"What’s gonna be left of the world if
you’re not in it?"
Good Grief; Bastille
Sembravano
una cosa semplice, i
nomi.
I
nomi erano soltanto nomi.
Aveva
sentito dire, una volta,
che se ripeti una parola molte volte sembra perdere di significato. Ci
aveva
anche provato, quando era più piccola, ritrovandosi a
ridacchiare chiedendosi
chi diavolo avesse scelto di dare i nomi alle cose. Erano
così buffi, i nomi.
Semplici. Cose da niente.
Eppure
più ripeteva quei nomi
nella sua testa, soppesando per ognuno se esistessero motivi validi per
giustificarne la sopravvivenza e odiandosi per questo, più
acquistavano
significato. Un nome diventava un volto. Un volto diventava un paziente
di sua
madre, qualcuno che aveva parlato al Giorno dell'unità, un
amico d'infanzia -
possibile che non avesse saputo più niente di lui? E
all'improvviso le sembrava
di vitale importanza saperne di più. Non c'era
più tempo. Quei nomi
acquistavano significato, invece che perderne.
Non arriverò in fondo.
Aveva
iniziato con i numeri,
appuntandoli in sequenza fino a cento in colonne ordinate. Era stato in
un
certo senso più semplice, una volta che il foglio aveva
smesso di fissarla,
bianco e muto. Scrivere Abigail Griffin accanto al numero uno le aveva
quasi
mozzato il fiato, ma da quel momento non aveva più avuto
scelta.
Si
prende il suo tempo, li scrive
con grafia ordinata, come se potesse servire a qualcosa.
Giocherella
con l'accendino,
avvicinandolo al foglio. Pensa di non poterla sopportare
più, quella lista.
Pensa che smetterà. Pensa che le darà fuoco.
Pensa che lascerà a qualcun altro
il peso di dover decidere chi vive e chi muore.
Pensa
al numero 75.
L'accendino
si spegne mentre lei
lo riappoggia sul tavolo, appuntando il nome accanto al numero.
Arrendersi non
è mai stata realmente un'opzione, a costo di arrivare alla
fine strisciando sui
gomiti, e l'accendino è solo una fantasia, un pretesto a cui
appigliarsi se
diventasse troppo insopportabile scrivere un altro nome. Non ci sono
mai state
scorciatoie per Clarke Griffin, e non ce ne saranno questa volta. Il
bunker di
Jaha ne è la prova: ogni volta che hanno cercato una via
alternativa, una che
non comportasse la morte di innocenti, quella via è crollata
sotto i loro
piedi. Trascinandosi dietro qualcuno di loro, e qualche frammento di
chi
rimaneva.
La
battaglia coi terrestri. Mount
Weather. TondC.
Wanheda
che decide chi vive e chi
muore.
Proprio
per questo il pensiero le
è insopportabile, e questa volta si tratta della sua gente,
di persone con cui
ha scherzato, mangiato, scambiato pareri e da cui magari ha addirittura
accettato consigli. Aveva sopportato l'idea di essere Wanheda per il
bene del
suo popolo, si era macchiata le mani con il sangue di quelle persone e
aveva
deciso di conviverci, perché - le aveva insegnato Lexa - un
leader fa anche
questo. Lexa aveva dato un senso a tutte le decisioni che aveva preso,
rendendole
le decisioni di un Comandante, rendendole parte di qualcosa di
più grande, e
per un po' il suo senso di colpa si era attenuato, consentendole di
respirare.
Ma
ora non è così. Ora sta
condannando a morte la sua gente, e l'enormità della cosa
minaccia di
sopraffarla in continuazione. Il nodo alla gola è
così stretto, a tratti, che
le impedisce di respirare, è un dolore fisico, reale. Non
c'è nessuna voce in
grado di mettere a tacere lo stridente senso di colpa nella sua testa,
la voce
che le dice che è sbagliato, e che se fa quel passo non
potrà più redimersi.
Non lo farò davvero.
Sollievo
momentaneo, altro nome
aggiunto alla lista. Non si permette di arrendersi, anche se la penna
diventa
più pesante ad ogni persona che va ad incolonnarsi sul
foglio. Intorno al
numero venti ha iniziato a pensare che Finn avrebbe dovuto essere su
quella
lista. Finn l'avrebbe meritato, pensa odiandosi. Lincoln l'avrebbe
meritato.
Lexa
invece non ci sarebbe stata.
Aveva sempre pensato alla sua morte senza paura, consapevole che
ciò che i
Comandanti precedenti le avevano dato le poteva essere tolto in
qualsiasi
momento. E le sarebbe stato bene così. Lexa avrebbe lasciato
il posto a
qualcuno del suo popolo. Lexa le avrebbe mostrato una via.
Gli
occhi le si riempiono di lacrime,
e per un attimo non vedere il foglio con le colonne ormai quasi tutte
compilate
è un sollievo. La penna è un macigno, e la sua
stessa scrittura solida e
ordinata le dà la nausea. Scrivere i nomi l'ha reso reale, e
le ha reso
impossibile scappare, le ha sbarrato ogni via di fuga, non importa
quante volte
faccia scattare l'accendino. Che la utilizzino o che non la utilizzino
è
relativo: il fatto stesso che lei l'abbia scritta è
abbastanza da renderla, di
nuovo, Wanheda.
Il
Comandante della Morte. Anche
se stavolta non sono radiazioni, esplosioni, o armi. Le è
sufficiente una
penna. La terribile Wanheda. Uccidi lei e sarai padrone della morte.
Wanheda
che decide chi vive e chi
muore.
Le
fa male qualcosa nel petto –
se fosse melodrammatica penserebbe che il suo cuore sia sul punto di
spezzarsi,
ma conosce abbastanza l’anatomia da capire che è
per i singhiozzi che fa ormai
fatica a trattenere. I denti serrati al punto che le fa male la
mascella, il
polso che le trema. La penna è talmente pesante che teme di
non riuscire mai
più a sollevarla, anche se tra soli due nomi
potrà finalmente nasconderla e non
doverla più vedere. Almeno per un po'.
Due
nomi. Due ultime persone che
si possono salvare, in base a dei criteri stabiliti da una ragazza di
diciotto
anni il cui cuore è spezzato e disperato.
Non posso...
Alza
lo sguardo - non vuole che
il foglio venga macchiato dalle lacrime, non vuole vedere l'inchiostro
espandersi e sbavare il nome di Raven, o quello di Abby - ed incontra
la sagoma
di Bellamy, addormentato sul divano. Quando era entrata nello studio,
alla fine
di quella disastrosa giornata, lo aveva trovato lì. La sua
intenzione non
doveva essere stata quella di dormire, era completamente vestito,
anfibi
compresi. Probabilmente l'aveva aspettata, ma alla fine era crollato.
Lo aveva
guardato per qualche istante, e tutto quello che in quel momento le
infuriava
dentro si era calmato per un attimo, un attimo solo. Chissà
da quanto tempo non
dormiva come si deve, Bellamy. Ricorda di averlo visto praticamente in
tutti
gli ultimi turni, agli orari più disparati, con la stessa
maglietta da giorni,
e mai una volta si era lamentato. Aveva seguito le istruzioni di Raven
per
riparare tubi, raddrizzare pannelli solari, isolare porte stagne,
programmare
frequenze radio. Aveva inseguito la ridicola speranza di Jaha. Il
ragazzo che
tanto tempo prima aveva distrutto una radio funzionante per i propri
obiettivi
personali.
Un sorriso sale alle labbra di Clarke, un sorriso
triste, eppure pieno
di dolcezza. Vorrebbe allungare la mano e allontanargli i capelli dal
viso, ma
per qualche motivo sa che lui si sveglierebbe al minimo rumore. Si
accontenta
di guardarlo, e di sapere che ha cercato di rimanere sveglio ad
aspettarla. Per
un attimo aveva pensato di andare via, quando l’aveva visto
lì, di scegliere
un’altra stanza. Non avrebbe voluto che l’orrore di
quella lista – una lista di
sopravvissuti ed al tempo stesso una lista di condannati –
dovesse essere
condiviso con qualcun altro. Doveva essere il suo fardello.
Eppure
era rimasta.
Mentre
saggiava le varie possibilità,
la penna aperta in mano ed il foglio ancora intatto davanti a lei,
mentre si
diceva che sarebbe scappata ed avrebbe lasciato quella
responsabilità a qualcun
altro, aveva pensato anche che Bellamy se la sarebbe presa per
sé, pur
odiandola. L’avrebbe fatto semplicemente per togliere quel
peso dalle sue
spalle, senza preoccuparsi del fatto che avrebbe potuto rimanerne
schiacciato.
Si sarebbe detto che ce l'avrebbe fatta, perché era quello
che faceva da
sempre, sopravvivere con il peso delle sue scelte. Si sarebbe sporcato
le mani
al posto suo, perché era così convinto,
così disperatamente
convinto che in quel modo avrebbe salvato anche lei.
E
a Bellamy non bastava che lei
si salvasse fisicamente, che il suo nome fosse su quella lista - Clarke
non
vuole morire, ma sa di non poterlo aggiungere. Voleva che lei si
salvasse in
tutti i sensi in cui una persona potesse essere salvata. Ai suoi occhi,
Bellamy
in quel momento più di chiunque altro è degno di
essere su quella lista.
« Ho potuto andarmene perché
sapevo che avrebbero avuto te.»
Questa
volta non succederà.
Questa volta non scapperà da una propria
responsabilità scaricandone il peso su
di lui.
La
penna ancora sospesa a mezz'aria,
rimane a guardarlo sovrappensiero. Il suo sonno è leggero,
ma i lineamenti sono
distesi, il respiro regolare. Se il senso di colpa che perseguita
Bellamy è
anche solo lontanamente paragonabile a quello che tormenta lei, conosce
il
valore di un buon sonno.
È
così convinto di non meritarsi
nulla, Bellamy. Per un attimo le è insopportabile l'idea che
lui non sopravviva
alle radiazioni. Le è insopportabile pensare di poterne
essere la causa. L'idea
le serra lo stomaco in una morsa e le sfugge un breve singhiozzo dalle
labbra
mentre aggiunge il nome di lui al numero novantanove. È una
sofferenza fare una
scelta, ma su di lui non ha mai avuto dubbi. Se ripensa agli ultimi
giorni, non
c'è un momento in cui Bellamy l'abbia lasciata sola: ogni
volta che ha alzato
lo sguardo in cerca di aiuto ha trovato il suo. Non vuole nemmeno
considerare
la possibilità che lui non si salvi, anche se lei non
sarà lì per soffrirne la
perdita.
Non
si accorge nemmeno che il suo
singhiozzo leggero l'ha svegliato finché non lo vede in
piedi, a pochi passi di
distanza - Bellamy non la lascia sola, eppure riesce sempre a lasciarle
lo
spazio di cui ha bisogno.
I
suoi occhi scorrono lungo il
foglio. Non sembra una persona appena sveglia: il suo sguardo
è attento e
vigile, nonostante le occhiaie e il viso stropicciato dal sonno. Ha un
piccolo
tuffo al cuore, ma cerca di non darlo a vedere: avrebbe dovuto offrirsi
di fare
quella lista al posto di Clarke. Avrebbe dovuto salvarla da quella
scelta, da
quella sofferenza. Ogni nome è stata una battaglia, e lui
avrebbe tanto voluto
combatterla al posto suo - ma sa che non sarebbe stato possibile.
I
suoi occhi scorrono lungo il
foglio. Cento nomi sembrano tanti se scorrono davanti alla tua lista in
una
manciata di secondi. Eppure sono maledettamente pochi.
E
il suo nome, inchiostro nero
ancora leggermente umido, bella calligrafia, perfettamente
comprensibile e
insopportabilente reale. L'idea che lei voglia salvarlo è
insieme terribile e
sbagliata e folle, ed è sconvolgente, e la sua faccia
probabilmente parla
mentre la guarda. Per qualche motivo lei vuole che si salvi.
È reale, e Bellamy
vorrebbe concedersi il lusso di crederci, lo vorrebbe davvero, ma sa
che non
può. Eppure per un attimo sembra l'unica cosa che conta, e
per una frazione di
secondo, solo un momento, Bellamy riesce a sentire quanto invece ci
creda lei,
quasi fosse qualcosa di tangibile nella stanza.
E
fosse anche solo per quel
motivo - se lei non fosse la leader pronta a sacrificare qualsiasi cosa
per il
bene del suo popolo, il giovane medico disposto a operare senza
corrente,
l'ambasciatrice che aveva costruito le alleanze che li tenevano in vita
- fosse
solo per quello, Clarke merita di salvarsi. Clarke che è
troppo concentrata a
salvare gli altri da non riservare lo stesso metro di giudizio per se
stessa.
«
Se il mio nome è su quella
lista, allora deve esserci anche il tuo.» Il tono di Bellamy
non ammette
repliche, nonostante la voce ancora roca per il sonno. Sa che non deve
offrirle
possibilità di scelta, e le toglie la penna di mano. Il suo
stampatello
diseguale va a completare la lista, aggiungendo Clarke Griffin al
numero cento.
Bellamy la sente esalare un respiro roco, prolungato, come se il vederlo aggiungere il suo nome fosse una sofferenza. Probabilmente vorrebbe combatterlo. Vorrebbe ribattere. Vorrebbe tirare una riga. Ma non ne ha la forza, ora, e si limita a guardarlo. Ora è fatta, la lista è completa, ed è sbagliato, è tutto sbagliato, ma Bellamy la guarda come se non fosse così. Per un attimo rimangono a guardarsi ed entrambi sono così uguali in quel momento, un fascio di sensi di colpa e brutti presentimenti e pesi sulle spalle. La stessa, identica convinzione di non meritare di sopravvivere. La stessa determinazione a fare sì che l'altro possa farlo. E forse sono troppo concentrati per accorgersene, e forse non ne avranno mai la possibilità, ma i loro demoni – i loro demoni identici – hanno artigli meno affilati se sono in due a fronteggiarli.
E
questa volta sono entrambi a rimanere.
Piccola nota.
Primo
e probabilmente ultimo
esperimento Bellarke. La 4x03, anzi, gli ultimi minuti della 4x03 sono
stati
così intensi che in qualche modo dovevo provarci.
È stato più difficile di quel
che pensavo riuscire a centrare i personaggi, e non sono ancora del
tutto
sicura di esserci riuscita. Come sempre, conservare lo stesso
equilibrio, la
stessa tensione della serie, ed essere efficaci non è
semplice. Spero il
risultato sia comunque apprezzabile, sono aperta a tutti i pareri!