Videogiochi > Ratchet & Clank
Segui la storia  |       
Autore: Iryael    23/02/2017    2 recensioni
Ratchet racconta in prima persona l’esperienza della DreadZone: l'arrivo, la finta libertà dei gladiatori, le giornate scandite dai combattimenti, la fuga.
«All'inizio mi rifiutai di capire che quel che pensavo dei gladiatori, in realtà, era l'immagine che i mass-media vendevano agli spettatori. Ma il mio rifiuto non durò a lungo: bastarono pochi giorni a farmi aprire gli occhi.
Non esisteva paragone migliore del circo: noi gladiatori eravamo le fiere; mentre gli Sterminatori, le brillanti stelle dello spettacolo, erano domatori che si alternavano sulla pista dell'Arena.
Poi c'era lui, Gleeman Vox. Lui che aveva l'abito rosso del presentatore e coordinava la baracca, guadagnando sulla nostra pelle.
Fama, soldi e belle ragazze erano la nostra gabbia dorata. Quella vera, esplosiva, ce l'avevamo chiusa al collo.
Aprire gli occhi mi fece incazzare di brutto.
Nessun circo poteva permettersi di tenere un drago in gabbia. E loro - Vox e compagnia - l'avrebbero capito presto.»

============
[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Big Al, Clank, Gleeman Vox, Nuovo Personaggio (Takami Kinomiya), Ratchet] [Probabile OOC]
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[ 10 ]
Di nuovo tra i vivi
(Ed ecco da quando Al mal sopporta Takami)
 
Il giorno dopo, 17 ottobre 5401-PF
Stazione spaziale DreadZone, cella 6-538
 
C’era odore di aria stantia. Non è proprio polvere, ma non è nemmeno il non odore dell’aria pulita.
Filtro da cambiare.
Fu pensando quello che aprii gli occhi. Mi tirai a sedere e vidi Al al tavolino, intento a schiacciare tasti su un pc. Sembrava intento a liquefare il monitor con lo sguardo, ma era solo molto concentrato.
Che ci fa qui?
Mi resi conto che in realtà lo sapevo. E che forse la domanda giusta era “che ci faccio io qui”. L’ultimo luogo che avevo visto era l’arena...
«Ratchet!»
La voce di Al era acuita dalla sorpresa, e l’istante dopo vomitò una fila di parole su com’erano passate le ultime dodici ore.
Dodici ore. Quindi il mio sogno era durato mezza giornata. Quindi...
Gasp.
Sogno. Chaos. Morto. Risorto. Regalo.
Al passò completamente in secondo piano. Cercai con lo sguardo la mia mano sinistra: il dorso era pulito. E il palmo...
Una bella spirale di glifi perlacei stazionava dal polso alle nocche. Li fissai, imbambolato, dicendomi che avevano una spiegazione alternativa. Non avevo intenzione di credere che il sogno non fosse un sogno. Non avevo intenzione di credere alla teoria di morte e ritorno. Rifiuto totale. Dovevano avere una spiegazione alternativa.
«Quelli credo che siano gli appunti della dottoressa» disse Al. «So che a un certo punto ha smatteggiato perché non riusciva a segnare qualcosa.»
Drizzai le orecchie: ecco il mio appiglio!
«Appunti su cosa?»
Un malore, magari... forse avevo subìto troppe onde elettromagnetiche da Takami e i nanobot erano semplicemente impazziti...
Fissai Al, fiducioso che mi avrebbe dato una risposta chiara e logica. Lui mi fissò di rimando, ma la sua espressione scivolò sempre di più nella difficoltà. Dopo qualche istante riprese fiato.
«Sei morto, laggiù. Folgorato due volte. Poi, dopo cinque minuti, ti ha centrato ancora e sei tornato indietro.»
Abbassai le spalle. Folgorato. Proprio come aveva detto la donna di fumo.
«…È incredibile» sussurrai. Lui annuì.
«La dottoressa parla di miracolo. Io credo che ci sia stata un’interferenza della tua armatura nell’azione di quei fulmini, o non mi spiego come mai non hai manco un pelo bruciato.»
Feci finta di ascoltare le teorie che seguirono, ma in realtà la testa era in panne. Per essere una spiegazione alternativa coincideva davvero troppo con quella di Chaos.
* * * * * *
Ovviamente il mio risveglio divenne dominio pubblico entro mezz’ora. E al minuto trentuno il naso adunco di Vox riempì lo schermo sopra la porta.
«Ma bene, eroe, bentornato» la sua voce allisciante era l’ultima cosa che volevo sentire. «Perché non vieni a farti quattro chiacchiere con me? Una cosina veloce veloce, vedrai.»
«Se è per i bonus la discussione è breve: mi servono una tuta w.a.v.e e cibo decente.»
Vox scoppiò a ridere. Rise a lungo, arrivò anche vicino alle lacrime! Poi però mi guardò attraverso lo schermo e gracchiò in tono estremamente serio: «Muovi il culo, Aurora. Ti voglio qui entro dieci minuti.»
E così mi trasferii in direzione, seguito nel frattempo da occhiatine di sottecchi e sussurri vari. Al aveva insistito per accompagnarmi, e (a onor suo) condivise con gran dignità quel misto di ammirazione e invidia.
 
Come la volta prima, dovetti abbandonarlo fuori dal Padiglione Uno. Un po’ mi dispiacque, ma Vox non voleva ospiti alla discussione. Le guardie armate furono chiare a riguardo.
Salii da solo. Per la seconda volta mi ritrovai a vedere dal vivo la faccia da pesce di Gleeman Vox. E per la seconda volta mi accolse col più smagliante dei sorrisi. Un paio di complimenti, un paio di commenti sullo share della serata e poi – pam! – dritto al punto.
«Dunque, voglio che tu mi spieghi come hai fatto.»
«Fatto cosa?»
«Come l’hai convinta a tirare fuori una luminaria del genere.»
Sull’oloschermo dietro di lui partirono le immagini della cupola di fulmini. Per un istante tornai con la mente alla rappresentazione di Chaos. Sentii la gola seccarsi.
«Ah, quello. Credo che sia stato lo shock dell’arena» mentii.
«E allora come spieghi questo?»
Pigiò un altro pulsante e si aprì una finestra equalizzatore.
«– Ti copro io con questi» disse la mia voce. Per diversi secondi si udirono rumori a casaccio, poi una sirena e una specie di ruggito.
«Fallo, Takami! Smaterializza le armi!» strillò la voce di Clank. Galassia, doveva essere davvero spaventato.
«Calmo, aspetta...» rumori a casaccio per qualche secondo «RUGGISCI TAKAMI!»
La registrazione s’interruppe. Gli occhi di Vox mi arpionarono, in attesa di una spiegazione plausibile.
«Beh, in effetti ha stupito anche me. Eravamo in difficoltà; l’ho incoraggiata perché emettesse qualche scintilla così, per bluffare, e lei mi ha fornito l’intera centrale elettrica.»
«Incoraggiata? Intimandole di ruggire?»
Feci spallucce. «Avevo un esercito davanti. Non ho fatto caso alle parole.»
Vox mi scrutò a lungo, in silenzio, pensando chissà cosa. Mi venne in mente solo in quel momento che poteva aver già avuto una chiacchierata con Takami. Se sapeva che quella era una parola d’ordine ero fregato.
«...diciamo che ti credo, lombax.»
Non lo sapeva! Stragalassia, che botta di culo!
Si rivolse poi a uno dei robot a guardia dell’ufficio: «Dategli una tuta w.a.v.e. Non sia mai che quella mostriciattola frigga il suo interruttore.»
* * * * * *
Riferii ad Al mentre tornavamo alla cella.
«È chiaro che sa che si tratta di una parola d’ordine» concordò. «Abbiamo qualche speranza che pensi che tu l’abbia imbroccata per caso?»
«Se lo pensa, al prossimo giro capirà che non è così.»
«Sicuro.»
«Quand’è il prossimo scontro?» dovevo sapere quanto tempo avevo per montare una bugia credibile.
«Cinque giorni.»
Erano sufficienti.
«E sarà nell’Arena?»
Scosse la testa. «Mai sentito di Catacrom Quattro?»
Agitai di scatto la coda. Ne avevo sentito parlare, sì. Non l’avrei mai scelto per una vacanza.
* * * * * *
Quella sera andai a dormire presto, confidando che Takami – qualunque cosa stesse facendo – sarebbe rientrata. Ma, quando la mattina dopo mi accorsi che la branda era intonsa, la preoccupazione schizzò.
Erano le otto passate da poco quando uscii dalla cella. Il primo posto dove la cercai fu in mensa, ma non c’era. Non era nemmeno nel Padiglione Due. Sperai che fosse dagli altri.
Bussai piuttosto frettolosamente alla loro cella. Aspettai qualche secondo, poi alzai il pugno per bussare di nuovo. La porta si alzò, quindi lasciai perdere. Al, in mutande, aveva la faccia sconvolta dal sonno. Galassia, ma non dormiva mai?
«Che vuoi..?» e sbadigliò.
«È qui Takami?»
Scosse appena la testa.
«Sai dov’è?»
Alzò le spalle. «Come potrei..? Non la vedo da martedì.»
Drizzai le orecchie. Da martedì. Dalla gara. Da... – feci il conto – miseria ladra! Poteva essere successo di tutto nel frattempo!
«È qui Clank?»
«Ratchet...»
«Mi serve il suo localizzatore bios. Dobbiamo trovarla.»
Al mi scoccò uno sguardo risentito. «Quella è pericolosa; non dobbiamo affatto trovarla.»
«Ha undici anni, Al! Non è pericolosa manco per le mosche!»
«T’HA UCCISO, PORCA PUTTANA!»
Yikes!
«Ci è mancato un soffio che finissimo tutti nel tritacarne per colpa di quel piccolo mostro! TU più di tutti dovresti volerla lontana da te! E invece cosa? Guardati, le corri dietro scodinzolando!»
Rimasi immobile, impietrito. Realizzai solo in quel momento che aveva pienamente ragione; che mi stavo comportando in maniera insensata. E mi sentii piccato.
«È comunque parte della squadra. Ho un dovere, come capitano.»
Al strinse le labbra: le vidi riempirsi di grinze fino a sbiancare. Mi preparai per una nuova esplosione, ma tutto ciò che fece fu pigiare un pugno sul quadro per la chiusura della porta.
«Se la metti così allora cercati anche Clank. Quella mostriciattola gli ha fuso i circuiti.»
* * * * * *
Molecole impazzite, avete presente? Mi sentivo fatto di molecole impazzite. Che significava che Takami aveva fuso i circuiti a Clank? Era letterale? Se era letterale perché Al m’aveva detto di cercare anche lui?
Erano queste le domande che mi pungevano mentre attraversavo la stazione spaziale. Era ovvio che la risposta l’avrei avuta trovando gli scomparsi... peccato che l’illuminazione arrivò due ore più tardi, quando mancavano pochi corridoi alla fine del giro completo.
Ero nel Padiglione Cinque, fra le suite di quelli alti in classifica. Extra-lusso, se confrontate con la 6-538: acquari, moquette, hostess in abitini attillati... sembrava uno di quegli alberghi pluristellati di Metropolis. E gli alloggi avevano i nomi degli abitanti incisi in oro sulla porta.
Lessi qualche nome: Squidzor, Nightingale, Battle-Hawk, El Mustachio, Agent Zero... La stragrande maggioranza di loro non li conoscevo, ma quello che trovai alla fine del corridoio sì.
Skìos.
Di riflesso mi ricordai del compattatore, e mi morsi il labbro per non cominciare uno sproloquio ai danni di Basher. (Rassegnato al suo destino, come no. Figlio di un Qwark...)
Se non altro, fra i ricordi ce ne fu uno utile. Ironicamente, erano proprio le parole del rilgarien: Solo due persone finiscono qui con regolarità. Una è il tecnico della manutenzione, l’altra è la ninnola.
L’intuizione mi stordì al punto che portai una mano sulla fronte. Era tanto ovvio! Un luogo tranquillo, dove aspettare che la caciara dopo l’Hiring Show si spegnesse... Takami doveva essere andata al compattatore. E, se avessi trovato lei, avrei risolto anche la frase su Clank.
A me uno degli sgabuzzini. Anzi no, so la strada. Si passa dal Padiglione Tre.
* * * * * *
La via per il compattatore era deserta; lo raggiunsi in tempo zero. Clank e Takami erano lì, seduti sull’oblò che dava sulla discarica, a guardare allarmati nella mia direzione. Ci fu un istante di silenzio. Takami portò le mani alle guance e io mostrai loro un ghigno. «Beccati!»
 
Mi sedetti con loro sul bordo dell’oblò, con le gambe a penzoloni sopra la montagna di rifiuti. L’odore era aspro, ma tollerabile. Le loro espressioni erano lo specchio della sorpresa, ma una era felice e l’altra terrificata. «Che ci fate qui?» domandai.
«Ci serviva un posto tranquillo» rispose Clank dopo un attimo.
«Per fare cosa? Se non ho capito male siete spariti dalla fine della gara.»
La piccola si strinse nelle braccia e incassò la testa. Clank scambiò un’occhiata veloce con lei, prima di voltarsi verso di me. «Al ci ha chiuso fuori, non te l’ha detto?»
Lo fissai con tanto d’occhi.
«Considera Takami una minaccia, dunque non ha voluto che si avvicinasse a te. Abbiamo discusso, e temo che prendere le sue parti lo abbia convinto che lei mi abbia manipolato.»
All’improvviso afferrai l’intera situazione. E imprecai. Tanto. Tra i denti.
Al era andato di testa. Partito completamente. Altrimenti come sarebbe potuto uscire con una trovata simile?!?
Mi accorsi tardi dello schermo verdolino che usciva dal bracciale dell’umana. Il messaggio era già mezzo cancellato, così come la tenuta dei miei nervi. «Perché sei tornata a quel coso?»
Rispose Clank: «Il collare si è rotto nell’arena, assieme alla tua armatura.»
«Tsk» bofonchiai a denti stretti. «Riscrivilo. Non ho letto.»
Lei continuò a guardare i rifiuti con aria bastonata. Lo schermo stavolta comparve leggermente ruotato verso di me, sempre con le sue scritte verdoline.
 
Ho detto che il signor Al ha ragione.
 
Clank le posò la mano sul braccio. «No. Non ha ragione.»
 
Ma è vero che ho ucciso il signor Ratchet. Non è stato un fotomontaggio per gli ascolti. Anche Suriah l’ha detto. La verità è che è morto perché non sono capace di usare i miei poteri, e se è rivivuto è per un colpo di fortuna.
Non mi consolare. Non me lo merito.
 
Alla parola ucciso mi tornò in mente Chaos che fulminava il mio manichino. Mi tornò in mente Al che teorizzava su possibili interferenze chimico-fisiche dell’armatura. Il palmo marchiato prese a prudere. Le mie orecchie sobbalzarono.
La piccola non scrisse altro. Continuò a guardare i rifiuti ed ebbi la netta impressione che lo facesse per non guardare me.
Clank, forse per la miliardesima volta, le posò una mano sul braccio. «Come ti ho detto: alla fine tutto il problema è che sei andata fuori controllo. Questo si può superare; si tratta di trovare il tuo limite e rispettarlo.» si girò verso di me. «Tu cosa ne pensi?»
«Ho chiamato io quella cosa. Me la sono tirata.» borbottai. «Comunque ho già parlato con Vox. Sa che era un interruttore e per questo mi ha dato una tuta w.a.v.e. Non c’è pericolo che mi mandi in corto un’altra volta.»
Mi beccai un’occhiata silenziosa ma espressiva. Le iridi – quelle stesse che mi avevano guardato con curiosità poco più di due settimane prima – adesso gridavano un messaggio semplice quanto caustico.
Bugiardo.
* * * * * *
Cinque giorni dopo, 22 ottobre 5401-PF
 
Niente era a posto nella mia squadra. Al era di uno scontroso insopportabile, Takami era piombata nel mutismo e Clank la seguiva ovunque e in qualunque momento. E io non ero il benvenuto da nessuna parte.
Anche apparire come una squadra integra era stata un’impresa. C’era voluta tutta affinché il nostro Tecnico rimuovesse l’hacking alle porte delle celle, dato che si era intestardito sulla pericolosità di Takami. Sull’altro fronte la bambina non fece nulla per smentirlo. Ancora peggio: si fece schiva. Niente messaggi, niente motivazioni: usciva al mattino e rientrava solo per andare a letto.
La prima parola che le cavai la ottenni la mattina della partenza. Quando mi svegliai era seduta al tavolino, scarmigliata e pallida, che mi fissava. Davanti a lei c’era una massa di stoffa nera.
«Pensi di parlarmi oggi?»
Non ci speravo molto. Però lei appoggiò l’avambraccio sul tavolino e fece apparire uno schermo verdolino.
 
Oggi sì.
 
Quella semplice frase mi scosse. Mi sedetti sulla branda con l’impressione di essere più reattivo.
«E perché gli altri giorni no? Non ero dalla parte di Al, te l’ho detto.»
 
Dovevo fare una cosa... era importante. Spero che non ti sei arrabbiato troppo.
 
Arrabbiato? Ero frustrato a livelli stellari, altroché!
«Perché non parlarmene?»
 
Non me la facevi fare sennò.
 
Il buon giorno si vede dal mattino. Con una risposta del genere, poco ma sicuro, mi aspettava una giornata terrificante.
«Okay.» mi passai le mani sulle orecchie, deciso a non saltare a conclusioni affrettate. «Okay» ripetei, per ribadirmi il concetto. Mi avvicinai al tavolino a passi lenti, tenendole gli occhi incollati addosso col timore che di punto in bianco scappasse.
Invece rimase lì. Immobile. Attenta.
Mi sedetti di fronte a lei e lei spinse la massa di stoffa nera davanti a me.
 
Questa è per te.
 
Guardai il groppo scuro con sospetto. «Cos’è?»
 
La cosa importante. Una tuta w.a.v.e.
 
Non capivo. «Ne ho già una.»
 
Quella standard è debole. Rop’roc me ne ha data una migliore.
 
Rop’roc, Rop’roc... non mi era nuovo.
D’improvviso ricordai di aver letto quel nome su una delle porte del Padiglione Cinque.
«È uno in alto? In classifica, intendo.»
 
È nella metà di sopra. È la spalla di Conundrum Dynamo.
 
Il tizio strano cattivo. Quello che “non voglio andare da lui perché poi chiede cose strane”.
«Sei andata da lui? Sul serio?»
 
Sono andata da Rop’roc. È un po’ meglio di Conundrum Dynamo.
Ha chiesto dei punti in cambio della tuta. Punti dall’arena.
 
«Quanti?»
 
Finché la teniamo il trenta percento dei nostri guadagni.
 
Mancò poco che mi strozzassi con l’aria che respiravo. «Ma sei impazzita?! È usura!!!»
Lei incassò la testa nelle spalle.
 
Lo so che sono tanti. Per questo non ci volevo andare. E non volevo neanche fare tutto senza dirti niente, ma non volevo non fare niente perché ho visto i video di martedì e una w.a.v.e standard non basta.
Lo so che chiamerai di nuovo il ruggito, anche se a me non piace. Anche Clank lo sa. È stato lui che ha detto che ci vuole qualcosa che funziona e ci vuole subito.
Se avevamo un po’ più di fortuna forse potevo trovarne una nella discarica e portarvela come modello, ma non ne ho trovate. Quindi era rimasto solo di andare da Rop’roc.
 
Quindi, a me, non rimaneva altro che vedere l’oggetto che ci sarebbe costato così tanti punti.
Spiegai la massa scura, mettendo in mostra una serie di elettrodi grandi come tappi di bottiglia. A collegarli, come fili di ragno, c’erano dei cavi parzialmente cuciti nella tela.
 
Rop’roc non è elettrocineta come il suo Eroe. All’inizio ha usato anche lui una w.a.v.e stadard... però con Conundrum Dynamo le consumava subito. Ne ha buttate via un mucchio prima di inventarsi questo upgrade. Non è perfetto, ma l’ha salvato da un generatore P28 in override.
 
Un P28? Garan P28?
Come i quattro che la Phoenix monta per i sistemi vitali di emergenza?
 
Dopo quello la tuta l’ha buttata, ma è rimasto vivo.
Clank pensa che potete copiare il progetto sulla w.a.v.e che hai avuto dal direttore. Però, se glielo diciamo io o lui ad Al, lui ci scaccia senza manco guardare la tuta di Rop’roc.
 
Capii dove volesse andare a parare.
«Non so se Al mi darà retta. Lo sai che aria tira.»
 
Ma Clank ha fatto i conti e ha detto che non possiamo permetterci di tenerla più di un turno.
Se non la restituiamo dopo Catacrom Quattro sarà un casino stare dietro a... a...
...com’è che si chiamano i soldi da dare oltre il prestito?
 
«Interessi.» Rimisi sul tavolo la tuta. «Si chiamano interessi.»
 
Quindi, per riepilogare: avevo una settimana per testare l’upgrade artigianale e decidere se era valso o no un terzo della nostra paga, da cui dipendeva la scelta (o meno) di proporre ad un Al parecchio intrattabile di riprodurre un upgrade di concezione altrui sulla tuta che Vox mi aveva concesso nel nostro ultimo incontro. Il tutto dopo avergli chiesto un favore simile che mi aveva quasi portato alla tomba.
È proprio vero: i vecchi detti raramente sbagliano.
* * * * * *
«Gladiatori della cella 6-538!»
La nostra attenzione corse immediatamente allo schermo sopra la porta. La faccia tonda di un robot monoculare ci fissò per qualche istante, poi si chinò a leggere su di un foglio. «Acciderbolina, ho dimenticato cosa dirvi.»
«Ci rilasciano per il boom di share dell’altra sera?»
«Ti piacerebbe...» e rialzò la testa, rivolto da qualche parte a destra della telecamera. «Zed! Questi sono i fogli della 6-540. Passami quelli giusti!»
Quando ebbe in mano i fogli che voleva, si schiarì la voce con due colpi di tosse e ricominciò: «Gladiatori della cella 6-538!»
Controllò che lo stessimo guardando. «Oggi gareggerete per la prima volta su una pista al di fuori della stazione spaziale. Mentre parliamo un braccio meccanico sta prelevando la vostra cella per caricarla sulla nave trasporto. Destinazione: Catacrom Quattro. Il pianeta è–» la voce scomparve sotto le urla del metallo che strideva. Muri, pavimento e soffitto: tutto emise il rumore delle unghie sulla lavagna, amplificato di decine di decibel. Ci tappammo le orecchie nel tentativo (inutile) di non diventare sordi, mentre il robot continuò imperterrito a leggere i suoi stramaledetti fogli. Alzò lo sguardo solo dopo che il bordello fu terminato, trovandoci stravolti. Ebbe pure il coraggio di alzare il monocolo e sbuffare con aria offesa!
«...e questo conclude la presentazione della pista.» annunciò, sdegnato. «Non tentate di comunicare coi tecnici: siete isolati. E non mettetevi in pose verticali o scomode, poiché quando il conto alla rovescia raggiungerà lo zero si attiverà il criosonno. Mica vogliamo che vi rompiate il collo in modo cretino!»
Chiuse il collegamento, lasciandoci con un countdown che segnava poco più di sessanta secondi. Ne persi qualcuno in silenzio, a fissare la bambina.
«Appena avremo un po’ più di tempo dovremo parlare di come ci si comporta.»
Abbassò la testa, mortificata.
 
Sei tanto arrabbiato con me, vero?
 
«Sì. E no.» mi lanciò un’occhiata di sottecchi, evidentemente confusa. «Sono contento che t’importi di me, ma avevi ragione a pensare che non ti avrei fatto andare da Rop’roc. Te ne direi quattro se ci fosse tempo.» Ma non ce n’era, come ci ricordava il conto alla rovescia. «Spera solo che alla fine del criosonno mi sia dimenticato di sgridarti per come sei sparita in questi giorni.»
Annuì con aria mesta.
«Molto bene. E adesso torniamo in branda.»

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ratchet & Clank / Vai alla pagina dell'autore: Iryael