiungendo l’ospedale in appena un quarto d’ora ed entrando con la furia di una tempesta, aprendo porte a non finire e non badando a quanta forza stesse mettendo in ciò che faceva, neppure quando il dottore le si era parato davanti e lei lo aveva afferrato per il camice con le mani rigide e tremanti quanto la sua voce, chiedendogli di vedere Angelica. Lui aveva semplicemente deglutito e fatto un timido cenno d’assenso, staccandole con delicatezza le mani dalla stoffa bianca e accompagnandola in una stanza, con la mano destra a stringerle la spalla.
Angelica sembrava quasi dormire, su quel tavolo, e Marina avrebbe voluto che fosse così, lo avrebbe voluto con tutto il cuore.

La morte era stata istantanea, le aveva spiegato il dottore mentre lei si faceva più vicina. La bambina aveva visto una farfalla bianca e si era svincolata dalla mano della nonna, correndo in mezzo alla strada, dritta davanti ad una macchina che non si era potuta fermare in tempo e l’aveva colpita; lo stridio dei freni si era mescolato alle urla della donna e dei passanti quando la piccola era stata sbalzata in alto e lontano, tagliando l’aria frizzante e atterrando a diversi metri di distanza, sbattendo la testa e rompendosi qualche osso. Quando l’ambulanza era arrivata, la nonna era in preda ad una crisi isterica, intenta a dimenarsi per liberarsi dalla presa dei passanti e raggiungere quel piccolo corpo che, malgrado l’assenza di attività cerebrale, ancora pulsava flebilmente di vita, mentre quella farfalla bianca volava sempre più in alto, sempre più lontano…

I polpastrelli di Marina erano insensibili e pesanti mentre alzava la mano, udendo le parole dell’uomo che le stava spiegando come ora sua madre stesse parlando con una psicologa così come avrebbe fatto tenendo la testa sott’acqua. Aveva stretto lentamente e con attenzione le proprie dita intorno a quelle ceree di Angelica e, nel sentirle così immensamente fredde e rigide, non aveva potuto fare a meno di strillare.

***

La madre di Marina bussò per l’ennesima volta alla porta della figlia, per poi sospirare tristemente e tirare fuori le chiavi di scorta dalla borsa.
La sua bambina non era più stata la stessa dopo la morte della piccola Angelica, avvenuta ormai tre mesi prima; lei stessa, dopotutto, era stata seguita da una psicologa per un mesetto, ma Marina aveva rifiutato ogni aiuto e si era semplicemente chiusa in sé stessa, in ogni senso della parola. Non parlava con nessuno, dormiva a malapena, non faceva telefonate né scriveva messaggi, aveva persino smesso di andare al lavoro da una settimana e di uscire di casa da quattro giorni, consumata da quel dolore ancestrale che aveva dovuto conoscere a ventisette anni.

La donna sapeva bene quanto la figlia fosse fragile e sensibile, ma sapeva anche che ormai era tempo che anche lei tentasse, per quanto le fosse possibile, di riprendere il controllo della propria vita e andare avanti, anche se ciò che provava doveva sicuramente essere più doloroso di una lama nel cuore.

“Marina?” chiamò dolcemente una volta entrata, non udendo altro che il silenzio come risposta. Fece qualche altro passo all’interno dell’appartamento, aprendo una finestra per far entrare un po’ d’aria fresca e sentendo un respiro pesante provenire da una stanza vicina, la cui porta era socchiusa.

La donna l’aprì piano, cercando di non farla cigolare, trovandosi immediatamente dinnanzi alla vista di sua figlia che dormiva semisdraiata sul tavolo, in mezzo ad una miriade di fogli di carta che riconobbe ben presto come note, appunti e bozze, alcune intonse, altre cancellate da molte linee d’inchiostro, altre ancora incomplete o scritte nelle direzioni più svariate. Aveva una tazza di tè ormai freddo davanti e le sue dita stringevano ancora una penna blu, notò la madre avvicinandosi in punta di piedi, per poi tapparsi la bocca per lo stupore e la meraviglia nel vedere il bel sorriso che la figlia aveva dipinto sul volto mentre dormiva circondata da quella distesa di carte.

La madre di Marina prese con una delicatezza infinita il foglio che per ultimo aveva incontrato la penna della figlia e se lo portò davanti agli occhi, non potendo evitare che un umido sorriso si facesse strada anche sul suo viso.

***

Angelica aprì gli occhi sbadigliando e respirò a fondo, per poi alzarsi in piedi e stiracchiarsi, osservando con occhi enormi la distesa infinita di erba soffice e punteggiata di fiori che la circondava, annusando il profumo di primavera che aleggiava nell’aria e beandosi del sole che illuminava quel bellissimo prato.

Una farfalla bianca le svolazzò intorno in tante giravolte giocose, per poi proseguire e spingersi sempre più in là, verso la linea verde dell’orizzonte.

La bambina rise e cominciò a correre.
  
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