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Autore: Ookami_    24/02/2017    1 recensioni
Ho conosciuto la Luna.
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ci si illude sempre di poterlo controllare. Di poter decidere quando fermarsi, e costringere il proprio corpo a smettere di averne bisogno. È come respirare, succede senza che te ne accorga, e per quanto tu possa resistere, sai che prima o poi dovrai per forza riprendere fiato, perché alla fine, sarà sempre il tuo corpo a controllare te.

 Eppure ogni volta non ho mai smesso di tentare, forse semplicemente per testardaggine, o forse perché credo davvero di potercela fare. Mi serve solo più forza di volontà, più concentrazione... più concentrazione...

 Chiusi la pesante porta rinforzata che avevo montato in aggiunta a quella originale di legno marcio, lo stesso di cui erano fatte le pareti della catapecchia. Avevo speso davvero una fortuna per farle rinforzare in quel modo, e talvolta, potrei aggiungere, avevo dovuto “guadagnare” quei soldi con metodi... diciamo poco consoni. Avevo reso ogni superficie del vecchio forte abbandonato resistente a qualunque folata, tempesta, terremoto, incendio, meteorite e zampata.

 Certo, le sbarre metalliche grosse quanto la mia caviglia che attraversavano i muri in ogni centimetro, sia orizzontale che verticale, non erano proprio una gran scelta di design, oltre al fatto che nella casa non ci fosse nessun tipo di mobilia. Ma ad ogni modo non credo che avrei mai ricevuto ospiti lì dentro.

 Chiusi tre dei lucchetti che avevo aggiunto alla normale serratura. Gli altri cinque li avrei sistemati più tardi.

 Mi avvicinai ad un angolo di quello che un tempo doveva essere stato il salotto, o una stanza da letto, e accesi un mozzicone di candela avanzato dalle notti precedenti. Il sole era calato da molto, ormai, anche se per la luna era ancora troppo presto, e quella candela era l'unica fonte di luce di tutta la casa.

 Rimisi l'accendino nella tasca dei pantaloni, e mi sedetti a terra contro il muro. Oh, quanto odiavo quei momenti! Non sapevo mai come comportarmi: se girovagare per la stanza in preda all'angoscia, o se accendermi pigramente una sigaretta e rilassarmi con tranquillità. Tanto non avrebbe fatto la minima differenza...

 Rimasi lì seduto per qualche minuto, a fissare la piccola lingua di fiamma tremolante, che pian piano scioglieva la cera sporca. Grosse gocce roventi rotolavano giù fino a spiaccicarsi sul pavimento, con una placidità estenuante. Prima o poi avrei dovuto procurarmi una torcia, o qualcosa del genere...

 Presi un lungo respiro e iniziai a spogliarmi. Se dovevo ingannare l'attesa, almeno avrei fatto qualcosa di utile, e non potevo rischiare di perdere altri vestiti. Appesi tutto alle travi del soffitto, comprese le scarpe, ormai logore e piene di buchi. Era il luogo più sicuro dove lasciarli, per evitare che fossero inavvertitamente distrutti.

 Un brivido mi percorse le membra, forse per il freddo, o forse per... ma no, probabilmente era colpa del freddo.

 Stavo quasi per rimettermi seduto, quando mi ricordai dell'anello. Se c'era qualcosa a cui tenevo davvero, era quello, e di certo non avrei mai lasciato che andasse perduto come quasi tutti gli oggetti che avevo posseduto nella mia vita passata. Con cautela, lo sfilai dal dito, e lo infilai nella tasca dei jeans.

 Non so perché portassi ancora la fede. Era passato più di un anno dal momento in cui, in teoria, avrei dovuto smettere di portarla. Ma per quanta fame potessi avere, per quanto vuote fossero le mie povere tasche, non avevo mai avuto il cuore di liberarmene. Credo che per me rappresentasse troppo... Era l'unico oggetto materiale che continuava a ricordarmi come sarebbe potuta essere la mia vita, in quel momento, se solo non avessi mai deciso di... Quando indossavo quell'anello, lui mi sussurrava all'orecchio i ricordi di chi ero stato, prima di tutto questo, e tutte le cose più terribili che avevo fatto.

 Cercai sbrigativamente di pensare ad altro, perché se mi fossi soffermato a rimuginare avrei di sicuro perso la concentrazione, e non potevo permettermelo. Andai, con calma, a chiudere i restanti lucchetti alla porta di ingresso, consapevole del fatto che, anche questa volta, si sarebbero rivelati inutili. Era ora che smettessi di sprecare il mio tempo in stupide misure di sicurezza: non puoi sperare bloccare la furia del mare con un muro di paglia. Decisi che non avrei più fatto aggiustare quella porta.

 Guardai fuori: la finestra della stanza, piccola e alta, era coperta dalle sbarre di ferro che proseguivano lungo il muro, ma ciò non mi impediva di vedere l'esterno. Nel buio, potevo già scorgere numerose flebili stelle, e poco più in basso, stagliarsi nell'ombra l'orizzonte frastagliato di colline coperte di foresta. Avevo avuto davvero fortuna a trovare un rifugio tanto accogliente e così lontano dai centri abitati, anche se ogni volta era una faticaccia arrivarci. Lì, al riparo da sguardi indiscreti, potevo gestire le mutazioni con la dovuta calma, senza rischiare più del necessario.

 Un fresco alito di vento mi colpì in viso, facendo ondeggiare appena i miei capelli sporchi e quella orrenda barba, che da settimane non avevo avuto occasione di radere. Rabbrividii nuovamente. Forse avrei dovuto cominciare a preoccuparmi... Sollevai le braccia, aggrappandomi alle sbarre della finestra per controllare la pelle delle mani.

 Non lo feci apposta. D'altronde, i ricordi non sono mai una cosa volontaria. Ma se lei avesse continuato a tornarmi alla mente in quel modo, prima o poi sarei impazzito. Non potevo sopportare di vedere ancora quel suo enorme sorriso, rosa pallido, contro un azzurro abbacinante, mentre la sollevavo per i fianchi, girando su me stesso e stringendola contro il mio corpo. Non potevo sopportare il suono dolce e tintinnante della sua risata, dopo avermi risposto “Sì”. Mi aveva risposto “SI” e ora la mia vita era fottutamente completa! I dubbi, le incertezze, la paura di scegliere il momento sbagliato... Lei aveva detto di sì! Credevo che non avrei mai più potuto smettere di guardarla e di stringerla, e lei chiudeva gli occhi e allargava le braccia e rideva ed era così maledettamente bella e splendente...

 Mi scoprii d'un tratto a schermarmi gli occhi dalla luce, con ancora le braccia tese, le mani rattrappite su sé stesse e già leggermente gonfie. Eccola.

 Eccola mentre si sveglia e si alza, rossa, come sempre, come un grosso frutto avvelenato. L'occhio della Luna si era aperto, e lei stava guardando me.

 Mi costrinsi ad ignorare il prurito che iniziava a tormentarmi ogni lembo di pelle: volevo restare lì, volevo ricambiare il suo sguardo con la sua stessa forza. Non mi sarei sottomesso tanto facilmente, non questa volta. Rimasi in piedi, lanciando alla Luna la mia occhiata più torva, ma lei non poteva che restare impassibile. Così... così maledettamente bella e splendente...

 Mi aveva reso il suo schiavo senza catene, e da lei non sarei mai riuscito a divincolarmi.

 Quella sera in cui fui tanto stupido e incosciente da avvicinarmi dal suo territorio. Non volevo far male a nessuno, non potevo immaginare che lei mi stesse tendendo un agguato...

 « È la stagione perfetta » avevo esclamato « Siamo qui per divertirci, una piccola deviazione non ci farà tardare più di tanto »

 Non ricordo per quale assurdo motivo non seguii subito gli altri mentre tornavano alla macchina parcheggiata sul ciglio della strada, appena fuori dal folto degli alberi. Voglio dire, non che fossimo così lontani dai confini del bosco, ma ormai era passato il tramonto, e non tutti i tratti di sentiero erano facilmente praticabili. Forse mi ero accorto di aver lasciato cadere qualcosa di importante qualche minuto prima, o volevo solo scattare qualche altra fotografia... Tutto ciò che ricordo è solo che un momento stavo camminando con tranquillità, l'attimo dopo potevo vedere soltanto una enorme massa di pelo e muscoli balzarmi addosso, accompagnata da un verso agghiacciante e da suoni di spari e grida di uomini. Dopodiché devo aver perso conoscenza.

 In realtà la situazione non era così grave come ci si immaginerebbe: avevo poche profonde ferite da morso, ma nulla che non potesse facilmente guarire con qualche punto di sutura. Mi dissero che ero stato aggredito da un lupo, e che la guardia forestale l'aveva già abbattuto. Presero tutte le precauzioni e fecero tutti gli esami necessari e, dopo un giorno di osservazione, potei tornare a cambiare i pannolini sporchi della bambina.

 Le ferite scomparvero totalmente nel giro di due settimane, e pensai di essere stato davvero fortunato ad avere una tale capacità di guarigione. Mi sentivo più in forze che mai, e presto dimenticai lo spavento dell'aggressione. Quasi un mese passò nella calma più totale, potevi avvertire l'atmosfera di serenità già da appena fuori dalla porta di casa. E devo dire che mi godetti tutta la mia felicità fino alla fine.

 Perfino quando cominciai a sentire l'adrenalina nelle vene. Una notte aspettai che lei mettesse a letto la piccola, e quando mi raggiunse, sentii il cuore battere nel petto come un tamburo, e formicolare le punte delle dita.

Lentamente, si distese insieme a me, ed io iniziai a baciarla, spogliandola con una insolita frenesia. E, Dio la benedica, lei non esitò a ricambiare con altrettanta foga. Per circa un minuto lasciai che le cose andassero avanti, il corpo vibrante di energia, i muscoli tesi, il respiro affannoso, ed ogni riverbero del martellare sempre più rapido del mio cuore si rifletteva sulle sue dita affusolate, avvinghiate al mio petto. Sempre più rapido...

...Troppo rapido.

 “Aspetta” ansimai “...credo di non sentirmi troppo bene”

 Ridacchiando sarcastica, mi fece notare che ormai ero abbastanza grande da sapere che, in certi momenti, è piuttosto normale ritrovarsi con il fiato corto.

 La ignorai, e mi tirai a sedere sul letto.

 “Mi prude dappertutto”

 Lei si sedette a sua volta, e rimase in silenzio a guardarmi, aspettando che aggiungessi qualcosa. Esitai, incerto su cosa pensare.

 “... Mi manca l'aria!” rantolai, forse lasciandomi sfuggire un tono un po' più spaventato di quanto avrei voluto dimostrare.

 Ed in effetti, lei si alzò dal letto con un rapido movimento, e si chinò con aria esperta di fronte a me, squadrandomi in volto.

 Adoravo il suo sangue freddo.

 “Forse hai mangiato qualcosa che ti ha fatto male?” domandò tra il saccente e l'apprensivo “ti fa male la pancia?”

 Scossi la testa, tentando un sorriso forzato “Probabilmente non è nul-...”

 Un lancinante crampo mi costrinse ad interrompermi, e mi precipitai ad abbracciare la gamba sinistra, massaggiandola per sciogliere i muscoli contratti. Ora iniziavo a preoccuparmi sul serio...

 “Va bene” fece lei spigliata “vestiti, ti porto al pronto soccorso”

 “Ma... e la bambina?”

 Allargò sconsolata le braccia “Cercheremo di non svegliarla”

 Stavo per replicare che non ci saremmo riusciti, ma invece lanciai un gemito mentre la mia mano destra si rattrappiva su sé stessa senza un apparente motivo. “Che cavolo...!” senza pensarci, imprecai ad alta voce.              

 Evitai il suo sguardo di angoscia e rimprovero insieme. Lei si vestì in fretta e furia e si alzò. “Ti serve aiuto?” chiese porgendomi i vestiti.

  Le feci cenno di non preoccuparsi, e, a fatica, riuscii ad indossare tutto.

 Naturalmente la bambina si svegliò, ma nonostante il suo giustificato pianto, non avemmo altra scelta che caricarla in macchina e sperare che si addormentasse di nuovo lungo la strada. Come avremmo mai potuto immaginare che...?

 Mi aggrappai con tutte le mie forze alle sbarre della finestra quando i polpacci smisero di rispondermi: avrei soltanto voluto accovacciarmi a terra e afferrarli per sciogliere i muscoli contratti e doloranti, ma non le avrei mai dato la soddisfazione della resa. Se voleva avermi, mi sarei fatto desiderare ancora di più. Ha! E chissà? Magari questa volta avrei perfino vinto io! In fondo un po' di ottimismo non fa mai male, e comunque le stavo tenendo splendidamente testa, quella sera. Avrei dovuto resistere solo un altro po'...

 Resistetti all'impulso di mollare la presa sul ferro e scorticarmi la pelle bruciante con le unghie ormai deformi. Resistetti alle ginocchia che cedevano e si piegavano per necessità anatomiche. Resistetti quando cominciai a sentire la lingua appiattirsi e i denti spostarsi, riverberando lungo tutto il cranio...

 Strizzai gli occhi lacrimanti, deciso a non perdere il contatto visivo con la Luna. Sentii la spina dorsale premere sul fondoschiena, tendini e fasci di muscoli guizzare sotto la pelle come pesci in una rete, tirando le ossa ai limiti della frattura, o dislocando le articolazioni per poi ricomporle diversamente.

 Sentii la mia bocca spalancarsi in un grido che, però, non ascoltai. Sentii le mie dita accorciarsi e deformarsi.

Mollai la presa sbattendo la testa al suolo.

 Potevo quasi sentirla ridere di me. Si burlava della sua preda come farebbe un gatto con un topo, dandole l'illusione della salvezza, prima di artigliarla di nuovo tra le sue grinfie per godere del suo terrore. Giocosa e spietata.

 Feci tutto il possibile per rimanere fermo; non so perché, ma mi dava la sensazione che servisse a rallentare il processo, anche se probabilmente si trattava solo di una vana speranza. Mantenermi nell'immobilità mi dava una vera, seppur labile, parvenza di controllo sul mio corpo, che non controllavo più.

 Ma la cosa più terribile, oltre al dolore, oltre alla paura, oltre alla rabbia, oltre all'orrore per la natura che si manifestava nell'abominio che ero diventato, la cosa più terribile era l'odio. L'odio che provavo verso nessuno in particolare, così imponente, così... innaturale. La mia mente bramava la distruzione, e la brama sorgeva e cresceva come faceva la luna poco sopra all'orizzonte, tanto che era difficile distinguere se il violento battere ossessivo del mio cuore contro le costole fosse dovuto alla sofferenza o a quell'orrido impulso omicida. La coscienza lentamente cedeva sotto al peso di un istinto troppo grande e primitivo per poter essere arginato. Credo che non ci avrei mai, nemmeno dopo secoli, fatto l'abitudine.

 Eppure la prima volta non mi accorsi nemmeno di ciò che succedeva nella mia mente. Ricordo che c'era spazio solo per l'orrore, per la paura di cosa stesse accadendo al mio corpo, per delle sensazioni inspiegabili e che non avevo mai provato fino ad allora...

 All'inizio cercai di controllarmi: non volevo spaventarla più di quanto non lo fosse già, soprattutto con la piccola a bordo. Ma ad un certo punto non fui più in grado di fingere, e iniziai ad urlare. E nonostante potessi vedere i suoi sguardi angosciati, non riuscivo a pensare ad altro che a me stesso. Mi sembrò che i miei sensi si stessero in qualche modo acuendo e inebriassero il mio cervello di correnti di sangue gelato.

 Contorcendomi sul sedile, le ringhiai di accelerare, dimenticandomi la possibilità di incidenti, e della bambina, dietro di me, che piangeva. Lei pigiò sull'acceleratore, e mormorò qualche parola, forse di incoraggiamento, che non ascoltai affatto. Le urla della piccola si sommavano alle mie, così acute, così forti, e realizzai improvvisamente che potevo sentire il fetore disgustoso della sua bava e del muco che le colava sul visino stravolto.

 Mi artigliai brutalmente le orecchie, trovandole leggermente più in alto di quanto avrebbero dovuto. “FAI TACERE QUELLA COSA!” sbraitai.

 Lei mi lanciò una breve occhiata attonita. Si morse il labbro, e non disse niente. Grugnii, la fronte appoggiata al finestrino.

 Quella cosa.

 Vorrei poter pensare che sia stata la Luna a farmi parlare in quel modo.

 Senza staccare gli occhi dalla strada, allungò la mano dietro al sedile, cercando a tentoni la manina della piccola, e sussurrando qualche parola, senza ottenere molti risultati.

 Ero furioso. “FALLA STARE ZITTA!” imprecai con tutta la voce che avevo. Lei sobbalzò, facendo quasi sbandare l'auto.

 “Ti prego...” disse, la voce rotta dal pianto “...così mi stai spaventando”

 Ricordo che la guardai. Ricordo che in quel momento il suo volto trasudava tutto ciò che su di esso non avrei mai voluto vedere. Ricordo numerose lacrime cadere dalle sue ciglia chiare, il volto arrossato e la paura nei suoi occhi.

 E ricordo che quasi mi piacque.

 Ricordo lo sfrigolio delle gomme sull'asfalto consumato. Lei gridò qualcosa, e numerose braccia mi trascinarono dentro l'edificio. Altre braccia erano poi accorse per impedirmi di divincolarmi dalla presa. Attraversammo vari corridoi, ricordo che cercarono di costringermi a sdraiarmi, e ancora altre braccia tentarono di immobilizzare le mie membra palpitanti.

 Ma quando volsi il capo verso di lei, ricordo che sembrò di guardare una finestra affacciata su un altro mondo. Un mondo di calma e serenità, come uno sprazzo di blu in un cielo nero di tempesta. Un mondo a cui ormai, non appartenevo più.

 Per un brevissimo istante i miei occhi incontrarono i suoi, spalancati, pieni di orrore e di lacrime. Se ne stava lì, appena piegata di lato, con la bambina piangente tra le braccia e i capelli biondi impastati sulla fronte.

 Così maledettamente bella...

 Non credo di aver espresso alcuna emozione con quel breve sguardo: il mio volto non ne era più in grado, e ad ogni modo, fu talmente veloce che non ce ne sarebbe stato il tempo.

Tutto ciò che avevo intorno divenne fragile come cristallo. Ogni singola persona si ridusse ad un orribile agglomerato di ossa e sangue, che avrei potuto spazzare via con un gesto della zampa.

 Mi sollevai sugli arti posteriori, saggiando ogni centimetro del mio nuovo corpo con la curiosità di un bambino.

 Ogni cosa era lì, di fronte a me, pronta per essere fatta a pezzi.

 Mi sentii esplodere.

  
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