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Autore: Aroldo di Poe    22/02/2017    0 recensioni
Altrove non è una storia, è un luogo dove abita la vita, che attraversa ogni recondito anfratto della nostra mente e della nostra immaginazione. E' il lettore a decidere dove farsi condurre. Può decidere lui come interpretare la storia, da che punto seguirla.
Essendo l'Altrove un luogo, va esplorato. Deve essere esplorato. E come un luogo non ha un cominciamento, ma un viaggio, l'Altrove è processo. Per me di scrittura, per te, caro lettore, è passaggio di tempo èl 'Altrove stesso. Buona Lettura.
Genere: Malinconico, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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3. Mario chiuse il libro. Quello scenario distopico lo aveva tremendamente inquietato e non se la sentiva di andare avanti nel leggere. Inoltre, erano le due di notte e dal resto della casa non giungeva alcuna voce. Ma, si sa che, nell'ora delle tenebre, ogni rumore può diventare qualcosa d'altro, far nascere delle trame infinite nella immaginazione dei ragazzi. E proprio in quel momento, Mario, stava immaginando come sarebbe stato avere quello che nel libro si chiamava computer. Accese la luce, perché gli piaceva leggere con le candele, specialmente i libri di fantascienza o quelli che lo portavano in un altro mondo, presente o passato che fosse. Vide sopra di sé un enorme poster di un famoso giocatore di calcio,vestito con i colori della sua squadra preferita, catturato nel momento di un'azione, forse quella decisiva di una partita. Sicuramente, pensava Mario, avrà fatto gol. Era il più forte. Diresse lo sguardo verso il suo comodino e, oltre alla pila ordinata di romanzi e fumetti che custodiva gelosamente, vide una radiolina: era con quella che la domenica seguiva le partite di calcio e quando era possibile anche il ciclismo. Tra poche ore si sarebbe dovuto alzare per andare a scuola. Dopo aver sorseggiato un poco d'acqua dalla bottiglia accanto al letto, provò a chiudere gli occhi. Si addormentò. Il telegiornale annunciava gli ennesimi scontri di piazza, con la voce monocorde del suo speaker, il quale sembrava assolutamente distante da quegli eventi. Le immagini trasmettevano, in bianco e nero, un palazzo preso d'assalto dalle forze di polizia: “ Le vicende degli ultimi giorni hanno portato a questo scontro violento, tra le forze di polizia e gli studenti occupanti. È stata ingaggiata battaglia tra le due forze, con il risultato di molti feriti e diversi arresti. Intanto i partiti provano a distendere il clima con l'annuncio di un possibile dialogo tra il parlamento e i capi di queste sollevazioni...”. Il padre spense la tv. Lo sguardo fiero, le mani lisce e la camicia stretta da una cravatta, davano di lui l'idea di un uomo di successo, di potere. Quel tipo di uomo che non ha mai impugnato alcun attrezzo e che non sa cosa sia la fatica fisica. Ma sapeva come farsi obbedire senza alzare la voce, con il tono fermo di chi sa di poter ordinare a Dio di mostrarsi alla sua presenza. Con lo stesso tono si rivolse ai suoi figli: “Sappiate che chiunque tenterà di dare alcun tipo di aiuto a questi banditi, a questi comunistelli, sarà cacciato da questa casa. Non voglio che i miei figli siano accomunati a certa gentaglia”. Sbatté un pugno sul tavolo, i suoi occhi dietro a spesse lenti, non esprimevano altro che il suo discorso non avesse già detto, quasi che non ce ne fosse bisogno. Intanto, i restanti membri della famiglia, si guardavano tra loro stupefatti, a nessuno saltò in mente l'idea di provare a replicare a quell'ordine perentorio del babbo. Solo Gianluca, da sotto il tavolo, tirò un calcio a Mario, che subì in silenzio senza però cambiare espressione. “Carlo, sai che nessuno qui parteggia per quei capelloni”. Marta provò in questo modo a calmare il marito furioso. Lei raramente si intrometteva nelle questioni di famiglia, anche perché con quell'uomo era assai difficile discutere e un solo sguardo bastava a ridurla al silenzio. “So che non c'è nessuna probabilità”, Carlo guardò sua moglie, pensando che nonostante tutto era ancora bella, specialmente quando lo guardava con quell'aria sottomessa. Quella sua timidezza e incertezza nell'espressione lo aveva sempre attirato e incuriosito. Nei quasi trent'anni di matrimonio che li univano, non l'aveva mai sentita lamentarsi, mai alzare la voce. Neanche quando lui rientrava tardi la sera, spettinato con poca voglia di parlare. Lei era sempre lì, che lo aspettava, senza mai voler saper sapere dove fosse stato e con chi: anche se avesse avuto dei dubbi non li avrebbe mai esposti, tanta era la soggezione e la devozione che aveva per il marito. “ Ma voglio che sia chiaro che questa famiglia è composta da persone rispettabili, un nome, il nostro, che è conosciuto da tutti qui grazie al mio lavoro e alle mie azioni, che vi hanno garantito un'istruzione e una posizione dignitosa”, Carlo ci teneva a sottolineare quel punto. Guardò diritto i suoi figli, specialmente Mario, il quale non abbassò lo sguardo di fronte a quello del padre. Gianluca, il più grande, invece annuiva vigorosamente alle parole del padre, il suo era un tentativo di dimostrargli la sua completa accondiscendenza, ben consapevole che suo fratello non poteva goderne, vista la sua passione per i rossi. Mario non aveva alcuna voglia di abbassare lo sguardo, men che meno ora che il padre lo stava fissando, convinto che lui avesse qualcosa a che fare con i comunisti. Quei sospetti derivavano da alcune amicizie di Mario all'università, oltreché al suo interesse particolare per l'economia e lo storicismo, in particolar modo quello di stampo marxista. I suoi libri, forse, mostravano troppo della sua persona: Marcuse, Gramsci, le poesie di Pasolini. Ma, davvero, lui non aveva niente a che fare con quelli là. Si alzò da tavola, stanco di quelle occhiate gelide che il padre da qualche tempo gli mandava; prese il giubbotto e uscì, verso la città che nelle ore tarde sembrava un altro luogo. Il portone di casa sbatté alle sue spalle, finalmente poteva fumare. Se ne accese una e aspirò con tutto il suo copro, sentiva perdersi nel suo fumo. Le sigarette non erano altro che un modo per concentrarsi, per poter dirigere i suoi pensieri verso un punto fisso. Aspirava lentamente in contrasto con la sua mente che turbinava, i pensieri vorticavano e non avevano una forma ben precisa. Si riscoprì a desiderare di evadere, di andare oltre quella città così stretta, cucita quasi su misura. Sognava di essere altrove, di vivere altrove. Ora, immaginava di essere un lord inglese, possessore di terre e cavalli, chiamato a difendere la sua terra e la sua donna dall'assalto di truppe straniere, ostili ma formidabili e celebri, che terrorizzavano ogni uomo che si fosse messo sulla loro strada. Poteva quasi toccare le pietre del suo castello, sentire il profumo della sua lady e ascoltare il fruscio delle messi, quando tutto intorno tace e la pioggia dona un po' di sollievo a questa terra.
   
 
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