Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: gigliofucsia    25/02/2017    0 recensioni
Ametista è una strega sotto copertura con un'allergia grave a tutto ciò che è sacro. Dopo il rogo della madre viene mandata in un orfanotrofio religioso. Se scoprissero i suoi poteri magici rischierebbe di morire come la madre, quanto tempo riuscirà a resistere?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5

4 novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Non riuscivo a respirare. Il calore mi soffocava. Sudavo. Le coperte si incollavano e un mal di testa mi svegliava ogni mezz'ora.

Quando Suor Ambra aprì le tende, la luce leggera dell'alba mi investì. D'istinto mi coprì gli occhi con il braccio. La voce della suora rimbombava allegra «forza! Tutti in piedi!».

Più provavo ad alzarmi e più mi sentivo sprofondare nel letto. I miei occhi non riuscivano ad aprirsi. Qualcuno mi scosse «forza Ametista! In piedi» era Ambra, un po' più di buon umore rispetto al giorno prima. Io risposi «Non ci riesco».

Suor Ambra perse la voce allegra che aveva prima «Non cercare scuse, alzati, chi dorme non piglia pesci». In un attimo mi sentì scoperta. Dei mormorii si fecero strada intorno a me.

« Non sto cercando scuse, non mi sento bene» replicai senza avere la forza per alzare la voce.

Lei rispose «Ametista, so che ti puoi alzare! Non fare la bambina». All'improvviso la voce di Pirito sovrastò quella dei mormorii intorno a me «Suor Ambra, le assicuro che Ametista non è una persona infantile come lei pensa, se non si alza è perché non può».

Io con uno sforzo aprì gli occhi che misero a fuoco il cuscino e le lenzuola bianche. Ambra rispose «posso capire ma i doveri son doveri e non sarebbe giusto lasciarla a letto mentre tutti sono al lavoro». Mi spostai, schiacciando la colonna vertebrale sul materasso. Notai che intorno a me c'era tutto il dormitorio; compresi Gemma e Alessandrito che se la ridevano. Mentre Elio, impassibile e malinconico mi guardava.

«Non riesce ad alzarsi, ieri aveva anche qualche linea di febbre» replicò Pirito indicandomi con la mano. Ambra sbottò «non è messa così male! Un po' d'aria fresca e le passerà tutto e adesso tutti a vestirsi che tra dieci minuti inizia la messa mattutina» fu la sua ultima parola.

Chiusi gli occhi e sospirai. Ascoltando i suoni che mi rimbombavano nel cervello. Le tempie che pulsavano. Il sudore e i brividi di freddo. «Ti aiuto ad alzarti» sbuffò Pirito, sentì un passo. Aprì gli occhi. Nel momento in cui Pirito mi tocco la spalla, un brivido doloroso mi trapassò come un ago. «Ahi! Non mi toccare! Posso farcela da sola», con uno sforzo sovrumano riuscì ad alzare la schiena.

Perla arrivò «ti senti male? Pirito, tu leggi libri di medicina perché non la guardi?». Pirito arrossì «avevo intenzione di farlo ma prima volevo chiedere il permesso alla diretta interessata».

«Non preoccuparti procedi abbiamo ancora un po' di tempo» mormorai cercando di tenermi dritta, mi sentivo barcollare e avevo la pelle d'oca. Pirito annuì e fece un respiro profondo «la mia prima visita sono eccitato» mormorò. Mi scostò la camicia dalla spalla e vidi anche io che avevo una bolla viola non troppo grossa. Trovò la stessa cosa sui fianchi, sull'altra spalla ma non sulle braccia. «Non sono troppe, sono solo quattro. Ma non vanno bene comunque. Questo è il risultato delle percosse di ieri». Io non dissi nulla, non avevo forza per parlare. Lui mi misurò anche la temperatura e poi scosse la testa «credo che la temperatura sia salita durante la notte, credo sia a trentasette e qualcosa».

«Come faremo a farla guarire?» chiese Perla aiutandomi ad alzarmi dal letto. Pirito rispose «non lo so, adesso mettiamoci in fila prima che Ambra ci sgridi. La situazione non è semplice per niente».

Ci mettemmo in fila, io dopo aver barcollato un po' trovai il modo di camminare senza troppi problemi. Il mondo mi appariva ancora sfocato. Mi ero scordata di quello che mi stava intorno. Dolori mi occupavano la mente e mi impedivano di pensare ad altro.

«la cosa è semplice invece, basta dirlo alle suore e la manderanno in quarantena» disse Perla. Quella parola mi rimbombò nella testa. ...quarantena ...quarantena ...quarantena.

«scusa? che vuol dire che mi mettono in quarantena?» mormorai. Il ragazzino mi rispose «è per questo che le cose sono complicate. Qui sono tutti convintissimi che Reve sia a causa di tutte le cose buone e Sefe, il diavolo, delle cose cattive. Quando qualcuno è triste è perché Sefe sta per corromperlo. Invece quando qualcuno si sente male sta a significare che è molto vicino dal prendere possesso della sua anima e viene mandato in soffitta, dove cercano di curarlo con preghiere, incensi e altro».

Mi sentivo male solo a pensarci « oh mamma » mormorai. Perla rispose «la cosa però a sempre funzionato».

Uscimmo all'aria aperta. I brividi mi investirono ancora più violenti. Stringendomi la giacca cercai di non battere i denti ma sentivo il gelo penetrare la pelle.

Dopo un po'«ha funzionato solo perché quelle poche volte che succede, lo lasciano riposare e il riposo è la miglior cura.» disse Pirito «Ma io mi ricordo anche di aver visto qualcuno morire per una malattia più grave. Io ho cercato di convincere la gente a chiamare un medico ma non hanno mai voluto ascoltarmi. Sono convinti che la scienza sia alleata di Sefe e che l'unico modo per curarlo era sperare in un miracolo divino. Inutile dire che il ragazzino dopo un po'... è morto» Pirito lo disse con un rospo in gola. «Tu non hai niente di grave. Sei solo stanca e stressata, con un po' di riposo guarirai in pochi giorni. Quello che mi preoccupa è che tu sei già sotto gli occhi di tutte le suore, una cosa del genere potrebbe attirare l'attenzione e portare le suore a... sospettare ancora di più della tua stregoneria».

«Però se io guarissi dopo la quarantena non avrebbero niente per cui tenermi d'occhio?» chiesi speranzosa camminando sull'erba del giardino. Perla annuì «si vorrebbe dire che il Sefe ha rinunciato a te. Ma solo Reve sa se deciderà di attaccarti di nuovo»

Qualcosa si scosse dentro di me. Quella frase mi fece tacere. «Adesso bisogna solo trovare un modo per risolvere la cosa» completò Pirito

La messa con i tappini alle orecchie non fu un grosso problema. Ogni tanto mi massaggiavo gli occhi e le tempie. Quando uscì dalla Làcolonia ripensai all'ultimo argomento trattato. «Cosa succede se... “Sefe mi attacca di nuovo”? Secondo loro insomma?»

«Te lo dico io» esclamò Pirito «anche se può sembrare un contro senso sulla religione ne so più io di Perla». Io espressi un mio pensiero «ho letto da qualche parte che in questo caso ci sono dei riti speciali per... soffocare l'influenza del demonio». Lui annuì «c'é il rito della confessione dell'incenso e dell'olio di ricino, dopo quest'ultimo per te non c'é più nulla da fare e non resta che il rogo per purificare la tua anima»

Un moto di panico mi assalì. Cacciai dalla testa i ricordi di quel giorno. «Ame- tutto a posto?» il tocco di Pirito mi ridestò. Per niente convinta di quel che dicevo risposi «s-si non preoccuparti». Perla insistette «in un attimo sei sbiancata ancora di più e hai cominciato a tremare più di prima, secondo me dobbiamo metterti in quarantena». Io scossi la testa «Oggi sarei stata volentieri a letto». Pirito rise «Comunque si dice tanto per parlare non credo che ti bruceranno viva per un po' di febbre... credo».

Dicevano così solo perché non gli avevo detto di essere una strega vera, «spero tu abbia ragione. Loro sono capaci anche di bruciare anche un loro seguace, la cosa è pianificata» mormorai.

«Tu dici?» chiese Pirito. Io annuii «so riconoscere una strega quando la vedo». Forse avevo detto troppo ma in quel momento non mi importava di nulla e di nessuno. Anche se Pirito mi aveva guardato in modo confuso.

Mi sedetti alla mensa e mangiai di nuovo con forza. Ma più la guardavo e più mi veniva la nausea. Il piatto era pieno a metà, lo spinsi in mezzo al tavolo e posai la testa sulle braccia incrociate.

«Io ti consiglio di finirlo, abbiamo molte ore di lavoro rischi di crollare lo so che ti fa schifo ma almeno provaci» mormorò Pirito. Perla si alzò e mi accarezzò la schiena «Pirito non puoi pretendere molto da lei, secondo me ha già fatto abbastanza».

«Io la capisco ma sarebbe meglio che si sforzi, già si mangia poco qui dentro, quello che ci danno dovrebbe essere trattato come fosse oro».

Io mi chiesi come facevano a essere così empatici. Una voce che avrei preferito non sentire ci schernì «se considerate questa poltiglia un tesoro siete messi proprio male».

Io sospirai. Ma non avevo voglia di affrontarli. Pirito esclamò «Non siamo mica tutti come te, io non riesco ad avere la pancia piena mangiando solo questa poltiglia»

A quel punto mi saltò in mente un dubbio. Come facevano ad essere sempre sazio mangiando solo quella roba?

«Ehi tu!» Gemma mi tirò uno scappellotto sulla spalla. Un dolore la trafisse. Mi alzai di scatto afferrandola con la mano. Pirito urlò «smettetela! Non vedete che sta male? Voglio vedere se lo facessero a voi come reagireste».

«Lasciatela stare» aggiunse Perla. Alessandrito rise «ma figurati lei ha solo voglia di far la pelandrona!».

«Non si sta sdraiati sul tavolo! E siediti bene» sbraitò. In quel momento accadde qualcosa che non mi sarei aspettata di vedere... Elio si intromise: «s-scusate ma... a- a me non mi sembra il caso..».

Alessandrito lo spinse indietro «Tu sta zitto che non sai far niente!». Mi decisi, in piedi e mi girai. Ci volle tutta la mia forza di volontà ma alla fine lo minacciai «continua così avvertirò Ambra che frughi nel magazzino della cucina».

Lui sbiancò, «Come fai a saperlo?» esclamò. Io voltandomi afferrai il tavolo e risi «non lo sapevo me l'hai detto tu». ...Fregato! In quel momento tutta la gente intorno a noi si mise a ridere tranne il biondo e Gemma che divennero rossi. Io scoppiai. Fu una vera soddisfazione vedere il gruppo di Alessandrito andarsene.

Allegra mi risedetti al tavolo. Pirito chiese «sul serio come facevi a saperlo?». Io risposi «è impossibile che si sentisse sazio solo con simili porzioni mi sembrava ovvio che ci fosse qualcosa sotto. Mi è venuto in mente perché anche a me è venuta la tentazione ma io so controllarmi».

Pirito rise, «stupendo!» fu il suo commento. «ora che mi sono fatta due risate mi sento un po' meglio».La campanella suonò.

Ma la cosa durò poco. Quando mi misi a lavorare il morale ritornò a terra. Era già tanto se riuscivo a camminare. Mi sentivo pesante. Finché facevo lavoretti leggeri riuscivo a resistere ma quando cominciammo a fare i lavori più faticosi fu lì che iniziarono ad esserci i veri problemi.


 

Capì che c'era qualcosa di anomali quando la vista comincio a sfocare.

Più scendevo le scale e più i brividi peggioravano. Le braccia pesavano troppo, non vedevo l'ora di posare quei fasci di legna. Le scale finirono. La stanza puzzava di vino e umidità. C'erano barili ovunque. Posai i fasci di legna insieme agli altri.

Mi afferrai la testa tornando indietro. «È al limite, bisogna che ti fermi o rischi di svenire» mormorò pirito afferrandomi la mano.

«Se la vedono a non far nulla la puniranno» rispose Perla. Pirito la guardò con occhi aggressivi «ma qui si tratta della sua salute, se continuiamo in questo modo sviene per la strada».

Ma ormai era tardi. La testa cominciò a girare. Le voci intorno a me si annacquarono. Mi sentì precipitare e poi tutto divenne nero.

La prima cose che sentì quando ripresi i sensi, fu la testa che mi pulsava, il freddo e una debolezza tale da non farmi muovere. Delle voci che non riconobbi arrivarono alle orecchie. «È svenuta» sembrava la voce di una ragazzina. «lo sapevo che sarebbe successo prima o poi» questa invece di un ragazzino. Sentì delle dita premere il polso. Cercai di aprire gli occhi. Fu allora che la voce del ragazzo mi chiese «come stai? Come ti senti? Tutto a posto?». Io aprì gli occhi e per un attimo tremendo fui presa dal panico. «dove mi trovo?» non mi ricordavo nulla, chi ero?, chi erano loro?. Il ragazzino e la ragazzina lo capirono subito, «stai calma è tutto apposto! Sei nel corridoio del monastero».

I ricordi cominciarono a ritornarmi alla memoria «aspetta! Comincio a ricordare» Quando tutto il peso della mia vita mi ripiombò addosso, mi afferrai la testa e mormorai «cosa ho fatto di male per meritarmi questo?».

Pirito e Perla abbassarono lo sguardo. Ad un tratto dei passi corsero verso di me. Era suor Ambra seguito da Elio che si allontanò appena mi vide. Io chiusi gli occhi. Volevo solo riposarmi almeno per un po'.

«Cosa sta succedendo qui? Perché si è interrotto il lavoro?» disse suor Ambra in tono isterico. «è svenuta!» gridò Pirito isterico quanto la suora «Ve l'avevo detto che non era una cosa da sottovalutare».

Ambra lo guardò Truce e disse:

«Scommetto che sta fingendo! Forza in piedi» io ne avevo le scatole piene. Se avessi potuto alzarmi me ne sarei già andata. Cercai di non ascoltarmi ma il mio orecchio veniva investito da quella discussione.

«Non sta fingendo. Sentite la fronte. Credo che ormai sia a trentotto» replicò Pirito. «Suor Ambra abbiate un po' di cuore. Non potete farla lavorare in queste condizioni» mormorò Perla speranzosa.

«Voi bambini siete dei sfaticati, Siete lenti e deboli. Non siete capaci di far nulla». In quel momento la mia poca pazienza andò a farsi friggere. Aprendo gli occhi e cercando di alzarmi gridai «non dovreste stupirvi visto il modo in cui ci trattate!» Solo quel brivido di rabbia mi permise di alzarmi a sedere. La testa mi pulsava e girava come una trottola.

La guardai negli occhi. Lei mi guardò seria, «non mi fissare in quel modo signorina. Non è colpa mia se siete dei fannulloni e comunque a me sembra che tu stia bene quindi alzati e lavora. Io ho altro da fare che badare a voi».

Suor Ambra si voltò andando con passo fermo verso la scalinata. Io mi afferrai la testa con la mano e cercai di tirarmi in piedi. « E adesso cosa faccio? Non me la sento di continuare». Nella mia testa cercai di acchiappare un pensiero, un'idea qualcosa. Chiusi gli occhi ma il dolore soffocava ogni altra cosa che poteva uscire da lì.

«Cerca di resistere ti lasceremo riposare appena si possiamo» mi disse stringendomi la mano «Non voglio vederti crollare di nuovo». Io annuii. Mi appoggiai alla parete e chiusi di nuovo gli occhi. Molti anni prima. Un libro mi aveva fatto piangere. In quel momento il mio cuore era colmo di tristezza, rabbia. Mia mamma continuava a darmi delle regole rigide, mi insegnava come nascondermi, come fare per essere accettata dagli altri e come dovevo comportarmi, come dovevo essere. Ma io volevo solo essere me stessa. Io ero orgogliosa di fare magie, di non credere in nessun dio, ero orgogliosa di me stessa, perché avrei dovuto essere un'altra? Perché la religione ci voleva per forza tutti uguali, perché non può accettare il fatto che viviamo anche noi e facciamo parte del mondo. Mentre leggevo quel libro mi sembrava di poter fare qualsiasi cosa, mi dava la carica. Era una storia inventata, parlava di una ragazza che voleva armeggiare di spada ma essendo donna nessuno glielo permetteva e decise di divenire fuorilegge. Le sue avventure non facevano altro che gridarmi di combattere di reagire, di non farmi plagiare dagli altri e non aver paura a tirare fuori me stessa. Una cosa per me difficilissima anche solo pensarla. È uno dei miei libri preferiti e ricordare le sue pagine mi faceva ritornare le energie in qualunque condizione io fossi. Quindi riaprì gli occhi e feci del mio meglio.

Le suore ci mandarono un po' ovunque. Quando ci lasciavano da soli, io mi sedevo e risposavo per poi rialzarmi subito dopo. Arrancai in questo modo fino all'ora di pranzo.

Il piatto rimase pieno. Quel quarto d'ora non volevo sprecarlo per mangiare qualcosa che non mi andava. Per una volta che potevo stare seduta a far niente, mi appoggiai con le braccia incrociate sul tavolo e dormì.


 

Io resistevo, ma gli occhi bruciavano e più cercavo di sostenermi dal guardare la lavagna e più mi sentivo scivolare in un sonno profondo. La mia mente vagava. Gli occhi si facevano pesanti e crollavo sul banco.

Nonostante la situazione in cui mi trovavo, quegli attacchi di sonno mi facevano sentire serena per la prima volta da quando ero arrivata in quella struttura. Non so per quanto dormì. Sentivo qualcuno scuotermi e chiamarmi sottovoce ma non ci badai. Nulla avrebbe potuto togliermi da quella posizione. Mi sentivo un macigno, la forza di gravità era più forte di me.

Poi un grido mi fece rabbrividii. «Ametista!» era suor Giada. Capì che dovevo alzarmi. Il primo passo fu aprire gli occhi impastati dal sonno. Recuperai sensibilità agli arti. «Non si dorme in classe!» gridò. Poi alzai la testa e feci un respiro profondo, aspettandomi l'apocalisse.

«Come ti permetti di dormire in classe! La lezione è troppo noiosa per te o sono io che non ti ho punito abbastanza?» sbraitò Giada. Io ero ancora tra il sonno e la dormiveglia e della sua opinione non mi importava più nulla. Diedi per scontato che parlare con lei non sarebbe servito a niente e mormorai «non è educato svegliare la gente che dorme».

La suora con le mani sui fianchi rispose «ah! Facciamo le spiritose eh!». Pirito pallido, aveva gli occhi spalancati. La mia mente era ancora offuscata quando Giada mi afferrò il braccio. Lo strattonò obbligandomi ad alzarmi dal banco «allora vediamo cosa ne pensa il preside di questa tua... bravata!».

Mi trascinò fra i banchi. Io camminai a piccoli passi verso la porta. Giada la spalancò e mi spinse nel corridoio. Si chiuse la porta alle spalle. Mi afferrò la camicia spingendomi verso una porta. La scala oltre quella portava al terzo piano.

Un corridoio si aprì davanti ai miei occhi mezzi aperti. Oltrepassammo varie porte serrate. Io mi guardai intorno notando le scritte d'oro sopra di esse che annunciavano: biblioteca, celle, ufficio vicedirettore, segretaria...

L'ultima infondo al corridoio aveva la targhetta con su scritto: Direttore.

Giada mi mollò davanti a essa. Io ripresi fiato e mi aggiustai la giacca. Prima di bussare la suora disse «vedi di non farmi fare brutte figure con il signor Direttore, ragazza impertinente».

Quei colpi alla porta risuonarono in tutta me stessa. In quel momento più di qualsiasi altro sentivo una pesantezza che non era dato solo dalla febbre. Il peso dell'energia magica che scorreva nelle mie vene, il peso del rogo di mia madre, il peso di quello che ero sentivo un brivido scuotermi mentre entravo in quell'ufficio.

In un attimo mi sentì in un altro mondo. La stanza era piena di mobili decorati e soprammobili di un certo lusso, candelabri, centrini e quadri. La stanza era inondata dalla luce delle finestre, tappezzate con delle tende di lino rosso. Rimasi meravigliata dal lusso che si permettevano coloro che proclamavano la povertà.

Don Quarzo era seduto su una scrivania, con gli occhiali sul naso e una penna di volatile in mano. Alzò lo sguardo su di me. Mi sentì sotto inquisizione.

Non mi fidavo degli adulti, mia madre era l'unica.

Lui mi fissò penetrante. Io non mi azzardai a muovere un passo ma mantenni il mio sguardo sospettoso su di lui, che si alzò dalla scrivania e disse «cosa è successo sorella Giada?». Quello sguardo curioso non poteva essere più finto.

Lei mi spinse sul tappeto «Signor Direttore, questa ragazza ha avuto la sfacciataggine di dormire sul banco durante la mia lezione, inoltre si è lamentata del fatto che l'ho dovuta svegliare. Con ciò chiedo provvedimenti in merito» espose.

Io non sapevo se preoccuparmi di non crollare o di far cambiare idea al direttore. Ma lui parlò prima che io potessi dire qualsiasi cosa.

Grattandosi la testa annunciò «beh! Non posso negare che sia una questione di una certa importanza, ma quello che voglio sapere è perché lo ha fatto, non credo che la signorina Ametista lo abbia fatto di proposito per farvi andare in collera sorella Giada». Anche perché non è molto divertente quando si arrabbia.

Io guardavo per terra concentrandomi solo sul mio respiro. «Non ne sarei così sicuro, signor direttore, sappiamo tutti la natura di chi l'ha messa al mondo e con questo non credo ci siano ulteriori obbiezioni» disse. Il direttore sospirò guardandomi. Si accucciò davanti a me e mi chiese «perché ti sei assopita?». Io presi fiato «nessuno si accorge che sto male qui dentro?».

Lui cambiò espressione. Tutto ad un tratto, alzò un sopracciglio e mi fissò. Alzò la mano anziana e la premette sulla mia fronte, poi spalancò gli occhi e si alzò, « per Dio Giada! Non vi siete accorta che Ametista è posseduta?». Giada spalancò gli occhi.

Il direttore continuò «Sefe sta entrando dentro di lei per questo è debole e si è addormentata. Dichiaro lo stato di emergenza. Che Ametista venga messa in quarantena. Dì a tutti i monaci e monache di spargere l'acqua santa in tutto il monastero e di fare un turno in più di preghiere, che partecipino anche gli orfani.

Giada mi prese e mi trascinò verso le scale. Diventavano sempre più logore, l'aria si riempiva di polvere. Dopo aver oltrepassato la prima scalinata, arrivammo su un pianerottolo. La luce di una finestra alle mie spalle, illuminava quella logora scalinata solo per metà. Poi essa si allungava terminando nell'ombra con una botola.

Giada tenendomi a distanza, nemmeno fossi una lebbrosa, mi superò e aprì la botola. Oltre quell'apertura vedevo poco. Giada la indico guardandomi con occhi che avevano lame. Ripresi fiato e un passo alla volta camminai sulla scalinata di pietra. Oltrepassai la botola e questa si chiuse alle mie spalle.

L'odore di polvere impregnava l'aria insieme alla muffa. La piccola stanza aveva il tetto spiovente. Un piccolo letto bianco e polveroso occupava la maggior parte dello spazio insieme ad un misero tavolino accanto al letto.

Non ero così alta da battere la testa sul soffitto. Mi avvicinai alla branda e mi ci buttai sopra senza fare troppi complimenti. Lì sopra faceva ancor a più freddo. Mi accucciai sotto le coperte. Stando appiccicata al muro cercai di dormire.


 

Dei colpi risuonarono nella soffitta. Non attesi di alzarmi e gridai «è aperto». Sentì un cigolio e due paia di passi che si avvicinavano a me. «Ame-?».Come sentì quella voce spalancai gli occhi alzandomi dal letto. Ricadendo subito dopo un violento giramento di testa Pirito e Perla mi guardavano sorridendo. Il ragazzo con un piatto e la ragazzina con una trapunta. «Che cosa ci fate qui?» mormorai.

Pirito posò il piatto sul tavolo e disse «le monache non vogliono mai essere contagiate da una persona posseduta per portargli il pranzo così lo chiedono sempre a qualche orfano, ci siamo offerti noi, tanto sappiamo che tu non contagerai proprio nessuno».

«La vostra gentilezza mi mette in soggezione» risposi. Perla appoggiò la trapunta sul letto, «perché?» chiese. Io risposi «non sono abituata ad essere trattata così bene, non da persone fuori della mia famiglia». Perla rispose «beh... siamo amici no? Hai mai avuto amici prima di noi?». Ripensai a quelle due tre persone che mi avevano proclamato migliore amica per poi approfittarsi di me e scossi la testa.

Tutti e due si guardarono intorno « se non fosse per quella finestra sarebbe tutto buio» esclamò Pirito. Perla aggiunse «...questo posto puzza».

Pirito si sedette sul letto «Suor Giada ci ha detto solo di portarti la minestra ma abbiamo voluto passare dal magazzino per prenderti un paio di coperte perché fa freddo quassù». Io li ringraziai e sistemai le coperte sopra le lenzuola. Perla e Pirito ributtarono sul materasso e mi diedero una mano. Prima di andarsene il ragazzino mi fece delle raccomandazioni come se fosse un vero dottore: «mi raccomando stai al caldo, risposa e mangia più che puoi. Domani ti porteremo qualcos'altro che ti servirà per guarire».

Io mi infilai sotto le coperte. «Verremo a trovarti appena possiamo» aggiunse Perla prima di andar via. Io cercai di mangiare qualcosa ma il mio stomaco era chiuso e volevo solo dormire. Infatti dopo poco mi addormentai di nuovo.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: gigliofucsia