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Autore: rora02L    23/02/2017    8 recensioni
John è sempre stato attratto dal violino di Sherlock, quello strumento che riusciva a trasformare i sentimenti del detective in musica. Cosa potrebbe accadere se Sherlock decidesse di insegnargli a suonare il violino?
Storia partecipante alla sfida "A box full of prompt" del gruppo su FB: Efp famiglia, con il seguente prompt:
7.Venda Efp (VENDA) Fandom: Sherlock BBC Coppia: Johnlock Avvertimenti: a piacere Rating: a piacere Prompt: John chiede a Sherlock di insegnargli a suonare il violino (ispirato a questa fanart).
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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My Heart is a Violin.




John restava sempre affascinato dal modo di suonare di Sherlock. Lo vedeva suonare soprattutto nei giorni cupi, pieni di pioggia e nebbia, tipici di Londra. Si metteva davanti alla finestra, a volte senza alcuno spartito davanti agli occhi, ma solo il cielo uggioso che si vedeva dalla finestra. E suonava melodie tristi.
Il dottore aveva sempre pensato che quella era la prova tangibile che Sherlock Holmes provava dei sentimenti e quello era il solo modo in cui aveva imparato a comunicarli.
Non aveva mai chiesto all’amico come o chi gli avesse insegnato a suonare, se ne stava in silenzio ed osservava, stando attento ad ogni malinconica nota. Il detective di Baker Street aveva un modo tutto suo di suonare, straziante come il canto di un amante addolorato per la perdita della sua metà.
Sembrava sempre che Sherlock ricordasse, mentre suonava, una perdita. Qualcuno che, per lui o realmente, era ormai morto, nonostante l’affetto che aveva provato per questa persona.
John, quel giorno, si ritrovò da solo nell’appartamento, mentre il coinquilino era andato al laboratorio di Molly per delle verifiche scientifiche. Il suo occhio cadde su quello strumento a corda che Sherlock non gli aveva mai fatto sfiorare. Lo trovò attraente, magnetico quanto il suo proprietario e provò l’impulso irresistibile di prendere l’archetto in mano, quasi per gioco, e provare a fare come faceva Holmes: creare magia con quel violino così triste, mai allegro.
Si guardò introno, avendo timore che l’amico tornasse da un momento all’altro e lo cogliesse sul fatto. Notando che non si sentivano i suoi passi rapidi e spediti, prese un bel respiro e prese il violino col suo archetto. Appoggiò lo strumento come aveva visto fare da Sherlock, sentendolo sotto il mento e tra le dita precise da dottore, non da artista.
“Allora…” si disse tra sé e sé, quasi a farsi forza, e appoggiò l’archetto sulle corde, producendo un suono stridulo quando lo passò con forza. Scosse la testa, rendendosi conto che non era così semplice e che, senza un maestro, nessuno poteva suonare il violino solo perché aveva visto qualcun farlo centinaia di volte.
Sentì allora la presenza di qualcuno alle sue spalle. Si irrigidì, pensando ad una rapina o qualcosa di simile. Sentì le mani di un uomo sulle sue e un alito caldo sul suo collo: “John, smettila di torturare il mio violino. Prova così.”
Riposizionò le dita del dottore e guidò l’altra mano, muovendola con un gesto fluido ed elegante, producendo una nota ad effetto. John, intanto, aveva il volto pieno di vergogna: “Scusa, ho solo voluto provare… ti ho visto tante volte suonarlo e…”
Ma l’altro non si arrabbiò minimamente: “Se volevi provare, avresti dovuto chiedermelo. Almeno non avresti preso il mio strumento senza permesso e prodotto una tale mostruosità. Ora, se permetti, ti insegno.”
Così John prese la sua prima lezione di violino, imbarazzato ogni qual volta che il suo insegnante saccente toccava la sua pelle o gli sussurrava qualcosa all’orecchio. Sentiva delle scariche prenderlo dalla spina dorsale, percorrendola per intero, a volte arrivando alla mano con cui teneva il violino. Ma Sherlock parve non preoccuparsene minimamente.
Ad un certo punto, sentirono bussare alla porta ed il detective disse: “Avanti, signora Hudson.”
La donna era passata, sotto invito di Sherlock, per prendere un tè. O almeno questa doveva essere la versione ufficiale, ma lei svuotò subito il sacco non appena vide il dottore con in mano il violino: “Oh cielo, allora è proprio vero! Non pensavo che lei fosse un amante della musica… ma forse non è stato il violino ad affascinarla, ma-“
Non ebbe modo di concludere la frase, interrotta da un finto colpo di tosse di Sherlock, che invitò la signora a sedersi sul divano. John, intanto, era rimasto impalato al centro della stanza con ancora il violino tra le mani.
Guardava il suo insegnante, con un punto di domanda gigante negli occhi. Sherlock allora, con un gesto non curante della mano, gli disse: “Ebbene, John? Ti ho forse detto di fermarti? Avanti, continua, qualcosa in queste ore hai imparato, non farmi spazientire!”
Il dottore allora riprese l’esercizio, imbarazzato ancora di più dalla presenza della signora Hudson. Cercò di non pensarci, concentrandosi sul pezzo e sui movimenti da seguire. Ma sentiva su di sé gli occhietti vispi della donna, che riusciva ad ignorare, ma non lo sguardo blu e profondo del suo migliore amico, che sembrava scrutarlo pezzo per pezzo, muscolo dopo muscolo, mentre suonava.
Terminato l’esercizio, la signora Hudson applaudì gioiosa: “Bravissimo, John, per essere un principiante!”
Ma Sherlock scosse la testa, facendo danzare i boccoli neri: “Come al solito, dottore, lei pensa solo alla tecnica. Io non ho sentito nulla. Assolutamente nulla. Il pezzo mi ha lasciato… inalterato.”
John rimase spiazzato, aggrottando la fronte. Mise sul tavolo ricoperto di carte lo strumento e chiese: “Cosa c’era di sbagliato?”
Il detective prese la sua tazza di tè e girò il cucchiaino: “Oh, a livello di tecnica era corretto, John. Ma entrambi sappiamo che la musica non è solo questione di tecnica – prese un sorso dalla tazzina in porcellana- o di bravura. Tu senti cosa suono, vero?”
Il dottore allora ripensò a tutte le volte in cui lo aveva sentito suonare. E ricordò che il petto, ogni volta, gli faceva male. Come se gli avessero staccato una parte di esso. Come se lo avessero pugnalato alle spalle. Sherlock trasmetteva dolore e chi lo ascoltava sentiva quel dolore.
Lui cosa voleva trasmettere, suonando? Gioia? Disperazione, panico, insicurezza? John allora prese nuovamente lo strumento tra le mani, catturando l’attenzione dell’amico e della signora Hudson. Ma non iniziò a suonare, bensì chiese: “Sherlock, potresti gentilmente… metterti dietro di me?”
Lo disse col viso in fiamme tanta era l’emozione, ma si disse che non avrebbe mai potuto comunicare ciò che sentiva in modo diverso e quella era l’occasione giusta. Anche se non sapeva se il suo messaggio sarebbe arrivato correttamente al cuore freddo e duro del detective. Che poi tanto freddo ed insensibile, come voleva far credere, non lo era mai stato e John lo aveva imparato.
Sherlock lo guardò stupito, ma eseguì la richiesta. Si mise alle spalle dell’amico, ma questi balbettò imbarazzato: “P-più vicino… per favore.”
Allora il detective si mise attaccato a lui, sentendo il suo cuore attraverso il petto del dottore. Batteva furiosamente e non seppe dire con precisione quale ne fosse la causa. John prese un bel respiro, indeciso se lo faceva per concentrarsi o sentire quel profumo di abete che portava Sherlock da alcuni mesi.
Iniziò a suonare, per una decina di minuti non si fermò. Sembrava in trance, concentrato su qualcosa che non era lo strumento e nemmeno la musica. Sentiva il calore del corpo di Sherlock, il suo odore, il suo respiro, il battito cardiaco, l’odore del tè che aveva appena bevuto e ricordò la sensazione che il tocco delle sue mani gli aveva provocato.
Quando smise di suonare, riaprì gli occhi. E Sherlock sorrise. Non gli disse mai che aveva capito.




Angolo autrice: questa è la prima storia slash che scrivo e, sinceramente, ho preferito dare un tono soft alla loro relazione, rendendola implicita, ma non per questo meno tangibile e sentita. Spero che la storia vi sia piaciuta, lasciate pure una recensione per commentare.

  
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