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Autore: Luxanne A Blackheart    27/02/2017    2 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO QUATTRO.
JEAN.



 
“Non scusarti per quello che senti. Nessuno può controllare i propri sentimenti.
Il sole non si scusa per essere il sole. La pioggia non si scusa quando cade.
I sentimenti, semplicemente, accadono.”
Iain S. Thomas.




Jean era seduto sul marciapiede di una delle vie più buie della città. Passando di lì aveva notato William e Lucille bisticciare come bambini su futili argomenti, come loro solito, mentre James era già sparito. Lo faceva spesso ed era un atteggiamento abbastanza strano, che non avrebbe portato a niente di buono.
A differenza di tutta la famiglia lui e Roman erano i componenti più normali, ecco perché andavano straordinariamente d'accordo. Certo, così come James e William, anche loro avevano piccoli e grandi segreti che nascondevano da una eternità a Camille e Vladimir, soprattutto. Non si era una famiglia se non si avevano segreti, bugie e azioni da nascondere all'altro e di cui non si parlava. E forse quello di Jean, del normale Jean, era il peggiore di tutti... Il più brutto, il più immorale, quello per cui gli avrebbero certamente dato del mostro, se solo lo avessero scoperto.
C'era una gran puzza di piscio e feci animali, ma almeno si poteva stare tranquilli. Odiava stare a contatto con le persone; erano troppo chiacchierone, superficiali e non riusciva a capirle e farsi capire. Jean era un tipo molto solitario, preferiva uscire e starsene al sicuro, al buio e da solo, piuttosto che gironzolare per bordelli come facevano James e William. Era più forte di lui.
Amava la sensazione del silenzio, la pace e la quiete, fattori che combaciavano meravigliosamente con il lavoro che faceva.
Non era solo. C'erano altri uomini e giovanotti con lui, seduti a qualche metro di distanza, che aspettavano nella semioscurità, parlottando a bassa voce tra di loro. Jean sbuffò, guardandosi le belle mani da musicista bianche come avorio e da cui si potevano scorgere le vene bluastre. Era davvero una serata fiacca e stava per perdere la speranza, quando udì dei passi. Le scarpe pestavano il suolo bagnato lentamente e quando si fermarono davanti a lui, scarpe nere di bella fattura e costose, Jean alzò lo sguardo, rimanendo stupito.
“Buonasera, mi scuso per il ritardo.”
“Oh, salve, non credevo sareste più arrivato, avevo perso la speranza.”, Jean si alzò, ma stranamente non era a disagio come accadeva tutte le volte che aspettava qualcuno. L'uomo sorrise, abbassando lo sguardo per terra, quasi imbarazzato. Jean poteva notare il rossore che gli imporporavano le guance, nonostante l'oscurità della notte. “Stavo per andarmene.”
“Sono felice che non lo abbiate fatto, Jean.”
“Come fate a sapere il mio nome?”
“So molte cose di voi, potrei addirittura saperne più di voi. Vogliamo andare ora? Il tempo è denaro.”
Jean abbastanza stupito, scioccato e impaurito seguì l'uomo di cui non conosceva ancora l'identità nella casa, che agli occhi del mondo sembrava abbandonata, ma a quelli che sapevano guardare bene non lo era. Salirono lentamente le alte scale, fino a giungere al primo piano e fermandosi alla prima porta rossa chiusa.
“Almeno posso sapere il vostro nome? Me lo dovete.”, Jean lo toccò sulla spalla per farlo fermare.
“Ve lo dirò, è una promessa. Adesso entrate, ve ne prego.”
Lo sconosciuto entrò, tirandolo per la manica dentro la camera. Jean si guardò intorno, storcendo il naso disgustato. Odiava quel maledetto posto. C'era solamente un materasso malandato all'interno della stanza e due comodini su cui erano posate delle candele, ormai talmente consumate che erano sul punto di spegnersi.
Jean si prese un momento per osservarlo sotto la luce delle fioche candele. Era ricco, questo lo si poteva notare dalla fattura dei suoi vestiti, dalle sue scarpe e dall'orologio da taschino d'oro che aveva estratto dal panciotto.
“Credo che due ore possano bastarci, no?”
Era straniero, anche se parlava perfettamente l'inglese, il suo accento lo tradiva. Era americano. Se Will lo avesse visto in quel momento, avrebbe urlato al tradimento, pensò divertito.
“Sono più che sufficienti.”, borbottò Jean distratto. Era attraente, molto attraente e molto alto anche; gli arrivava a stento al petto. Moro, il viso dai lineamenti marcati e belli, naso leggermente storto, labbra sottili con il labbro inferiore leggermente più pieno di quello superiore e due occhi di un meraviglioso verde smeraldo. Dell'esatto colore che gli facevano perdere la testa, quella unica sfumatura che assume il mare ad una certa profondità.
“Devo fare da solo o mi aiuterete?”, aveva persino una voce profonda, da far accapponare la pelle per il piacere.
“Oh, scusatemi, mi ero... distratto un attimo.”, Jean tossicchiò imbarazzato, correndo verso l'uomo. Si sentiva goffo, cosa che non era mai stato e alle prime armi, come se fosse stata la prima volta. Cosa gli stava capitando?
Con mani tremanti, ma abili Jean cominciò a slacciare i bottoni del panciotto verde di lui silenziosamente.
“Siete straniero?”
“Sì e no. Sono inglese di famiglia, ma americano di nascita. Ci siete mai stato, Jean?”, domandò l'uomo, guardandolo intensamente, mentre con le dita lunghe gli accarezzava l'angolo della bocca.
“Qualche volta, tanti anni fa. Ma non mi ha mai entusiasmato. Preferisco l'Europa.”
“La Francia, soprattutto. Vi capisco, sapete? E' un Paese che è impossibile non amare. Parigi, così come Londra, ti risucchiano. Vieni completamente assorbito e più tempo ne passi, più tempo cominci ad amarle, a desiderare di scoprirla. Sono come delle belle donne. Potranno passare gli anni, i secoli, potrà finire il mondo, ma rimarranno sempre lì, bellissime anche nonostante tutti i loro anni. La bellezza è immortale.”
“Pensavo di essere l'unico a pensarla così...”, ammise Jean, slacciando anche l'ultimo bottone del panciotto e i lacci della camicia, che buttò per terra. Non aveva mai parlato così tanto con gli uomini con cui aveva trattenuto quel tipo di relazione. Gli altri si limitavano solamente alla parte fisica, lo trattavano come un oggetto. Perché lui si comportava in modo così ambiguo?
“Volete tutto o solo...?”
“Tutto, Jean, voglio tutto ciò che riuscirete a darmi.”
E senza aggiungere altro il moro si fiondò sul ragazzo, baciandolo con trasporto.





“Charles.”
“Come, scusate?”
“Mi chiamo Charles.”, Jean sorrise, ripetendo il nome a bassa voce, mentre l'uomo gli dava le spalle e si appisolava. Guardò la sua schiena abbronzata e muscolosa, mordendosi il labbro.
“Charles...”
Quella sera Jean aveva fatto tre volte l'amore con quell'uomo sconosciuto. La prima con i suoi meravigliosi occhi verdi; ci era cascato dentro, perso nella loro intensità e aveva faticato a trovarvi una via d'uscita. La seconda quando le sue mani lo hanno toccato ovunque, plasmandolo come si fa con la creta, a proprio piacimento, accarezzandolo delicatamente come un fiore delicato, baciandolo con passione, come se ne valesse della sua vita, mordendolo, graffiandolo, sussurrandogli parole che lo hanno fatto impazzire fino a farlo scoppiare in mille pezzi, a perdersi e a non riconoscersi più. E la terza... la terza quando aveva sussurrato il suo nome. Charles era un nome talmente musicale e dolce, che scivolava sulla lingua come il migliore dei champagne di Luigi XIV ed era impossibile non rimanerne estasiati; gli calzava  a pennello quel nome, era veramente appropriato.
Jean si girò e lo osservò dormire. Lui era ancora lì e non se ne era andato, il suo respiro, il suo sapore, il suo alito, il suo corpo, i suoi occhi.
Quella da una giornata alquanto deprimente si era trasformata in una molto interessante.
“Sapete che mi accorgo quando mi guardate?”
“E' una vostra dote, Charles?”
“Esattamente. E' una delle mie tante doti, Jean.”
L'uomo si stiracchiò, scalciando via le coperte per alzarsi e rivestirsi. Jean lo osservò spudoratamente per il tutto il tempo e Charles si lasciò guardare, rivestendosi lentamente. Quando anche l'ultimo particolare fu al suo posto, guardò il suo orologio d'oro, cosa abbastanza insolita, e nella semioscurità della stanza i suoi occhi sembrarono scintillare.
“Voglio rivedervi.”, Charles gli si sedette accanto, guardandolo. Era serio. “Voglio conoscervi.”
“A me? Non avete una moglie da cui ritornare in America? Non sono solito uscire nell'alta società e mi sono appena trasferito.”
“So tutto di voi, Jean Nottern. E credo proprio che mia moglie, che per la cronaca è inesistente, non ci darà fastidio.”
“Charles, non capisco quali siano le vostre intenzioni e mi state mettendo a disagio.”
“Cosa c'è di più semplice? Voglio conoscervi, voglio vedervi e voglio stare con voi, non solo come un amico.”
“Non credo sia possibile, mi dispiace. Non posso darvi di più di ciò che avete avuto questa sera. Quelli come noi... Dovreste saperlo che siamo sbagliati. Non potremmo mai pensare di essere o essere considerati come gli altri.”
“Balle. Non siamo sbagliati, ma siamo come quelli a cui piacciono le donne. E ce ne sono altri come noi che ce l'hanno fatta.”
“Ma li hanno scoperti. E sapete cosa fanno a quelli così in prigione?”
“Potrei sposarmi e voi verreste con me, vi conoscerebbero come un mio caro amico che...”
“Smettetela, Charles, non fate lo sciocco. Siamo due gentiluomini di alta società, non semplice gente di basso estratto sociale. Non potremmo mai stare insieme in quel senso... E poi perché correte così tanto? Io non provo le... Insomma, da dove siete spuntato così all'improvviso?!”
Jean si alzò di scatto del letto per rivestirsi. Si sentiva particolarmente confuso, Charles, che ora ridacchiava divertito, lo confondeva.
“Smettetela di prendervi gioco di me!”
“Vi sembrerà strano il mio comportamento, me ne rendo conto. Ma vi spiegherò tutto solo se voi mi permetterete di vedervi e di approfondire la nostra conoscenza.”
Jean sospirò, riabbottonandosi il panciotto velocemente; si voltò e guardò Charles che  aveva uno sguardo supplicante. Quegli occhi...
“E va bene, ma solo come amici, niente di più.”, un enorme sorriso addolcì i lineamenti di Charles, rendendolo ancora più attraente di quanto non fosse. Era più bello, pensò Jean, quando sorrideva, perché gli occhi verdi gli si illuminavano. “Se proprio ci tenete... Domani sera ci sarà una sorta di ballo che mia... madre Camille ha organizzato. Ecco, se non avete nient'altro da fare, siete... il benvenuto.”
Jean era sul punto di uccidersi. Si sarebbe buttato da qualche altura o si sarebbe piantato un paletto direttamente nel cuore. Veloce e indolore.
Era forse impazzito per fargli una richiesta del genere?
“Certamente, ci sarò senz'altro, Jean.”
“Oh, bene, ma so già che me ne pentirò.”, borbottò aggrottando le sopracciglia. Vladimir lo avrebbe ucciso, massacrato all'istante non appena avesse visto Charles entrare in casa sua. Suo padre non era certo uno stupido. “Davanti a tutta la mia famiglia!”
“Farò il bravo e non avrò nessun comportamento ambiguo. A domani!”, e dopo averlo salutato con un veloce bacio sulla guancia, andò via. I soldi di quelle poche ore abbandonati sul letto.
“Oh, per tutte le corna di Lucifero! In quale guaio mi sono cacciato?”, urlò sprofondando nella disperazione.




Jean ritornò a casa, sconvolto. Charles, nonostante il carisma e il bell'aspetto, era un tipo strano che non lo convinceva del tutto. Il suo comportamento era alquanto ambiguo e fin troppo frettoloso. Jean, dal canto suo, non aveva mai avuto esperienze di quel genere, poiché questa consapevolezza gli era giunta da poco e faticava ancora a fare pace con se stesso dopo secoli di bugie. Aveva continuato a mentire a se stesso, nascondendo in continuazione il suo vero orientamento per arrivare fino a quel momento, nel quale si sentiva profondamente diverso e non era in pace con il suo essere.
Quindi non poteva buttarsi subito tra le braccia di questo sconosciuto solo perché aveva dimostrato dell'interesse nei suoi confronti, doveva prima capire se lui gli piacesse veramente e poi agire di conseguenza,  e il ballo che aveva organizzato sua madre era un ottimo pretesto per farlo.
Nell'entrare vide James e Lucille trascinare con la forza William giù per le scale che portavano nelle segrete. Il biondo era tutto insanguinato e ubriaco.
“Jean, Jean, ti prego aiutami! Ti compro un violino nuovo! Queste serpi stanno cercando di uccidermi!”, sbraitò teatralmente come suo solito. Jean lo salutò con un cenno della mano.
“Fattela una bella dormita, Willy!”
“Traditore!”
Jean ridacchiò divertito, mentre scendeva verso i laboratori di Roman. Lui era lì, come suo solito, con indosso una camicia bianca e un paio di pantaloni in pelle neri, a lavorare su qualche nuova diabolica invenzione. Questa volta stava mischiando in dei contenitori dei liquidi di colore giallastro e viola che puzzavano parecchio. Jean sperava solamente che non fossero esplosivi.
“Ciao, fratellino!”, lo salutò il vichingo con un grande sorriso.
“Ciao, Roman. Ho bisogno di parlare con te di qualcosa di veramente serio e so che sei l'unico che potrà capirmi veramente. E' qualcosa di molto serio e non vorrei che Vladimir e gli altri non lo sapessero.”
Roman, sentendo il tono serio del fratello, lasciò perdere i suoi intrugli, facendolo sedere su una delle sedie. Accese una specie di fornello per simulare rumore.
“Dimmi, ti ascolto.”
Jean prese un forte respiro e dopo aver contato fino a dieci , lo disse. Lo disse per la prima volta ad alta voce, lo disse per la prima volta a qualcuno a cui voleva bene, sapendo di compromettere il loro rapporto. Lo disse, e questo era l'importante.
“Roman, sono omosessuale.”
   
 
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