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Autore: Cara93    24/02/2017    2 recensioni
Mycroft Holmes ha bisogno dell'aiuto di uno psicologo particolare per salvare la vita alla sua enigmatica e folle sorella. Riuscirà il dottor Cal Lightman nell'impresa?
P.S. Ho cercato di correggere la maggior parte degli errrori presenti nel testo, nel caso me ne fosse sfuggito qualcuno, me ne scuso.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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L'uomo scese dall'elicottero con passo sicuro, incurante dell'ora tarda, sistemandosi la coda del cappotto con uno scatto secco, il bastone nella mano sinistra. Due agenti in borghese o spie o qualunque misteriosa mansione svolgessero per lui quelle persone, lo scortavano a breve distanza. Salì sulla berlina che lo stava aspettando, diede all'autista l'indirizzo e si accomodò ad occhi chiusi sul comodo sedile di pelle. Sapeva dove stava andando, non gli interessava in paesaggio. Non gli interessava nessun paesaggio, in realtà. Per lui, una città valeva l'altra, un continente valeva l'altro. Raggiungere lo scopo che si era prefisso nel modo più semplice e pulito possibile era il suo unico pensiero e affrontare la persona che stava per incontrare era di sicuro il mezzo più sicuro e semplice anche se forse non il più pulito. Finalmente l'autista parcheggiò e lui si trovò davanti una graziosa e semplice villetta. Contemplò la casa per un istante e si trovò a pensare che rappresentava chi ci viveva, o meglio, rappresentava il desiderio di chi ci viveva, perchè sapeva che tutto, nella vita di quella persona, non era andato esattamente secondo le aspettative. La conosceva da molto e rappresentava una parte importante e dolorosa del suo passato. Ma non era lì per questo. Non voleva riallacciare rapporti o chiedere scusa. Aveva un obbiettivo ben preciso. Ed era disposto ad affrontare le sue paure più oscure pur di raggiungerlo. Bussò tre colpi alla porta di legno con il pomo del bastone , poi aspettò, impettito, lo sguardo rivolto all'aiuola vicina. Sentì i catenacci scorrere, la maniglia ruotare e già immaginava l'espressione sorpresa che lo attendeva dietro la porta. Ai suoi occhi attenti, non passò inosservata la pulizia e la cura del giardino sul davanti della casa, la perfezione del vialetto bianco, così... americano, non sapeva con quale altro aggettivo descriverlo; o meglio, lo sapeva, ma quella semplice parola bastava ad esprimere il concetto elaborato dal suo cervello: la perfetta casetta dallo steccato bianco, con la perfetta famiglia felice. Al rumore della porta, alzò lo sguardo, incontrando quello sorpreso della donna.
-Mycroft, che sorpresa!- esclamò questa.
-Ciao Gillian. Ti trovo bene- le rispose.
-Sì, grazie... anche tu. Cosa ti porta qui a Washington? I soliti loschi affari con la Casa Bianca, immagino- parlò, facendogli cenno di entrare. Mycroft Holmes non si fece pregare. Solcò la soglia della perfetta casa americana nella periferia della capitale, poi si voltò verso di lei. Era abbronzata, alta e flessuosa come la ricordava. Portava i capelli biondo scuro tagliati alle spalle, i grandi occhi chiari stanchi e tristi. Sapeva che ora viveva sola e poteva supporre che la tristezza derivasse dalla fine del suo matrimonio. Era in tenuta da camera, ovviamente. Solo gli irresponsabili e gli stackanovisti erano svegli a quell'ora di un giorno feriale. Gillian si portò una ciocca della scompigliata chioma dietro l'orecchio, lo accompagnò nella sua funzionale cucina e, quando fu seduto gli offrì un caffè, scusandosi di non avere del tè decente in dispensa. Era una situazione strana, quasi surreale. Gillian non immaginava di trovare proprio quell'uomo alla sua porta, l'unica sua certezza era che, se Mycroft Holmes si era recato a casa sua, non si trattava di una visita di cortesia. Mycroft Holmes non conosceva la cortesia e di sicuro, non sarebbe andato a trovarla di proprio volontà, per diletto. Aspettò che l'uomo finisse di sorseggiare il caffè che gli aveva preparato.
-Come mai sei qui, Mycroft? Dopo tutto questo tempo...- chiese dolcemente. Il tono di quella domanda quasi fece desistere il suo interlocutore, ma la sua missione era troppo importante.
-Ho bisogno del tuo aiuto, Gillian Foster. O meglio, di quello del tuo socio-
-Si tratta di un caso di sicurezza nazionale?- la voce di Gillian si fece improvvisamente fredda, mentre attendeva la risposta dell'altro.
-No. Si tratta di una questione... di famiglia-

Un paio di settimane dopo, il dottor John Watson si trovava nel palazzo che ospitava l'appartamento che era tornato a condividere con Sherlock Holmes, al 221B di Baker Street, intento a disquisire con la signora Hudson di poppate e pannolini. La piccola Rosie era ormai la sua unica gioia e, a quanto sembrava, anche quella del suo amico. Mentre la vecchia proprietaria borbottando si diresse in cucina a scaldare il latte della piccola, John salì da sua figlia, che aveva momentaneamente lasciato nelle mani del brillante detective. Quando aprì la porta, superato il primo attimo di stupore, si armò di cellulare e scattò una foto: non capitava tutti i giorni di vedere il grande Sherlock Holmes con una bambina in braccio, intento a leggerle una fiaba. Sentendo il rumore dello scatto, Sherlock si voltò, lo sguardo accigliato.
-Non credevo fossi diventato uno di quegli idioti fanatici che fotografano ogni cosa passi loro di fronte, John- lo apostrofò. Quasi accorgendosi che l'attenzione dell'uomo era stata distolta dalla storia, la bimba emise un verso di protesta, sottolineato dall'agitarsi dei minuscoli pugnetti.
-Solo è strano vederti... così- rispose John, avvezzo ai modi ruvidi dell'amico.
-Così come?-
-Così... affettuoso, direi-
-Stavo facendo un esperimento, John- esclamò, come se fosse ovvio.
-Ah, sì? E quale sarebbe lo scopo dell'esperimento?-
-Capire quanto influisca la musicalità della parola rispetto al significato della stessa, all'orecchio umano. E chi, più di un infante, può aiutarmi in questo?-
-Un esperimento sulla musicalità della parola, certo- dal tono era evidente che non ci credeva.
-Devo passare al Bart's per un caso- esclamò, poi l'investigatore, alzandosi velocemente dalla poltrona che occupava e porgendogli Rosie, che gorgogliava indignata.
-Sì, certo... per un caso- borbottò John Watson, nello stesso tono di prima, mentre Sherlock prendeva cappotto e cappello dirigendosi verso la porta, che si spalancò quasi da sola, con perfetto tempismo, lasciando entrare Mrs Hudson con un biberon tra le mani. L'investigatore la sorpassò, scese velocemente le scale e sbattè il portone, mentre John, ringraziata Mrs Hudson, si apprestava a dare a Rosie la sua poppata.
-Sa dove sta andando, dottore?- chiese la governante.
-Al Bart's, per un caso-
-Per un caso, eh?- chiese la donna, con lo stesso tono poco convinto che aveva usato lui poco prima.
-Così dice lui, almeno- sospirò John. Allontanò il biberon dalla bocca della bimba, poi le accarezzò la guancia paffuta con un dito.
-Certo che tu, piccolina, sei già una seduttrice- mormorò
-Non crede che sia un po' presto per dirlo?- lo guardò in tralice la donna. Watson le porse il cellulare con la fotografia incriminata e dopo qualche istante Mrs Hudson scoppiò a ridere, deliziata.

Non aveva un caso da seguire, John aveva ragione. Voleva solo passare da Molly e provare, come faceva tutti i santi giorni dopo quella maledetta telefonata. Sapeva di averla ferita, come sapeva che averla ferita aveva cambiato impercettibilmente lui. Quello che non sapeva era come chiederle scusa. Il loro rapporto era giunto ad una strana impasse che, forse qualche anno addietro avrebbe ritenuto l'ideale, ma che ora lo logorava. Molly quasi non gli rivolgeva la parola, se non per motivi professionali o per chiedergli di John e della piccola. Non si interessava più della sua vita, non lo guardava più ammirata dopo che aveva risolto brillantemente un caso. Anzi, non le interessavano neppure più i suoi casi, non gli chiedeva più spiegazioni, aspettava che fosse Lestrade a tirare le conclusioni del mistero. Lo sapeva perchè l'aveva seguita, una sera e l'aveva vista andare alla stazione di polizia e discutere con il detective ispettore. Non lavoravano più fianco a fianco, spesso gli lasciava la cartellina con i risultati degli esami che aveva richiesto o lo lasciava da solo nel laboratorio, andando ad occuparsi di altro e se tardava, invece di aspettarlo, come faceva di solito, gli lasciava una copia delle chiavi del Bart's sul bancone vicino alla porta. Tutti i giorni andava nel regno di Molly con lo scopo di spiegarle e chiedere scusa, tutti i giorni tornava indietro senza averle detto nulla, se non banali convenevoli. 
'Forse oggi è la volta buona' pensò, come tutti i giorni, una volta spinto il maniglione anti-panico. 'Sì, oggi ce la farò'. La prima cosa che notò fu che Molly aveva qualcosa di strano, poi, dopo una seconda occhiata, registrò meglio l'informazione: era truccata e sotto il camice, al posto dei suoi orrendi maglioni informi, indossava un vestito. Poi notò che non portava i capelli raccolti nella sua abituale e pratica coda bassa, ma che erano acconciati in un delizioso chignon. Da queste valutazioni dedusse che Molly aveva un appuntamento galante. Il pensiero gli fece digrignare i denti e allargare le narici. Il tutto, reazione compresa, durò solo un secondo, l'istante prima che Molly si accorgesse della sua presenza e si voltasse verso di lui.
-Sherlock, non pensavo di vederti, oggi- commentò, pacata.
-Speravo che gli esami che avevo richiesto stamattina fossero pronti- rispose lui, non aveva richiesto nessun esame, ma c'era sempre qualche analisi in attivo in un laboratorio.
-Avresti potuto mandarmi un messaggio o una mail. Ti saresti risparmiato il viaggio, specie con questo tempo-
-Non importa, grazie lo stesso, Molly- lui, perso nei propri pensieri non si era neppure accorto della pioggia che cadeva fitta, quella sera. Avrebbe dovuto passare nel pomeriggio, ma aveva ricevuto dei clienti e aveva intrattenuto la figlia di John, oltre a tentare di preparare un discorso, perchè sentiva che quella era l'ultima sera. Se non fosse riuscito a parlare, si sarebbe arreso. Non era solito procrastinare, ma non riusciva ad affrontare una conversazione importante con Molly Hooper e la cosa lo infastidiva. Così, finalmente, dopo due mesi da "Il Problema Finale", come lo avrebbe intitolato Watson, se avesse potuto darne il resoconto per il suo blog e come lo aveva archiviato nel suo palazzo mentale, aveva deciso di concludere la faccenda. Doveva chiarire con Molly, ma vederla così diversa aveva fatto fuggire le parole. Anche quella sera, come i giorni precedenti, Sherlock aveva capito che non sarebbe riuscito in quell'impresa. Ancora. Solo che non ci avrebbe riprovato più. Per la prima volta nella vita, lui, la definizione di "sociopatico iperattivo", aspettava passivamente lo svolgersi degli eventi, sperando che, prima o poi, sarebbe riuscito a rimettere le cose a posto.

-Sei molto carina, stasera- le aveva fatto un complimento ed era imbarazzato. 'Com'è dolce, le rare volte in cui è in imbarazzo' pensò Molly. 'Maledizione, quanto sei idiota, Hooper. Ricordati quello che quel dolce cucciolo ti ha fatto' si corresse, poi. 
-Grazie- si voltò per nascondere il rossore che le aveva procurato un complimento fatto da lui agli occhi dell'acuto detective.
-Devi andare da qualche parte?- chiese poi Sherlock, con finta indifferenza.
-Ho un appuntamento- rispose, confermando la deduzione dell'uomo.
-E chi è il fortunato?-
-Oh, si chiama Arthur... l'ho conosciuto per strada- Sherlock alzò un sopracciglio, mentre il rossore sulle gote di Molly si accentuò -oddio, povera me, detto così è terribile... ero per strada, dovevo attraversare, ma ero immersa nei miei pensieri e non mi sono accorta che era scattato il rosso. Per fortuna, Arthur era lì e ha evitato che mi investissero-
-Che atto eroico- mormorò, ironico.
-Come, scusa?-
-Niente. E com'è questo Archie?-
-Arthur. Lui è... carino-
-Solo carino?- il detective abbassò la voce, riducendola ad un sussurro sensuale e le si avvicinò, quasi sfiorandola.
-Emmm... io... io... devo andare- con uno scatto, Molly Hooper si allontanò dall'uomo che negli ultimi tre anni aveva monopolizzato i suoi pensieri e che l'aveva ferita nel profondo più e più volte, si infilò il cappotto, prese l'ombrello e lasciò Sherlock da solo. In un moto di rabbia, lui colpì con il pugno il bancone del laboratorio e si precipitò fuori, dietro una delle donne più importanti della sua vita.

Due giorni. Sono passati due giorni da quella disastrosa serata al Bart's. E sono due giorni che Sherlock non cerca più Molly Hooper. John sapeva della relazione di Molly prima che Sherlock lo scoprisse. La donna si era confidata con lui poco tempo prima e sapeva che alla patologa non interessava quel tizio, era solo un tentativo disperato di dimenticare Sherlock, considerato che non poteva perdonarlo. Non sapeva se rivelarlo al detective oppure no, alla fine decise di aspettare e valutare la reazione dell'amico. Dopo due giorni dalla scoperta, il suo amico era più impenetrabile che mai e questo riusciva a confondere persino la persona più vicina a quel caso umano che era il detective di Baker Street.

Il giorno dopo, stavano intrattenendo un cliente, un ometto malaticcio e completamente ottuso che si era rivolto a loro per cercare i pochi parenti rimasti a tre ragazzini orfani sotto la sua tutela e che sembravano perseguitati dalla sfortuna. Durante il colloquio, il telefono di Sherlock squillò, ma l'uomo, vedendo sul display il nome del fratello, ignorò la chiamata. A pochi secondi di distanza, quando il cellulare di Sherlock si spense, il telefono di John prese vita e sul display, ancora, capeggiava il nome di Mycroft. Se il maggiore degli Holmes insisteva, doveva essere per un motivo grave. Scusandosi con il signor Poe, il loro potenziale cliente, si ritirò per rispondere.
-Buongiorno, Mycroft. Cosa vuoi?-
-Santo cielo, è così difficile rispondere velocemente ad una chiamata?-
-Ripeto: cosa vuoi?-
-Dì a Scherlock che passerò da voi tra mezz'ora-
-Perchè?-
Come risposta, ottenne il bip della chiamata chiusa. Con un sospiro, si apprestò a decidere come dare la notizia a Sherlock.

-Cosa ci fai a casa mia- lo accolse il fratello minore.
-Sto bene anch'io, grazie per averlo chiesto, fratellino. E sì, mi farebbe piacere una tazza di tè, ma non possiamo indugiare in convenevoli perchè abbiamo fretta- rispose Mycroft Holmes, con una certo sarcasmo nella voce.
-Noi? Io non ho fretta-
-Ma l'avrai-
-Cosa ti porta qui, Mycroft?- chiese John, intrufolandosi nella conversazione tra gli Holmes.
-Una questione di famiglia-
-Un altro fratello segreto?- domandò ironicamente il dottore.
-Divertente, dottor Watson, davvero. Ma no, si tratta di Eurus-
-Cosa ha fatto?- chiese ancora John, mentre Sherlock lo fissava, rigido e pallido in volto.
-Niente. Il Primo Ministro ha in programma un disegno di legge che presto, se accolto e ho motivo di credere che sarà così, farà chiudere Sherrinford. Non è ancora chiaro come gli ospiti saranno sistemati, dopo la chiusura, ma fonti attendibili mi hanno anticipato che i più pericolosi verranno... eliminati-
-Eliminati?- chiese ancora John.
-Come?- intervenne, allora, Sherlock.
-Non lo so, ma temo il peggio. Ho già ucciso mia sorella per finta, non vorrei farlo per davvero, questa volta-
-Cosa facciamo?-
-Facciamo, dottore?- Mycroft inarcò un sopracciglio, quasi con disprezzo.
-Senti, ho conosciuto i vostri genitori, li ho visti qualche tempo dopo la tua rivelazione sulla figlia che credevano defunta e, credimi, erano distrutti. Qualunque cosa possa fare per loro, la farò volentieri-
-Ha ragione, dobbiamo salvarla. Se non per noi, per mamma e papà- I due fratelli si guardarono negli occhi, tra loro passarono più emozioni in quei pochi istanti che in tutta la loro vita insieme. Dolore, senso di colpa, rimpianto, rimorso, inadeguatezza, tristezza, risolutezza e determinazione. Poi distolto lo sguardo da quello azzuro del fratello, Mycroft riprese con le spiegazioni.
-Ho già trovato qualcuno che potrebbe fare al caso nostro. Ha solo bisogno di interagire con Eurus, ma considerato che comunica solo tramite quel dannato violino, ho bisogno del tuo aiuto, Sherlock-
-D'accordo. John, però, verrà con noi-
-Ovviamente-
Uscirono dall'appartamento e salirono sull'auto predisposta dal maggiore degli Holmes.
-Stiamo tornando a Sherrinford, cosa ci dice il cervello- borbottò John.
-Veramente, dottore, faremo una deviazione a Heathrow-
-All'aeroporto? Perchè?-
-Dobbiamo andare a recuperare quel famoso qualcuno, John- gli rispose Sherlock, distrattamente.

L'aeroporto era, come sempre, affollato e il parcheggio limitrofo gremito di automobili abbandonate a loro stesse per chissà quanto tempo. Grazie alle sue credenziali, l'autista parcheggiò in un'area riservata e aprì le portiere per permettere ai suoi passeggeri di scendere. Poco lontano, una coppia saltò all'occhio del detective. Sembrava stessero aspettando qualcuno, lui teneva la maniglia di una minuscola valigia, mentre lei si guardava intorno, agitata.
-Presumo che quelli siano i tuoi ospiti, Mycroft- indicò la coppia al fratello. Lei era la donna che aveva incontrato quella famosa notte, Gillian Foster, bella come poco tempo prima oltre che affascinante e professionale nel suo completo antracite. L'uomo al suo fianco, che presumeva essere il suo socio, Cal Lightman, aveva un aspetto particolare. Era più basso della donna, impressione accentuata dal fatto che lei portava i tacchi, indossava un completo raffazzonato alla meglio, aveva un accenno di barba rossiccia e gli occhi chiari, il naso importante, mento sfuggente, non particolarmente bello. I tre si avviarono in direzione della coppia.
-Lei dev'essere il dottor Lightman- esordì Mycroft, il cui doppiopetto fronteggiava la testa del suo interlocutore.
-Sì. E lei dev'essere l'idiota del governo di cui mi parlava Foster- interruppe la risposta seccata dell'altro con: -Sono sicuro che è lei, ha la faccia da idiota.-
-Sì, sono io- Mycroft si impettì ancora di più, mentre alle sue spalle, suo fratello e John Watson trattenevano a stento una risatina. -Questi sono mio fratello Sherlock e il suo amico, il dottor John Watson-
-Bene, visto che vi siete conosciuti, io vi lascio- parlò Foster, completamente in imbarazzo, dopo averli studiati sospettosa. -Tu- disse poi rivolta al collega, puntandogli contro il dito -non fare niente che io non farei-
-Ti prometto che farò il bravo, tesoro- giurò Cal, baciandosi i due indici incrociati, a mo' di gesto rafforzativo. Foster scosse la testa, ma non disse nulla. Lo sguardo di Mycroft si fece ancor più freddo e pieno di disprezzo. Il rumore di un trolley a poca distanza da loro, li distrasse: una ragazzina, piuttosto esile, dalla pelle sorprendentemente pallida, gli occhi scuri e i capelli rossicci, inseguita da un uomo piuttosto giovane, dai ricci capelli scuri e un' accenno di barba, si diresse verso di loro. Con un impeto che sorprese tutti, abbandonò il trolley e si slanciò tra le braccia di Lightman.
-Emily, dovresti essere su un taxi diretta a Exeter- borbottò Cal, tra i capelli della figlia.
-Scusa papà, ma non credo sia una buona idea lasciarti da solo- rispose, districandosi dall'abbraccio.
-Come è stata una buona idea lasciarti con Locker, a quanto vedo- mugugnò l'altro.
-Scusami, Cal. Solo che...- iniziò l'uomo alle spalle della ragazzina, visibilmente imbarazzato
-Ti avevo affidato mia figlia, Locker. Siamo appena atterrati e tu l'hai già persa di vista-
-Oh, non prendertela con lui, papà. Volevo solo provare a farti cambiare idea-
-Non verrai con me in un manicomio criminale-
'Manicomio criminale è un eufemismo', pensò Sherlock, mentre padre e figlia continuavano a battibeccare tra loro. John li fissava, affascinato, al contrario di Mycroft che sembrava alquanto seccato della perdita di tempo.
-Quindi dovrei andare a Exeter, dalla prozia Gloria?-
-Sì, visto che eri così decisa a venire in Inghilterra, con me-
-Tu avevi detto Londra-
-E tu saresti dovuta andare a Chicago da tua madre. Ti ricordo, figliola mia adorata, che la tua presenza qui è solo frutto di un bieco ricatto-
-Ricatto... io la definirei una risposta logica ad un problema difficilmente risolvibile-
'Sveglia, la ragazzina' pensarono all'unisono John e Sherlock.
-Vai con Locker, Emily- intervenne Gillian, con dolcezza. Emily esitò.
-Promettimi che non ti farai sparare o accoltellare- chiese, poi, rivolta al padre.
-Farò del mio meglio- 
La ragazzina si girò verso Gillian, speranzosa.
-Mi dispiace, Emily. Io sto per tornare a Washington, non resterò qui. Ma queste persone- e indicò i fratelli Holmes e il dottor Watson -faranno sì che a tuo padre non accada niente di male- 
Emily si prese un istante per studiare i tre uomini. Uno era alto quanto suo padre, i capelli grigi, lo sguardo caloroso. Quello più vicino a Lightman e a Foster era vestito elegantemente, portava un bastone da passeggio e aveva uno sguardo freddo e impenetrabile. L'ultimo era il più giovane, il più alto e il più ricciuto dei tre, ma qualcosa, nella sua postura la attrasse. Si avvicinò a lui e lo scrutò attentamente. Sherlock si trovò stranamente a disagio sotto l'esame di quegli enormi occhi scuri, lui che non era mai a disagio di fronte a niente e a nessuno.
-Faccia in modo che a mio padre non succeda nulla- gli chiese.
-Lo farò- promise il detective. Emily sospirò, poi si rivolse a Locker che la stava aspettando a poca distanza.
-D'accordo. Eli, andiamo-
-Locker- Lightman richiamò il suo assistente -se succede qualcosa a mia figlia, ti spacco le gambe- minacciò dolcemente. Eli Locker rabbrividì ed Emily se ne accorse:-Stai tranquillo, Eli. Sta solo mostrando i muscoli, un po' come fanno i gorilla della tua ricerca-
-Hai letto il mio studio?- domandò l'uomo, sconcertato.
-Certo, è sulla scrivania di papà-
-Quindi l'hai letto davvero?- rivolse la domanda a Lightman.
-Andiamo, Eli o rischiamo di perdere il treno per Exeter. Ciao papà, porterò i tuoi saluti a zia Gloria, tranquillo-

-Interessante- borbottò Lightman, dopo aver salutato la figlia per l'ultima volta. 
-Andiamo, dottore. Il viaggio è lungo e la persona che dovrà visitare... beh, è il caso più complicato che le sia mai capitato tra le mani- detto ciò, Mycroft incoraggiò Cal a salire nell'elegante e spaziosa macchina.
-Se lo dice lei... Certo, però, che ve la passate bene... un'auto con autista, anzi una limousine-
-Non è una limousine- puntualizzò Mycroft, sempre sprezzante. Lightman aveva notato la reazione dell'uomo al saluto che lui e Foster si erano scambiati. Gelosia e noia. Una strana combinazione. Quegli uomini, tranne il dottor Watson, relativamente semplice da leggere, erano una sfida per le sue capacità e Cal Lightman amava le sfide. Una volta accomodati, l'uomo che gli era stato presentato come John Watson, medico militare, prese la parola per primo.
-Allora... chi è quest'uomo?-
-Non l'hai capito, John? Mi deludi... stavi facendo dei passi da gigante, ma chissà perchè, ogni volta che fai progressi, chiedi sempre qualcosa che ti riporta al punto di partenza- commentò Sherlock, distratto.
-Allora dimmelo tu- gli rispose piccato il dottore.
-Quest'uomo, Cal Lightman, è uno psicologo, probabilmente di fama mondiale. Ha origini inglesi, anche se il tempo passato fuori dal Paese ha imbastardito il suo accento, in un modo abbastanza sgradevole, aggiungerei. Ha lavorato per il governo, sia per il nostro che per quello statunitense, anche sotto copertura, ma questo avveniva molto tempo fa. Ora è un consulente privato-
-Sai dire quali fossero le sue mansioni, all'epoca in cui lavorava per il governo?- domandò Mycroft, sfidandolo.
-Immagino che tu lo sappia... probabilmente, dato il suo aspetto, la sua età e il lasso di tempo passato dalla collaborazione governativa alla sua attuale occupazione, direi nei favolosi anni '80, quando la Corona era minacciata dai terroristi dell'IRA-
-Complimenti, signor Holmes- sorrise Lightman, senza tuttavia mostrare alcun segno di stupore.
-Non vuole sapere come ho fatto a capirlo?- chiese Sherlock, indispettito. Non sopportava quando il suo pubblico non esultava pieno di stupore.
-A dire la verità, no. Avrà dedotto che sono uno psicologo per via della destinazione del nostro viaggio, immagina che abbia una certa fama, dato che mi ha assunto suo fratello, che immagino sia piuttosto esigente; il mio accento, beh, ha potuto ascoltarlo; sono stato contattato da suo fratello, che lavora per i servizi segreti inglesi, quindi, non è errato presupporre che abbia sentito parlare di me tramite qualche conoscenza in comune o dei contatti del suo giro; siete dovuti venire all'aeroporto, perciò il mio lavoro non è più quello di prima e non ho più le credenziali governative per accedere a certe aree senza autorizzazione: ergo non lavoro più per il governo; capito questo, dedurre la natura del mio lavoro per i servizi inglesi, non dev'essere stato difficile-
John li fissava a bocca aperta, Sherlock sorrise a sua volta e accennò un leggero inchino alla volta dell'altro, Mycroft continuava a fissarlo, sempre più torvo.
-D'accordo, dottore. Può dirci, allora, perchè mio fratello l'ha assunta?-
-Sono uno dei massimi esperti di scienza comportamentale, di cinesica e linguaggio non verbale. Mi è stato proposto il caso di un ospite di un manicomio criminale che, dopo aver plagiato il personale dell'istituto e aver tenuto in scacco la polizia, si è rinchiuso in un mutismo assoluto. Il mio compito sarebbe quello di valutarne la pericolosità, presumo-
La ricostruzione di Lightman non era propriamente corretta, ma considerato la quantità di energie sprecate da Mycroft per coprire l'incidente ed evitare che a Eurus toccasse una sorte peggiore, nessuno si prese la briga di correggerlo.
-Quasi esatto, dottor Lightman- intervenne, allora, Mycroft -ma il suo compito non è dare una valutazione del soggetto. Il suo compito è quello di educarlo-
-Come, prego?- Lightman sollevò le sopracciglia e si sporse verso Mycroft, fissandolo negli occhi.
-Il soggetto è molto intelligente, non vedo come potrebbe essere altrimenti, ma la sua condizione non gli permette di provare sentimenti e di comprendere i comportamenti umani. Il suo compito è quello di insegnargli questo lato dell'umanità che gli è sconosciuto-
-Questo "soggetto" dev'essere molto importante per voi- commentò. Silenzio. Rotto solo dal rumore dell'auto e poi dalla voce di Sherlock Holmes.
-Il "soggetto" è nostra sorella minore, dottor Lightman- gli rispose.

-Si tratta di uno scherzo, vero? Ditemi che è uno scherzo!- implorò Watson dopo aver compreso il piano di Mycroft. -Rieducare quella psicopatica per farla integrare con la società è una follia!-
-La devo correggere, dottor Watson, ma con il soggetto giusto, potrebbe essere possibile- lo contraddisse Lightman. -Un gruppo di psicologi viennesi ha dato una nuova definizione "allargata", passatemi il termine, di psicopatia. Siamo tutti un po' psicopatici e solo l'apprendimento emotivo ha smussato questo nostro lato. Certo, esistono soggetti che, anche con le migliori intenzioni e le migliori cure non ottengono miglioramenti. Devo vedere la signorina Holmes, per capire se rientra tra questi o meno-
-E come intende fare?- chiese ancora.
-Devo prima vedere la signorina Holmes, per capirlo- ripetè, con un ghigno.
-Mio dio, Eurus è... quello che è. Nel migliore dei casi è pericolosa e voi volete prendere in considerazione l'idea di lasciarla vagare per la società!-
-Il nostro obbiettivo, mio e di mio fratello, John, è quello di farla ristabilire abbastanza, in modo che non venga catalogata come "eliminabile" dal governo- intervenne Sherlock, con calma studiata.
-Quindi il mio è un intervento d'emergenza...vi ringrazio della fiducia, signori, ma non è qualcosa che posso fare a breve termine. Ci vuole un lavoro lungo e protratto nel tempo e io ho una vita e un lavoro negli Stati Uniti, nel caso ve ne siate dimenticati-
-Se accetta, le assicuro che avrà tutte le agevolazioni necessarie- assicurò Mycroft.
-Non mi piace ripetermi, ma, come ho detto più di una volta, devo vedere la signorina Holmes, prima-
-E sia. Siamo quasi arrivati-  

Grazie a Mycroft, passarono velocemente le misure di sicurezza, inasprite dopo "l'incidente", come il nuovo direttore di Sherrinford soleva chiamare la loro più grave falla nella sicurezza. Secondo i loro accordi, Sherlock sarebbe sceso nelle viscere del carcere, dove soggiornava Eurus, come faceva una volta alla settimana da due mesi e mezzo a quella parte e si sarebbe comportato normalmente. Non avrebbe accennato nulla alla sorella, solo suonato per e con lei. Lightman, John e Mycroft avrebbero seguito l'incontro attraverso le telecamere di sicurezza, che ora si trovavano ad ogni angolo della cella, in modo da non lasciare alcun punto cieco in favore della prigioniera. Come sempre, Sherlock aspettò la fine della perquisizione delle guardie giurate, attraversò due porte composte da vetro antiproiettile e protette da sofisticati allarmi. Finalmente, la custodia del violino tra le mani, si trovò di fronte sua sorella. Eurus era come se la ricordava, come era sempre stata, da quando era rientrata nella sua vita. Eterea, quasi irreale. Portava la divisa bianca di Sherrinford, i capelli bruni crespi e indomabili, gli occhi due fanali azzurri in grado di leggere nel profondo dell'anima più nera, la pelle bianchissima. Timore e attrazione lo colsero, come sempre. Non provava affetto per Eurus, neppure quel sentimento contorto e complicato che provava per Mycroft, ma non avrebbe permesso che le facessero del male. Aveva sofferto troppo, la piccola Holmes, per colpa sua e per colpa del loro fratello maggiore. Sapeva di non poterla guarire, ma forse poteva darle la pace che il suo animo tormentato meritava. La osservò per un istante, gli mostrava il profilo affilato, mentre rivolgeva il proprio sguardo ad una delle telecamere. Sfilò il violino dalla custodia e cominciò a suonare. Sapeva che sua sorella non apprezzava i compositori classici e che voleva che fosse lui a comporre una melodia a cui, poi, lei avrebbe risposto. Il suono dello strumento riscosse Eurus dal suo esame minuzioso delle telecamere e si voltò verso il fratello. Poi, appena Sherlock appoggiò il violino gemello nel vano apposito, cominciarono il loro straziante duetto.

Un brivido passò sulle schiene di John e di Lightman guardando quegli occhi così immobili e vecchi. In quegli occhi, Lightman lesse una malinconia e un'intelligenza profonde e senza tempo. Era come incontrare lo sguardo di una creatura mitica e immobile. Quando la musica cominciò, Lightman prese possesso del telecomando che governava i monitor, senza chiedere il permesso, zoommò l'immagine fino a ingrandire il viso della donna su uno dei televisori, su un altro mantenne l'immagine a figura intera. Durante quel toccante duetto, l'espressione di Lightman si fece attenta e interessata più volte. Quando la musica finì e Sherlock ripose gli strumenti nella propria custodia, Mycroft fece per riprendersi il telecomando, ma lo psicologo, con un gesto lo fermò. La reazione di Eurus, che aveva appoggiato una mano sul vetro della sua cella, rimanendo immobile, straziante nella sua semplicità, convinse l'uomo ad accettare il caso. 

Sherlock si diresse verso l'ufficio del direttore, dove i suoi compagni si trovavano, incerto sul verdetto che di lì a poco avrebbe ricevuto. Era quasi certo che Eurus non avesse speranze. Quando entrò, trovò Mycroft e John intenti a fissare il dottor Cal Lightman che compulsivamente faceva partire spezzoni del colloquio appena registrato. Trovò una sorta di affinità con l'agitazione quasi ossessiva di Lightman, molto simile alla sua. 
-Allora?- chiese, entrando.
-Shhh... mi dia un attimo, signor Holmes- gli rispose l'eccentrico psicologo. 
-Quanto dovremo aspettare...- i modi di Lightman cominciarono a infastidire l'investigatore che tradì nel comportamento, solitamente sicuro, tutta l'impazienza che quella situazione gli faceva provare.
-Shhh... pazienza, signor Holmes- mormorò, quasi indifferente lo psicologo. John, notando l'occhiata assassina che il suo amico aveva lanciato alla volta di Lightman, non potè fare a meno di sorridere, ironico. 'Ecco, Sherlock. Visto cosa si prova a starti accanto?', pensò.
-Sono pronto- esclamò, dopo un paio di minuti Cal.
-Era ora!- esclamò Sherlock
-Deve scusare il mio impaziente fratello. Accetterà il caso?- chiese Mycroft, meno indispettito. 
-Ok, certo che accetto il caso-
-Allora, come intende procedere?- continuò il maggiore degli Holmes.
-Oh, non lo so. Temo che lo scoprirete man mano-
-Ma deve avere un piano...- ribattè stizzito Mycroft.
-No, a dire il vero non ce l'ho-
Mycroft si stava per gettare contro quell'irritante ometto, quando Sherlock lo fermò poggiandogli una mano sulla spalla.
-Scusi il mio pragmatico, fratello. Non riesce a concepire la poesia dell'improvvisazione. Proceda pure, dottor Lightman-
-Capisco. D'altra parte, è un idiota del governo- e scrollando le spalle, uscì, diretto verso la cella di Eurus.
-Io quello lo ammazzo!- ruggì Mycroft, iracondo.
-Aspetta almeno che curi Eurus, o che ci provi, perlomeno- tentò di rabbonirlo Sherlock.
-Mi dispiace intromettermi in questa scenetta familiare... ma dove sta andando?- domandò John, schiarendosi la voce.
-Non è ovvio, John? Da Eurus-

L'uomo superò le misure di sicurezza grazie al badge che aveva sottratto a Mycroft. Sapeva che gli Holmes si erano accorti del suo gesto, ma sapeva anche che lo avrebbero lasciato fare. Sherlock, il minore, aveva dato il suo benestare, ed era quello che importava. Da quando Emily si era rivolta al ricciuto detective, pregandolo di assicurarsi che non gli capitasse niente di male, Cal aveva studiato i tre uomini e si era convinto che l'istinto della figlia non era sbagliato: il leader di quello strano gruppetto era proprio Sherlock Holmes. Non gli interessava piacere alle persone, ma ora come ora, aveva bisogno dell'approvazione di quell'uomo. Finalmente raggiunse la prigione della donna. Si avvicinò al vetro e aspettò che Eurus si accorgesse della sua presenza. Non dovette aspettare a lungo. Gli parò davanti all'improvviso, certa di sorprenderlo. Si guardarono, occhi negli occhi. Trascorse un tempo che parve interminabile, poi, senza distogliere lo sguardo, rivolto alle telecamere, Lightman gridò:-Avrei bisogno di entrare e comunicare con lei di persona-
Dall'altoparlante, la voce di Mycroft rispose metallica e gracchiante:-Non se ne parla neppure!-
-Se vuole che proceda, devo entrare in questa cella-
-Lei non conosce...-
-Sì, sì conosco i rischi. Ora, però, apra questa cella-
Con uno scatto, si aprì un varco in cui Lightman entrò velocemente e altrettanto velocemente si richiuse non lasciando il tempo a Eurus di reagire.

-Eccoci da soli, dolcezza- esordì. Erano uno di fronte all'altro.
Moto di fastidio che non sfuggì all'occhio esperto di Lightman.
-Sono il dottor Cal Lightman e sono stato assunto dai tuoi fratelli per farti stringere un rapporto profondo con le emozioni umane e le loro rappresentazioni-
Sufficienza e disprezzo.
-So che è un argomento che non ti assorbe completamente, ma è l'unico modo per uscire nel mondo reale che, al momento, ti viene offerto-
Interesse.
-Se farai la brava, prima o poi, ti assicuro, dolcezza che potrai camminare per strada come tutti gli altri esseri umani. Però c'è una regola: dovrai fare come dico-
Cenno di assenso, smentito da un guizzo quasi impercettibile sulla guancia.
-No, no, dolcezza. Non ci siamo capiti. Non sono uno di quegli sciocchi burattini che manovri così facilmente. Dovrai convincermi. E ti assicuro, dolcezza, che non sarà un impresa facile-
Si guardarono a lungo, poi, con voce acuta, assente, quasi metallica, la risposta di Eurus non si fece attendere.
-Non sono la dolcezza di nessuno- 
-Bene, vedo che hai capito-

Appena sentì la voce di Eurus, Mycroft Holmes diede un sussulto così forte che persino John Watson, conoscitore superficiale dell'animo di quell'uomo così glaciale non potè nascondere la sorpresa.
-Bene, John. Direi che il nostro lavoro qui è terminato- Sherlock prese per un braccio il suo amico e, dopo la distratta risposta di Mycroft che li informava che un elicottero li stava aspettando, sparirono dalla sua vista. Il maggiore degli Holmes, il fautore di quel progetto di cui, paradossalmente, era il primo detrattore, si accomodò sulla poltrona del direttore di Sherrinford, il mento tra le mani, poi, dopo un attimo di esitazione, spense i monitor. Non voleva sentire ciò che sua sorella avrebbe confidato a quel ciarlatano, ma aveva imparato dai propri errori passati: una copia della conversazione sarebbe stata registrata e custodita nei meandri di quel carcere maledetto. 

-Fammi indovinare... è un'idea di Mycroft- continuò la donna, con la sua voce acuta e fastidiosa.
-In effetti, sì-
-Quell'imbecille pieno di boria e saccenza vuole controllarmi e usarmi, come ha già fatto in passato, mascherando le sua azioni dietro l'amore fraterno- Disprezzo e rabbia.
-Credo che sia un tentativo estremo di salvarti la vita-
-Oh, non credo proprio. A Mycroft non importa nulla di me, non gli è mai importato. Perchè credi che mi abbia seppellita quaggiù?- Rabbia, pura e semplice.
-Hai ucciso un bambino-
-Sì, ho ucciso un bambino. E allora?- Nessun segno di pentimento, solo stupore. Cal si accorse in quel momento, che la donna che aveva di fronte non conosceva la differenza tra bene e male, giusto e sbagliato, morale e immorale.
-La società in cui viviamo non vede di buon occhio chi uccide in generale, ma si arrabbia parecchio, soprattutto se la vittima è un bambino- commentò.
-Ah, già. La Mo/ra/li/tà- scandì le sillabe, come per imprimersele meglio nella memoria.
-Sì. Di solito funziona, per garantire la prosecuzione di una società- commentò ironico.
-Sai, mi piaci. Non sembra che la moralità, questa brutta malattia, ti abbia infettato- rispose, leggera, scostandosi da lui.
-La moralità infetta tutti, prima o poi, come l'affetto- ripose.
-L'affetto non mi ha mai infettata- rispose, storcendo il naso.
-Vedremo-
-L'offerta che mi proponi. Parlamene- disse poi, sedendosi con un movimento fluido ed elegante, come quello di tutti gli Holmes, sul pavimento della cella. Gli occhi chiari, spalancati, immobili, non smettevano di fissarlo. Cal sapeva che stava cercando di mettere in moto la sua magia. Non poteva permetterglielo. Si sedette a sua volta, con molta meno grazia della donna che aveva di fronte.
-Passeremo del tempo insieme, ti insegnerò a riconoscere e ti descriverò gli stati d'animo di una persona sulla base dei suoi atteggiamenti. Poi, quando sarai pronta, faremo un giretto assieme, fuori di qui-
-Quando sarò pronta?- domandò, innocentemente. Lightman non si fece ingannare. 
-Quando giudicherò che il tuo grado di empatia sia arrivato ad un livello accettabile- 
-L'empatia non si può insegnare, dottore-
-Un gruppo di ricercatori dice il contrario, con un po' di tempo e di pazienza. Oltre, poi, alle giuste circostanze-
-Io rappresenterei le giuste circostanze?-
-Sì, direi di sì. Mi rendo conto che è un azzardo, ma sono sicuro che imparerai facilmente-
-Chi ti dice che voglia imparare?-
-Semplice. Avrai più tempo da passare con i tuoi fratelli senza questa lastra di vetro a separarvi-
-Non voglio passare altro tempo con i miei fratelli. Non mi serve- stava mentendo e Cal se ne accorse.
-Forse non intendi passare del tempo con Mycroft e, personalmente, non ti biasimo per questo. Ma Sherlock è un'altra questione-
-Sherlock?- sbarrò gli occhi, rendendoli, se possibile, più grandi.
-Sì, lui è d'accordo- Si fissarono in silenzio, Lightman sentiva che gli stava nascondendo qualcosa, ma non poteva sperare di comprendere una mente come quella di Eurus.
-Va bene, dottore. Ti sfido, vediamo cosa sai fare- concluse poi lei, congedandolo con un gesto imperioso.
-Allora a domani, dolcezza-  si alzò, con un ghigno di sfida.
-Non chiamarmi dolcezza, dottore. O potresti pentirtene- fu la monotona risposta. 

Molly Hooper si fissava allo specchio della sua camera da letto. Si stava preparando, aveva un appuntamento con Arthur quella sera. Con gesti secchi si vestì e pettinò, poi si avvicinò alla lastra di vetro, con una boccetta di profumo tra le mani. Si osservò per qualche istante, chiedendosi perchè si sottoponesse a quella tortura. Arthur non le interessava. 'Intendiamoci' disse a se stessa 'è un brav'uomo, molto dolce, un po' strambo e sopra le righe, lo ammetto. Ma non è lui, non è Sherlock'. Chiuse gli occhi e si maledì, come faceva sempre quando pensava a Sherlock Holmes. Con quella telefonata, l'aveva umiliata ulteriormente, le aveva lasciato una ferita irreparabile, eppure, il suo amore per quell'uomo non si degnava di scemare.
'Maledizione, perchè mi innamoro sempre delle persone sbagliate e ignoro quelle giuste?' si chiese, stizzita. Ripensò alla sua magra vita sentimentale: Mark, il ragazzino che alle medie le tirava sempre le trecce; Colin, il compagno di classe, al liceo che la prendeva sempre in giro e che, quando gli aveva confessato il suo amore, le aveva riso in faccia; Gavin, il ragazzo con cui aveva perso la verginità e che l'aveva usata nell'intervallo di tempo che era servito alla sua fidanzata per riprendersi da una "pausa di riflessione"; Garrett, il ragazzo a cui passava gli appunti di specialistica e che l'aveva convinta a rifiutare un'offerta presso un importante laboratorio di medicina legale di New York, che aveva poi accettato lui, naturalmente. E poi, Sherlock. Ma quello che sentiva per Sherlock Holmes superava di gran lunga tutto quello che aveva provato per Mak, Colin, Gavin e Garrett e per tutti i Tom e Arthur futuri. Scosse la testa, amareggiata. Mettendosi il rossetto, impresa non poco complicata, visto che si truccava raramente, giunse alla conclusione che, se Sherlock si era preso gioco dei suoi sentimenti, lei non sarebbe stata così meschina. Sarebbe stata superiore. Lanciò un'ultima occhiata allo specchio e sospirò.
-Mi dispiace, Arthur. Davvero- mormorò alla sua immagine riflessa, poco prima di uscire. 

Durante la settimana che passò in Inghilterra, Cal Lightman non incontrò più Sherlock Holmes e il dottor John Watson, in compenso ebbe l'opportunità di studiare Eurus Holmes che si rivelò, come aveva predetto Mycroft, il caso più difficile e interessante della sua carriera. Sfruttò quella settimana anche per un impresa non poco impegnativa: convincere Mycroft a portare la sorella al Lightman Group.

-Per l'amor del cielo, Cal, calmati!- Gillian cercò di riportare il collega alla ragione, ma lui non ne voleva sapere. Dopo un'estenuante trattativa, Mycroft Holmes aveva concesso al Lightman Group 24 ore e Cal era deciso a non perdere neppure un minuto.
-Fai in modo che non incontri nessuno. Tu, Torres e Locker vi alternerete ai monitor ogni 8 ore... no, 4 meglio essere prudenti. Siamo sicuri che l'apparecchio per le risonanze sia a posto?-
-Sì, Cal, l'hai già chiesto una settimana fa. E mi hai ripetuto le istruzioni almeno una decina di volte-
-Una decina non è abbastanza, mia cara. Non con questa cliente- e cominciò a ripetere freneticamente come si sarebbero dovuti comportare, di lì a poco. Gillian non potè che sospirare, rassegnata.

Le guardie, due omoni che non aveva mai visto, ma d'altronde, ora erano sempre nuovi, la incatenarono mani e piedi e la scortarono per i corridoi di Sherrinford, quei corridoi che conosceva tanto bene. La settimana precedente, durante la visita di routine con il dottor Cal, le era stato annunciato che l'avrebbe portata nel suo laboratorio per fare dei test. Era strano e interessante. Non aveva mai preso in considerazione la possibilità di essere l'esperimento di qualcuno. Di solito, era lei la scienziata, non la cavia. Cantilenò una melodia sconnessa, mentre gli energumeni la trascinavano verso l'eliporto. Un elicottero la stava aspettando con all'interno una donna con un camice. Dopo averla fatta sedere, la donna le scoprì una manica e le iniettò un potente sedativo. Aspettarono che Eurus dormisse, prima di avvertire Mycroft e partire. Dormì per tutto il tragitto in aria e per buona parte di quello in ambulanza. Giunta al Lightman Group, la svegliarono e venne circondata da un gruppo di agenti in divisa. Entrò nel palazzo di vetro che costituiva l'edificio e passeggiò per i corridoi deserti con un sorriso inquietante sulle labbra. Era fuori da quella cella, finalmente. Se avesse seguito alla lettera le istruzioni di Lightman, presto avrebbe potuto essere libera. Ci fu una certa confusione tra gli agenti, che lei inizialmente, non riusciva a capire. Solo un istante più tardi, si accorse della ragazzina che la fissava ad occhi sgranati. Ricambiò lo sguardo, interessata, ma fu solo un momento, perchè la trascinarono subito via. Anche qui, in questo palazzo, vetro e porte blindate. Quanto sanno essere prevedibili gli esseri umani.

-Emily!- la voce di suo padre si fece largo tra i suoi pensieri. L'incontro con quella strana donna era durato non più di qualche secondo, ma l'aveva sconvolta, specie i suoi occhi.
-Emily! Ti avevo chiesto di non passare, oggi-
-Lo so, mi spiace, papà-

Gillian andò incontro all'uomo che aveva messo in moto tutto quel casino, rientrando inaspettatamente nella sua vita.
-Perchè non mi hai detto nulla riguardo a tua sorella?-gli chiese.
-Perchè avrei dovuto dirtelo?- rispose con noncuranza.
-Ci stavamo per sposare, maledizione!- sbottò.
-Ma non è successo e ora non ha più importanza- detto ciò, la lasciò sola e ferita, come aveva già fatto tanti anni prima.

-Non riesco a capire l'ansia di Lightman, per questo caso...- Torres stava commentando con Locker il comportamento del loro capo, quando venne loro incontro Emily, con uno sguardo strano.
-Ciao, Emily. Non dovresti essere qui, oggi-la salutò Ria, la fronte corrugata. -C'è qualcosa che non va?- chiese poi, accortasi dello sconvolgimento della ragazza.
-No, niente, tranquilla. Papà mi ha chiesto di avvertire che è il turno di Eli, in laboratorio- 
Quando l'uomo uscì, Emily si rivolse a Ria:-Hai già visto la cliente di papà?-
-No, non ancora- Aspettò. Aveva capito che qualcosa tormentava la piccola Lightman, ma non poteva aiutarla, almeno finchè non avesse parlato.
-Io sì- Ria sgranò gli occhi. 
-Lei è... diversa. E strana. Strana e diversa. Ci siamo guardate negli occhi... e io credo che abbiamo molto in comune..- Torres, che aveva riletto il fascicolo di Eurus Holmes la sera precedente, stirò le labbra, poi incupita le rispose:-Credimi, Emily. Tu e quella donna non avete niente in comune-

-Ce la fai, tesoro?- era il turno di Foster e a Lightman non era sfuggita l'espressione della donna dopo la chiacchierata con Mycroft. Sapeva che i due si erano parlati, anche se non conosceva il contenuto della conversazione. Aveva capito che c'era qualcosa sotto sin dal primo incontro con Holmes all'aeroporto e alle sue domande, Foster aveva dato risposte evasive.
-Sì. Spero che potremo fare qualcosa per l'anima tormentata di quella donna, Cal-

Aveva effettuato tutti gli esami. Doveva solo monitorare il battito e le reazioni fisiologiche di Eurus ad un colloquio faccia a faccia. Ria, che era responsabile dell'ultima ora di monitoraggio, collegò i macchinari e allacciò la guaina sul polso di Eurus.
-Quanto sei bella!- commentò in tono sognante la piccola Holmes, quasi a voler destabilizzare Torres.
-Emmm... grazie, credo-
-Vai a letto con l'adorabile ragazzo ricciuto, vero?-
-Non credo siano affari suoi- sorriso di circostanza.
-Beh, e allora?- chiese, bloccandola per il polso -com'è?-
-Come, scusi?- l'imbarazzo di Ria salì alle stelle. Eurus potè sentire chiaramente il battito del cuore sulla pelle sensibile del polso ambrato dell'altra.
-Il ragazzo dai capelli ricci. A letto, com'è?-
-Noi.. non...- tentò di sviare Torres.
-Oh, lavorate per il signore delle bugie, eppure non sapete mentire. Come siete adorabili... lui dice che sei molto focosa e insaziabile- sorrise, un sorriso sinistro.
-Ecco.. è bravo. Lui è... appagante- rispose a mezza voce Ria, un groppo le serrava la gola ed era rossa dalla vergogna.
-Bene- finalmente le lasciò il polso e Torres corse fuori dalla sala interrogatori. 

Dopo qualche minuto entrò Lightman, piuttosto accigliato.
-I tuoi collaboratori sono divertenti- esordì monocorde la donna.
-Li ho assunti proprio per questo- si avvicinò alla sedia e le si sedette di fronte.
-La donna che lavora con te... quella elegante-
-Sì?-
-Ha fatto sesso con mio fratello-
-Sherlock?-
-No, l'altro. Per quanto strano possa sembrare- Fece spallucce.
-Da cosa l'hai dedotto?- domandò Cal, un segno di tensione sulle labbra.
-No, no dottore... sono io che ho sfidato te, non il contrario, ricordatelo-
-D'accordo. Sto aspettando i risultati degli esami. Tra una settimana, quando ci incontreremo di nuovo, avremo un altro colloquio e deciderò se sia o no il caso di allentare la sorveglianza-
-Mi avevi promesso un giro fuori. All'esterno. A Londra- lo corresse, indispettita.
-Perchè questa voglia di andare a Londra?-
-Voglio presentarmi agli amici di mio fratello per quella che sono. Per una volta-
-Vedremo-
-Tua figlia è molto carina. L'ho vista in corridoio, prima-
Lightman si irrigidì.
-Chi ti dice che sia mia figlia?- domandò, poi.
-Il fatto stesso che sia qui, se fosse parente di uno qualunque dei tuoi dipendenti, non avrebbe osato presentarsi nonostante un tuo divieto-
-L'avresti dovuto notare dalla mia reazione, dolcezza-
-Non chiamarmi dolcezza- gli occhi le si assottigliarono e la rabbia che impregnava Eurus Holmes si scatenò in un semplice sguardo. Ria Torres, da dietro il monitor nella stanza vicina rabbrividì e sperò che quelle 24 ore finissero alla svelta.

Passarono due mesi dalla visita improvvisata a Sherrinford e di Eurus nessuna notizia. John aveva appreso da Molly della fine della sua relazione con "l'Inventore", come aveva ribattezzato Arthur tra sè. L'uomo era particolare, un eccentrico bonaccione con la passione della meccanica e con il desiderio nascosto di brevettare l'invenzione del secolo. Non capiva le battute, viveva al di fuori della realtà e, se possibile, il suo modo di vestire era peggiore di quello di Molly Hooper. Non capiva cosa trovasse la patologa in quel impiegatucolo, dopo aver passato tre anni della sua vita innamorata di un uomo come Sherlock, una risvolta romantica di quel tipo era a dir poco stramba. Non solo era l'opposto di Sherlock caratterialmente, ma anche fisicamente. Aveva consolato Molly dopo la fine della sua relazione, perchè la donna, per sua ammissione, non aveva mai lasciato nessuno e, francamente, non ricordava se fosse stata lei o Tom, il precedente sostituto di Sherlock, a rompere. Quello che sapeva con certezza era che i rapporti di Molly Hooper con Sherlock si erano diradati parecchio, proporzionalmente ai casi per il suo blog, che si erano moltiplicati a dismisura. Sherlock non faceva che lavorare, freneticamente, come se qualcosa gli impedisse di fermarsi a pensare.
'Ah, dannati problemi di cuore', concluse sorseggiando il tè della fedele Mrs Hudson.

Cal Lightman si trovava in piedi su un sudicio bus londinese, aggrappato alla maniglia a pochi centimetri da Eurus Holmes. Aveva corso un rischio, ma quella era la prova del nove. Eurus era diversa, sembrava quasi soddisfatta. Avevano solo un pomeriggio e lei voleva sfruttarlo al meglio. Non aveva intenzione di fare qualcosa di cattivo, no. O perlomeno niente che la società attuale potesse definire criminale. Voleva solo studiare gli ambienti e le persone che circondavano il suo fratello preferito. Aveva i capelli scuri lisciati e ben pettinati, un filo di lucidalabbra rosa sulle labbra, del fard sulle guance e una sottile riga nera sotto gli occhi approfondiva quello sguardo in cui era già difficile evitare di perdersi. Indossava un cappotto blu elettrico e sotto un maglioncino bianco di buon taglio, una gonna rossa, spessi collant bianchi e scarpe nere. Sembrava una londinese qualunque, tranne per il fatto che aveva una margherita tra i capelli e che canticchiava una  fastidiosa nenia sottovoce. Finalmente arrivarono alla loro prima fermata: il 221B di Baker Street.

Dopo aver suonato il campanello, una distinta signora venne ad aprire.
-Sì?- chiese, diffidente.
-Cerchiamo il signor Sherlock Holmes- esordì Cal.
-Il signor Holmes e il dottor Watson non sono in casa, per il momento. Se voleste lasciarmi un biglietto e ripassare più tardi...-
-Oh, no- la interruppe Eurus, allegra -possiamo aspettare. Ne sarà felice, gliel'assicuro- e si intrufolò in casa, prima che l'anziana e vigorosa donna potesse protestare.
-Lo aspetteremo di sopra, se possibile- asserì, poi. Sorpassò la donna e cominciò a salire le scale, mentre Lightman si scusava in sua vece. Era quasi pentito della sua decisione, ma sperava comunque per il meglio. L'appartamento dell'investigatore di Baker Street era come Lightman se l'era immaginato: caotico. In quei mesi aveva spesso riflettuto sulla natura dei fratelli Holmes: Eurus era l'inverno, Sherlock l'estate e Mycroft il loro regolatore, oltre che la primavera e l'autunno. Erano imprevedibili come il tempo, ma il loro umore era ciclico, come le stagioni. Mentre stavano esplorando quelle stanze così poco ordinarie, il pianto di un neonato attirò la loro attenzione. La bambina era nella stanza che le era stata ricavata e stava dormendo, o meglio, era quello che faceva prima di essere disturbata dai due intrusi.
-Oh, ciao piccolina. Sai, Rosie, il tuo papà mi ha parlato molto di te, qualche tempo fa. Ma come sei cresciuta...- mormorò pacatamente Eurus alla bambina, che, per tutta risposta strillò ancora più forte, come se, per un istinto primordiale, avesse riconosciuto l'aura di pericolo che circondava la donna.
-Oh, sono mortificata- si scusò Mrs Hudson entrando nella stanza e prendendo la bimba tra le braccia.
-Non è colpa sua- rispose Cal, studiando Eurus. La donna pareva quasi offesa dal comportamento della piccola e Cal, conoscendola, si sentì in dovere di alleggerire una situazione potenzialmente esplosiva.
-So che Sherlock Holmes possiede un violino-accennò, sfacciato. Al cenno affermativo della signora Hudson riprese, spiegando:-la mia amica suona molto bene, forse potremmo scusarci del disturbo-
-Oh, d'accordo-

Le note dello Stradivari accolsero John Watson al suo rientro. Sapeva che Holmes era fuori città per lavoro, che non poteva essere lui a suonare quelle dolci note. Un sospetto gli balenò nella mente e con uno scatto felino corse per le scale. Aprendo la porta, i suoi sospetti divennero una certezza: Eurus Holmes stava suonando il violino del fratello, solo che, con lei, c'erano la signora Hudson, con Rosie addormentata fra le braccia e lo strano ometto che aveva incontrato tempo prima: il dottor Lightman.

C'era voluto un po' per convincerlo, ma la prospettiva di lasciare sola Molly con quella pazza, in un luogo pieno di oggetti contundenti e sostanze potenzialmente letali aveva avuto la meglio. John stava accompagnando Eurus e Cal Lightman al Bart's.

Molly era china sul suo microscopio quando ricevette una visita inaspettata. Si voltò lentamente, un sorriso imbarazzato sulle labbra, che gelò, vedendo l'espressione sul volto di John Watson. Eurus si avvicinò lentamente, squadrandola con attenzione.
-Così sei tu il topolino di Sherlock. Devo dire, però, che Mycroft ha più gusto- commentò a pochi passi da Molly. La patologa poteva sentire il profumo di limone che emanava la donna che aveva di fronte. Degluitì visibilmente.
-Non sei curiosa di sapere chi sono, topolino spaventato?- chiese, cantilenando.
-Cc..chi sei?- domandò Molly, balbettando. Aveva intuito l'identità della donna, sapeva cosa era in grado di fare. Nonostante Sherlock non le avesse raccontato nulla, aveva raccolto informazioni da John e Lestrade. Il resoconto che le avevano fornito era agghiacciante e averla lì a pochi passi da lei era un'idea spaventosa.
-Ma il vento dell'Est, mia cara. Sherlock non ti ha raccontato di me?- chiese lagnosa, come una bambina che fa i capricci. Molly scosse il capo.
-No? Peccato- Molly lanciò un'occhiata a John, preoccupata.
-Oh, non preoccuparti, topolino. Non aver paura, non ho intenzione di farti niente- come a smentire quelle parole, come un fulmine, prese un bisturi poggiato sul bancone vicino alle due donne, oggetto la cui vicinanza era la fonte principale della preoccupazione di Molly, e glielo puntò alla gola. John fece per scattare, ma Lightman lo fermò.
-Ma cos...-
-Non sia sciocco, dottore. Ha detto che non ha intenzione di fare del male alla dottoressa Hooper, ed è la verità. Ma se lei tentasse di intervenire, non credo che la sua amica resterà viva ancora a lungo-
-Potrei tagliarti la gola, adesso- mormorò Eurus, ignara di ciò che accadeva alle spalle, gli occhi chiari sbarrati in quelli scuri di Molly, che era visibilmente impallidita.
-Ma non lo farò. Oh, non credere che la tua vita sia così preziosa e degna di essere vissuta, topolino. Sarebbe così facile affondare la lama nella carne tenera della tua gola e contare i secondi. Sai, non tutti gli esseri umani, a parità di condizioni, muoiono allo stesso modo. Ma certo che lo sai... lavori con i morti ogni giorno- Inclinò la testa di lato, osservandola meglio.
-Sai, a volte non capisco le persone, ma Sherlock... Sherlock è il più imprevedibile di tutti. Non riesco a capire cosa trovi in te, topolino- affermò, appoggiando il bisturi nello stesso punto in cui l'aveva trovato -ma vede qualcosa che io non riesco a cogliere. Dovevi vedere com'era distrutto, il mio caro fratellino, dopo averti spezzato il cuore. Sembrava che avessi ucciso il suo migliore amico... oh, già... l'ho fatto- Molly continuava a fissarla, come incantata.
-C'è un motivo per cui non ho alcuna intenzione di ucciderti, Molly Hooper. Una volta, mio fratello mi disse che la vera tragedia della vita è la morte, non la propria, ma quella dei nostri cari. E tu, topolino, hai un posto importante nel cuore di Sherlock e se morissi acquisteresti ai suoi occhi, un'importanza maggiore che tu, Molly Hooper, non hai e non meriti- Sorrise e si porse a baciarla su una guancia.
Così come si era avvicinata, si allontanò. 

Eurus e Lightman se ne andarono. Finalmente, John e Molly ripresero a respirare normalmente. La patologa era pallida come un cencio e tremando, si accasciò contro il bancone. John la raggiunse subito e l'abbracciò. Aveva sinceramente temuto per la vita di Molly e sentirla ancora viva tra le sue braccia, era un sollievo enorme.
-Va tutto bene, adesso... va tutto bene- le mormorò tra i capelli, mentre la donna singhiozzava senza ritegno. Non seppe per quanto tempo lui e Molly rimasero in quella posizione, ma un rumore li richiamò alla realtà. Lestrade aveva un caso e si era recato in laboratorio, per raccogliere i progressi nelle indagini. Prima che potesse vederli e fare domande, John aiutò Molly a rialzarsi e scusandosi, portò la donna sconvolta e semi accasciata contro il suo corpo fuori dall'obitorio.

Lightman ed Eurus si trovavano sull'auto governativa che li stava riportando a Sherrinford. 
-Così è questo il tuo piano- mormorò lo psicologo.
-Quale piano?- chiese, annoiata
-Vuoi suicidarti, per conquistare finalmente l'affetto dei tuoi fratelli-
-Che assurdità- tubò.
-Non è la soluzione, dolcezza. I tuoi fratelli ti vogliono già bene, non è necessario compiere gesti estremi-
-Tu non c'eri. Tu credi di sapere tutto, ma in realtà non sai niente!- lo accusò.
-So che Mycroft vive pieno di sensi di colpa per quello che è stato costretto a farti. So che Sherlock è pieno di rimpianti per l'infanzia che non ha condiviso con te-
Eurus, che lo stava fissando, si voltò, lo sguardo fisso verso i sedili. Cal si era aspettato una certa resistenza, ma la donna si lasciò accompagnare docilmente alla sua cella.
-Sai, dottore, è stato un piacere giocare con te- lo salutò.
-Anche per me- 

Lightman dopo aver fatto rapporto a Mycroft, ripartì alla volta di Washington. Passò direttamente all'ufficio e contrassegnò il caso di Eurus Holmes come archiviato. Era stata davvero il caso più difficile della sua carriera ed era sicuro di non averlo risolto, ma avrebbe lasciato il piacere ai suoi fratelli.
-Sei tornato- lo salutò Gillian.
-Ciao, tesoro-
-Tutto bene?-
-Sì, direi di sì- 
Silenzio. 
-Sei andata a letto con Mycroft Holmes?- chiese.
-Non credo che la cosa ti riguardi-
-Sì, ci sei andata a letto. Eurus aveva ragione-
-Eurus Holmes? Lo sa?-
-Sì, me l'ha detto lei-
Altro silenzio.
-Vuoi parlarmene?- le chiese.
-No, grazie Cal- sorrise, amara -magari un'altra volta-

Mycroft fece rapporto ai suoi superiori, telefonò ai genitori e a Sherlock. Secondo le conclusioni di Lightman, Eurus poteva essere catalogata come relativamente pericolosa, quindi la soluzione finale pensata dal governo non l'avrebbe scalfita, anche se le misure di sicurezza non sarebbero state diminuite. Mycroft era a conoscenza anche del progetto suicida della sorella, ma non vedeva ragione di informare i famigliari. Ancora una volta, avrebbe portato quel peso da solo.

Sherlock si precipitò a casa di Molly e si attaccò al campanello, incurante di tutto. Appena tornato, John gli aveva raccontato della visita di Eurus e il detective era preoccupato da morire. Finalmente, Molly gli aprì. 
-Sherlock, cosa...- non lasciandole il tempo di parlare, Sherlock Holmes prese Molly Hooper tra le braccia e la baciò con impeto.
-Sono solo molto contento che tu sia viva, Molly Hooper- detto questo, se ne andò, lasciando una Molly pietrificata sulla soglia di casa sua.  
   
 
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