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Autore: Untraveled_road    22/02/2017    4 recensioni
Chissà da quanto tempo non dormiva come si deve, Bellamy. Ricorda di averlo visto praticamente in tutti gli ultimi turni, agli orari più disparati, con la stessa maglietta da giorni, e mai una volta si era lamentato. Aveva seguito le istruzioni di Raven per riparare tubi, raddrizzare pannelli solari, isolare porte stagne, programmare frequenze radio. Aveva inseguito la ridicola speranza di Jaha. Il ragazzo che tanto tempo prima aveva distrutto una radio funzionante per i propri obiettivi personali.
[4x03]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"What’s gonna be left of the world if you’re not in it?"

Good Grief; Bastille

 

 

Sembravano una cosa semplice, i nomi.

I nomi erano soltanto nomi.

Aveva sentito dire, una volta, che se ripeti una parola molte volte sembra perdere di significato. Ci aveva anche provato, quando era più piccola, ritrovandosi a ridacchiare chiedendosi chi diavolo avesse scelto di dare i nomi alle cose. Erano così buffi, i nomi. Semplici. Cose da niente.

Eppure più ripeteva quei nomi nella sua testa, soppesando per ognuno se esistessero motivi validi per giustificarne la sopravvivenza e odiandosi per questo, più acquistavano significato. Un nome diventava un volto. Un volto diventava un paziente di sua madre, qualcuno che aveva parlato al Giorno dell'unità, un amico d'infanzia - possibile che non avesse saputo più niente di lui? E all'improvviso le sembrava di vitale importanza saperne di più. Non c'era più tempo. Quei nomi acquistavano significato, invece che perderne.

Non arriverò in fondo.

Aveva iniziato con i numeri, appuntandoli in sequenza fino a cento in colonne ordinate. Era stato in un certo senso più semplice, una volta che il foglio aveva smesso di fissarla, bianco e muto. Scrivere Abigail Griffin accanto al numero uno le aveva quasi mozzato il fiato, ma da quel momento non aveva più avuto scelta.

Si prende il suo tempo, li scrive con grafia ordinata, come se potesse servire a qualcosa.

Giocherella con l'accendino, avvicinandolo al foglio. Pensa di non poterla sopportare più, quella lista. Pensa che smetterà. Pensa che le darà fuoco. Pensa che lascerà a qualcun altro il peso di dover decidere chi vive e chi muore.

Pensa al numero 75.

L'accendino si spegne mentre lei lo riappoggia sul tavolo, appuntando il nome accanto al numero. Arrendersi non è mai stata realmente un'opzione, a costo di arrivare alla fine strisciando sui gomiti, e l'accendino è solo una fantasia, un pretesto a cui appigliarsi se diventasse troppo insopportabile scrivere un altro nome. Non ci sono mai state scorciatoie per Clarke Griffin, e non ce ne saranno questa volta. Il bunker di Jaha ne è la prova: ogni volta che hanno cercato una via alternativa, una che non comportasse la morte di innocenti, quella via è crollata sotto i loro piedi. Trascinandosi dietro qualcuno di loro, e qualche frammento di chi rimaneva.

La battaglia coi terrestri. Mount Weather. TondC.

Wanheda che decide chi vive e chi muore.

Proprio per questo il pensiero le è insopportabile, e questa volta si tratta della sua gente, di persone con cui ha scherzato, mangiato, scambiato pareri e da cui magari ha addirittura accettato consigli. Aveva sopportato l'idea di essere Wanheda per il bene del suo popolo, si era macchiata le mani con il sangue di quelle persone e aveva deciso di conviverci, perché - le aveva insegnato Lexa - un leader fa anche questo. Lexa aveva dato un senso a tutte le decisioni che aveva preso, rendendole le decisioni di un Comandante, rendendole parte di qualcosa di più grande, e per un po' il suo senso di colpa si era attenuato, consentendole di respirare.

Ma ora non è così. Ora sta condannando a morte la sua gente, e l'enormità della cosa minaccia di sopraffarla in continuazione. Il nodo alla gola è così stretto, a tratti, che le impedisce di respirare, è un dolore fisico, reale. Non c'è nessuna voce in grado di mettere a tacere lo stridente senso di colpa nella sua testa, la voce che le dice che è sbagliato, e che se fa quel passo non potrà più redimersi.

Non lo farò davvero.

Sollievo momentaneo, altro nome aggiunto alla lista. Non si permette di arrendersi, anche se la penna diventa più pesante ad ogni persona che va ad incolonnarsi sul foglio. Intorno al numero venti ha iniziato a pensare che Finn avrebbe dovuto essere su quella lista. Finn l'avrebbe meritato, pensa odiandosi. Lincoln l'avrebbe meritato.

Lexa invece non ci sarebbe stata. Aveva sempre pensato alla sua morte senza paura, consapevole che ciò che i Comandanti precedenti le avevano dato le poteva essere tolto in qualsiasi momento. E le sarebbe stato bene così. Lexa avrebbe lasciato il posto a qualcuno del suo popolo. Lexa le avrebbe mostrato una via.

Gli occhi le si riempiono di lacrime, e per un attimo non vedere il foglio con le colonne ormai quasi tutte compilate è un sollievo. La penna è un macigno, e la sua stessa scrittura solida e ordinata le dà la nausea. Scrivere i nomi l'ha reso reale, e le ha reso impossibile scappare, le ha sbarrato ogni via di fuga, non importa quante volte faccia scattare l'accendino. Che la utilizzino o che non la utilizzino è relativo: il fatto stesso che lei l'abbia scritta è abbastanza da renderla, di nuovo, Wanheda.

Il Comandante della Morte. Anche se stavolta non sono radiazioni, esplosioni, o armi. Le è sufficiente una penna. La terribile Wanheda. Uccidi lei e sarai padrone della morte.

Wanheda che decide chi vive e chi muore.

Le fa male qualcosa nel petto – se fosse melodrammatica penserebbe che il suo cuore sia sul punto di spezzarsi, ma conosce abbastanza l’anatomia da capire che è per i singhiozzi che fa ormai fatica a trattenere. I denti serrati al punto che le fa male la mascella, il polso che le trema. La penna è talmente pesante che teme di non riuscire mai più a sollevarla, anche se tra soli due nomi potrà finalmente nasconderla e non doverla più vedere. Almeno per un po'.

Due nomi. Due ultime persone che si possono salvare, in base a dei criteri stabiliti da una ragazza di diciotto anni il cui cuore è spezzato e disperato.

Non posso...

Alza lo sguardo - non vuole che il foglio venga macchiato dalle lacrime, non vuole vedere l'inchiostro espandersi e sbavare il nome di Raven, o quello di Abby - ed incontra la sagoma di Bellamy, addormentato sul divano. Quando era entrata nello studio, alla fine di quella disastrosa giornata, lo aveva trovato lì. La sua intenzione non doveva essere stata quella di dormire, era completamente vestito, anfibi compresi. Probabilmente l'aveva aspettata, ma alla fine era crollato. Lo aveva guardato per qualche istante, e tutto quello che in quel momento le infuriava dentro si era calmato per un attimo, un attimo solo. Chissà da quanto tempo non dormiva come si deve, Bellamy. Ricorda di averlo visto praticamente in tutti gli ultimi turni, agli orari più disparati, con la stessa maglietta da giorni, e mai una volta si era lamentato. Aveva seguito le istruzioni di Raven per riparare tubi, raddrizzare pannelli solari, isolare porte stagne, programmare frequenze radio. Aveva inseguito la ridicola speranza di Jaha. Il ragazzo che tanto tempo prima aveva distrutto una radio funzionante per i propri obiettivi personali.

Un sorriso sale alle labbra di Clarke, un sorriso triste, eppure pieno di dolcezza. Vorrebbe allungare la mano e allontanargli i capelli dal viso, ma per qualche motivo sa che lui si sveglierebbe al minimo rumore. Si accontenta di guardarlo, e di sapere che ha cercato di rimanere sveglio ad aspettarla. Per un attimo aveva pensato di andare via, quando l’aveva visto lì, di scegliere un’altra stanza. Non avrebbe voluto che l’orrore di quella lista – una lista di sopravvissuti ed al tempo stesso una lista di condannati – dovesse essere condiviso con qualcun altro. Doveva essere il suo fardello.

Eppure era rimasta.

Mentre saggiava le varie possibilità, la penna aperta in mano ed il foglio ancora intatto davanti a lei, mentre si diceva che sarebbe scappata ed avrebbe lasciato quella responsabilità a qualcun altro, aveva pensato anche che Bellamy se la sarebbe presa per sé, pur odiandola. L’avrebbe fatto semplicemente per togliere quel peso dalle sue spalle, senza preoccuparsi del fatto che avrebbe potuto rimanerne schiacciato. Si sarebbe detto che ce l'avrebbe fatta, perché era quello che faceva da sempre, sopravvivere con il peso delle sue scelte. Si sarebbe sporcato le mani al posto suo, perché era così convinto, così disperatamente convinto che in quel modo avrebbe salvato anche lei.

E a Bellamy non bastava che lei si salvasse fisicamente, che il suo nome fosse su quella lista - Clarke non vuole morire, ma sa di non poterlo aggiungere. Voleva che lei si salvasse in tutti i sensi in cui una persona potesse essere salvata. Ai suoi occhi, Bellamy in quel momento più di chiunque altro è degno di essere su quella lista.

« Ho potuto andarmene perché sapevo che avrebbero avuto te.»

Questa volta non succederà. Questa volta non scapperà da una propria responsabilità scaricandone il peso su di lui.

La penna ancora sospesa a mezz'aria, rimane a guardarlo sovrappensiero. Il suo sonno è leggero, ma i lineamenti sono distesi, il respiro regolare. Se il senso di colpa che perseguita Bellamy è anche solo lontanamente paragonabile a quello che tormenta lei, conosce il valore di un buon sonno.

È così convinto di non meritarsi nulla, Bellamy. Per un attimo le è insopportabile l'idea che lui non sopravviva alle radiazioni. Le è insopportabile pensare di poterne essere la causa. L'idea le serra lo stomaco in una morsa e le sfugge un breve singhiozzo dalle labbra mentre aggiunge il nome di lui al numero novantanove. È una sofferenza fare una scelta, ma su di lui non ha mai avuto dubbi. Se ripensa agli ultimi giorni, non c'è un momento in cui Bellamy l'abbia lasciata sola: ogni volta che ha alzato lo sguardo in cerca di aiuto ha trovato il suo. Non vuole nemmeno considerare la possibilità che lui non si salvi, anche se lei non sarà lì per soffrirne la perdita.

Non si accorge nemmeno che il suo singhiozzo leggero l'ha svegliato finché non lo vede in piedi, a pochi passi di distanza - Bellamy non la lascia sola, eppure riesce sempre a lasciarle lo spazio di cui ha bisogno.

I suoi occhi scorrono lungo il foglio. Non sembra una persona appena sveglia: il suo sguardo è attento e vigile, nonostante le occhiaie e il viso stropicciato dal sonno. Ha un piccolo tuffo al cuore, ma cerca di non darlo a vedere: avrebbe dovuto offrirsi di fare quella lista al posto di Clarke. Avrebbe dovuto salvarla da quella scelta, da quella sofferenza. Ogni nome è stata una battaglia, e lui avrebbe tanto voluto combatterla al posto suo - ma sa che non sarebbe stato possibile.

I suoi occhi scorrono lungo il foglio. Cento nomi sembrano tanti se scorrono davanti alla tua lista in una manciata di secondi. Eppure sono maledettamente pochi.

E il suo nome, inchiostro nero ancora leggermente umido, bella calligrafia, perfettamente comprensibile e insopportabilente reale. L'idea che lei voglia salvarlo è insieme terribile e sbagliata e folle, ed è sconvolgente, e la sua faccia probabilmente parla mentre la guarda. Per qualche motivo lei vuole che si salvi. È reale, e Bellamy vorrebbe concedersi il lusso di crederci, lo vorrebbe davvero, ma sa che non può. Eppure per un attimo sembra l'unica cosa che conta, e per una frazione di secondo, solo un momento, Bellamy riesce a sentire quanto invece ci creda lei, quasi fosse qualcosa di tangibile nella stanza.

E fosse anche solo per quel motivo - se lei non fosse la leader pronta a sacrificare qualsiasi cosa per il bene del suo popolo, il giovane medico disposto a operare senza corrente, l'ambasciatrice che aveva costruito le alleanze che li tenevano in vita - fosse solo per quello, Clarke merita di salvarsi. Clarke che è troppo concentrata a salvare gli altri da non riservare lo stesso metro di giudizio per se stessa.

« Se il mio nome è su quella lista, allora deve esserci anche il tuo.» Il tono di Bellamy non ammette repliche, nonostante la voce ancora roca per il sonno. Sa che non deve offrirle possibilità di scelta, e le toglie la penna di mano. Il suo stampatello diseguale va a completare la lista, aggiungendo Clarke Griffin al numero cento.

Bellamy la sente esalare un respiro roco, prolungato, come se il vederlo aggiungere il suo nome fosse una sofferenza. Probabilmente vorrebbe combatterlo. Vorrebbe ribattere. Vorrebbe tirare una riga. Ma non ne ha la forza, ora, e si limita a guardarlo. Ora è fatta, la lista è completa, ed è sbagliato, è tutto sbagliato, ma Bellamy la guarda come se non fosse così. Per un attimo rimangono a guardarsi ed entrambi sono così uguali in quel momento, un fascio di sensi di colpa e brutti presentimenti e pesi sulle spalle. La stessa, identica convinzione di non meritare di sopravvivere. La stessa determinazione a fare sì che l'altro possa farlo. E forse sono troppo concentrati per accorgersene, e forse non ne avranno mai la possibilità, ma i loro demoni – i loro demoni identici – hanno artigli meno affilati se sono in due a fronteggiarli.

E questa volta sono entrambi a rimanere.

 

 

Piccola nota.

Primo e probabilmente ultimo esperimento Bellarke. La 4x03, anzi, gli ultimi minuti della 4x03 sono stati così intensi che in qualche modo dovevo provarci. È stato più difficile di quel che pensavo riuscire a centrare i personaggi, e non sono ancora del tutto sicura di esserci riuscita. Come sempre, conservare lo stesso equilibrio, la stessa tensione della serie, ed essere efficaci non è semplice. Spero il risultato sia comunque apprezzabile, sono aperta a tutti i pareri!

 

 

  
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