Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: PawsOfFire    24/02/2017    4 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Calò la nebbia.
Aspra e fitta, non vedevamo ad un palmo dal naso. Si estendeva sulle colline, ammassandosi nella valle come una bianca magia, avvolgendo la boscaglia con una quiete mistica, trascendentale.
Acquattato come un avvoltoio stanco sporgevo a braccia conserte sul tettuccio della Furia, masticando un bastoncino di carne secca per smorzare la tensione. Ci stavamo spostando nuovamente, questa volta verso sud. Avanzavamo in fila, nascondendo dietro gli impenetrabili carapaci di Panzer un gruppo di fanteria ammassata ordinatamente in gruppi da venti, come a formare una sorta di cubo compatto.
Ogni tanto, annoiato, prendevo i binocoli e mi divertivo ad osservare la vallata alla ricerca della vita brulicante. Il bosco era fonte inesauribile di vita: volpi che si rincorrevano, tassi, pernici e fagiani. Una volta ci spingemmo sufficientemente a nord per incontrare un branco di renne. Con i loro musi grigi ci osservarono curiose, scrollando le corna sulle loro teste in atteggiamento minaccioso, e sbuffando dalle enormi narici. Spaventate, saltellarono lontane da noi, mescolandosi nella natura fitta.
Di tanto in tanto, lungo il nostro cammino naturalistico, ci imbattevamo in un animale particolarmente aggressivo e pericoloso: il Russus Russus. *
Il Russus Russus era un animale nudo, in genere coperto da uno strato di stoffa bianca o marroncina per proteggersi dal freddo. Non possiede artigli, ma Tokarev con munizioni e vivono in branchi composti unicamente da giovani gruppi di maschi che passano il tempo a cacciare gli esemplari evoluti di Germanus Sapiens, che portano in dono alle loro compagne per corteggiarle…
“Capitano” la voce di Tom via radio mi fece trasalire.
“Oggi è particolarmente silenzioso. Va tutto bene?” Mi chiese, spezzando la comunicazione con un colpo di tosse.
“Oh, sì, Weisz. Stavo pensando intensamente. Come sa, i grandi piani richiedono la massima concentrazione”
Il giovane rimase un po’ perplesso, bofonchiò qualcosa (che risuonò alle mie orecchie come un “Non riesce a pensare e parlare allo stesso tempo?”) ed interruppe la frequenza con laconico “Comprendo”
 
 ╬
 
Dopo una lunga marcia ci fermammo. Nascosti nella fine boscaglia, protetti dalla nebbia, accendemmo un piccolo fuocherello di braci fumose e scaldammo le nostre gavette di zuppa. Mentre cuocevano, mi dedicai al rifornimento del pieno e ad un controllo veloce del carro. Il colpo subito dall’ultimo scontro premeva duramente contro la corazza anteriore, incassandosi tristemente in un’ammaccatura grossa come un pugno. Ritornando al vecchio fronte avrei sicuramente trovato una placca frontale di ricambio.
A rancio cotto mi lanciai sulla mia ciotola bollente con ferocia inaudita. Alcuni pezzi di carne di lupo grigia galleggiavano sulla superficie oleosa dell’acqua, mescolandosi con rape ed erbe di campo. L’odore non era così terribile, la fame lancinante e così la divorai senza fare troppe storie.
Avevamo alcune reclute con noi. Ragazzini novellini appena maggiorenni dalla puzza sotto il naso. A quanto pare erano venuti a “supportarci” come “volontari” di una specie di accademia da ricchi. ** I volti pieni ed i coloriti vividi si arricciavano disgustati nel vedere quelle atroci razioni. Un paio di giovani, che immagino fossero di famiglia agiata, si rifiutarono di mangiare lo spezzatino di lupo.
“Mio Padre è un famoso pezzo grosso” Sbottò un ragazzetto dal volto macchiato di lentiggini.
“Mi aveva detto che servivano agnello arrosto tutti i giorni, con purea di patate e frittelle di mele” rigirava la zuppa come se fosse merda. La allontanò, schifato, rimettendola sulle braci.
Per fare bella figura il Comandante si era accollato la responsabilità di viaggiare con questi reietti, tutti figli giovani di grassi uomini appartenenti alla stessa comitiva, di quelli che guardavano la guerra dal finestrone di una villa confiscata.
“Benvenuto nel mondo dei poveri. Siamo tutti figli di contadini, sarti, operai e contabili. Guarda lui. Pensa che proviene da una famiglia di disoccupati” Gli suggerii, additando uno Chagall intento ad arrostire una radice nel carbone. Il mio intento era semplice: sfilare la zuppa a quel piccolo viziato e divorarmi una seconda razione.
“Mio padre mi ha detto che i disoccupati sono la rovina del mondo. Lo sapeva?” I suoi occhietti lucidi mi scrutavano indagatori. Profumava di cucciolo pulito.
“Oooh, non lo sapevo. E che altro ha detto tuo padre?”
“Che sono più importante di voi pezzi di merda ficcanaso. Porti rispetto al mio ordine, perché presto entrerò nelle SS” Mi silenziò, iniziando a fare i capricci e richiedere a gran voce il suo agnello ai carciofi, battendo i piedi ed invocando il nome del padre.
“Brutto marmocchio insolente” Ringhiai, mostrandogli orgogliosamente colletto e, soprattutto, le spalline riccamente decorate da linee bianche terminanti in una curva rotonda, comprendenti di due piccoli decori che mi differenziavano di grado e, soprattutto, dalla leggera bordatura rosa della controspallina che indicava il mio reparto, ovvero l’unità corazzata.
“Ammira. Cosa vedi? Io un meraviglioso Capitano che sguazza da tre anni in questa fogna. Porta rispetto per un tuo superiore”
E con queste parole mi avventai sulla sua gavetta scartata, mentre quello piangeva ed evocava minacce miste ad implorazione.
I suoi grassi pugni battevano sulle mie spalle: dovevano sembrare minacciosi invece sulla mia pelle parevano poco più che solletico. Piuttosto, colto dalla fretta, ingurgitai quella melma ad ampi bocconi, facendo scivolare carne e grasso giù dalla gola come se non avessi mangiato da mesi, lasciando gocciolare l’unto lungo le mascelle come una bestia selvatica.
Mi bruciai la lingua, ma ne valse la pena.
“Ragazzino, è giunto il momento di farti vedere come si comporta un vero soldato” Affermai, ruttando per rafforzare il concetto.
Come prima mansioni gli feci assaggiare la dura corazza della Furia.
Letteralmente, dovette leccare il metallo del carro armato, assaporando le macchie di fango ed il pastone di foglie che il bestione aveva sollevato il tragitto. Grufolando, il porchetto si rifiutò di obbedirmi, dicendo che, con una sola parola, suo padre avrebbe potuto mandarmi a morire.
“Se sei qui con noi forse il tuo dolce padre non ha molto a cuore la tua vita. Dunque, non credo gli interessi la mia” risposi in rima, facendo affondare il suo viso in un dolce ammasso di melma. Ne assaggiò un boccone e pianse lacrime amare.
Ne aveva abbastanza. Lasciai la presa sul suo colletto. Non era colpa sua, in fin dei conti. Non era colpa di nessuno, quaggiù. Il sano nonnismo non fa mai male e solo in questo modo riuscii ad ottenere rispetto e ammirazione da quel giovane porcino. Non era grasso ma aveva quella pienezza in corpo che a tutti noi mancava, quando la prestanza si riduce a chi riesce a nascondere meglio il costato tra la pelle. Modestamente io sono il più avvenente sotto questo punto di vista. Internamente ed esternamente risulto impeccabile, una vera meraviglia della natura. Anche il mio costato è favoloso e desiderabile...
 
 ╬
 
Ben presto tornammo a marciare. Sotto il sole di un breve pomeriggio i nostri carri avanzavano in file compatte, carichi di soldati fino a scoppiare. Per un po’ avevo passato la giornata rinchiuso nell’abitacolo, intento a studiare una mappa. Accanto a me il cane dormiva stretto nel suo angolo-cuccia, appoggiando la testa sempre più grossa tra le mie gambe. Quando, ad un certo punto, iniziai ad avere disperato bisogno di aria fresca, aprii la piccola botola sopra la mia testa.
...O almeno, tentai invano. Qualcosa la bloccava.
“Dannazione” Mugugnai, battendo un pugno sul coperchio. “È bloccata”
Presi l’interfono e chiamai il pilota.
“Weisz, il tuo Capitano ti sta parlando”
Il ragazzo sbuffò sonoramente, restando in completo silenzio. Lo presi come un segnale positivo, così continuai a parlare.
“Credo che il coperchio qua sopra si sia rotto. Non riesco ad uscire. Mi...manca l’aria. Morirò soffocato”
“Non sia tragico” Bofonchiò. “Ci sono altri sportelli, non rimarrà intrappolato, si fidi”
“Prima funzionava” Diedi due colpi secchi. Quando riuscii ad uscire, finalmente, ci ordinarono di fermarci all’istante. Alcuni soldati si erano appollaiati sulla mia postazione per sfuggire alla morsa del cammino e, spintonandosi un poco sentendomi armeggiare, erano caduti, provocando un effetto domino.
Inizialmente restai perplesso. Quando eravamo saliti sul carro per continuare la marcia molti uomini avevano deciso di sedervisi sopra. In qualche modo il numero doveva essere aumentato, fino ad occupare la mia botola.
“Avevo avuto questo dubbio sa, Capitano?” mi riferì successivamente Tom “C’era un piede che dondolava davanti a me, credevo fosse un’allucinazione da fame”
Aggrappato alla botola come un naufrago al suo ceppo galleggiante, cercai la comprensione di un Maik appollaiato alla torretta esterna, le orecchie del copricapo lupino tese come fossero un suo stesso prolungamento uditivo.
Stava sempre fuori, nonostante fossimo provvisti di una mitraglietta interna. Soffriva di una specie di claustrofobia che lo faceva strillare come un ragazzetto, nonostante avesse le dimensioni di un bisonte. Questa sua attitudine aveva aperto la strada ad una possibile integrazione di un sesto membro nell’equipaggio. In effetti, tempo fa, avevamo un giovanotto dai capelli rossi che chiamavamo Lenticchia come mitragliere e marconista perché…beh, Maik non possiamo considerarlo tale. Era abbastanza stupido ed aveva una specie di predilezione per Martin e Klaus, dei quali credeva ad ogni singola storia, racconti di fughe comprese. Un giorno fecero una gara per decidere chi dei tre era più bravo a disertare e morì fucilato qualche giorno più tardi, dopo essere stato rintracciato a decine di chilometri di distanza. Indubbiamente fu l’indiscusso vincitore. Gli dedicammo una targa di legno. “Qui giace Ralf Luft, stimabile carrista, vincitore della gara al miglior disertore della Cinquantesima divisione Panzer***”
Ci beccammo un paio di giorni di galera ed una missione punitiva sulle rive del Don ma, a parte questo, andò tutto bene.
Nessuno parlò più di un sesto elemento, anche se adesso è regolarmente conteggiato come Caporal Friedrich Faust, soldato canino.
 
 ╬
 
Quando finalmente riuscimmo a raccogliere tutti i caduti (verbo cadere, per fortuna) e rimetterci in marcia, Maik improvvisamente si rabbuiò, arricciando il naso come se stesse fiutando qualcosa.
“Russi” Bofonchiò. “Tra i tre ed i cinque chilometri di distanza”
Io, che avevo deciso di non abbandonare la botola aperta fino a nuovo ordine, lo guardai piuttosto perplesso. Il soldato sollevò appena le labbra, mostrando i denti come una bestia rabbiosa.
Ultimamente era diventato decisamente selvatico, notammo. Chagall era convinto che, durante le battute di caccia ai lupi, avesse incontrato dei Tartari e che da essi avesse appreso qualche arte sciamanica a noi sconosciuta. Dato che il parere di quel subumano non era degno delle mie orecchie, preferii ignorare quella folle teoria.
“Come fai a saperlo?” Chiesi, arricciando le sopracciglia in un’arcata scettica.
“L’odore. Sento il loro fetore provenire controvento. Sono circa cinquecento esemplari umani. Sento puzza di ferraglia. Uno. Due. Dieci carri. Lo sente anche lei, capobranco? Tiri fuori la lingua.”
Le mie sopracciglia si fecero sempre più arcate e vicine, trasformandosi in un gabbiano di scetticismo pronto a spiccare il volo dell’indignazione.
“Mi ha chiamato Capobranco, Gerste. Siamo uomini, non lupi. Sono suo superiore, in quanto Capitano e capocarro”
In risposta grugnì forte, sistemandosi la pelliccia di lupo. Il cranio della bestia sporgeva macilento oltre la sua fronte, lasciando scoperte le gengive dell’animale ritratte dalla decomposizione. Grazie al cielo fa abbastanza freddo e non ci sono mosche. Quella pelliccia ci ucciderà, me lo sento.
“Non si preoccupi, Capobranco. In quanto Beta il mio dovere è proteggere lei ed il suo branco di stolt”
Abbassai lo sguardo, interdetto dalle parole e dal fetore della carcassa. Chiusi per un attimo gli occhi, un battito di ciglia, e davanti a noi vi fu una forte esplosione. Lapilli e bave di terra schizzarono sopra di noi, ricoprendoci di fango e pietrisco.
Immediatamente ci fermammo. Mi ricacciai nuovamente dentro al carro, chiudendo la botola sulla mia testa.
“Siamo finiti in un campo minato!” si disperò Klaus, rannicchiandosi in un angolino, le mani accuratamente riposte sopra la testa. “Moriremo tutti”
È giunto il momento di disertare per davvero.” Disse Martin, rannicchiandosi anche lui nell’angolino. Essendo troppo alto e lo spazio troppo angusto, la posizione assunta era alquanto innaturale e buffa.
“Si, Martin. Scappiamo! al mio tre”
E lo fecero davvero. O comunque, finsero di provarci. Contarono per una manciata di secondi prima di sgusciare dal carro, pronti a battere in ritirata.
Timidamente uscii con tutto il busto dalla botola per godermi la scena.
I due, mandando al diavolo tutti i dettami del vero tedesco inflessibile, si ritrovarono piangenti a biascicare scuse mentre il Comandante forniva loro due piccole pale, ordinando uno sminamento massiccio di questo nuovo campo non identificato dalle mappe.
Ed io, dalla mia posizione privilegiata, me la ridevo della grossa.
“Lo trova divertente eh, Faust?” Da sotto il carro il mio superiore mi squadrò torvo, facendo ondeggiare la pipa vuota che teneva sempre in bocca.
“Scenda a scavare anche lei. A mani nude”
 
 ╬
 
Il giorno mutò in notte, portando con sé la gelida morsa del vento. Sminare è un lavoro del cazzo, soprattutto senza pala. Mi erano appena ricresciute le unghie, abbastanza da non dolermi ogni volta che toccavo qualcosa, e adesso stavo mandando nuovamente tutto a puttane, lasciando che la terra si infiltrasse tra le crepe, nelle ferite, impastandosi dolorosamente con il mio sangue.
Non che con quelle minuscole pale di cui la fanteria era dotata servissero a molto. Gli uomini, impauriti, si limitavano ad accarezzare i ciuffi d’erba. Qualcuno più esperto tastava il terreno con un bastoncino sottile, con la speranza di non dover mai toccare una mina.
Oltre al dolore ed alla fatica, avevo la netta sensazione che quello fosse un lavoro sbagliato. Attivi ed operanti, eravamo completamente scoperti. Un paio di tiratori scelti avrebbero potuto eliminarci senza troppa fatica. In aggiunta al fatto che nessuna mina venne trovata.
“Che lavoro del cazzo” Sbottò ad un certo punto un fuciliere.
“Ho sempre detto che avrei dovuto scappare in Svizzera ed aprire un cabaret artistico” borbottava a bassa voce, estirpando con poca cura grossi brani d’erba dal terreno.
“Seriamente. Non c’è nessuna mina qua. Guardate”
Prese un sasso e lo lanciò lontano. Quando questo toccò il suolo la terra eruttò fango, sollevando una nuvola di foglie ed erba.
Appollaiato sopra la Furia come una grossa cornacchia verdastra, il Comandante interpretò positivamente quel segnale. Si schiarì la voce, soffiando del non-fumo dalla sua pipa vuota.
“Guardate, fannulloni! Dovete detonare ogni singola mina a costo di saltarci sopra”
“Herr, non abbiamo i mezzi, dovremmo aspettare i soccorsi...” Provarono ad obiettare.
“Come ho detto” L’uomo di schiarì la voce, levandosi la pipa dalla bocca per pulirne accuratamente il bocchino “Avete un mezzo efficiente per disinnescarle. Voi. Torniamo a marciare, lo faremo par tutta la notte. Abbiamo perso troppo tempo, qua”
Queste affermazioni ci lasciarono boccheggianti come pesci. Logicamente i carri avrebbero aperto la strada con la speranza che non vi fossero mine ben più potenti nascoste nei meandri della roccia.
“Ho una strana sensazione” Disse Tom, mentre scivolava dentro il carro.
Alzò un dito al cielo, guardando le stelle.
“Ronzano sopra di noi. Li sentite?”
Tendemmo le orecchie, tirati come corde di violino, quasi come se ogni piccolo rumore commesso nella vastità della terra potesse essere udito dai ricognitori russi che ispezionavano i cieli.
“Fantastico” borbottai atono facendo scivolare Fiete dentro il carro. Entravo sempre per ultimo, chiudendo la botola sopra la mia testa. Le stelle si spensero, lasciando spazio alla vastità del buio e alla sensazione di oppressione feroce che ti solcava il collo in enormi gocce di sudore...difficile stabilire se fosse il caldo o la sensazione di essere intrappolati in una lattina di metallo. Entrambe, forse.
Immobili ed in silenzio, nessuno dei carri osava muoversi. Anche il comandante tacque. La tattica del furetto morto rimane sempre la più affidabile. Se non sai cosa fare, non fare nulla.
Per un po’ gli avvoltoi volarono in cerchio sopra le nostre teste. Non trasportavano bombe, erano ricognitori, ma avrebbero potuto comunicare le nostre coordinate se ci avessero scoperto.
In qualche modo sembravano coscienti della nostra posizione ma, mancanti di sicurezza, ispezionarono la zona per quella che parve un’interminabile ora, prima di virare verso la fitta boscaglia, scomparendo dalla nostra vista mentre l’eco dei loro motori si faceva sempre più flebile.
Mentre io, nervi saldi e tempia pulsante, mi mantenevo vigile ed attivo, alcuni uomini avevano preferito approfittarne per schiacciare un pisolino, Tom compreso. Lo ritrovai nella sua postazione con la testa mollemente abbassata ed il cappello sopra gli occhi, sommerso in un lieve gorgoglio riposante.
Scivolai verso di lui, battendo delicatamente contro le sue spalle. Si svegliò di soprassalto, girandosi con uno scatto isterico.
“Ehi, buongiornissimo tesoro. Dormito bene? Perché questa è insubordinazione” Miagolai, tirando fuori dalla mia voce una dolcissima nota amorevole ed ironica.
“Sono desolato, Capitano! È colpa del caldo, manca l’ossigeno qua dentro” nella sua voce sfuggì una nota mortificata. Ma ben si sa, sono un superiore magnanimo. Mi limitai a ricacciargli il cappello sulla testa.
“Rimettiti in sesto, abbiamo l’ordine di marcia”
“Ricevuto, Capitano!” il giovane soldato sbadigliò prima di accendere i motori. Ne approfittammo per cambiare un po’ l’aria che, gelida, riequilibrò la temperatura del Panzer rovente.
Issammo un po’ di soldati sui carri e ripartimmo. Ironia della sorte, non trovammo alcuna mina nel campo. Imprecammo di gioia per il tempo buttato ma per le vite salvate.
Ritornammo a nasconderci nella fitta boscaglia, tra sassi e pini, stanchi e sfibrati in quel misto di gioia ed orrore nel sapere che ben presto saremmo giunti alla meta.
 






Note:
*Finto latino per dare l'impressione di un trattato scientifico.
**NaPolA, scuole per cadetti generalmente ricchi o particolarmente "ariani" e promettenti.
***Divisione inventata e non riconducibile a sezioni realmente esistenti
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: PawsOfFire