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Autore: Silviaria3    24/02/2017    0 recensioni
Un momento prima che i fuochi partano una ragazza sulla spiaggia combatte le sue paure e le vince....il padre le fa compagnia oggi, regalandole il ricordo di un abbraccio pieno di calore...
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cap 5 Salì fino al mio piano e cercai di fare il più silenziosamente possibile mentre entravo in casa e mi sfilavo le scarpe.

Camminando per la casa al buio capì subito che mia madre non c'era perché  mio fratello si era addormentato con la luce accesa.
Spensi la luce e mi diressi prima nella mia camera, per prendere tutto il necessario, e poi  in bagno dove aprì l'acqua calda che cominciò a riempire la vasca. Quando arrivò quasi fino all'orlo, la chiusi e mi ci immersi completamente. Cominciai a giocare con l'acqua come una bambina, ma non mi sentì una scema nel mentre, feci diverse immersioni, mi districai i capelli e accarezzai le braccia.
Poi mi abbracciai, poggiando il mento sulle ginocchia e mi specchiai nella manopola argentata della vasca di fronte a me ricordandomi di quando ero bambina e facevo la stessa identica cosa. L'unica differenza era che quando ero piccola era mia madre a prepararmi il bagno e ad aiutarmi a lavarmi, mentre ora, in teoria, non potevamo farci il bagno perché avremmo consumato troppa acqua inutilmente.
In pratica io lo facevo lo stesso, di nascosto.

Mi concedevo un bagno, al posto della doccia, quando ne sentivo davvero la necessità. Diedi un occhiata all'orologio.
Le 03:26 e il giorno dopo (o meglio fra poche ore) sarebbe iniziato il primo giorno di scuola. L'estate era ufficialmente finita per me.
Come avrei fatto a sopravvivere alle sei ore di scuola che mi aspettavano senza dormire sul banco?! Magari saltando l'assemblea di inizio anno avrei potuto farmi una mezz'oretta di sonno.
Lo avrei scoperto solo l'indomani.

Uscì dalla vasca, avvolsi i capelli in un turbante e mi tamponai con l'asciugamano il corpo. Poi mi asciugai i capelli con il phone cercando di metterci più buona volontà e attenzione del solito (dato che non avrei avuto tempo di usare la piastra) e proprio mentre avevo quasi finito sentì la chiave nella toppa.
Chiusi subito l'asciugacapelli e diedi un'occhiata alla vasca, che si era svuotata completamente, mentre con una mano presi i vestiti e le ciabatte e con l'altra spesi la luce.
La mia camera era attaccata al bagno quindi mi bastò fare cinque passi in punta di piedi. Mentre sentivo mia madre togliersi le scarpe, gettai i vestiti sulla poltroncina proprio mentre lei faceva cadere la borsa a terra, e posai le ciabatte piano mentre mi infilavo nel letto e pronta a far finta di dormire.
Doveva aver comunque sentito le lenzuola spostarsi perché sussurrò
-"Ale?", mio fratello si svegliava sempre quando tornava o addirittura l'aspettava sveglio.
-"No sono io."dissi fingendo di avere la voce impastata dal sonno.
-"Sono la mamma amore, torna a dormire.", mi disse dandomi una carezza.
Le uniche dimostrazioni d'affetto che mi concedeva erano mentre dormivo.
Rimasi immobile mentre lei cercava di fare piano. Un secondo prima ero talmente sveglia che non sapevo cosa fare per addormentarmi un attimo dopo ero già nel mondo dell'incoscienza.

Quando la sveglia iniziò a suonare mi sentivo come se avessi appena poggiato la testa sul cuscino e questa sensazione unita alla consapevolezza che dovevo andare a scuola mi fece alzare di malumore. Quando però andai in cucina e trovai la colazione pronta mi scappò un sorriso.
In genere ero io ad alzarmi per prima e a chiamare mio fratello. Quel giorno fu il contrario.
-"Buongiorno.", mi disse Ale, mentre si alzava dalla sedia e usciva dalla cucina.
Non risposi, ma gli sorrisi. E lui capì che avevo apprezzato il gesto.
La colazione riusciva sempre a mettermi di buon umore. Quindi quando mi alzai dalla tavola, anche se ero consapevole del mio ritardo, mi sentivo totalmente ripresa.
Nel corridoio incrociai Ale già in uniforme e pronto ad uscire.
-"Sei in ritardo", mi disse senza alzare gli occhi dallo schermo del telefonino. -"Ci vediamo stasera"e uscì di casa.

Corsi verso il nostro bagno e mi cominciai a lavare freneticamente il viso e i denti. Poi mi guardai allo specchio, presi il pettine e riuscì ad ottenere un risultato soddisfacente. Non avevo i capelli lisci come sempre, ma con delle leggere onde che non erano niente male se si ignorava il crespo. Poi aggiunsi un po' di correttore sotto gli occhi per coprirmi le occhiaie, misi l'eye-liner e il mascara e uscì dal bagno mentre calcolavo il percorso che avrei dovuto fare.
Non mi misi l'uniforme, ma la tuta e uscì di casa. Di solito dovevo fare un tratto a piedi e poi prendere l'autobus per raggiungere la scuola.
Ma avevo perso l'autobus quindi mi sarebbe toccato camminare, o meglio correre.
Nessun problema. Mi stavo già infilando le scarpe da ginnastica e scattando fuori di casa.

Arrivai solo con 10 minuti di ritardo. A cui se ne aggiunsero altri 5 perché invece di dirigermi subito in classe dovetti andare in bagno a cambiarmi. Uscita incontrai la bidella Maria, che mi disse che ero in ritardo, con il suo solito sorriso affettuoso.
-"Come sempre." le risposi camminando al contrario verso la mia classe, per sorriderle sincera e farle un saluto con la mano, riprendendo con lei quel l'atteggiamento cameratesco che si era interrotto con l'estate.
Entrata in classe la professoressa mi guardò disgustata
-"Artesi. Cominciamo bene. Il primo ritardo dell'anno....Ce l'hai il permesso del preside?"
-"Non mi ha visto." risposi.
Certo non mi avrebbe potuto beccare neanche volendo.
Ero passata dal retro, prendendo le scale secondarie.
-"Va bene. Per oggi sarò buona. Vatti a sedere."
Occupai l'unico posto vuoto rimasto. Per raggiungerlo dovetti attraversare tutta l'aula.
Primo posto davanti a destra , vicino alla finestra.
Per fortuna il mio compagno mi piaceva. Il ragazzo teneva il cappuccio della felpa nera calato sulla testa e  la testa poggiata sulle braccia incrociate.
Un -"Che cosa ti è successo?" sonnacchioso mi raggiunse da sotto il cappuccio. Girò piano la testa per osservarmi.
-"Nulla. Vince, tipico ritardo." gli risposi con un sorriso d'intesa.
Lui mi sorrise di rimando e si rintanò di nuovo fra le braccia.

Tentai di girarmi per vedere con chi condividevo quella lezione di inglese, ma la professoressa mi marcava stretta, così passai il resto della lezione ad annuire interessata e a prendere inutili appunti. Al suono della campanella tutti scattarono in piedi non volendo tollerare un secondo di più con un essere così maligno e vendicativo: la Morelli. Vincenzo mi afferrò lo zaino prima che riuscissi a mettere tutti i quaderni dentro e uscì fuori lanciandomi un sorriso furbetto.
-"No, ti prego." lo implorai  frustrata in un sussurro.
Cosè tutta quella voglia di giocare di primo mattino?!
 Lo seguì fuori dalla porta per riprendermi la cartella.  Fuori dalla porta mi prese e mi stritolò in un abbraccio facendo cadere lo zaino ai nostri piedi.
-"È questo il modo di salutare un vecchio amico dopo un'intera estate?!"
-"Va bene, va bene" dissi con davvero poco entusiasmo. -"Anche tu mi sei mancato."ammisi più accondiscendente.
-"Così mi piaci" disse lui e finalmente mi lasciò.

Vincenzo, detto Vince, era un ragazzo alto e magro, con le braccia e le gambe così lunghe che sembravano essere fuori dal suo controllo quando si muoveva.
Era conosciuto per il suo cacciarsi sempre nei guai, e famoso per il suo riuscire sempre a farla franca, ma ancora di più, temuto, per la sua aria losca da poco di buono.
Per questo motivo non aveva molti amici. O meglio, tutti lo conoscevano, lo invitavano alle feste, gli chiedevano favori, ma nessuno voleva frequentarlo più del dovuto. E lui stesso si faceva avvicinare solo da chi gli stava a genio e con un solo sguardo allontanava e intimoriva tutti gli altri.
Io e lui eravamo amici dal primo anno. Prima che diventasse alto un metro e ottantacinque e così propenso alle stronzate.
Quando eravamo entrambi due emarginati che non c'entravano nulla in quel posto.
Poi lui si era fatto strada a forza nel gruppo "in". Il suo biglietto d'ingresso: la droga e il contrabbando di cose "particolari" e introvabili.
Non appoggiavo le sue scelte ma era mio amico e gli volevo bene. Era grazie a lui se ero sopravvissuta alle noiose lezioni degli anni precedenti. Per fortuna finivamo spesso insieme nei corsi e nonostante non fossimo mai stai compagni di banco (fino a quel momento), ci mettevamo comunque sempre vicini. Spesso lui dietro e io davanti. Io lo coprivo mentre dormiva o mentre progettava qualcosa di illegale e lui mi suggeriva le risposte molto difficili dei compiti che dovevamo sostenere e mi faceva schiattare dal ridere. Io non ridevo facilmente, le cose stupide, (stile torte in faccia e cadute spettacolari) non mi facevano dirvertire. Ridevo per la sottigliezza delle battute, per il sarcasmo e l'ironia celate, per la satira. Ma quando Vince apriva bocca ero già con il sorriso stampato in faccia.

Aveva questa capacità di farmi ridere fino alle lacrime che mi spaventava e mi aveva già cacciato in non pochi guai. Forse per quel suo misto di faccia tosta, sorriso furbo e sguardo vispo accompagnato alla sul acume tagliente e il suo essere un bravo oratore. Vince era davvero intelligente.
Quel tipo di intelligenza che ti permettere di leggere una  qualsiasi informazione per averla già immagazzinata nella memoria, lui non aveva bisogno di studiare per ore sui libri. Tutti noi dovevamo essere bravi per andare ad una scuola del genere, ma lui era davvero molto bravo. Ed era forse anche per questo che i prof lo odiavano e si accanivano così tanto su di lui. Non potevano concepire una persona come Vince, un "figlio di nessuno", che andasse così bene a scuola. Lo interrogavano, gli devono "compiti speciali" a parte (affinché lui non potesse copiare), lo torchiavano stretto aspettando il minimo passo falso, ma lui non cadeva. Aveva anche un fratello, che veniva con noi a scuola. Ma di lui parlerò dopo.
-"Devo andare Cass. Faccio tardi a lezione."
Si piegò su di me, mi strinse la mandibola fra pollice e indice e ruotandomi la testa di lato mi schioccò un bacio sulla guancia.
-"Aia", feci finta di lamentarmi mentre lui, ignorandomi, si stava già allontanando con le sue lunghe falcate.

Nelle successive lezioni finì in classe con ragazzi e ragazze che già conoscevo, ma non vidi nessun volto amico.
Al suono della quarta campanella ero così stanca (per la notte passata quasi insonne), arrabbiata (per l'orario pressante che avevo dovuto seguire) e delusa (perché non avevo ancora visto nessuna della mie amiche) che decisi definitivamente che mi sarei andata a nascondere e a dormire da qualche parte invece di andare all'assemblea.
   
 
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