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Autore: aphrodite_    26/02/2017    8 recensioni
Arriva un nuovo ragazzo a scuola determinato a rendere un inferno la vita di John. Chi l’avrebbe saputo che sarebbe finita così?
TRADUZIONE AU || autrice originale: johnandsherlocks - traduttrice: aphrodite_
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

RIASSUNTO: “Quindi… Fingiamo e basta?”
 
NO ONE KNOWS

Era mercoledì; dopo due lunghissimi giorni di scuola in cui tutto gli ricordava Sherlock e la felice coppia che faceva con Irene, John arrivò a casa. Prima di tutto ciò, preferiva mille volte rimanere a scuola piuttosto che tornare a casa perché si sentiva incredibilmente solo, ma adesso a scuola si sentiva ancora più solo e desiderava sempre e soltanto andare a casa e lasciarsi tutto alle spalle.
Parcheggiò la macchina, non aveva neanche acceso la radio durante il tragitto casa – scuola. Scese dall’auto e sua madre lo stava aspettando davanti la porta di casa, con le braccia incrociate, tenendo un foglio tra le mani. Stava anche piangendo. John pensò al peggio. “Ciao, mamma.” Si avvicinò a lei, guardandola preoccupato.

“Stai bene?”

Sua madre scosse il capo e lo guardò. “Puoi spiegarmi questo, per favore?”

Gli mostrò il foglio. Era la prima nota dell’anno. Aveva preso un’insufficienza in fisica.

Merda.

***

John si svegliò senza neanche ricordare a che ora si fosse addormentato. Ricordava di aver pianto, ricordava di aver avuto un brutto litigio con il padre, l’aveva chiamato ‘traditore bugiardo’ e ‘merda di padre’ e poi… Aveva un livido sulla spalla. Gli faceva male. John ne aveva abbastanza, era stanco di essere il ragazzo perfetto, di lavorare sodo per non deludere le aspettative dei genitori, sapendo che non avrebbe mai raggiunto il livello delle loro aspettative. Era tutto sottosopra.
Fecero colazione in silenzio ed una volta finito, lui ed Harry si prepararono per andare a scuola. Non appena entrarono in macchina, Harry accese la radio, sintonizzandola in quella merda di stazione radio rock’n’roll. In quel preciso istante, John perse la pazienza: “SPEGNI QUELLA MERDA!” urlò, e lei lo guardò. Non disse nulla, e spense la radio.
Rimasero per tutto il tragitto in silenzio. E poi John non aveva voglia di parlare.
John non aveva mai avuto bisogno di un amico così tanto come in quel momento. Ma non aveva nessuno. Mike non avrebbe ascoltato. O forse l’avrebbe fatto, ma John non voleva comunque dirgli nulla. L’unica persona al mondo di cui si fidava abbastanza, era Sherlock. O meglio… Il vecchio Sherlock. Quello che stava con John, quello che non era un idiota.
Sapeva che il vecchio Sherlock l’avrebbe trattenuto e gli avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene, che fosse intelligente, ed abbastanza forte ed incredibile, perché era quello che faceva il vecchio Sherlock. Ma non esisteva più. Il nuovo Sherlock se la stava sicuramente spassando con Irene prima dell’inizio delle lezioni.
La campanella suonò. Storia. Avevano storia. John sospirò. Avrebbe fatto qualsiasi altra cosa pur di non seguire la lezione di storia. Si fermò a pensare a quanto fosse cambiata la sua vita in così poco tempo (di nuovo!) prima odiava quella materia, poi era diventata la sua preferita, ed ora la odiava di nuovo. Prese i suoi libri dall’armadietto ed andò in classe.

***

Sherlock poteva giurare che ci fosse qualcosa di strano in John. Non si stava comportando normalmente, ed aveva anche senso considerati gli orribili trascorsi tra di loro, ma c’era qualcosa di… Diverso in John.
Sherlock era già in classe quando John entrò, e si costrinse a non guardarlo, ad ignorarlo il più possibile ma era fottutamente difficile, soprattutto perché John sembrava così… Triste? Non riusciva a capire. Durante l’intera durata della lezione, Sherlock trascorse la maggior parte del suo tempo a fissare il collo di John, i suoi capelli, la sua schiena, cercando di capire cosa fosse successo. John era completamente assente durante la lezione, e confermava la sua teoria! John era sempre partecipe alle lezioni. Non guardava il suo quaderno, prese a malapena appunti… La sua mente era sicuramente altrove.
Dal loro ultimo litigio, Sherlock si era detto che alla fine sarebbe ritornato tutto alla normalità, che avrebbe superato quella fase di stupidità e che avrebbe dimenticato John, ma era tutto il contrario: si pentiva giorno dopo giorno delle sue dannate scelte, ogni volta che vedeva John sentiva il bisogno di abbracciarlo, di tenere la sua mano, di baciarlo e di migliorare le cose, ma non poteva e non voleva. Sapeva di aver esagerato quel giorno, e John aveva ragione, era stata una discussione inutile, ed era stupido lasciare le cose così. Voleva fare la cosa giusta, ma non sapeva come.

***
John sapeva che la lezione di storia non avrebbe migliorato le cose, ma in qualche modo aveva la speranza che il professore li avrebbe costretti ad un qualche lavoro di gruppo, o che avrebbero discusso del progetto, così da poter trascorrere del tempo con Sherlock, anche se adesso fingevano di non essersi mai conosciuti. Ma aveva anche altro di cui preoccuparsi: fisica. Come avrebbe potuto ricevere una borsa di studio? Aveva toppato in quella materia. Era inaccettabile ed era tutta colpa di Sherlock. Tutto era colpa sua.
Rimase in silenzio, sapendo che incolpare Sherlock per tutto non l’avrebbe aiutato e fingere di odiarlo non l’avrebbe aiutato ad odiarlo per davvero. Non ci riusciva e non poteva. Per quanto ci provasse, non poteva.
Il resto della giornata trascorse rapidamente, ed era sorpreso quando la campanella suonò. Era l’ora di pranzo. John non voleva mangiare nulla, così pensò che la cosa migliore da fare fosse andare in biblioteca a studiare fisica, studiare avrebbe migliorato il suo umore. O almeno, così pensava.
Raggiunse il suo armadietto per prendere gli altri libri dall’armadietto, mentre gli studenti camminavano lungo l’androne. Prese i libri e sospirò, poi si voltò e provò ad andar via ma Sebastian si era già avvicinato a lui, spingendolo contro gli armadietti, e la prima cosa che percepì John fu la sua spalla contro il metallo dell’armadietto, ed il dolore s’intensificò, mentre il moro passò davanti a lui. I libri caddero per terra. “Guarda dove metti i piedi, sfigato!” Disse Sebastian, ridendo. Jim, dietro Sebastian, scoppiò a ridere.
Le persone continuavano a passare, ma John era ancora lì, con la schiena contro gli armadietti, toccandosi la spalla e cercando di raccogliere i libri. Era così furioso. E no, no, no, non stava piangendo e non avrebbe pianto. Non voleva piangere. Tuttavia, le lacrime iniziarono a rigare il suo viso. Non riusciva più a trattenerle, le aveva trattenute troppo a lungo. Il dolore alla spalla lo stava uccidendo, gli ricordava di quanto fosse fottuta la sua vita. Aveva tutte le ragioni del mondo per piangere. Si sedette per terra, con la schiena contro l’armadietto, e le lacrime che continuavano a scorrere sul suo viso. Chiuse gli occhi.

 “La vita è dura, non è vero?” Udì, dopo che qualcuno sussurrò quelle parole contro il suo orecchio. Si voltò immediatamente, togliendosi gli occhiali e sbattendo più volte gli occhi per assicurarsi che a parlare fosse chi aveva pensato. Sherlock era seduto accanto a lui, poggiato contro un armadietto.

John cercò di sembrare calmo. Si voltò a guardare altrove, non riusciva a sopportare di guardare Sherlock, in quel momento. “Che ci fai qui?”

 “Sei triste.”

 “E quindi?” Disse John cercando di cacciar via le lacrime.

 “Non lo sopporto. Non sopporto vederti triste.” Disse Sherlock con dolcezza.

 “Non preoccuparti per me. Adesso puoi andare, la tua ragazza ti starà aspettando.” Disse John, e quelle parole fecero più male del dovuto.

Sherlock scosse il capo. “Può aspettare. Qualunque cosa può aspettare. Che è successo?”

John scosse il capo ed abbassò lo sguardo, tentando d’ingoiare quel groppo in gola. “Niente. Sto bene.”

 “John…” Disse Sherlock, guardandolo con un’espressione seria. Dopodiché avvicinò le sue dita al viso di John, e tolse via una lacrima ferma sulla sua guancia. John indietreggiò, sapendo che fosse pericoloso.

 “E’ che-“ John prese un respiro profondo. “La mia vita è un casino. Ho litigato con i miei genitori, ho fallito in fisica e ciò significa che ho perso l’opportunità di entrare al college, sono un buono a nulla e ciò non cambierà mai.” Le lacrime ricominciarono a scorrere. “E poi ci sei tu…” John si zittì subito non appena realizzò ciò che aveva detto.

Sherlock si voltò per guardarlo. “Io cosa?”

 “Niente. Assolutamente niente.” Disse John, un po’ a se stesso, un po’ a Sherlock.

 “John…” Supplicò Sherlock.

John realizzò che quella era la prima volta dopo molti giorni in cui stava parlando con Sherlock. Doveva cogliere l’attimo. Inoltre Sherlock lo aveva chiamato ‘John’.

Avrebbero potuto avere una conversazione decente. Chiuse i suoi occhi, insicuro su cosa dire. “Perché… Perché non me l’hai detto che ti piaceva?” La sua voce era più un sussurro, mentre scuoteva il capo.

Sherlock rimase in silenzio, senza distogliere lo sguardo da John.

 “Mi avresti risparmiato così tanto tempo, così tante speranze, illusioni, pensieri… Dimmi perché, Sherlock. E’ tutto quel che mi serve.”

Sherlock non disse niente, abbassò semplicemente lo sguardo. Non avrebbe risposto. E John lo sapeva. “Sai cosa? Non voglio saperlo. Ho cose più importanti a cui pensare.” Disse guardando dovunque tranne che verso Sherlock.

 “Perché ti ha picchiato?” Disse, cambiando discorso e voltandosi così da osservare John, che non si azzardava a guardarlo.

“Chi?” Come cavolo faceva Sherlock Holmes a sapere sempre tutto?

 “Tuo padre, ovviamente.”

 “Mh… Mh…” Non riusciva a calmarsi, piangeva ininterrottamente. Respirò per un attimo, prendendosi di coraggio. Guardò Sherlock. “Abbiamo litigato.” Disse John, con voce spezzata. “E’ che… Si aspettano così tanto da me ed io sono niente, sono nessuno, sono inutile… Io sono…” Iniziò nuovamente a piangere.

Sherlock sollevò il suo viso dal suo mento, affinché fossero faccia a faccia. E per la prima volta dopo sei giorni, John guardava quegli occhi blu, verdi, grigi e rabbrividì. Ordinò al suo cervello di non guardare le labbra di Sherlock, perché non erano niente di che. “John, guardami.”

John lo guardò, lo guardò, e lo guardò. Non avrebbe mai voluto interrompere quel contatto visivo.

 “Quante volte devo dirti che sei la persona più incredibile che io abbia mai conosciuto, che sei intelligente da morire e che diventerai il miglior dottore del paese? Perché la storia sta diventando vecchia.”

John abbozzò un sorriso e distolse lo sguardo da Sherlock, ma improvvisamente il braccio del moro circondò i suoi fianchi, lo stava abbracciando, e John aveva poggiato la sua testa contro la spalla di Sherlock e continuò a piangere, senza dire una parola. Raggiunse presto ad una conclusione: forse non stava piangendo solo per la sua famiglia, c’era molto di più.
 
Probabilmente non avrebbe dovuto farlo, sapeva che fosse sbagliato, ma aveva bisogno di Sherlock più che mai, aveva bisogno della sua presenza, dei suoi consigli, del suo aiuto, del suo supporto. Per tutti quei motivi si lasciò andare, e rimase immobile contro la spalla del moro, godendosi quell’abbraccio; tuttavia, si odiava per non riuscire a smettere di piangere.

 “Shh…” Sussurrò Sherlock contro il suo orecchio. Il moro strinse il corpo di John maggiormente a sé, poggiò le sue labbra contro la fronte di John, in un piccolo bacio. Aveva anche detto qualcosa che all’inizio John non aveva capito, ma poi capì… “Mi dispiace, John. Mi dispiace.”

John sapeva per cosa si stesse dispiacendo il moro, ma non voleva affrontare quella faccenda, voleva solo godersi quel momento, anche se era tutto così incasinato. Almeno qualcosa, sebbene temporaneamente, stava andando bene. Poi fu il turno di John: “Shh… Per favore, non dirlo più.”

 “Dico davvero. Mi dispiace per averci rovinati.” Disse Sherlock.

 “Non hai rovinato niente, e neanche io. Era destino. Lo sapevamo dall’inizio.”

 “Sì. Ma non pensavo che sarebbe finita così.”

John sollevò il viso e guardò Sherlock. Si sentiva leggermente meglio, non stava più piangendo, e si sentiva abbastanza calmo per affrontare il discorso. “E’ meglio così, no? E’ successo prima che ci affezionassimo troppo… Prima di innamorarci…”

“Hai ragione. Non avrebbe funzionato.”

John annuì e mise il broncio, incapace di dire qualcos’altro, le sue parole sarebbero state campate per aria.

“Quindi che facciamo adesso?” Disse Sherlock.

John fece spallucce. “Che possiamo fare?”

 “Quindi… Fingiamo e basta?” Chiese Sherlock, arcuando il sopracciglio.

 “No. Attenuiamo il dolore. E’ questo quel che faremo.”

 “Non credo sia così facile come dici.” Disse Sherlock, scuotendo il capo.

John fece lo stesso. “Pensi che sia facile per me? Sherlock, almeno tu hai degli amici, hai una ragazza, hai una reputazione. Tutto ciò che io avevo eri tu. E adesso non ti ho più.”

 “Potremmo… Essere amici.”

No. No. No. Era tutto quello che John riusciva a pensare. Non poteva essere solo il suo amico. Non erano mai stati solo amici, perché almeno per quanto riguardava John, Sherlock era diventato il suo tutto, partendo dal nulla. “Certo.”

 “Bene. E poi… Abbiamo ancora quel progetto di storia su cui lavorare.”

Merda. Come poteva ignorare Sherlock se avevano quel progetto su cui lavorare?

La campanella suonò. L’ora di pranzo era terminata. John e Sherlock si alzarono, John guardò Sherlock e sorrise appena, ma non mantenne il contatto visivo. Abbassò lo sguardo, mentre Sherlock fissava John. “Grazie… Per tutto. E non parlo solo di oggi. Solo… Grazie.”

Sherlock ricambiò il sorriso. “Grazie a te.”

E quando John sollevò il suo sguardo, quest’ultimo si incrociò con quello di Sherlock, e si fissarono a vicenda. Ed il tempo si fermò, e di nuovo, erano solo loro due, ed il mondo sarebbe potuto cadere a pezzi, ma non se ne sarebbero accorti. John sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta, quello era un addio. Anche Sherlock lo sapeva, ma non si azzardava ad ammetterlo.

 “Sherlock! Eccoti! Ti ho cercato ovunque, amore!” Disse Irene, dirigendosi verso di loro.

Quel contatto tra di loro si interruppe e John si schiarì la gola, guardando Irene accigliato. Vederla aveva riportato John alla realtà. Il suo sorriso svanì.
Irene diede un bacio a Sherlock, sulle labbra. In presenza di John, e John guardò altrove, perché era sbagliato, in ogni circostanza possibile, era troppo, troppo sbagliato. Dopo quel bacio, Sherlock si voltò per guardare John, che non si azzardò a guardarlo di rimando, piuttosto guardava gli armadietti. La sua espressione era illeggibile, ma Sherlock sapeva che John fosse ferito. E gli dispiaceva così tanto. Ma cosa avrebbe dovuto fare?

Il moro guardò Irene e sorrise, era un sorriso finto, ovviamente. “Andiamo, abbiamo molte cose da fare, ti farò guidare la mia auto, che ne dici?”

 “Certo.” Annuì Sherlock. Poi si voltò a guardare John, mentre Irene teneva la sua mano. “Ci vediamo dopo, ok?”

John non rispose. Fissava gli armadietti.

"John?"

"JOHN!"

Finalmente guardò Sherlock ed alla sua mano intrecciata a quella di Irene e non riusciva a togliersi dalla testa quel bacio, e non ci poteva fare nulla, si sentiva inutile, debole, e cos’è che aveva detto Sherlock? Oh, giusto, ci vediamo dopo. “Sì. Ciao.”

Prese i suoi libri, ed andò in classe. Sherlock rimase a guardarlo, fin quando non si svanì tra gli altri studenti.

Irene si voltò a guardare Sherlock, preoccupata. “Che diamine stavi facendo, Sherlock?”

 “Era triste.”

“E allora?” Irene fece spallucce.

“E allora è tutta colpa mia! E’ triste, ed è fottutamente colpa mia! Che ti aspettavi che facessi?! Volevo solo vederlo felice.”

 “Avresti dovuto dimenticarlo, non consolarlo!” Si lamentò.

 “Ma stava piangendo! Non sopporto vederlo piangere!”

Irene ridacchiò. “Piangeva? Che femminuccia!”

Sherlock le lanciò uno sguardo omicida. “Non ti azzardare, Irene. Non ti azzardare a dire altro su John Watson, cazzo!”

Sollevò le mani in segno di difesa. “Scusa, scusa.”

 “Ma voglio essere suo amico.” Borbottò Sherlock.

 “Sherlock! Non è così che funziona!”

 “Chi ti credi di essere per dirmi cosa devo e non devo fare?!” Disse Sherlock, sbottando.

 “Sono la persona che conosce il tuo segreto e che sta cercando di aiutarti a nasconderlo! Dovresti ringraziarmi!” Disse, alzando il tono della sua voce.

 “E’ che… Non so cosa fare, Irene.” Disse Sherlock, con più calma.

 “Sherlock, devi dimenticarlo. Tagliarlo fuori dalla tua vita. Più semplice di così.”

 “Non è facile! Qualunque cosa io debba fare, non è facile!”

 “… E non devi più vederlo.”

 “Cosa?” Sherlock la fissava incredulo.

 “Gli hai detto che vi sareste visti più tardi.”

“Davvero?”

Irene annuì. “Sì. E non vi vedrete. Non ti aiuterà.”

 “Ovvio che lo vedrò, andiamo nella stessa scuola ed abbiamo un progetto di storia da svolgere!”

 “Ma tutto questo non ti farà bene, Sherlock. Lo sai.”

 “Come fai ad esserne così sicura?”

“Perché non puoi tagliarlo fuori dalla tua vita e poi ritornare da lui e lavorare insieme! Non ne usciraimai, se continuerai a comportarti così.”

 “E se non volessi dimenticarlo?”

 “Beh, è un problema tuo. Ma io credo che lui voglia dimenticare.”

Irene aveva ragione, come sempre, e Sherlock odiava ciò. Non potevano continuare quel progetto insieme, ma Sherlock voleva davvero essere amico di John, non poteva tagliarlo fuori dalla sua vita all’improvviso, ma allo stesso tempo era esattamente quel che avrebbe voluto fare, ma non era facile, non poteva soltanto fingere che nulla fosse accaduto. “Odio questa situazione, Irene.”

Lei toccò la sua guancia. “Lo so, caro. Ma è il per il tuo bene, non credi?”

Aveva ragione. Era per il suo bene.

***

Il mattino seguente John non voleva andare a scuola. Era logico, la scuola era diventata un casino. Inoltre Sherlock ed Irene sarebbero stati lì e si sarebbero baciati e Sherlock sarebbe andato da John a parlargli, perché erano amici, ma poi sarebbe tornato da Irene, tornando ad essere il fastidioso teppista qual’era. E quel giorno non si sentiva di affrontare tutto ciò.
I suoi genitori erano delusi. Si sarebbero aspettati risultati del genere da Harry, non avevano mai avuto alte aspettative, ed era una cosa triste, perché neanche i suoi genitori credevano in lei! Anche sua sorella era triste. Clara la evitava per tutto il tempo a scuola, ed Harry provava sempre a parlarle, ma senza successo. Era stata sobria in quelle ultime settimane, ma avrebbe sicuramente avuto una ricaduta. E lì, neanche John riusciva ad avere speranze. Povera Harry.
Non gli piaceva vedere la delusione stampata sul viso di sua madre. Alla fine si fece coraggio, si disse che l’avrebbe fatto solo per lei, per sua madre, ed andò a scuola. Tutto quello che doveva fare era evitare Sherlock a tutti i costi. Certo, ovvio, incredibilmente facile, evitare il ragazzo più popolare della scuola.
Non aveva parlato molto con Mike a pranzo, perché non c’era nulla da dire. Beh, a dire il vero c’erano molte cose da dire, ma non voleva condividerle con lui. Sapeva di aver bisogno di un amico, ma né Mike né Sherlock rientravano in quella categoria: uno era meno di un amico, l’altro era più di un amico.
Sospirò non appena entrò a scuola e camminò verso gli armadietti. Si guardò intorno per accertarsi che né Sebastian, né Jim fossero lì, perché non avrebbe potuto sopportare di essere pestato di nuovo contro gli armadietti. Non quel giorno. Via libera, pensò John. Aprì quindi il suo armadietto ed un bigliettino cadde ai suoi piedi. Non appena vide la parola “John” riconobbe subito la grafia: Sherlock. Il suo cuore iniziò a battere rapidamente. Le sue mani stavano sudando e pensò a quanto fosse assurdo sentirsi così in ansia per uno stupido bigliettino, ma non era solo un bigliettino, era un bigliettino da parte di Sherlock. Lo aprì e lesse il messaggio:

Non ho tempo per il progetto di storia. Sviluppa tu le prime due pagine, io farò il resto, -SH.

John sospirò. Anche Sherlock aveva realizzato che non potevano essere amici.

***

NOTE: Ditemi perché. Perché Mr. Sherlock Holmes, l'essere umano più intelligente del mondo, si lascia abbindolare in questo modo da Irene?! Lei dice "A" e Sherlock fa "A". Lei gli dice di buttarsi dal balcone, e lui lo fa. OHH. Povero Johnny, vorrei abbracciarlo. Niente, basta. Comunque, eccovi il capitolo. Cosa ne pensate? 
Grazie a tutte, e un bacio! <3 

PS.: Chi di voi ha Twitter?

 
  
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