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Autore: JacquelineKeller01    27/02/2017    2 recensioni
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Lea ha diciassette anni quando torna nella sua città natale in seguito ad alcuni problemi familiari. Tutto ciò che vuole, dopo un anno intero passato a guardarsi le spalle, è recuperare il rapporto con suo padre e un po' di sano relax. Ma sin da subito il destino sembra prendere un'altra piega.
Isaac è l'essere più irritante che Lea abbia mai incontrato nella sua vita, con quella sua arroganza e i repentini cambiamenti di umore, porterà novità e scompiglio nella vita della giovane.
Tra un rapporto che fatica ad instaurarsi, vecchie ferite non ancora del tutto sanate ed un patrigno che sembra darle la caccia, Lea si ritroverà ad affrontare sentimenti che non sapeva essere in grado di provare, specialmente non per uno come Isaac Hall.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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«Quindi sono questi i programmi per il tuo compleanno?» Domandò Nina, con un sorrisetto divertito dipinto sul volto, portando ambo le braccia ai fianchi.
Lea alzò lo sguardo sulla ragazza e si strinse nelle spalle. «Anche se fosse, sarebbe meglio di quello che mi aspetta a casa.»
Subito dopo la fine del suo turno Lea non se l'era sentita di tornare a casa. Se lo avesse fatto sarebbe stata costretta ad affrontare sua madre e non era esattamente in vena.
«Già, perché dovresti tornare da una famiglia che ti ama e non aspetta altro che festeggiarti? E' la tortura peggiore che mi possa venire in mente.» La schernì l'altra, prendendo posto, sulla panchina, assieme a lei.
La giovane la trucidò con lo sguardo. «E' tornata mia madre.»
«Non andate d'accordo?»
Lea si fece scappare un risolino strozzato. 
No, che non andavano d'accordo, ma, infondo, come avrebbero potuto? Sua madre aveva sempre scelto di chiudere gli occhi quando le aveva chiesto aiuto. Ma era estremamente riduttivo limitarlo a quello.
Scosse il capo.
«E' più complicato di così.» Esclamò, accavallando le gambe e prendendo a giocare con un lembo del vestito giallo che aveva indosso. «Non saprei neanche come spiegartelo.»
«Provaci e basta.»
La giovane prese un profondo respiro, cercando di creare una linea temporale che potesse rendere il discorso comprensibile, ma la sua era una storia talmente tanto intrigata da risultare impossibile da raccontare senza rivelare troppo.
«Lei...» Mormorò, lasciandosi andare ad un sospiro frustrato. «Lei non è più la mia mamma!»
Nina le rivolse uno sguardo confuso. «Come non è più la tua mamma?»
Lea si umettò le labbra, aggiustandosi a sedere. «Io avevo un fratello maggiore, il suo nome era Dean. Era il primogenito e mia madre stravedeva per lui, probabilmente perché era l'unico ad aver ereditato i suoi capelli biondi o i suoi occhi azzurri o forse perché, come si divertiva spesso a dire, non si ama mai niente come il primo figlio.
Il giorno del suo sedicesimo compleanno uscì con alcuni suoi amici per festeggiare alla gola. Voleva tuffarsi dalla cima di una delle rocce, ma è scivolato ed ha battuto la testa. I suoi amici si sono spaventati quando hanno visto il sangue e si sono allontanati in cerca d'aiuto, quando sono tornati Dean era morto.»
Nina tratteneva il respiro.
Aveva sentito spesso parlare dell'incidente alla gola, ma aveva sempre sentito storie molto diverse tra loro a riguardo, finché non aveva incominciato a credere che si trattasse semplicemente di una diceria messa in giro da qualcuno per tenere i ragazzini lontani da quel posto. Sapere che era successo veramente e che si era trattato niente di meno che del fratello di Lea le metteva una strana sensazione addosso.
Al suo fianco Lea, sentiva di dover rimettere da un momento all'altro.
Non parlava di Dean da anni, oramai, nessuno ne parlava mai. Per sua madre era sempre stato un argomento tabù, suo padre soffriva troppo ogni volta che veniva nominato, Aiden sembrava quasi fingesse che quella parte di vita non fosse mai esistita mentre lei, da quando era lì, non era mai stata neanche capace di correre a fargli visita. Si vergognava troppo, si vergognava della parte di se che malignamente incolpava anche lui dell'inferno che stava vivendo.
«Mia madre ha passato l'intera nottata attaccata al telefono, in attesa di una telefonata di mio fratello. Quando si presentò lo sceriffo per dirci che non ce ne sarebbero più state mia madre ha avuto un crollo emotivo. Beh... il resto lo sai.»
Lea ricordava perfettamente quel periodo. 
Sua madre si era rinchiusa nella sua stanza per giorni. Non mangiava, non dormiva, non si muoveva... piangeva e basta. 
Quando aveva riaperto quella porta, ne aveva, inevitabilmente, chiusa un'altra: quella della loro famiglia. Da allora tutto era andato in malora, ed in men che non si dica i suoi genitori avevano divorziato e lei e suo fratello si erano ritrovati a New York.
Nina restò per un breve secondo in silenzio, forse assimilando ciò che Lea le aveva appena detto o forse semplicemente cercando di elaborare una risposta valida, poi parlò.
«Sono nata in una comunità Cattolica. Mia madre era la peggiore delle timorate di Dio, secondo la sua logica non potevo neanche respirare senza dover ringraziare, subito dopo, Dio per l'immenso dono che mi stava facendo.
Era una donna dalla mentalità limitata, classica di una chi è nato e cresciuto in un piccolo paesino del Sud. 
Quando mio fratello se ne è andato perché non sopportava più il regime del terrore che gli imponeva, tutte le sue attenzioni si sono riversate su di me. Se Jake era stato una totale delusione, io dovevo essere la figlia perfetta.
Quando sono andata al liceo ho realizzato qualcosa che avrebbe mandato mia madre su tutte le furie: mi piacevano le ragazze. Ricordo che quando glielo dissi mi costrinse a seguire uno stupido gruppo di correzione tenuto dal parroco del mio paese; purché smettesse di starmi con il fiato sul collo le dissi che il suo piano aveva funzionato, che era stata solamente una fase e che era passata.
Presi così ad uscire sporadicamente con quasi tutti i figli delle due amiche. Durante le nostre uscite mi fingevo più noiosa di quanto in realtà fossi e loro finivano con lo scaricarmi dopo il secondo appuntamento.» Fece una breve pausa e Lea vide una sfumatura di tristezza velare gli occhi della mora al suo fianco. «Circa quattro anni fa, all'inizio del mio ultimo anno, si trasferì nel mio paesino una coppia con un figlio. Thomas aveva solamente un paio di anni più di me; era bello, intelligente ed apparteneva ad una famiglia ricca. Mia madre mi costrinse ad uscirci. Si comportò in modo impeccabile per tutta la serata ed io, per una frazione di momento, pensai persino che la sua compagnia non mi dispiaceva, che forse avrei potuto dargli una possibilità. Magari non lo avrei mai amato, ma avrei potuto restare con lui comunque. 
Durante il tragitto verso casa, giocò a carte scoperte: se si era comportato come un perfetto gentiluomo per tutta la sera era solamente perché voleva da me qualcosa in cambio. Mi sono rifiutata e lui ha tentato di aggredirmi e quando mi sono difesa lui è andato su tutte le furie.
Mi ha picchiata così tanto quella sera, che ho quasi sperato di morire. 
Non fraintendermi, non credevo che la mia vita non valesse niente, ho solo pensato che mi sarebbe piaciuto vedere se mia madre si sarebbe sentita in colpa. Se avrebbe passato tutto il resto della sua vita con il rimorso di essere stata complice della fine della mia. 
Ma sono sopravvissuta e allora ho pensato che, da adesso in poi, sarebbe potuta cambiare, che avrebbe aperto gli occhi. Ma quando si è presentata in ospedale sai che cosa mi ha detto?» Lea, ipnotizzata dalle parole della giovane, si limitò a scuotere il capo. «Mi ha detto: ''Una donna non dovrebbe mai alzare le mani su un uomo''. 
Ho passato due settimane in ospedale. Quando sono uscita, ho preso le mie cose e me ne sono andata. E' stata la chiusura definitiva con una vita che non mi apparteneva.»
«E' stato difficile?»
«E' stato vitale.»
Lea sentì il cuore sprofondarle nello stomaco.
Il momento che tanto temeva era arrivato. Doveva fare una scelta.

Dentro di se aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto decidere se tagliare definitivamente i ponti con sua madre oppure continuare a vivere in quel limbo soffocante, semplicemente non si sarebbe mai aspettata che quel momento arrivasse tanto presto.
Le parole di Nina l'avevano colpita come uno schiaffo in pieno volto e gettata brutalmente davanti alla realtà: anche per lei era vitale dare una chiusura definitiva a quel capitolo della sua vita.
Restò per svariati minuti impalata davanti alla porta prima di trovare il coraggio materiale per suonare il campanello. Le aprì Aiden e gli bastò solamente uno sguardo per capire che la tremenda conclusione alla quale era arrivata.
«Ne sei davvero sicura?» Le domandò il fratello, chiudendosi la porta alle spalle.
Lea lo guardò e scosse il capo. «E' vitale.» Sussurrò.
Sua madre era seduta sul divano e rideva davanti ad una commedia alla tv.
Non l'aveva mai vista così spensierata e felice negli ultimi dieci anni e questo contribuì solamente a farla sentire ancora più colpevole. Probabilmente, dopo quella sera, non avrebbe più riso così.
Non si accorse subito di lei e Lea lasciò che si godesse quegli ultimi momenti in santa pace.
«Bambina mia!» Esclamò la donna, alzandosi dal divano per poterla stringere forte a se. La giovane nascose il viso nella curva del collo della madre e respirò a fondo il suo profumo. 
Le lacrime le pizzicarono gli occhi quando si rese conto che sarebbe stata l'ultima volta in cui lo avrebbe sentito.
«Ciao Mamma...» Sussurrò.
Sua madre si allontanò, quel poco che bastava per poterla guardare in faccia. Le dita affusolate della donna accarezzarono il viso armonioso e delicato della figlia.
Le era mancata ed avrebbe voluto poter avere il coraggio di ammetterlo.
«Vieni, stavamo aspettando solamente te per festeggiare. Ah, non ci credo che la mia bambina è appena compiuto diciotto anni.» Era euforica.
«Mamma possiamo parlare?» Domandò Lea, trovando impossibile trattenersi dal lasciare che si dipingesse sul suo volto un'espressione mesta.
Sua madre perse una parte del suo sorriso, forse percependo a sua volta, parte del dolore e delle insicurezze che la giovane figlia provava. Sarebbe stata la prima volta.
Michelle Wilson annuì. «Si, andiamo.»
Lea si chiuse la porta della sua stanza alle sue spalle e fece cenno a sua madre di prendere posto sul letto. A sua volta fece lo stesso.
Puntò lo sguardo fuori dalla finestra e pensò a Nina. 
Aveva desiderato di voler morire quella sera. Si chiese quanto tempo sarebbe passato ancora prima di ritrovarsi lei stessa sul ciglio della strada e se ci sarebbe stato qualcuno pronto ad aiutarla.
«Prima che tu dica qualsiasi cosa, volevo darti questo.» Sussurrò sua madre, allungandosi sotto il letto e trascinandone fuori una scatola avvolta in una carta azzurra. «E' il mio regalo per te.»
Era uno scaffale minuscolo, della grandezza della scatola di scarpe. Sulla facciata c'erano dei piccoli scomparti numerati dall'uno al diciotto.
«All'interno di ogni casella c'è un ricordo importante.» Mormorò la donna, improvvisamente timorosa. «Il ciuccio di quando avevi pochi mesi, il primo disegno all'età di tre anni, la bandana dei Backstreet Boys che hai voluto ad ogni costo quando ne avevi cinque, il ritratto che hai fatto a tuo fratello a dodici, una ciocca dei tuoi capelli a diciassette...»
La casella dei diciotto anni era ancora vuota, constatò.
Improvvisamente non era più tanto pronta a mettere la parola fine a quel rapporto, a dire addio per sempre e lasciare che tutto quello scomparisse.
Pensò che se avesse lasciato andare tutto adesso, allora non ci sarebbero più state caselle da riempire e se anche un giorno avrebbe trovato la forza di perdonarla, sarebbero stati anni ed anni persi ad impegnarsi a lasciare caselle vuote.
Lea si asciugò le gote con il dorso della mano, prima di volgere lo sguardo verso sua madre che adesso era tornata a sorriderle esageratamente.
«Grazie!» 
«Di che cosa volevi parlarmi, bambina mia?»
La giovane si morse la lingua e si gettò tra le braccia di sua madre, nascondendo il viso contro il suo petto, come spesso faceva quando era una bambina.
Lasciò che il battito regolare del cuore della donna la cullasse e faticò a trattenere le lacrime quando realizzò che, forse, tutto sommato, vivere in quel modo le era ancora, almeno per un pò, necessario. 
«Niente, sono solo così felice di vederti.»
«Oh, bimba mia.» Sussurrò la donna, accarezzandole amorevolmente la schiena. «Io e Gabe non vediamo l'ora di riaverti di nuovo a casa. Non vediamo l'ora tornare ad essere nuovamente una famiglia.»
Lea si allontanò talmente tanto velocemente che rischiò quasi di cadere dal letto.
Sua madre le rivolse uno sguardo stranito e boccheggiò alla ricerca di qualcosa da dire. 
Lea realizzò in quell'istante che per sua madre non sarebbe mai stata importante quanto Gabe, che avrebbe potuto fare a meno di lei, ma non di lui.
   
 
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