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Autore: Noel11    26/02/2017    0 recensioni
Una ragazza. Nulla da perdere e tutto da guadagnare.
[Dal Capitolo 1:
Si alza in piedi e si mette ai margini del cornicione. Guarda la città svegliarsi, quella città completamente diversa da quella in cui viveva prima. Scuote la testa energicamente "No" disse "è inutile pensare a un passato che non esiste" e vorrebbe convincersi che non esiste, perché sa che sarebbe tutto più semplice se non fosse esistito. Sospira guardando le prime luci dell'alba facendosi investire dalla fresca brezza mattutina di un giorno di ottobre "è ora di andare, si va in scena" .]
Quanto siete disposti a pagare per la libertà?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Nota autrice: Volevo solo avere per un attimo la vostra attenzione per chiarire un punto. Noelle ed Alice sono due persone completamente diverse. Non sono la stessa persona. Chiarito questo, vi auguro buona lettura.
p.s per sentire la musica, premere le note presenti nel capitolo.

 


Capitolo 15
Da soli insieme


 
I giorni dopo furono quelli più difficili per Matteo. Anche se aveva fatto uso per poco tempo di quelle pasticche ne sentiva ancora il bisogno, e l’astinenza si faceva sentire, alcune volte più pesante di altre. Però non era rimasto solo nell’affrontarlo. Alice era sempre accanto a lui.
Dopo averla pregata di non dire niente a Giorgio per paura della sua reazione, lei accettò al solo compromesso che si facesse aiutare da lei a non toccare più quella roba. E tutti e due mantennero la parola data. Giorgio continuava a ridere e a scherzare con lui, ignaro di tutto, mentre Alice lo aiutava quando aveva delle crisi o quando si sentiva troppo giù.
Si richiudevano negli stanzini o, il più delle volte, nel vecchio capannone, e rimanevano lì per il tempo che serviva a Matteo per calmarsi. Restavano lì seduti, tenendosi per mano qualche volta, e iniziavano a parlare di tutto, senza avere paura del giudizio o della reazione dell’altro. In quei momenti Matteo si sentiva libero e capito per la prima volta nella sua vita. Certo, si sentiva in colpa quando pensava che Alice mollasse tutto appena lui la chiamava, e glielo disse più di un volta che poteva tirarsi fuori da quella storia quando voleva, ma il risultato era stato uno scappellotto sulla testa e una minaccia di non ripetere più quelle parole. Matteo anche se si sentiva ancora un peso, gli fu grato per averlo detto. Lei si era proposta di aiutarlo anche a casa ma lui rifiutò categoricamente, Alice faceva già troppo per lui. In più si vergognava leggermente dello stato in cui era messa la sua casa, ma quello era un’altra storia.
Erano seduti per terra all’interno del vecchio capannone, parlando del più e del meno, interrotti qualche volta solo dalle voci di altri studenti che uscivano per fumare o dallo sbattere dei rami dell’albero sul capannone quando il vento si alzava più del solito, quando Alice fece la fatidica domanda.
<< Tu non sei un tossico Matteo. Non hai quel bisogno viscerale di avere la roba a portata di mano, tu puoi vivere tranquillamente senza. Ma allora perché continui a prenderla?>>
Matteo aveva capito cosa volesse dire. Lui non era entrato fino in fondo nel tunnel, come Giorgio, lui poteva viverne senza perché non ne sentiva il bisogno. Non sentiva il bisogno di vendersi anche l’anima per avere quelle cose e non sentiva il bisogno di prenderle tutti i giorni e a qualsiasi ora del giorno. Lui poteva resistere. Certo quest’ultimo episodio non contava, visto come era messo, ma prima era tutto… diverso.
Ci pensò ancora per un po’, non sapendo in che modo rispondere, però alla fine trovò le parole giuste.
<< Sai>> iniziò lui, stringendo ancora di più la mano di lei, << Credo di essere più dipendente all’autodistruzione che alle droghe di per sé.>>
Il capannone si riempì di silenzio dopo le pesanti parole di Matteo. Il cuore di lui batteva così forte per quella verità così brutale che Matteo aveva paura che potesse scoppiare da un momento all’altro. Alice era ancora accanto a lui, con la mano ancora fortemente legata alla sua, e non sapeva se sarebbe rimasta ancora dopo quello che le aveva detto.
<< Non dovresti distruggerti>> disse Alice in tono serio.
Matteo rise spontaneamente davanti a quella frase perbenistica, sentita chissà quante volte nella sua vita. Sapeva che avrebbe detto così e non poté trattenersi dal continuare a ridere amaramente.
<< Davvero? E sentiamo, perché non dovrei?>> chiese, risultando più acido di quello che voleva far sembrare.
Ma poi Alice gli diede quella che secondo lui poteva essere interpretata come una risposta. Un’isola sicura in quel mare di dubbi.
Lei si levò velocemente dal loro intreccio di mani, per poi posizionare la sua mano dietro al collo di lui e tirarlo leggermente verso di lei e baciarlo.
Matteo rimase con gli occhi sbarrati per la sorpresa. Era stato tutti così veloce ed improvviso che non si accorse di nulla, quindi in un primo momento non rispose al bacio, ma continuando a sentire il contatto con le labbra di Alice decise di lasciarsi andare e godersi il momento.
Non era un bacio feroce o violento come quello che si erano dati in precedenza. Questo era più lento e dolce, dava il tempo a tutti e due di sentire quello che riuscivano a trasmettersi con quel contatto così intimo. La magia si ruppe quando Alice si staccò. Si guardarono per un po’ negli occhi, con le guance di Alice arrossate e le pupille allargate di desiderio di Matteo che voleva di più, non avrebbe mai voluto smettere di sentire tutte quelle emozioni e di assaporare le labbra di Alice che sapevano sempre di pesca.
Alice si alzò di scattò, sotto lo sguardò allarmato e confuso di Matteo, e uscì fuori dal capannone lasciandolo da solo a fissare il soffitto con un sorriso da ebete.
Intanto Alice si trovava appoggiata dietro il muro che dava all’ingresso del giardino, con gli occhi chiusi, il respiro leggermente accelerato e una mano a pugno posizionata al centro del petto.
<< Perché quello è compito mio…>> sussurrò.
Scosse energicamente la testa e riprese la sua marcia verso la sua classe.
 
 
Quando sua moglie, Maria, cercava di metterlo in guardia ogni volta che andava in quel quartiere povero, lui alzava sempre gli occhi al cielo. Lo faceva tutti gli anni, e, forse, questa volta avrebbe dovuto ascoltarla. Lui che vedeva del buono in tutti, anche nel più crudele essere umano, non si sarebbe mai immaginato di finire in quella situazione. Quindi quando, dopo aver finito il suo turno di lavoro per i preparativi per la grande cena di Natale alla mensa dei poveri, vide una ragazza impaurita e infreddolita sotto un lampione di notte, non poté fare altro se non avvicinarsi ed aiutarla in qualche modo. Era sempre stato così lui, aiutare gli altri prima di se stesso e fare sempre del bene al prossimo.
Quando poi la ragazza gli chiese se potesse accompagnarla a casa perché aveva paura di girare da sola di notte in quelle strade, lui non resistette a quella richiesta e l’accontentò.
Fu sorpreso di scoprire che quella dolce ragazza viveva in un vicolo sporco e freddo, ma d’altronde quel quartiere era popolato dalla povertà, però si sorprese ancora di più quando la ragazza si fermò di colpo al suo fianco. Non capendo quale fosse il problema si avvicinò a lei, posandogli una mano su una spalla, e cercò di scrutare il suo viso per capire se stava bene. E lei stava benissimo. Quel grande sorriso che aveva stampato sulla faccia quasi faceva paura per quanto era ampio.
Quando capì che c’era qualcosa che non andava, fu troppo tardi. Una forte fitta gli percorse tutta la gamba sinistra, facendolo cadere all’indietro non avendo più stabilità. Le mani accorsero subito a stringere il punto dolorante, in un vano tentativo di fermare gli spasmi, e gli occhi strabuzzarono alla vista di quel piccolo oggetto affilato che ora faceva parte della sua carne.
Alzò lo sguardo terrorizzato verso la ragazza, notando come stesse immobile a fissarlo, sempre con quel sorriso che non abbandonava mai il suo volto.
Una seconda fitta gli arrivò all’altezza delle costole, facendolo urlare, sperando che qualcuno lo avrebbe sentito. Ma sapeva benissimo che in quel quartiere nessuno avrebbe fatto niente per un estraneo che stava per essere ucciso, sarebbe stato solo un ennesimo cadavere di quelle strade, vittima della violenza, dell’odio e della povertà.
<< Ti prego non farlo!>>
Lo guardava. Guardava come si stesse contorcendo su se stesso credendo così di potersi difendere. La ferita che gli aveva inferto alla gamba lo aveva costretto a rallentare e a strisciare come un verme, l’altra, inferta alle costole, era solo l’inizio dell’apertura per arrivare al suo premio, il cuore.
Cercò di scappare il più velocemente possibile da lei, strisciando e aggrappandosi al terreno sporco. Quella che una volta era una ragazza ora era diventata un mostro con le ali. Lui non fu sicuro che quello che stesse vedendo fosse la realtà o un’allucinazione dovuta alla grande perdita di sangue e dalla adrenalina che ormai gli circolava potente per tutto il corpo.
Si avvicinò lentamente a lui, con il pugnale stretto nelle sue gelide mani pronto ad affondare nella morbida carne di quell’essere umano. Gli diede un calcio allo stomaco, per rallentare la sua inutile corsa, facendolo raggomitolare ancora di più su se stesso.
<< Perché mi fai questo?! Io non ti ho fatto niente!>> gridò alla ragazza.
<< Lo so>> rispose gelidamente << ma tu potresti fare qualcosa per qualcun altro e il mio compito è quello di impedirtelo.>>
Non capiva a cosa alludeva, ma era normale. Era un brav’uomo dopo tutto, aveva servito la comunità in modo impeccabile, aiutando i bisognosi e cercando di rimette sulla retta via le anime perse. E questo era il problema. Era buono in un mondo pieno di cattiveria, lui era l’errore, lui era di troppo, quindi andava eliminato.
L’uomo continuò a scappare, attaccato come era alla vita non avrebbe permesso a nessuno di togliergliela.
Noelle rise, rise di gusto per quella patetica scena, quindi decise di finirla subito.
Lo prese e lo girò in posizione supina, sovrastandolo e bloccandolo con la sua intera figura. Lo guardò negli occhi, scrutandolo, e lesse il terrore puro e l’odio per quel mostro che era lei. Gli occhi di quell’uomo gli mostrarono per l’ennesima quello che in verità era. Un mostro. Senza anima e senza pietà.
Chiuse gli occhi e ritornò alla realtà, al compito che doveva svolgere, e ricominciò ad essere la pazza omicida che era sempre.
Sorrise mentre alzava il pugnale verso l’alto, tagliando l’aria, pronto per andare nella sua nuova custodia. Il petto di quell’uomo.
<< No… no, ti prego!>> iniziò a divincolarsi vedendo nel riflesso di quel pugnale la parola fine per la sua vita.
<< TI PREGO! HO MOGLIE E FIGLI! NON VOGLIO MORIRE!>>
<< Neanche io>> il pugnale trafisse il petto dell’uomo.
Urla, urla e soltanto urla. Una musica a cui ormai doveva essere abituata, ma che cambiava da persona a persona. Ogni grido aveva un messaggio incastrato in quel suono così acuto che solo pochi riuscivano a decifrare. Nelle sue urla c’erano parole di scuse, scuse per non essere riuscito a cambiare il mondo e scuse per aver lasciato indietro le persone che amava. Quell’uomo continuò a pensare agli altri prima di se stesso fino all’ultimo respiro.
Una volta che il cuore fu preso, l’abitacolo diventò di nuovo silenzioso. E questo per Noelle era peggio delle urla. Le urla le permettevano di non pensare, di concentrarsi solo al suo lavoro. Ma una volta che la musica era finita, le restava solo il silenzio e i suoi pensieri che prepotenti ritornavano più forti di prima una volta terminato il lavoro.
Si pulì una macchia di sangue dal viso con la manica, e ripose il cuore di quell’uomo dentro la sua sacca. Staccò una piuma dalle sue ali e la lasciò cadere sul corpo ormai immobile di quell’uomo. Gli diede un’ultima occhiata priva di qualsiasi emozione e si girò, pronta per andarsene via dalla scena del crimine. Ma qualcosa che era ai suoi piedi attirò la sua attenzione. Era il portafoglio di quell’uomo. Non capì perché lo prese da terra e lo aprì, infondo a lei non interessavano i suoi soldi, ma qualcosa dentro di lei gli disse che doveva farlo, però fu una pessima scelta. All’interno c’era la foto di quella che una volta poteva considerarsi una famiglia felice. Una moglie e due bambini piccoli, che si chiederanno che fine abbia fatto il loro papà, perché non è tornato a casa da loro, perché li ha abbandonati.
La prese e la mise dentro la sua tasca. Sapeva a cosa sarebbe servito.
Volò via, verso la sua prossima meta, con in tasca il peso di un macigno. Il peso di una vita presa e una famiglia spezzata.
 
 
Sinistro, destro, gancio. Sinistro, destro, calcio. Destro, montante, calcio girato.
Era passata più o meno un ora da quando aveva finito le sue vasche giù nella piscina della palestra. E ora Matteo, dopo essersi cambiato, si era messo in un piccolo posto indisturbato dentro la sala Boxe ad osservare Alice allenarsi.
Voleva aspettare che finisse così avrebbero fatto la strada di ritorno insieme.
Era strano quanto si erano avvicinati dopo il bacio nel capannone. Un mese fa non avrebbe mai pensato che avrebbe passato così tanto tempo con lei, anzi, pensava che molto probabilmente non si sarebbero più rivolti la parola.
Eppure eccolo lì, ad aspettarla mentre lei finiva il suo combattimento. Lì al centro della stanza, all’interno del quadrato la potevano vedere tutti. Potevano vedere quanto si impegnasse nel vincere, quanto forza e determinazione metteva in ogni colpo, quanto veloce era nello schivarli e quanto fosse intelligente nel trovare subito una via di fuga e mettere K.O. il suo avversario.
La guardava con uno sguardo di ammirazione, ma sapeva di non essere il solo, e ogni volta che vedeva qualcuno puntare gli occhi su di lei, gli prendeva una forte stretta allo stomaco. Lo faceva sentire quasi male. Però cercava di ignorarlo, pensando che non fosse niente di importante, concentrandosi su di lei.
<< Sei ancora qui?>> chiese Giorgio, spuntando dal nulla.
<< Già>> sussurrò Matteo << Aspetto che Alice finisca.>>
Giorgio portò lo sguardo su di lei e poi di nuovo sul suo amico. La sua faccia aveva un’espressione davvero confusa. Matteo sapeva che tra poco sarebbero arrivate delle domande, e pure una piccola parte di lui sperava che Giorgio non chiedesse niente, che non gli mettesse dei dubbi in testa, che non rompesse quel delicato equilibrio che era finalmente riuscito a raggiungere insieme ad Alice. E invece…
<< Senti un po’>> iniziò Giorgio, sedendosi davanti a Matteo, guardandolo fisso negli occhi << Da quando voi due passate così tanto tempo insieme?>>
Matteo sospirò, sentendo le forze abbandonare il suo corpo. La verità era che non aveva una risposta a quella domanda – che ironicamente era la stessa che lui si ripeteva qualche volta nella sua testa – quindi non sapeva cosa rispondere al suo migliore amico. Ma sapeva che lui non si sarebbe accontentato del suo silenzio.
<< Allora?!>> lo riprese Giorgio, spazientito dal lentissimo tempo di reazione del suo amico per rispondere alla sua domanda.
Matteo si portò una mano dietro la testa e iniziò a grattarsi nervosamente i suoi ricci biondi << La verità è che non lo so, Giorgio.>> iniziò Matteo << È successo tutto così in fretta e stiamo semplicemente passando del tempo insieme, tutto qui.>>
Giorgio assottigliò lo sguardo, scrutando il viso di Matteo in cerca di qualche cedimento, di qualche piccolo tic nervoso che gli avrebbe mostrato che lui stava mentendo. Eppure sembrò non trovarli.
Con ancora gli occhi socchiusi, sempre pronti a rilevare qualsiasi atteggiamento sospetto, Giorgio parlò di nuovo << Siete una specie di amici?>>
Matteo rise davanti alla faccia sospettosa di Giorgio << Siamo amici Giorgio.>>
<< Sicuro?>>
<< Sì.>>
Giorgio allontanò lentamente il volto da quello di Matteo, poi si girò rapidamente verso Alice, la fissò, e ritornò a guardarlo con stampato in faccia un grande sorriso.
<< Facciamo che credo a questa sciocchezza che mi hai rifilato>> disse Giorgio soddisfatto, mentre si alzava dalla sedia << Infondo, si sa, che il primo passo che precede una relazione è l’amicizia. Come si dice sempre, prima amici e poi amanti.>>
Matteo sapeva che Giorgio avrebbe distorto tutto quanto, dando sfogo alla sua fervida immaginazione. Avrebbe voluto controbattere a quelle parole, ma Alice aveva finito e si stava avvicinando verso di loro. E anche se non voleva ammetterlo, Giorgio gli aveva insinuato in testa il tarlo del dubbio. Sapeva anche che non se ne sarebbe liberato in fretta di quel maledetto dubbio.
<< Ehi Giorgio, come va?>> chiese Alice una volta che li aveva raggiunti, sudata e con il fiatone.
<< A meraviglia>> rispose Giorgio << il mio caro amico qui non si è voluto muovere di un millimetro perché doveva aspettare che finissi. Non si è mosso neanche quando gli ho detto che gli avrei dato la mia Playstation per una settimana.>>
<< Lo so, gli ho detto a questa testa calda di non aspettarmi ma non mi ha minimamente dato ascolto>> fece notare Alice.
<< Oh, tranquilla. Con il tempo ti ci abituerai. Non sai quante volte io debba urlargli per—>>
<< Io sono ancora qui, se non vi dispiace>> alzò la mano fra di loro Matteo per farsi notare e farli smettere di parlare della sua “presunta cocciutaggine” come se lui non fosse presente.
Alice e Giorgio si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.
Matteo, nonostante le braccia incrociate e lo sguardo imbronciato in un finto tentativo di fingersi offeso, guardò Alice e non poté fare a meno di pensare che quando lei era rilassata, senza pensieri e preoccupazioni nella testa, e rideva, in quel momento poteva vedere la parte più bella e pura di Alice. Una parte di lei molto rara da vedere, e come ogni spettacolo che si presenta una sola volta nella vita, lui doveva coglierne appieno la sua bellezza in tutti i suoi particolari.
Alice lo ridestò dai suoi pensieri quando gli posò una mano sulla spalla << Mi dispiace Matteo, non volevamo prenderti in giro.>>
<< Parla per te, sorella>> disse Giorgio, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Matteo e un sorriso malcelato da parte di Alice.
<< Okay, va bene, ho capito. È meglio chiudere qui il discorso>> si alzò dalla sedia Matteo << Alice vatti a cambiare, ti do un passaggio a casa.>>
Alice rimase sorpresa dalla proposta, ma annui in risposta prima di andarsene e dirigersi verso gli spogliatoi.
Giorgio e Matteo si salutarono nel parcheggio, ma prima che Giorgio entrasse nella sua macchina fece dei pollici in su per il suo amico e mimò con le labbra un “Tifo per te!”, per poi sfrecciare via sotto lo sguardo privo di speranze di Matteo.
Sarebbe stato un lungo viaggio per tornare a casa. Eppure neanche viveva così lontano dalla palestra.
 
Erano dentro la sua macchina da 5 minuti e il silenzio regnava all’interno della vettura. Era un silenzio strano, forse anche un po’ teso, ma Matteo cominciava a sentirsi in imbarazzo, quindi decise di mettere fine a quel silenzio accedendo la radio.
I don't know where you're going 
But do you got room for one more troubled soul? 
 
La voce del vocalist dei Fall Out Boy riempì immediatamente l’abitacolo, facendolo rilassare, sentendo il peso della situazione scendere velocemente dalle sue spalle.
 
I don't know where I'm going but I don't think I'm coming home 
And I said I'll check in tomorrow if I don't wake up dead
 
Con la coda dell’occhio guardò Alice, che, con gli occhi chiusi ed il sorriso sulle labbra, era intenta ad ascoltare attentamente la canzone.
Un lampo nella sua mente gli fece ricordare la casa di Alice e tutti i CD che possedeva, unico tratto personale di quella casa vuota, insieme ai libri.
 This is the road to ruin 
And we're starting at the end
 
<< Ti piace?>> chiese Matteo, avendo trovato un argomento con il quale iniziare la conversazione.
Alice non rispose subito, restò ancora un po’ con gli occhi chiusi e poi si girò verso di lui, annuendo.
 
Say yeah 
Let's be alone together 
We could stay young forever 
Scream it from the top of your lungs 
 
Matteo sorrise, mentre concentrato guardava la strada, e si mise a pensare alle parole della canzone. Per lui descrivevano in modo perfetto quello che erano stati lui e Alice in quei giorni. Si erano ritrovati da soli insieme, e non poteva dire di essersi sentito tanto male. Anzi si sentiva forte in quei momenti. Con lei al fianco, svaniva tutto il mondo e la realtà. E lui ritornava ad essere un “giovane” senza pensieri.

 
Say yeah 
Let's be alone together 
We could stay young forever 
We'll stay young, young, young, young, young.
 
Una piccola parte di lui voleva pensare che anche lei si sentisse così. E non aveva tutti i torti, visto il modo in cui si erano avvicinati, e i baci che si erano scambiati.
You cut me off, I lost my track 
It's not my fault, I'm a maniac 
It's not funny anymore, no it's not

Quando ripensava a quei baci, oltre alla sensazione di fare la cosa giusta, ripensava anche alla paura che veniva dopo. Ogni volta che si sfioravano le labbra, anche con baci casti, il cui contatto non durava più di qualche secondo, aveva il terrore che Alice scappasse e lo evitasse come era successo altre volte.

My heart is like a stallion 
They love it more when it's broken 
Do you wanna feel beautiful? 
Do you wanna?

 
Eppure, fortunatamente, Alice era sempre rimasta al suo fianco. Forse per il senso del dovere, dopo avergli fatto quella promessa, non si tirava indietro e non scappava come avrebbe voluto. Qualsiasi cosa fosse Matteo la accettava, senza porsi molte domande e, come un codardo, evitava di affrontare l’argomento sulla questione “perché ci scambiamo baci di nascosto?” oppure “tutto quello che facciamo significa qualcosa?”
 
I'm outside the door, invite me in 
So we can go back and play pretend 
I'm on deck, yeah, I'm up next 
Tonight I'm high as a private jet
 
La voce di Alice che canticchiava sommessamente la canzone con le labbra chiuse lo distrasse dai suoi pensieri. Gli rallegrò il cuore sapere che quella canzone le piaceva.
<< Potrei passarti qualche disco di questa band, se vuoi>> disse con un tono di incertezza. Non conosceva i gusti di Alice.
<< Certo. Anche se l’Alternative rock non è esattamente il mio genere, ma posso provarci.>>
<< Quale sarebbe il tuo genere?>> chiese Matteo incuriosito.
Alice sembrò pensarci un po’ prima di rispondere << Credo il Pop. Sai artisti come Ed Sheeran, Lady Gaga, Beyoncé, Adele. Hai presente?>>
Matteo cercò di trattenere la sua risata, ma non ci riuscì. E sembrò accorgersene anche Alice.
<< Che c’è?>> chiese con un tono confuso e allo stesso tempo anche un po’ infastidito.
Matteo si schiarì la gola, sentendosi in pericolo sotto lo sguardo attento di Alice << No, niente. È solo che, visto che sei una tipa tosta, pensavo che ti piacesse musica altrettanto tosta, come i Queen, gli AC/DC, i Nirvana o i Guns N’ Roses.>>
Alice sorrise << Ci sono tante cose che non conosci su di me.>>
Matteo rimase colpito. È vero non la conosceva, non sapeva molto su di lei se non quelle piccole sfumature della sua vita che lei gli aveva concesso di vedere. Non sapeva cosa gli piacesse fare nel tempo libero, che sport amava vedere in Tv o semplicemente quale fosse il suo colore preferito.
Non sapeva niente di lei. Ma aveva voglia di scoprirlo.

I don't know where you're going 
But do you got room for one more troubled soul 
I don't know where I'm going but I don't think I'm coming home 
And I said I'll check in tomorrow if I don't wake up dead 
This is the road to ruin 
And we're starting at the end.
 
La canzone era finita, così anche come il loro viaggio. Alice si slacciò la cintura di sicurezza e prese il borsone che aveva tra i piedi, pronta per uscire dalla macchina. Posizionò la mano sulla maniglia, ma prima di tirarla, si girò verso di lui.
<< Facciamo così. Tu mi porti il CD di questa band e io te ne porto uno mio, a mia scelta. Affare fatto?>> chiese porgendogli la mano.
Matteo ghignò, gli porse la mano e la strinse con vigore << Affare fatto!>>
<< Bene>> Alice sorrise.
Successe tutto in un secondo. Alice tirò la sua mano, portando con se dietro tutto il suo braccio, e avvicinò i loro visi pericolosamente. Quando si ritrovarono così vicini da poter specchiarsi l’uno nelle pupille dell’altro, Alice inclinò lentamente il volto e gli lasciò un delicato bacio all’angolo della bocca. Quel contatto durò a lungo e poi, così come era arrivato, svanì, lasciandosi dietro solo una lieve traccia.
Alice lo guardò un ultima volta sorridendo << Grazie del passaggio, ci vediamo domani>> disse uscendo dalla macchina e correndo verso il portone di casa sua.
Matteo rimase imbambolato ancora per qualche secondo prima di capire cosa fosse successo. Okay, non era successo niente di che. Non lo aveva baciato, anche se avrebbe voluto, ma anche questo contava qualcosa, no? Insomma le loro labbra erano a pochi millimetri di distanza dal baciarsi, e lei poteva benissimo baciarlo sulla guancia, anzi che sull’angolo della bocca, giusto?
Matteo sbuffo, scosse la testa e rimise in moto la macchina.
Durante il tragitto verso casa, aveva sul volto uno strano sorriso, che non voleva saperne di andarsene via. E forse Matteo non voleva che se ne andasse.
 
 
Si rigirava la piuma nera fra le dita della mano. La osservava, scrutando ogni centimetro di quel piccolo oggetto.
Dopo che Patrick aveva annunciato gli esiti degli esami per la piuma, risultati tutti negativi, lei aveva chiesto il permesso di prenderla, visto che non aveva più senso lasciarla in laboratorio.
E ora, nel suo ufficio, continuava a guardarla, passandosela da un dito all’altro. La luce del neon che si infrangeva sulla piuma, e si frapponeva tra loro due, la rendeva di un colore più scuro invece che chiaro.
Perché sentiva che quella piuma fosse così importante?
Non si era riusciti a capirne la provenienza e non avevano neanche trovato tracce di DNA sopra di essa, e allora perché si ostinava a tenerla con se e ad osservarla?
Sbuffò e il leggero spostamento d’aria fece muovere leggermente anche la piuma ancora stretta nella sua mano. Con uno scatto la posò sulla sua scrivania e prese il suo portatile.
Aprì il motore di ricerca e digitò qualche parola sopra, sempre buttando l’occhio sulla piuma nera che indisturbata se ne stava lì tranquilla, rilassata nel vederla così confusa.
Marta chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, doveva concentrarsi.
Un’ora dopo tutto quello che trovò fu solamente il nome di un grande volatile, l’Argentavi Magnificens, ormai estinto da milioni di anni. A Marta scappò una piccola risata. Sembrava che il “magnifico uccello argentino” non potesse essere il suo colpevole.
Il bussare alla porta la riportò nel presente, facendola sussultare all’inizio. Chiuse il portatile e prese la piuma per poi nasconderla in uno dei suoi cassetti. Si fermò per un secondo, prendendo un respiro profondo, e controllando che intorno a lei tutto fosse in ordine prima di dire << Avanti.>>
Il suo collega, Paolo, fece capolino dalla porta. Marta si sentì subito più rilassata e gli regalò un sorriso.
<< Paolo, dimmi tutto>> chiese, non avendo notato la faccia preoccupata del suo collega.
Paolo si schiarì la voce e, con un foglio in mano, si avvicinò alla scrivania del suo capo << Abbiamo ricevuto una chiamata poco fa da una donna>> iniziò, posando il foglio con tutte le informazioni sul tavolo << Non è la prima volta che chiama. Due giorni fa circa ha chiamato per dire che il marito non era tornato a casa e si era preoccupata perché non era da lui sparire senza avvisare.>>
Marta roteò gli occhi << Come se non avessi già sentito questa frase troppe volte. Mariti che spariscono e si rifanno una vita con un’altra donna>> disse acida, continuando però a leggere il foglio.
<< Avevamo pensato anche noi a questa possibilità>> rispose Paolo << Per questo non ci siamo allarmati subito. Ma questa mattina…>>
Marta distolse lo sguardo dalla sua lettura e cercò lo sguardo del suo collega, che aveva abbassato la testa e si stava grattando il polso nervoso.
<< Questa mattina…?>> ripeté Marta, incoraggiandolo a continuare.
Paolo fece saettare il suo sguardo ovunque nella stanza prima di prendere un respiro profondo per calmarsi e continuare.
<< Questa mattina ha chiamato di nuovo, in preda al panico, dicendo che qualcuno aveva lasciato davanti alla porta di casa sua la foto che raffigurava la loro famiglia piena di sangue.>>
Marta sbarrò gli occhi.
<< E c’è di più, ma quello che sto per dire è una mia pura teoria.>>
<< Vai avanti>> lo incitò ancora Marta. Molte volte le teorie del suo collega si erano rivelate giuste, e l’avevano aiutata a risolvere diversi casi. Era bravo a pensare e a collegare i vari punti di un mistero. L’unica sua debolezza era che si faceva sopraffare molto spesso dalle emozioni.
Paolo annuì << Questo episodio mi ha fatto creare un sospetto, così chiesi alla signora di dirmi dove fosse diretto suo marito quando era uscito quella fatidica notte>> si mise a cercare dentro la tasca un foglio e quando lo trovò, lo spiegazzò e lo fece vedere al suo superiore.
Sul foglio c’era scritto il nome di una via e il nome di un edificio. La mensa per poveri.
<< La via si trova nello stesso quartiere dove abbiamo trovato il primo cadavere>> concluse Paolo.
Marta sentì l’adrenalina pervadere il suo corpo alla scoperta di quel particolare, e si alzò di scatto. Paolo indietreggiò, preso alla sprovvista e seguì con gli occhi la figura del suo superiore che si muoveva verso la porta e afferrava il suo giaccone.
<< Chiama Camilla ed Antonio e mandali in quel quartiere a fare domande e ad interrogare il proprietario di quella mensa. Io e te andremo a trovare questa donna per fare chiarezza sulla faccenda.>>
Marta non poteva credere che potesse trattarsi dello stesso assassino, non poteva credere che avesse colpito ancora.
<< Voglio il fascicolo della persona scomparsa con la sua fedina penale>> Marta stava camminando con il suo collega al seguitò, quando un particolare attirò la sua attenzione.
Si mise a guardare il tabellone, che aveva in alto la scritta “Scomparsi”, e vide la foto di un uomo << È lui che stiamo cercando?>> chiese al suo collega dietro di lei, senza distogliere lo sguardo dalla foto.
<< No, è un altro. Un tipo che è scomparso settimane fa, la notizia è stata data dal proprietario dell’appartamento perché l’uomo non aveva pagato l’affitto. A detta del proprietario succedeva spesso visto che spendeva soldi in alcool e serate in discoteca.>>
Marta fissò ancora la foto. Quell’uomo è dichiarato scomparso, non morto. Non aveva tempo da perdere con lui, ora aveva a che fare con un cadavere e con una vedova. Perché il suo istinto le diceva che quell’uomo era morto ormai. E il suo istinto raramente sbagliava.
 
La casa era semplice. Muri bianchi e pavimento in legno, mentre i mobili erano pochi, quelli che servivano per la vita quotidiana. Niente di sfarzoso o troppo eccentrico, a parte forse una dozzina di crocifissi fatti con diversi materiali e immagini e statuette di santi posizionati ovunque.
Marta rabbrividì. Non era mai stata una persona religiosa, forse per colpa della sua infanzia, ma tutto questo era troppo estremo.
Maria si stava stringendo al petto la cornice con all’interno la foto del marito, mentre con l’altra mano stringeva un fazzoletto per asciugarsi le lacrime che ormai copiose scendevano dai suoi occhi azzurri.
Marta guardò il suo collega, e con un cenno del capo gli chiese di fare un giro per la casa, in cerca di un indizio o di qualcosa di sospetto. Paolo annuì e partì per la perlustrazione.
Marta si schiari la voce con vigore, per sovrastare i mugolii e i singhiozzi della povera donna davanti a lei, e riuscì ad attirare la sua attenzione.
<< Allora, Maria, mi dica tutto quello che sa e che è successo fino a quando non ha trovato la foto davanti a casa sua.>>
A Maria tremò il labbro inferiore, cercando di trattenersi di nuovo dal piangere, e con la mano tremante si spostò una ciocca che ribelle le era scappata dal suo perfetto chignon.
<< Lui…>> iniziò, tremolante, mentre guardava la foto del marito << È una persona buonissima, con un gran cuore, ed è per questo che mi innamorai subito di lui>> comparve un flebile sorriso sulla sua faccia, mentre i ricordi riaffiorarono nella sua mente << Infatti ogni anno va alla mensa dei poveri con un sacco di viveri e prepara una cena abbondante per chi non se la può permettere. Anche se a me quel quartiere non piace per niente e gli ho pregato più volte di non andarci, lui mi ha sempre tranquillizzato dicendomi che le persone che vivevano lì erano anime come noi che hanno solo perso la retta via, che si sono allontanate dal Signore>> scosse la testa, pensando a tutti quelle persone che non credevano nell’amore per il Signore e nella potenza di Dio << Molti dei senza tetto e dei tossicodipendenti che vivevano in condizioni disastrose sono stati aiutati da mio marito. È riuscito a fare breccia nei loro cuori, a cambiarli, dandogli una vita rispettabile e piena di fede.>>
Marta sorrise << Sembra veramente una persona meravigliosa.>>
<< Lo era!>> Maria si blocco di colpo, essendosi resa conto di aver parlato del marito al passato << Voglio dire… Lo è>> si ricorresse, mentre guardava il pavimento con un velo scuro sugli occhi.
<< Continui a raccontare, per favore>> disse Marta con un sorriso incoraggiante.
Maria si riscosse e continuò a parlare << La sera che mio marito è… sparito>> disse quella parola con difficoltà << Era andato in quel quartiere, alla mensa dei poveri per ultimare gli ultimi preparativi per la grande cena di Natale. Mi aveva chiamato rassicurandomi che stava ritornando a casa, ma le ore passavano e lui non tornava>> strinse la stoffa della sua gonna con vigore << Sono entrata nel panico, pensando che gli fosse successo di tutto in quel quartieraccio. Non sapevo cosa avrei potuto dire ai bambini se fosse successo qualcosa di grave al loro papà>> gli occhi ricominciarono ad inumidirsi << Ma dovevo mantenere la calma così mi presi una tazza di camomilla e mi rimisi a letto inutilmente, non riuscivo a chiudere occhio. Pregai tutta la notte e la mattina dopo, quando mi svegliai, lui non era ancora tornato. Così ho chiamato voi per denunciarne la scomparsa.>>
Marta annuì, presa ad ascoltare ogni singola parola detta dalla donna, cercando di non perdere nessun particolare.
<< Cosa è successo dopo?>> chiese Marta.
Maria si asciugò alcune lacrime sfuggite dal suo controllo e prese un respiro profondo << Ho aspettato e oggi qualcuno ha suonato alla porta. Pensavo che fosse tornato, quindi, dalla cucina, mi precipitai subito ad aprire la porta. Ma quando la aprì non c’era nessuno e ho trovato solo la foto abbandonata sullo zerbino davanti alla porta.>>
<< Potrei vedere la foto, se non le dispiace?>>
Maria annuì e, traballante, corse a prenderla dentro il cassetto di un mobile. Si mise a fissarla per un po’, stringendo le labbra in una smorfia, prima di consegnarla al Colonello.
Marta la prese, con la mano ricoperta dal guanto in lattice, e la osservò. Era una piccola foto, di quelle che si tenevano dentro le tasche o i portafogli, e rappresentava quella piccola famiglia.
Il sangue, ormai rappreso, ricopriva interamente la figura dell’uomo mentre i bambini e la donna erano puliti, se non qualche piccola traccia di sangue finita lì per sbaglio. Sembrava quasi come se qualcuno l’avesse fatto a posta a sporcare solo la figura dell’uomo. Come se qualcuno volesse mandare un messaggio, che Marta aveva ricevuto forte e chiaro.
<< Suo marito aveva dei nemici? Qualcuno che potesse fargli del male?>>
Maria si portò una mano davanti alla bocca per nascondere lo stupore e l’orrore causati da quella domanda << Oh cielo, no! Assolutamente no. Mio marito era ben voluto da tutta la comunità e non conosco nessuno che lo disprezzasse. Come le ho già detto, mio marito è una brava persona.>>
Marta le posò una mano sul ginocchio << Non lo dubito Maria, ma devo farle queste domande per non lasciare niente al caso>> disse, cercando di rassicurarla. Maria fece un sorriso tirato.
Paolo ritornò in salone, avendo finito di vedere la casa, e comunicò a Marta di non aver trovato niente.
Marta ne rimase sorpresa, non se lo aspettava sinceramente. Sperava che quell’uomo nascondesse qualche segreto, qualche vizio. Qualche peccato. Così sarebbe risultato come una potenziale vittima. E invece la sua fedina penale era pulita così come la sua casa e la sua vita.
Marta si alzò dalla poltrona << Maria la ringrazio del suo tempo, impiegheremo tutte le nostre risorse ed energie per trovare suo marito. Glielo assicuro>> le tese la mano per salutarla e per porre fine a quell’interrogatorio.
Maria si aggrappò alla mano del Colonello, con una stretta priva di forza << Vi prego>> disse con le lacrime agli occhi << Ritrovate il mio Giovanni, vi prego.>>
Marta rimase sorpresa, ma cercò di essere il più distaccata possibile emotivamente. Sapeva già che fine avesse fatto il marito, ma non poteva togliere anche quella piccola speranza che ancora le illuminava gli occhi. Quindi semplicemente annuì e uscì da quella casa che ormai era diventata troppo stretta.
Si diressero verso la macchina e Marta prese il posto del guidatore.
<< Porta quella foto al laboratorio, alcune tracce di DNA dovrebbero essersi salvate anche se Maria l’ha toccata.>>
<< Sai che è quasi impossibile che ci sia sopra qualcosa che non siano le impronte di Maria>> sentenziò Paolo sconcertato.
Marta sorrise << Non ti preoccupare, Patrick è un mago, riuscirà a trovare qualcosa>> detto questo inserì le chiavi ed accese il motore, pronta a partire per la centrale. Il telefono di Paolo squillò.
<< Pronto, sono Paolo>> rispose alla chiamata.
Marta lo osservò. Non sentiva cosa stava dicendo l’interlocutore a Paolo, ma dalla sua faccia poteva capire che non era niente di buono. La fronte del suo collega era corrugata e gli occhi erano spalancati. La sua bocca era aperta e faticava a deglutire.
<< Okay, ho capito. Riferisco subito>> chiuse la chiamata.
Marta rimase lì in attesa che il collega rivelasse tutto quello che aveva saputo in quel breve scambio di battute.
<< L’hanno trovato>> iniziò, girandosi poi verso Marta e guardandola negli occhi << Morto.>>
Marta strinse il volante mentre il motore della macchina ormai era diventato un lontano eco << Come?>> chiese secca.
<< Gli hanno strappato il cuore e per terra hanno trovato una piuma nera.>>
Marta schiacciò l’acceleratore.
 
 
Si guardò nello specchietto per l’ultima volta, controllando che tutto fosse a posto. La maschera gli ricopriva il volto, i capelli lisci erano sciolti e riposavano sulle sue spalle in maniera armoniosa senza un capello fuori posto e suoi occhi erano più scuri del solito. Non voleva essere lì. Aveva una brutta sensazione, soprattutto se era stato Lui a chiamarla.
Chiuse lo specchietto e frugò nella sua borsetta alla ricerca delle banconote per pagare il tassista.
<< Non mi deve pagare, signorina. Il suo conto è stato già saldato.>>
Alzò gli occhi e guardò quelli del tassista attraverso lo specchietto retrovisore << Da chi?>> chiese con voce dura.
Il tassista sorrise, mostrando i denti gialli e marci dal fumo e dal tabacco << Beh, da Lui.>>
Rabbrividì a quella scoperta. Se era arrivato a pagargli una misera corsa su un Taxi, la questione doveva essere davvero grossa. Chiuse la borsa e, con quella consapevolezza, scese dalla vettura.
Appena poggiò piede sul marciapiede, un vento gelido si impadronì del suo calore. Si strinse più forte l’orlo del giubbotto verso il petto, e si avviò verso il locale.
Paradise Lost
L’insegna al neon rossa e luminosa la incantò per qualche secondo. Quando abbassò gli occhi per guardare le porte davanti a lei, non poté resistere dal trattenersi nel mostrare un sorriso ironico. Lentamente e con passo deciso si avvicinò all’energumeno che fronteggiava l’ingresso.
<< Bene, bene, bene. Guarda un po’ chi si rivede>> iniziò Noelle ridendo << Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati, non sapevo ti avessero trasferito qui anche a te.>>
L’energumeno vestito di nero incrociò le braccia e grugnì, non contento di vederla.
Noelle rise << Oh andiamo, non tenermi il muso, mi pare di ricordare che ci siamo divertiti la scorsa volta. Almeno… io mi sono divertita.>>
Il Body Guard strinse ancora di più i pugni e la sua intera figura si tese al suono di quelle provocazioni.
Noelle sorrise e gli si avvicinò all’orecchio per sussurrargli << Allora mi fai passare senza storie o dobbiamo giocare ancora?>> e staccarsi subito dopo, sogghignando.
L’energumeno si portò istintivamente una mano davanti alla benda, che gli copriva l’occhio mancante, e grugnì.
Noelle alzò un sopracciglio e, dopo neanche un secondo, il Body Guard si spostò controvoglia per farla passare all’interno del locale.
Noelle rise e si incamminò verso la terra del peccato.


La musica Jazz inondò le sue orecchie, i suoi occhi furono riempiti dal colore rosso, presente in tutta la sala, in ogni parete, drappeggio e in ogni tessuto di ogni piccolo divano. In fondo al locale era incisa una scritta con lettere d’oro che recitava: “Meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso.” Noelle sorrise, perché non poteva essere più d’accordo.
Da una parte c’era il Buffet, ricco di pietanze di ogni genere, preparato da i più bravi Chef, e pronti per soddisfare l’ingordigia di ogni uomo o donna che si presentava davanti a quel tavolo. Abbandonavano ogni tratto di umanità una volta che posano gli occhi davanti alle gustose pietanze, che emanavo un profumo così dolce e invitante, da far cedere anche il più salutista degli uomini. Noelle li guardava e quello che si presentava davanti agli occhi erano maiali, non esseri umani. Peccatori di gola.
Dall’altra parte della stanza, il tintinnio delle monetine che cadevano per delle vincite, e quelle che venivano buttate all’interno delle macchinette, la distraeva dalla musica. Sentire le urla di chi vinceva una grande fortuna, e scorgere i singhiozzi di chi aveva perso tutto ed era disperato. Sentire gli uomini sfidare la Dea bendata della Fortuna credendo di essere più forti di lei e volendo sempre il doppio di quello che ricevevano. Uomini che credevano di essere più forti del gioco stesso, padroni del mondo, ma che non avevano ancora capito di essere solo pedine. Peccatori di avarizia e superbia.
In un angolo più nascosto, soprattutto alla vista di una persona poco attenta, c’erano delle tende di velluto rosso con delle piccole cordicelle in oro ai lati. Si poteva intravedere da lontano solo l’oscurità della stanza, interrotta qualche volta da alcune luci stroboscopiche e dal bagliore irradiato dai pali da lap dance ogni volta che una luce ci finiva sopra. Lì era dove la coscienza e la ragione andavano a morire, dando libero sfogo all’animale primitivo presente dentro ogni singolo essere umano. Peccatori di lussuria.
<< Posso aiutarla, mademoiselle?>> chiese un cameriere che si era presentato davanti a lei.
Noelle lo guardò e fece diventare per un breve secondo i suoi occhi color dell’oro. Il cameriere di risposta, con un sorriso, fece diventare i suoi occhi completamente neri.
<< Da questa parte, prego>> disse, conducendola ancora di più verso l’interno dell’edificio.
Presero l’ascensore e salirono fino al piano superiore in completo silenzio. Il suono della piccola campana che segnalava l’arrivo al piano fece distogliere Noelle dai suoi pensieri, e il fermarsi dell’ascensore fece sussultare entrambi.
<< Il padrone è molto felice che lei abbia accettato il suo invito>> disse mentre attraversavano il lungo corridoio verso una grande porta verniciata di rosso.
<< Obbligata…>> sibilò Noelle.
Il cameriere sorrise e si fermò davanti alla porta. << Lasci a me i suoi indumenti, il padrone ha espressamente chiesto di volerla vedere con il vestito che le ha gentilmente offerto in dono.>>
Noelle ringhiò a quella richiesta così sfacciata, ma non poteva pretendere altro da Lui. Lentamente si slacciò il giubbotto e con particolare forza lo consegnò al cameriere, insieme alla sua borsetta.
<< Le auguro una buona permanenza>> disse a capo chino, prima di andarsene e lasciarla lì da sola davanti alla porta.
Prese un paio di respiri profondi per rilassare le sue spalle tese e, per tenere le mani occupate, spiegazzò il vestito.
L’indumento che gli aveva fatto recapitare non era niente di esagerato, si sarebbe aspettata di peggio, infatti era un abito elegante lungo, nero, con lo spacco sulla coscia sinistra e, sopra, uno scollo a V che terminava appena sotto la linea del seno. Le maniche lunghe coprivano le sue braccia per proteggerle dal freddo invernale, anche se una creatura come lei non sente mai freddo.
Posò la mano sulla maniglia e, con una presa decisa, aprì la porta.


La sala era enorme e luminosa. Dal soffitto scendeva un grande lampadario di cristallo, che lasciava solo qualche traccia d’ombra nelle parti più lontane della stanza, ma che dava comunque all’ambente un aspetto rilassante, sicuro, quando invece era tutto il contrario. Sembrava una di quelle sale da ballo vecchio stile, e lo poté confermare dalla presenza di un piccolo palco dove un cantante si stava esibendo. Lo guardò mentre si avvicinava al centro, riconoscendolo immediatamente. Davanti a lei l’ormai defunto Robert Johnson stava strimpellando una melodia con la sua chitarra, e la sua voce blues inondava la stanza di una certa malinconia. Noelle sapeva che l’artista non provava niente, essendo un contenitore vuoto, ed ebbe la conferma quando intravide i suoi occhi, spenti, privi di vita e senza anima. La stessa che si era giocato tanto tempo fa, vendendola a tipi come… Lui.
Poco vicino al palco, lo vide. Seduto ad un tavolo, con indosso uno smoking rosso, fatto apposta per lui- naturalmente, non risparmiava certo nell’apparire- mentre con il calice in mano, ascoltava ad occhi chiusi la melodia che riempiva la stanza. Noelle si fece più vicino, facendo rumore con i suoi tacchi, intromettendosi nell’equilibrio della melodia e ottenendo l’attenzione del suo diretto interessato.
I suoi particolati occhi, uno bianco ed uno nero, si posarono sulla figura di lei e si accesero di eccitazione.
<< Oh, il mio smeraldo>> mormorò l’uomo, posando il bicchiere ed alzandosi.
Prese il suo bastone da passeggio dove all’estremità era scolpita una zamba, simile a quella di un’aquila, con artigli robusti, affilati e ricurvi, che tenevano in una stretta quasi possessiva una palla di cristallo, e si avvicinò a lei. Con passi lenti e precisi, e ogni volta che riduceva la distanza il suo sorriso si allargava sempre di più. Le prese la mano con delicatezza, e posò sopra il dorso un dolce bacio. Noelle si irrigidì tutta a quel gesto, sentendo quella parte del suo corpo ora infetta.
<< Sei veramente magnifica. L’abito che ti ho comprato ti sta d’incanto>> la guardò negli occhi dal basso, con ancora la mano imprigionata nella sua e le labbra ancora vicine alla sua pelle.
Noelle ritirò la mano, non riuscendo più a sopportare il contatto, e spostò i suoi occhi intorno alla stanza, evitando il contatto visivo. Notò in quel momento come a tutti i lati della sala fossero presenti due di quelli che dovrebbero sembrare camerieri, ma lì dentro non tutto è quello che sembra in realtà. In fondo era sempre nel suo regno, la terra del peccato. Contò che ce ne fossero una decina in tutto lì dentro, e questo mise il suo corpo in allerta costante.
<< Vogliamo sederci? Sei mia ospite e vorrei riservare il miglior trattamento per il mio prezioso smeraldo>> disse, invitandola a seguirlo e spostandogli la sedia per farla sedere.
Noelle si mise al suo posto, accavallando le gambe, e vide Lui fare lo stesso. Lei spostò lo sguardo sul cantante Blues << Ti tratti bene>> disse riferendosi a Lui.
<< Solo la crème de la crème, è uno dei vantaggi di fare patti con la gente giusta>> rise << So che avresti voluto qualche altro artista del Club 27, ma ho voluto sorprenderti.>>
Noelle distolse lo sguardo e lo riposò su Johnson. Lui, come altri morti all’età di 27 anni, avevano fatto un patto con il diavolo. Più precisamente il demone degli incroci. Ognuno di loro aveva chiesto di avere un dono, di poter realizzare quello che più bramavano, e il demone accettava ogni volta ma solo in cambio della loro anima. Chi accettava sarebbe poi stato reclamato dal demone stesso nel loro ventisettesimo anno di vita per essere trascinato giù all’Inferno. Aveva sentito voci, di chi era riuscito a scappare o di chi era stato capace di annullare il contratto senza ripercussioni. Ma erano solo voci e lei stentava a crederci. I demoni erano astuti, malvagi e manipolatori, era impossibile che un umano riuscisse a sconfiggerli nel loro stesso gioco.
Sospirò << Azael>> disse il suo nome << Perché mi hai chiamato? Sappiamo tutti e due che non sono qui per una visita di cortesia.>>
<< Sempre impaziente. Non sei cambiata per niente dal nostro primo incontro, piccola>> ghignò, mentre si portava un bicchiere di vino alle labbra.
Noelle strinse il tessuto della tovaglia in un pugno << Allora dovresti sapere anche cosa succederà se non parli immediatamente.>>
Azael rise, e posò il bicchiere sul tavolo, rivolgendo l’attenzione completamente a lei << Ho bisogno che tu rimanga qui, nel periodo Natalizio, e che faccia un paio di lavori per me.>>
Noelle sgranò gli occhi, facendo uscire una risata forzata, pensando che lui scherzasse. Quando però si accorse della serietà della sua voce e dei suoi occhi, incredulità, rabbia e panico si impossessarono del suo corpo.
<< Sei impazzito?!>> disse afferrando i lati del tavolo con entrambe la mani e stringendoli forte per rimanere calma << Mi stai chiedendo di rimanere qui quando stiamo per entrare nel periodo più religioso e sacro al mondo, il quale effetto mi renderà debole e vulnerabile per il piacere di tutte quelle persone che mi vogliono vedere morta, e allo stesso tempo fare dei “lavoretti” per tuo conto?>> Noelle scosse la testa, non credendo alle sue stesse parole << Scordatelo!>>
Azael non si mosse di un millimetro, e la sua faccia non esprimeva né rabbia, né noia, né frustrazione, tutti sentimenti che dovrebbe avere una persona davanti ad un rifiuto. Però lui non era una persona, e soprattutto non sapeva cosa fosse il rifiuto.
<< Cosa ti spaventa tanto?>> iniziò mentre, distrattamente, passava lentamente un dito intorno all’orlo del calice << Da quello che mi ricordo, tu sei molto forte e molto abile. Dovrebbe essere una passeggiata per te, affrontare tutto questo.>>
<< Non in questo periodo, non ora che i maggiori capi religiosi si riuniscono per pregare e la luce è più forte delle tenebre.>>
Azael si passò una mano sotto al mento, scrutandola << Oh, capisco. La verità è che non dipende dal fatto che sarà Natale tra poco, la verità è che ti sei rammollita.>> sorrise maligno.
Noelle si sentì colpita e strinse ancora di più la presa sul tavolo. Azael schioccò le dita e uno dei camerieri, una ragazza, si incamminò verso di lui con una bottiglia di vino rosso e un calice in mano.
Noelle assottigliò lo sguardo << Sai che non è così. Perché mi dici questo?>> chiese, velenosa. La cameriera riempì il calice vuoto del suo padrone e posò il bicchiere davanti a lei.
<< Seguo ogni tuo movimento, e sto vedendo cose che non sembrano da te. Chiamalo sesto senso o intuizione, poco mi importa, quello che sento è che l’equilibrio non è più lo stesso.>> prese il bicchiere e bevve un sorso, mentre la cameriera stava riempendo quello di Noelle << Ma forse non è così. Dimostra che mi sto sbagliando, bambolina>> sorrise.
La bottiglia di vino si fracassò a terra, disperdendo pezzi di vetro ovunque e macchiando il pavimento. Noelle si girò, attirata dal forte rumore, e tutto successe velocemente. La cameriera sfilò un coltello da dietro la schiena e tirò un fendente. Noelle si scostò giusto in tempo, ricevendo solo un taglio superficiale sul braccio sinistro. Mise la mano all’interno dello spacco del vestito e prese, dal cinturino legato alla coscia e nascosto alla vista di tutti, il suo pugnale. Afferrò saldamente il braccio di lei e lo sbatté con forza sopra il tavolo, provocandogli dolore e facendogli perdere la presa sul pugnale. Subito dopo portò il braccio dietro la sua schiena e schiacciò il suo corpo, bloccandolo, sulla tavola. La faccia della cameriera era pressata contro il tavolo, Noelle la prese per i capelli e le girò il volto, mentre nello stesso tempo le puntò il pugnale alla gola. La cameriera digrignò i denti e la guardò, con i suoi occhi completamente neri. Era un demone che si era impossessato del corpo di quella ragazza.
<< Finisci il lavoro>> disse Azael, vedendo come lei stesse indugiando nel dare il colpo di grazia alla ragazza.
Noelle spostò lo sguardo da lui alla ragazza, e poi disse con tono deciso << Liberala dal demone.>>
Azael rimase impassibile e continuò a sfidare con lo sguardo Noelle.
Noelle grugnì e si avvicinò all’orecchio della ragazza. Sussurrò alcune parole in Latino e l’attimo dopo un fumo nero uscì dalla bocca della ragazza, scomparendo nel soffitto.
Noelle allentò la presa e vide la ragazza riprendersi lentamente. Il suo naso iniziava a sanguinare, data la forte botta data al tavolo, e il polso le si stava gonfiando. Era ritornata umana, non era più il contenitore di un demone.
Si guardò intorno, spaesata e impaurita. Quando si girò verso Noelle, iniziò a tremare, e i suoi occhi pieni di terrore iniziarono ad inumidirsi.
<< Vattene>> le ordinò gelida Noelle.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, e con passi malfermi si avvicinò velocemente alla porta che portava all’uscita. Però qualcosa andò storto. Prima che potesse afferrare la maniglia della porta, l’aria nei polmoni di quella ragazza mancò, e si ritrovò a respirare a fatica, i suoi occhi si rigirarono all’indietro mentre le gambe le cedevano e le ginocchia sbattevano a terra.
<< Lasciala andare!>> urlò Noelle ad Azael.
<< Ho detto, finisci il lavoro>> proferì gelido l’ordine che le aveva impartito precedentemente.
Noelle guardò la ragazza. La sua pelle era diventata di un colore rossastro, strisce di sangue uscivano dalle sue orecchie e sicuramente tra poco gli occhi le sarebbero usciti fuori dalle orbite. Stava facendo provare a quella ragazza il doppio della sofferenza, ed era tutta colpa sua. Si sentiva impotente.
Raccolse da terra il coltello con cui precedentemente la ragazza l’aveva attaccata, lo fissò e lo strinse fra le dita. Calcolò la distanza, prese la mira, e lo lanciò, trafiggendo il cranio della ragazza che si accasciò per terra, senza vita.
Silenzio e gelo calarono nella stanza, bloccando il tempo per qualche secondo. Sentì Lui continuare a bere il suo vino come se niente fosse, e Noelle a quel punto decise di muoversi di nuovo e continuare a respirare. Con il volto cupo, si avvicinò al tavolo, prese il tovagliolo che era rimasto intatto ed asciutto nella rissa, ci buttò sopra del vino e se lo legò intorno al taglio sul braccio. Fece una smorfia di dolore mentre con i denti stava stringendo il pezzo di stoffa. Se la ragazza avesse usato un’arma normale, a quest’ora il taglio si sarebbe già guarito da solo, sfortunatamente lì conoscevano la sua natura e quello che lei aveva usato non era un coltello semplice.
<< Il fatto che io non stia prendendo provvedimenti in merito ai tuoi comportamenti che, secondo il mio criterio, sono alquanto bizzarri, non ti dà sicuramente il diritto di elevarti al di sopra di me e dei miei ordini>> Azael posò il bicchiere, prese il suo bastone da passeggiò e si alzò. Quando era in piedi, Lui era molto più alto di lei, questo la costrinse ad alzare di qualche centimetro la testa per poterlo guardare dritto negli occhi.
<< Che ti piaccia o no, devi fare quello che ti ordino. Un patto è un patto>> camminò lentamente verso l’uscita e uno dei camerieri apri la porta al posto suo.
<< Credo che questo compito non ti farà altro che bene. Ricostruirai la tua scorza, più forte di quella che hai ora>> disse ridendo, prima di andarsene e lasciarla da sola in quella immensa sala da ballo.
Noelle rimase immobile, stringendo i pugni in una presa dolorosa, poteva sentire le unghie scavare lentamente nel suo palmo, facendo uscire qualche stilla di sangue. Spostò lo sguardo sul corpo esanime della ragazza e il suo petto si riempì ancora di più di rabbia.
Prese il tavolo e lo scaraventò per terra, producendo un rumore assordante, facendo infrangere a terra ogni oggetto che c’era sul tavolo trasformando il pavimento in un campo minato di vetri. Poi urlò, più forte che poté, così tanto che sentiva le corde vocali prendere fuoco e bruciare all’interno della sua gola. Urlò così forte che gli sembrò che le pareti tremassero per la forte onda d’urto causata dalla sua voce. Urlò perché si sentiva in trappola.
E come prima c’era il rumore, ora c’era il silenzio. E tutto ritornò come prima.
 
 
Seduto sotto l’albero del cortile, Matteo si stava godendo una di quelle giornate di Dicembre dove il freddo lasciava un po’ più di spazio al calore, riscaldando le guance che di solito erano congelate per il vento freddo. Con le cuffiette nelle orecchie stava passando la giornata lì, indisturbato, ad ascoltare alcune canzoni che Alice le aveva consigliato. Alla fine si erano scambiati gli album, lui le diede, come promesso, il CD dei Fall Out Boy e lei lo soprese dandogliene uno di Ed Sheeran. Non credeva che potesse piacergli quel genere di musica lenta e a tratti molto sdolcinata, ma quell’inglese lo aveva fatto ricredere. Per non contare che il cantante somigliava parecchio al suo migliore amico roscio, e questo gli dava dei punti in più.
Stava ascoltando una delle sue canzoni, doveva ammettere che con le parole ci sapeva fare l’inglesino, quando Giorgio gli strappo il telefono dalle mani portandosi dietro anche gli auricolari e facendo gemere di dolore Matteo per le maniere poco delicate del suo amico.
<< Cosa ti stai ascoltando?>> chiese retoricamente, mentre già stava guardando il titolo della canzone sullo schermo del telefono.
Oh no, pensò Matteo.
Gli occhi di Giorgio si allargarono all’inverosimile, e la sua bocca seguì l’esempio dei suoi occhi. Iniziò a saettare lo sguardo dallo schermo del telefono a lui, e viceversa, mantenendo sempre quell’espressione ridicola sul volto.
<< Come?>> iniziò Giorgio, con voce troppo isterica << Quando e perché?!>>
Matteo roteò gli occhi al cielo << Non farne un dramma come al solito.>>
Giorgio si portò una mano sul cuore, corrugò le sopracciglia, trasformando la sua faccia in un’espressione di pura indignazione.
Ora ricomincia, pensò di nuovo Matteo.
<< Quante volte ti ho chiesto di ascoltare questo cantante?>> chiese Giorgio.
<< Andiamo Giò, non iniziare con->>
<< Rispondimi!>> disse incrociando le braccia, più determinato che mai.
Matteo sospirò << Tante volte, all’incirca un miliardo di volte.>>
<< E quante volte mi hai dato ascolto?>> domandò Giorgio con un sopracciglio alzato.
Matteo si lasciò sfuggire una risata << Nessuna.>>
Giorgio assottigliò lo sguardo, sentendosi preso in giro << E allora adesso voglio sapere perché lo stai ascoltando e chi ti ha dato l’album. E non mi muoverò da qui finché non me lo dirai, ne va del mio orgoglio e dell’orgoglio del mio idolo.>>
Matteo sospirò pesantemente, avrebbe dovuto ascoltare la musica nelle mura sicure di camera sua.
<< Allora?>> chiese Giorgio, spazientito.
Matteo iniziò a grattarsi il retro della testa, a disagio, e puntò il suo sguardo al terreno << Me l’ha dato Alice. Abbiamo fatto uno scambio, io gli ho dato uno dei miei CD e lei uno dei suoi.>>
Intorno a lui regnava il silenzio, sembrava quasi che il suo amico fosse scappato a quella rivelazione. Così alzò lentamente lo sguardo da terra e l’ultima cosa che si aspettava era trovarlo in quello stato. Le braccia di Giorgio non erano più incrociate al petto, ma abbandonate senza forza lungo i fianchi. La sua bocca era leggermente aperta e si poteva leggere benissimo l’espressione di stupore presente sulla sua faccia.
<< Tu non ascolti mai niente di Pop, per te il Rock, la tua musica in generale, è sacra. Non hai mai voluto ascoltare un mio CD e non hai mai fatto avvicinare nessuno ai tuoi preziosi album>> si bloccò per qualche secondo Giorgio per pensare e schiarirsi le idee << E poi arriva quella ragazza, e cambia tutto.>>
Matteo non era sicuro di dove Giorgio volesse andare a parare. Da una parte sembrava ferito, tradito, quasi come se gli avesse dato una pugnalata al petto dopo quella notizia. Ma, dall’altra parte, sembrava sollevato e felice per quel che stava accadendo. Anche se Matteo non aveva idea di cosa stesse accadendo. Oppure era solo molto bravo a fare finta di non capire.
Negli occhi di Giorgio passò una scintilla, che fece diventare i suoi occhi ancora più luminosi appena disse le parole che lui aveva cercato di evitare per tutto quel tempo.
<< Lei ti piace.>>
Matteo trattenne il respiro davanti a quella affermazione. Non pensava fosse vero, pensava che Giorgio avesse colto male i segnali e si stesse creando tutto un film mentale come di solito faceva. Ed era anche pronto a dirglielo, pronto a dimostrare che non era vero, che quello che aveva detto era solo una bugia, una fantasia. Ma appena provò ad aprire la bocca Giorgio lo interruppe.
<< Non dirmi che non è così, non ti crederei mai. Solo tu puoi credere a questa tua stupida bugia>> Giorgio rise << Cavolo->> disse << Non ti vedevo così preso da una ragazza dai tempi delle medie con Claudia. Ne è passato parecchio di tempo.>>
Matteo si lasciò trasportare per un attimo dai ricordi. I ricordi della sua prima ragazza, di tutte le sue prime volte con lei, della sua prima relazione seria e di come finì male dopo tre anni.
<< So che può fare paura>> disse Giorgio risvegliandolo dai suoi pensieri << Anzi nel tuo caso direi che sei completamente terrorizzato>> risero entrami a quella affermazione << Ma non puoi mentire per sempre a te stesso, e non puoi perdere queste opportunità.>>
Matteo scosse la testa << Non si metterà mai con uno come me.>>
Giorgio sbuffò infastidito << Ma ti senti?>> disse afferrandogli una spalla << Tu non hai niente in meno degli altri, okay? Pensi veramente che ad Alice tu non piaccia? Ma hai mai visto come ti guarda? Come pende dalle tue labbra quando parli delle cose che ti piacciono? E ho notato anche che salta le ore di lezione per stare con te.>> Matteo rimase sorpreso << Che c’è? Pensavi che non me ne accorgessi? Vorrei solo sapere di che parlate quando state insieme per tutto quel tempo. Beh, non so se parlate o fate qualcosa in più.>>
Matteo divenne rosso in faccia, non era pronto per parlare di quello con Giorgio, anzi non lo sarebbe stato mai.
<< Senti>> Giorgio gli restituì di nuovo il suo telefono fra le mani << So che hai paura e pensi di non essere all’altezza e altre cavolate varie di cui il tuo cervello si riempie giornalmente. Ma vorrei che tu ci provassi di nuovo, voglio dire provarci davvero. Non è un male che tu senta di nuovo qualcosa per un’altra persona, anzi alla fine potrebbe anche piacerti la sensazione di lasciarsi andare completamente>> detto questo girò i tacchi e se ne ritornò all’interno della scuola.
Matteo rimase qualche minuto immobile a fissare il cellulare, nello schermo ancora la canzone che stava ascoltando “Give me love”. Lo sbloccò e aprì la casella dei messaggi.
 
Ad Alice
Vieni al capannone degli attrezzi.

Invio. 









Angolo autrice
Sono veramente, veramente dispiaciuta. È da tantissimo tempo che non aggiorno la storia, e non smetterò mai di scusarmi per il mio enorme ritardo. Purtroppo avevo il blocco dello scrittore e non riuscivo neanche a prendere il Pc fra le mani senza sfociare in un attacco isterico.
Alla fine sono riuscita a sbloccarmi e ne è uscito qualcosa di buono (e anche molto lungo).
Con il prossimo capitolo si arriverà a metà storia, cercherò di postarlo il prima possibile e di non farvi aspettare troppo tempo (scusate ancora). Per qualsiasi lamentela o domanda sulla storia potete contattarmi qui. In seguito cercherò modi più facili per mettermi in contatto con voi.
Ringrazio tutte le persone che leggeranno o recensiranno la storia.
(Scusatemi... di nuovo)
Al prossimo capitolo.

E. xx


 
  
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