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Autore: DreamerGiada_emip    25/02/2017    3 recensioni
Attenzione: questo libro è il sequel di Dark Angel, presente anch'esso sul mio profilo, se non si conosce la storia precedentemente nominata sconsiglio vivamente la lettura di questo sequel.
La bella Lilith viene costretta a una vita che non avrebbe mai nemmeno immaginato. Il suo nome, i suoi sogni, le sue perdite di controllo, il suo sangue la legano indissolubilmente a questo nuovo e oscuro regno. La ragazza non sa come uscire da questa situazione che non ha mai desiderato, vorrebbe ritornare in quella che considera la sua vera famiglia, ma un'ombra oscura la tiene incatenata.
Nella villa Sakamaki, i sei fratelli non sanno cosa fare, la loro preda è scomparsa tra le fiamme sotto i loro occhi. Soprattutto il giovane Subaru è alla disperata ricerca di quella che ormai considera la sua unica ragione di vita. È deciso a ritrovarla e riportarla a casa, per tenerla con sé al sicuro per sempre.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angel, Demon or Human?'
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La melodia, prima tranquilla, si trasforma in un requiem straziante che sembra raggiungere l’anima e ridurla a brandelli con artigli affilati. Dal pianoforte ora non escono più allegria e sorrisi, ora escono urla disperate di sofferenza e un senso di terrore. Non riesco a smettere di suonare, è un bisogno. Riapro gli occhi al culmine della sinfonia ed in quell’attimo accade inspiegabile: un cerchio di fuoco si traccia sul pavimento rinchiudendomi all’interno di esso. Le fiamme si alzano e coprono i visi sconvolti dei sei vampiri, l’ultima cosa che vedo solo gli occhi di Subaru, urla il mio nome, ma io sono già circondata dal buio più totale. Non vedo nulla, mi sento come in un buco nero, fluttuante nel vuoto. Finché una luce mi abbaglia, i miei occhi si chiudono di riflesso, il mio corpo viene a contatto con il pavimento freddo. Cerco di abituarmi alla nuova luminosità.
 
«Cosa…?» sussurro guardandomi intorno e sbattendo ripetutamente le palpebre. Non sono più nella sala degli strumenti dei Sakamaki, il luogo in cui mi trovo è un grande salone smisuratamente ampio. Fiaccole di fuoco illuminano l’ambiente.
 
«Benvenuta Lilith, figlia mia»
 
Mi volto verso la provenienza di quella voce così profonda e calda. Il mio sguardo si posa su un signore di mezza età e credo non ci siano parole per descrivere quanto sia incredibilmente imbarazzante la sua bellezza e la sua assoluta perfezione. Siede tranquillamente su uno sfarzoso trono che sovrasta la sala, il suo corpo è fasciato da un elegante abito nero e tiene le gambe accavallate. Alla sua destra un bastone anch’esso nero il cui pomello raffigura la testa di un serpente d’argento con gli occhi di smeraldo. Concentro i miei occhi sui suoi e mi irrigidisco: il suo guardo è magnetico, penetrante, pericoloso, così intenso da perforare la carne. Appena dietro il trono, in piedi, vi è un uomo.
 
«Prego? Figlia? Non so di cosa stia parlando» mi alzo in piedi e liscio la gonna bianca per metterla a posto e togliere la polvere, anche se, lanciando un’occhiata in giro, noto che sul pavimento mi ci posso quasi specchiare. Mi rivolge un sorriso e sento un brivido percorrermi tutta la spina dorsale. Insomma, Lilith concentrati! Inoltre avrà quaranta anni, non ti puoi emozionare perché un uomo ti ha sorriso.
 
«Giustamente, ma capirai, giovane Lilith» non distoglie il suo sguardo dal mio, mi ispeziona attentamente come a voler memorizzare ogni singola parte di me. Io dal mio canto faccio altrettanto, incantandomi nello scoprire che sembra non avere imperfezioni.
 
«Lei sembra conoscere perfettamente il mio nome, ma non mi ha ancora rivelato con chi ho il piacere di parlare» poso una mano sul fianco e faccio qualche passo verso di lui. L’uomo si alza in piedi e avanza nella mia direzione, le sue movenze sono aggraziate e sicure, fa dondolare il bastone a ritmo con suoi passi. Si ferma di fronte a me.
 
«E vedo che sei anche piuttosto educata, bene» mi rivolge un altro sorriso che mi provoca lo stesso effetto di prima. «Per quanto riguarda me, gli umani mi hanno erroneamente affibbiato svariati nomi e molteplici aspetti nel corso dei secoli, diaciamo pure millenni… io sono Belzebù, Asmodeo, Moloch, Belial, sono colui che è stato chiamato Maligno, Accusatore, Tentatore; insomma… in poche parole, bambina, io sono il Diavolo, sono Satana, ma tu chiamami pure Lucifero, perché è questo il mio vero nome,  benvenuto nel mio e nel tuo regno» allarga le braccia con un fare teatrale. Io non so cosa dire, non rimasta totalmente paralizzata da questa rivelazione sconcertante. Poi mi torna alla mente la frase con cui mi ha accolta qui. Io la figlia del diavolo… io sarei…
 
«Non è possibile…» l’uomo che sostiene di essere Satana in persona mi sorregge per un braccio. La mia testa è affollata da una moltitudine di pensieri che vorticano come impazziti. Vengo accompagnata verso i troni e fatta sedere su quello più piccolo e meno sfarzoso, ma non per questo meno bello. Il mio respiro è spezzato.
 
«È possibile ed è realtà» insiste con voce tranquilla lui di fianco a me. Appoggio la mano sulla fronte sostenendo la testa che sembra essersi appesantita per le troppe preoccupazioni che la affollano. Mi concentro sull’uomo che tiene i suoi occhi su di me. Quest’uomo di cui non so niente, ma che lui sostiene di essere il padre che non ho mai avuto e, ancora più inconcepibile, sostiene di essere il sovrano incontrastato degli Inferi. I miei occhi scavano nei suoi alla dispotica ricerca della verità, purtroppo per me non trovo menzogna o tentennamenti, trovo però astuzia, saggezza e tanti, tantissimi anni di vita.
 
«Potresti provare di essere veramente chi dici di essere?» cerco di nuovo nel suo sguardo una traccia di esitazione che mi dia la prova che tutto ciò è una farsa. Il sorriso che aveva scompare velocemente, mentre si allontana da me. Si pone al centro dell’enorme stanza.
 
«Stai attenta ai desideri che esprimi» dice chiudendo gli occhi. Mi concentro sulla sua figura. Un vento caldo inizia a vorticargli intorno in velocità crescente. Mi accorgo che dai suoi capelli iniziano a spuntare delle protuberanza nere che crescono a vista d’occhio, sono corna a spirale. Le mie labbra si schiudono davanti a quello spettacolo così soprannaturale. Apre gli occhi e sono rossi, fiammeggianti, come se lì dentro si fosse concentrato tutto l’Inferno, la pupilla è verticale simile a quella dei gatti oppure, ancora meglio, a quella di un serpente velenoso. Il vento si solleva verticalmente spingendo i suoi capelli in verticale, in un’esplosione di piume nere dalle sue spalle escono un paio di possenti e maestose ali nere simili alla tenebra. I miei occhi si concentrano subito su quelle meravigliose ali. È una calamita per gli occhi, tanto splendida quanto pericolosa.
 
«Lucifero…» dopo aver visto questo spettacolo, quella parola ha tutt’altro sapore. È vero e la cosa non mi piace per niente. I suoi occhi mi fissano e incutono un certo timore nel mio cuore accompagnato da un senso di rispetto. Distolgo il mio sguardo dal suo.
 
«Ora ci credi?» la sua voce è potente e autoritaria, noto con la coda dell’occhio l’uomo poco dietro i troni inginocchiarsi di fronte a Lucifero. Sbatto un paio di volte le palpebre. Mi accorgo che tra le sue labbra si vedono degli acuminati canini, simili a quelli dei sei vampiri. Annuisco lentamente e subito una domanda sorge spontanea nella mia mente, se io sono sua figlia, posso trasformarmi in questo modo anch’io? La risposta sembrerebbe ovvia, in tutta la sua trasformazione, quelle ali mi hanno rapito completamente. Avere la possibilità di volare con quelle andrebbe oltre ogni mia immaginazione. Decido comunque di chiederglielo.
 
«Anch’io ho le ali?» le osservo intensamente, così grandi che gli fanno quasi da strascico. Lui segue il mio sguardo e, con un mezzo sorriso, spalanca le ali alle sue spalle che sembrano diventare ancora più immense. Semplicemente meravigliose. Lucifero inizia a ritornare normale annullando la sua trasformazione: le corna rientrano, i canini tornano normali, gli occhi ridiventano di un azzurro chiaro, le ali tornano a scomparire nella sua schiena.
 
«Certo, le hai anche in questo momento, le custodisci in te, ma dovrai estrarle» spiega passandosi velocemente una mano tra i capelli. Mi quadra un’altra volta. «Se ti andassi a cambiare mi faresti un favore, quel vestito bianco non è adatto a questo luogo, non posso presentarti al popolo vestita come un qualsiasi pennuto» l’ultima frase la dice con disprezzo e disgusto. Guardo il mio vestito, poi lo osservo spaesata.
 
«Cos’ha di male il mio vestito? Chi sarebbero i pennuti? E perché dovresti presentarmi al popolo?» chiedo contando quelle dita le domande e alzandomi finalmente dal trono. Si avvicina nuovamente a me, Lucifero mi sfiora una guancia con due dita.
 
«Il bianco viene solitamente indossato dai pennuti, cioè gli angeli, dunque non posso presentarti al nostro popolo vestita come uno di loro, sei mia figlia Lilith, tutti i demoni dovranno conoscere, temere e rispettare il tuo nome» risponde a tutte le mie domande. Dunque ci sono anche gli angeli, sovrani del paradiso. Demoni e angeli. I due contrapposti e io sono dalla parte del buio. Sto per dire qualcos’altro, ma lui mi precede.
 
«Aragorn, accompagnala nella sua stanza, io devo iniziare i preparativi per la cerimonia, resta di fronte alla sua porta» ordina senza distogliere lo sguardo da me, il ragazzo esce dall’ombra e si avvicina.
 
«Certo Sire» fa un lieve inchino nella nostra direzione. Lucifero mi fa un cenno con la testa nella sua direzione.
 
«Per qualsiasi cosa, chiedi ad Aragorn, è la mia guardia del corpo e il mio alleato più fidato, sarà più che felice di accontentarti» appoggia la mano sulla mia schiena e mi sospinge verso di lui per invitarmi ad andare. «Ci vediamo dopo» mi fa un sorriso e si allontana a passo veloce uscendo dalla sala.
 
«Venite, principessa» Aragorn mi invita a seguirlo con un cenno, cosa che faccio dopo un attimo di esitazione. Superiamo la grande tenda rossa posta a qualche metro dietro i troni, in fondo a un corridoio un grande portone in ebano e sul muro a destra di esso una porta più piccola. Aragorn mi apre quest’ultima porgendomi la chiave prima di farmi entrare. Ne rimasi piacevolmente stupita. E’ una grande e splendida camera da letto, riesce a battere anche quella dei Sakamaki. Mi rabbuio al pensiero dei sei vampiri. Nemmeno mio padre ha il diritto di trasportarmi dove gli pare e piace, nemmeno se di tratta del Signore dell’Inferno. Li considero la cosa più vicina a una famiglia che ho. Lucifero non si è fatto vedere per 16 anni, 16 maledetti anni in cui avrebbe potuto darmi un segno, un avvertimento. Ha il potere di trascinarmi direttamente all’infero, non poteva mandarmi un messaggio? A quanto pare no. Decido che gli avrei dovuto parlare di questo argomento il prima possibile. Temo che io e “mio padre” non andremo d’amore e d’accordo, voglio tornare a casa, nella mia vera casa, e non sarà di certo lui a fermarmi. Aragorn è ancora sulla porta, mi volto lentamente verso di lui.
 
«Voglio parlare con Lucifero, non credo abbia il diritto di trascinarmi qui contro la mia volontà, pretendo di tornare a casa mia» lo osservo attentamente, non si scompone minimamente. Casa mia… pronunciare quelle parole ad alta voce è incredibile. Un sorriso nasce sulle mie labbra prima che io me ne renda conto.
 
«Questa è casa vostra, mia Signora» pronuncia queste parole con una solennità disarmante. Inarcai un sopracciglio.
 
«Questa? Ci ho passato pressoché una ventina di minuti e dovrai considerarla casa? Anche se Lucifero si definisce mio padre, io non lo considero affatto tale, l’unica famiglia che ho è quella a cui mi avete strappato» cerco di controllare la rabbia crescente, prima eclissata dalla sorpresa e dallo stupore. «Non può comparire quando più gli fa comodo e reclamarmi come figlia, non lo accetto, portami da lui»
 
«Vostro padre è molto impegnato e…»
 
«Non sarà necessario» una voce profonda lo interrompe prima che possa finire la frase e la figura di Lucifero compare sulla porta. Ci scambiamo un lungo sguardo.
 
«Vorrei tornare a casa mia» annuncio senza mezzi termini, senza cercare di rendergli il colpo meno duro. Lui mi osserva scavandomi nell’anima con quei gelidi occhi. Poi inaspettatamente mi sorride.
 
«E puoi farlo, ma ti chiedo solo il favore di darmi la possibilità di conoscerti, di stare un po’ insieme, potresti passare parte della settimana da loro e parte qui all’inferno» mi fa una proposta equa, nonostante nelle sue parole ci sia la possibilità di scelta, il suo sguardo mi mette stranamente all’erta. Mi avvicina a me con passo fluido, quasi felino, in totale silenzio.
 
«D’accordo»
   
 
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