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Autore: Black Swallowtail    27/02/2017    0 recensioni
Nonostante Azure Kuri sia tornata alla normalità, vincolata ad Aidan Reiss dal loro patto, decide di seguirlo nel suo mondo distorto e brulicante, che si nasconde appena al di sotto della superficie della razionalità umana.
I mostri orribili e gli spiriti gentili non smettono mai di vorticare attorno all'uomo, perché, dopotutto, questa è la loro natura, ed è per tale motivo che esistono uomini come Aidan.
E non sempre si tratta di spiriti che vogliono aiutare il prossimo.
Una maledizione ricade inevitabilmente su chi si costruisce attorno un'identità ripugnante e disgusta perfino se stesso — una maledizione che avvelena l'animo e divora la carne.
La rende pietra.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scary Monsters and Nice Spirits'
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II

A lake in her eyes.

 

Il sole del primo pomeriggio non sembra intenzionato a baciarci con i suoi raggi, preferendo, piuttosto, nascondersi dietro uno strato di nubi biancastre, che si contorcono, sospinte dal vento, mutando forma non appena distolgo lo sguardo dal loro vorticoso movimento, impercettibile dai nostri occhi. Poggiata contro il davanzale della finestra, la schiena rivolta al panorama cittadino e alla calca di studenti che tornano alle loro abitazioni, dopo aver abbandonato la scuola, alla fine dell'ennesima, monotona giornata di lezioni, seguo il preciso movimento delle dita della persona che sta seduta al centro della stanza, come isolata da un'invisibile barriera che la avvolge, la distacca da noi e da ogni cosa la circondi.

Completamente assorbita, muove agilmente i polpastrelli a danzare, ritmicamente, creando una sorta di arabesco terribilmente complicato. Nonostante i suoi movimenti possano sembrare casuali, ad un occhio non attento come il mio, so benissimo che in realtà sta seguendo con attenzione una scaletta precisa, un ordine che non si azzarderebbe mai e poi mai ad infrangere. Nel guardarla lanciarsi in un tale virtuosismo, non posso evitare di sentire, in fondo, una punta di corrosiva invidia, una sensazione che, mentre per molti risulterebbe fastidiosa, addirittura vergognosa, per me, invece, è una sorta di conquista. Dopo tanto tempo passato senza alcuna sensazione, senza provare alcunché, un guscio vuoto senza stimoli né motivazioni, perfino l'invidia verso un talento simile è qualcosa che accetto senza remore.

Seppure si sia premurata di fermare la frangia che le coprirebbe la fronte con un piccolo fermaglio nero, qualche ciocca ribelle inevitabilmente gli sfugge, tornando insistentemente al suo posto, a solleticarla; ma non sembra che la cosa la disturbi, che possa anche solo lontanamente interrompere la sua incredibile esibizione, l'impeto con il quale si è abbandonata, il trasporto con quale le mani volano di tasto in tasto, senza posa, farfalle multicolore che si lasciano alle spalle fili dorati, a formare note, stampate su uno spartito poggiato sul piccolo leggio ad altezza d'occhio. Lo sguardo scivola di riga in riga, senza una minima esitazione, senza sbagliare una nota, senza che le sue dita scivolino o i suoi polsi tremino. Eppure, nonostante la velocità, il sentimento con il quale sta suonando, il suo viso è rilassato, non teso nella concentrazione o animato dall'euforia che sta mettendo nella musica, che imprime in ogni tasto del possente pianoforte.

Mentre la musica riempie l'aria, avvolgendoci come un bozzolo, accogliendo la sua sottile figura tra le sue braccia, mi sembra di intravedere un mezzo sorriso, un piegarsi delle labbra verso l'alto, mentre, con un tocco deciso, ma mai violento, lascia vibrare le ultime corde e morire le note che ha richiamato alla vita, facendo piombare nuovamente la stanza nel silenzio.

Nessuno osa parlare, dopo questa dimostrazione. Lei si limita ad annuire e a chiudere il libro in cui sono contenuti gli spartiti, carezzandone la copertina di una particolare tinta zaffiro, e sul quale è stata inserita una targhetta con il nome della proprietaria, della pianista inseparabile che porta ovunque la sua musica, allietando le orecchie di chi, in queste ore pomeridiane, si ritrovi ad aggirarsi per i corridoi della scuola. È un nome particolare, ma decisamente adatto ad una persona che spicca tra la folla, in grado di distinguersi nettamente per il suo talento, per la sua capacità innata, a dir poco prodigiosa, di portare in vita un pianoforte.

Evie Halliwell è esattamente la mia antitesi, il mio riflesso nello specchio – qualcuno che ha il suo posto, che la gente ricorda, il cui nome persiste nelle loro menti. E mentre la osservo sistemarsi i capelli leggermente scompigliati, carezzandone le ciocche e premurandosi di raccoglierli in una coda di cavallo alta, quando osservo la sua figura snella fiocamente delineata dalla luce della lampada da studio che illuminava il suo spartito, capisco anche il motivo per il quale si scolpisca nel cuore di molti. Una persona straordinaria, di una bellezza unica, quasi tormentata.

Peccato che la figura immersa nella lettura, seduta su una delle poltrone dell'aula di musica, non sia del mio stesso parere. Immune al potere della musica e alla sua bellezza, ha continuato a sfogliare il pesante tomo, stringendo le labbra di quando in quando, limitandosi ad una o due occhiate di sfuggita. Non è un atteggiamento strano, da parte sua, dopotutto: c'è un motivo preciso, per il quale ci troviamo in quest'aula, ad ascoltare Evie suonare; ed è proprio la ragione che ci ha condotto fino a qui che assorbe completamente i suoi pensieri ed i suoi sforzi. Nonostante ciò, sono sicura che, pur non mostrandolo, sia stato estremamente attento all'esibizione a cui abbiamo appena assistito, se non altro perché una musica del genere non è facilmente ignorabile.

Un talento mostruoso come quello di Evie Halliwell non può essere così facilmente messo da parte, nemmeno volendolo.

Dopo un profondo respiro, la ragazza allunga il braccio per prendere la bottiglia d'acqua poggiata ai piedi della sua sedia; con una calma quasi esasperante, lentamente, svita il tappo di plastica con uno schiocco, portandosi alla bocca la bottiglietta e assaporando una grossa sorsata, azione che coincide con il chiudersi del libro che il terzo presente stava leggendo appassionatamente.

“Le voci sono vere?” questa è la prima cosa che Evie ci chiede, dopo tutto il tempo passato ad aspettare che terminasse il suo componimento, la bottiglia di plastica nella quale si agita ancora l'acqua stretta in mano, “Sei tu l'esperto di mostri e spiriti?”

La domanda rimane in sospeso per un lungo istante, nel silenzio vibrante, terribilmente rumoroso, a confronto della dolcezza del pianoforte, che ne segue; i miei occhi cercano inevitabilmente la figura alla quale è stata posta la domanda, il ragazzo che fa scorrere la mano sul dorso del suo amato libro, sulle lettere dorate del titolo, un nome greco, dai caratteri contorti. Un voluminoso bestiario ricolmo della più vasta conoscenza del mondo sovrannaturale, delle creature invisibili all'occhio di chi non crede.

La ragazza si sporge appena, quasi a volersi avvicinare al suo interlocutore, senza tuttavia avere il coraggio di colmare la distanza, “Aidan Reiss.” conclude, con quel nome, come se non avesse bisogno di una risposta positiva; ma Aidan, senza indugiare, risponde annuendo, lo sguardo perso ad osservare non Evie Halliwell, bensì qualcosa che sembra invisibile ai miei occhi, qualcosa che solo lui è in grado di distinguere, attraverso il velo appannato della realtà razionale nella quale viviamo.

“Perché mi hai cercato?”

Un'altra domanda, questa volta molto più diretta, che va dritta al nocciolo della questione, il dubbio che ci ha tormentato dal momento in cui questa intera situazione è iniziata, ritrovandoci invischiati, senza nemmeno saperlo, in un altro caso riguardante l'occulto e le sue elusive, sfuggenti figlie.

Per qualche mese, la vita di tutti i giorni non ha subito scossoni ed ho avuto del tempo per tornare a ristabilirmi completamente, a tornare in possesso delle mie emozioni; per quanto sia ancora difficile, di tanto in tanto, tenerle sotto controllo, sono riuscita a ricostruire pezzo per pezzo una vita normale, nel quale riesco, finalmente, a camminare senza sentirmi immersa nel mare, in un mondo senza tinte, fatto di cenere e artificialità. Stando accanto ad Aidan, quella sorta di strano, indefinibile legame che abbiamo, che nessuno dei due è riuscito a, o vuole, definire, sembra avermi trascinato nel suo mondo nascosto agli occhi delle persone comuni.

Forse perché, a causa del Gatto, ne sono entrata a far parte anche io, forse perché, ovunque sia, Aidan sembra essere avvicinato da persone con problemi di questo genere, quando non è lui stesso a farlo, ma mi sono ritrovata, volente o nolente, a contatto con fenomeni paranormali di natura minore. Nulla di serio, come continuava a ripetere lui, problemi che ha risolto senza nemmeno il bisogno che lo seguissi, liquidandoli come inutili scocciature che non mi avrebbero interessato. In un certo senso, sembra essersi premurato, per quanto possibile, di tenermi lontana.

Almeno finché questa storia non è cominciata con l'arrivo di Evie Halliwell e della sua misteriosa richiesta di aiuto.

Che io sia in contatto con Aidan e che, di quando in quando, sia finita invischiata nelle sue ricerche sull'occulto è risaputo, da chi, tacitamente, è stato affetto da uno spirito o un mostro; più di una volta, qualcuno mi si è avvicinato per chiedermi aiuto, probabilmente pensando che anche io, proprio come lui, sia una esperta di strane creature e fenomeni sovrannaturali. Ogni volta, Aidan ha preso in mano la situazione, ovviamente dopo avermi lasciato disperatamente tentare di spiegare la situazione senza successo.

Ma Evie è stata l'eccezione. La maggior parte di coloro che ci chiedono aiuto, non sanno bene in cosa consista il loro problema. Spesso, sono tormentati da qualcosa senza conoscerne il motivo, o la natura del loro problema, per questo giungono da Aidan disperati, quasi supplichevoli. Lei, invece, è stata chiara – e terribilmente calma.

Seduta in un angolo della palestra, a riprendere fiato dopo la corsa impostaci, ero con la schiena poggiata contro il muro e le gambe tirate al petto, la bocca aperta in un costante, quasi annaspante, ansimare. Gocce di sudore colavano lungo il mio volto e la luce del sole, che filtrava attraverso gli ampi lucernari, batteva su di me in modo quasi beffardo, al punto che ringraziai mentalmente qualunque nuvola, in quel momento, la stesse schermando, donandomi un po' di sollievo.

Solo dopo qualche istante, un vago, delicato odore di tulipani aveva riempito le mie narici, spingendomi ad alzare la testa, rendendomi conto che non si trattava di una nuvola a proteggermi dai raggi solari, ma dalla snella figura di una ragazza, nei cui occhi chiari, puntati su di me, mi sembrava di poter intravedere petali di fiori scivolare dolcemente sull'acqua cristallina delle iridi.

“Sei Kuri Azure, giusto?” mi ha chiesto, piegando appena la testa, quasi mi stesse esaminando da cima a fondo, facendomi provare, senza una ragione particolare, se non quella di sentirmi orribilmente inferiore, oltre che spossata e sudata dopo un'ora di ginnastica, vergogna per me stessa. In quegli occhi talmente chiari da essere come specchi d'acqua, mi sentii, per un istante, imbarazzata di esserle davanti, una sensazione che mai, prima d'ora, avevo provato. Una sensazione diversa dalla semplice timidezza che conoscevo troppo bene, nei miei ricordi sbiaditi.

“Sono Evie Halliwell.” Il suo nome, per una ragione che non riuscivo a spiegarmi, mi suonò familiare, come se lo avessi già udito, in precedenza; eppure, ero sicurissima di non averla mia incontrata prima, né di aver mai scambiato anche solo una parola con lei. Una persona simile rimane impressa, nella tua mente, volente o nolente. Due occhi del genere, come in grado di sviscerarti, di farti vergognare di esserle davanti, come avrei potuto rimuoverli del tutto, pur non provando nemmeno un'emozione?

“Vorrei parlare con Aidan Reiss. Ho un problema che solo lui può risolvere.” Ha sembrato riflettere sulle sue parole per un secondo, tormentando una ciocca di capelli della sua frangia, tenuta ferma, lontana dalla fronte, da un fermaglio, di un colore quasi onice, prima di correggersi, “Una persona che conosco ha un problema. Sai, lui...” e sfoderò quel sorriso di assoluta tranquillità, di imperturbabile calma, come l'acqua dei suoi occhi, come i petali dei fiori del quale profumo era pregna, “...è stato maledetto.”

Quando ho riferito il messaggio ad Aidan, dicendogli che avrebbe voluto incontrarlo il giorno seguente, nell'aula di musica, un vago ricordo è riaffiorato nella mia mente, un manifesto sfocato, affisso in qualche bacheca, un avviso di qualche evento particolare del quale non poteva importarmi nulla, vuota com'ero. Per quanto mi sono sforzata di ricordare, non ho potuto richiamare alla memoria né il contenuto del manifesto, né chi fosse, in realtà, questa Evie Halliwell. Dal canto suo, Aidan era già preso dalle sue ipotesi, riflettendo sulla natura della maledizione, chiedendosi cosa potesse essere accaduto, ma sopratutto, come guarirla, una volta trovatane la sorgente.

Abbiamo entrambi atteso trepidanti il momento di incontrarla, per parlarle, cercare di comprendere quale fenomeno sovrannaturale si sia scatenato su di lei.

Siamo stati accolti da una melodia carezzevole, invitante come mai ho sentito prima d'ora, che ci ha preso per mano e guidato, attraverso corridoi e rampe di scale, accanto a classi vuote e a studenti in procinto di terminare le loro lezioni, verso una stanzetta nell'ala est, dalla porta aperta, in modo che le note della canzone che fuoriusciva dal pianoforte potesse giungere fino a noi.

Titubante, mi sono avvicinata alla porta, quasi impaurita di profanare un momento tanto toccante come il suonare una musica così soffice; ed è stato allora che ho intravisto la sua figura completamente abbracciata dal pianoforte, muoversi come senza peso, con il viso tuttavia sempre cristallino, senza cambiare espressione, i capelli dai riflessi castani che seguivano l'aria invisibile della canzone.

Ed ho ricordato, di colpo, ciò che era scritto su quel manifesto e chi fosse Evie Halliwell, perché il suo nome mi suonava familiare, già udito, perché, in qualche modo, sembrava conosciuta. Un talento così spiccato, un estro naturale, non possono certo passare inosservati; per quanto non sia una persona così conosciuta, è una persona che spicca e che si ricorda, non solo per il suo aspetto, ma per la sua incredibile capacità. Quel manifesto, appeso sulla bacheca scolastica, era il saggio del club di musica della scuola, dove lei ha suonato, da solista, imprimendo a fuoco la sua immagine nei ricordi degli spettatori.

Questa è la prima volta che l'ho sentita suonare. Non ha dato segno di averci visto, né quando siamo silenziosamente entrati, per non interromperla, né quando ci siamo accomodati, aspettando di poterle parlare.

Ed è stato proprio mentre la guardavo, che ho notato l'origine del suo profumo floreale. Un solitario vaso, di piccole dimensioni, nel quale stanno due tulipani, come abbandonati, malinconici, lontani l'uno dall'altro.

“Ho bisogno del tuo aiuto. Come penso tu sappia, una persona, un mio… conoscente, purtroppo, è caduto vittima di una maledizione.” Finalmente abbandona il pianoforte, per voltarsi verso di noi, le gambe accavallate, le dita che accarezzano l'orlo della gonna a scacchi, il viso che non cambia espressione, nel dare quella notizia, proprio come non ha esitato, in alcun modo, nel dirlo a me. La sua attenzione è tutta per Aidan, nei suoi occhi cristallini si specchiano quelli nerastri come inchiostro; improvvisamente molto più attento, annuisce a malapena, facendole cenno di continuare.

Le punte delle sue scarpe battono per un secondo, ritmicamente tra di loro, mentre lei si passa una mano tra i capelli, per sistemare meglio con l'elastico la coda alta, scossa da una leggera brezza che la scompiglia, facendo oscillare il piccolo nastro di carta colorata fissato su di esso. “Non so quando la maledizione ha iniziato a manifestarsi. Quel ragazzo è un testardo, pur di mantenere la sua stupida facciata, avrebbe continuato ad agonizzare. Per questo, ti ho contattato io al suo posto.”

“Si tratta di un ragazzo?” chiedo, allontanandomi dalla finestra per afferrare uno sgabello e sedermi accanto a Aidan, gli occhi di Evie che seguono ogni mio movimento. “Mi sono dimenticata di dirvelo?” appoggia il mento sul palmo della mano destra, socchiudendo appena le palpebre, un mezzo sorriso le si apre sul viso, una sorta di sogghigno di superiorità, quasi di derisione, “Si chiama Jeiv Kondras.”

“Un nome come un altro.”

Aidan mi scocca un'occhiata confusa, evidentemente del tutto ignorante su chi sia in realtà Jeiv Kondras e su quale sia il suo ruolo all'interno del comitato studentesco. È normale, dopotutto, non sono così sorpresa, dato che ha scelto di allontanarsi dal mondo di tutti i giorni, dalla nostra realtà, per lasciarsi affogare nell'occulto e nel sovrannaturale. Una sorta di fuga dalle cause ignote, che ancora non riesco a comprendere, una curiosità divorante sul motivo che possa averlo spinto ad un atto talmente estremo.

D'altra parte, nemmeno io conoscerei l'identità della nostra vittima della maledizione, se non fosse per i continui pettegolezzi che circolano in classe sul suo conto e sulle continue lodi sperticate decantate dalle sue ammiratrici, o dai sussurri invidiosi delle malelingue che sono gelose di lui. A dire la verità, per me, è solo un nome ed un ruolo: non ne conosco il volto, né il modo di essere, di fare, perché, lo ammetto, anche io sono lontana dalla realtà quanto lo è Aidan. Non importa quanto tempo possa passare, inserirsi nel mondo è qualcosa che non è mai stato nella mia natura, nel mio essere, fin dall'inizio.

“Il tesoriere.” specifico, a beneficio del mio compagno, scoccandogli un'occhiata di sottecchi. Le sue dita tamburellano contro la copertina del bestiario, impaziente. È normale, dopo tutto il tempo che ha passato, pensando e ricercando quale sorta di maleficio possa essere stato scagliato, senza venire a capo di una vera e propria risposta.

“Proprio lui. Non siamo più in buoni rapporti, da quando siamo entrati in questa scuola, ma...” scrolla le sottili spalle, rivelando ora il suo viso completamente piegato in una profonda, tremante malinconia, languida, come di chi richiama alla memoria vecchi ricordi che non riesce ad abbandonare, che conserva in un cassetto della sua memoria, con la consapevolezza di aver perduto per sempre quei momenti, di non poterli vivere mai più, “...mi è sembrato giusto cercare aiuto. Mi sono informata, ma non è stato semplice. Nessuno parla volentieri di un'esperienza con l'occulto, per paura che gli altri ridano di lui.”

“Comprensibile. D'altronde, agli occhi della gente comune, non si tratta che di superstizioni o fiabe.”

Halliwell annuisce, accarezzando i tasti centrali del pianoforte, senza voltarsi, proprio come se li avesse davanti, suonando una semplice melodia che riempia il vuoto della stanza, senza soffocare le parole, “Alla fine, sono riuscita a convincere qualcuno. Aidan Reiss, che ha risolto addirittura un problema di vampirismo, sicuramente sembrava la persona adatta a cui rivolgersi.”

“—Ayane.” sussurra tra i denti, un nome che non ho mai sentito, ma che mi fa leggermente trasalire. Mai, nemmeno una volta, in tutto questo tempo, ha accennato ad un'altra ragazza che avrebbe aiutato. Per quanto raramente parli dei problemi che ha risolto in passato, le poche volte che lo ha fatto, ha sempre avuto difficoltà nel ricordare i nomi di chi ha aiutato; eppure, questa volta, ha pronunciato quel nome immediatamente. Chi è questa Ayane? Se glielo chiedessi, probabilmente non risponderebbe, ma… “Kuri?”

“Sì, scusami.” trasalisco di colpo, irrigidendomi sulla sedia, quando mi dà un colpetto alla spalla per richiamarmi alla realtà. Mi guarda per un secondo, come a chiedersi se ci sia qualcosa che non va in me, ma devo sembrare abbastanza convincente, nel mascherare i miei dubbi, perché torna a rivolgersi ad Halliwell, “E sei venuta da me, nella speranza di poter trovare aiuto per il tuo… conoscente.”

“Spero tu sia così generoso da accettare la sua richiesta.”

La musica si spegne su un'ultima, vibrante ed acuta nota, insieme a quelle parole.

Se davvero ha fatto delle ricerche, per arrivare ad Aidan, on c'è dubbio che lei sappia benissimo come non rifiuterebbe mai qualunque genere di problema collegato con l'occulto. La sua è solo una formalità. Aidan alza gli occhi verso l'orologio a muro, appeso proprio sopra il pianoforte, senza rispondere. Le lancette segnano le tre e mezza del pomeriggio, scorrendo lentamente, quasi come se il tempo fosse diluito, picchiettando ritmicamente ad ogni passare di un secondo, di un minuto, un rumore percettibile solo nell'assoluto silenzio dell'aula.

“Me ne occuperò io.”

“Non avevo dubbi,” i suoi grandi occhi tremolano, per un istante, come se la superficie del loro lago fosse stata scossa da un petalo caduto sull'acqua cristallina, “Perché non puoi resistere al richiamo dell'occulto, non è vero?”

Una domanda senza risposta, perché Aidan è già sull'uscio dell'aula di musica, che dà le spalle alla pianista. Sembra quasi indeciso, paralizzato da quella constatazione, ma dopo un lungo istante, esce dalla stanza, senza guardarsi alle spalle, senza pronunciare una parola.

Quelle mani che liberano farfalle di suono e luce ad ogni movimento, volano di nuovo sulla tastiera, facendola cantare. Quando sono in corridoio, posso sentire di nuovo la musica risuonare, vibrante, nell'aria.

Una malinconia melodia ci accompagna fino all'ingresso della scuola.

Aidan alza gli occhi, verso l'alto, verso l'aula, verso Evie Halliwell.

Schiocca la lingua.

“—Dannatamente brava.”

Ma non so se si riferisca alla musica, o a quell'ultima domanda.

 

Jeiv Kondras risulta assente da scuola da due settimane. Prima di sparire, sembrava, per qualche ragione, più cupo del solito e a detta di molte persone, sembrava quasi faticare nel parlare, perso nei suoi pensieri per la maggior parte del tempo. Tuttavia, ha sempre mantenuto le apparenze e nessuno è riuscito a capire davvero se qualcosa non andasse; quando, poi, si è dato malato e si è chiuso in casa, tutti hanno associato quel quasi impercettibile cambiamento, quel suo comportamento così diverso dal solito, con l'influenza che lo ha costretto a letto.

Le persone scelgono di vedere quel che, in realtà, vorrebbero fosse la realtà, non dandosi pena di cercare più a fondo, di scavare oltre la superficie, perché ciò richiederebbe fatica; ma, sopratutto, a volte si scoprono cose che ribaltano completamente il modo di vedere una persona. È meglio, quindi, rimanersene in disparte, limitarsi ad accontentarsi di quella spiegazione che più fa comodo udire.

Nessuno andrebbe mai a pensare che la causa dell'assenza del tesoriere, sia dovuta ad una maledizione, nemmeno nel più improbabile dei casi. Il sovrannaturale è inconcepibile, ai loro occhi, quindi la spiegazione più ragionevole, più comoda e razionale, è quella di un comune malanno.

L'unico modo per incontrarlo, di conseguenza, è andare a casa sua. Evie è stata così previdente da lasciare, nella mia borsa, un biglietto con l'indirizzo, un quartiere non così lontano dalla scuola, abbastanza vicino da poter essere raggiunto in una mezz'ora, camminando ad una velocità ragionevole. Aidan vuole vederlo il prima possibile, per cui, senza perdere tempo, ci siamo incamminati non appena abbiamo lasciato la scuola; mentre uscivamo dal cortile, verso i cancelli principali, ho sentito ancora una volta la vaga melodia suonata dal pianoforte dell'aula di musica. Non so se anche lui l'abbia udita, ma ha evitato di fare altri commenti, limitandosi a sistemare il bestiario e ad incamminarsi per la strada deserta.

Per qualche motivo, il suo confronto con Evie lo ha lasciato turbato. Non è qualcosa che affiora in superficie, ma più dal suo modo di camminare, un passo nervoso, incedente, e dalla sua foga nel gettarsi all'azione. Ormai, ho seguito diversi casi che coinvolgono spiriti e mostri, affiancandolo per tacito accordo: lui non mi ha mai chiesto di accompagnarlo in una delle sue indagini sulle deformazioni più oscure ed insolite della realtà, io non gli ho mai chiesto il permesso di seguirlo o di aiutarlo. Semplicemente, entrambi ricordiamo il patto che ci lega, la promessa che ci congiunge come un filo che si stringe attorno alle nostre dita; per cui, è naturale che io gli sia accanto, come aiutante o anche solo spettatrice, ogni volta.

Lui è stato il primo a chiamarmi per nome, ed è lui che mi ha ricordato, mi ricorda ancora ora, strappatami dai giorni grigi e in cui ero poco più che un fantasma. Per questa ragione, credo che tra noi ci sia un legame forte, inscindibile, ma che non riesco ancora a definire del tutto.

Quando ho sentito pronunciare il nome di quella ragazza, sottovoce, in un respiro come strappato violentemente dal suo petto, in me è scattato qualcosa. Una sensazione pungente ed amarognola, che non riesco a distinguere, ma che mi ha punzecchiato, mi ha scosso, per un singolo istante – e negli occhi di Evie Halliwell, ho notato un piccolo movimento, come se avesse perfettamente capito, come se avesse visto attraverso di me.

Non ho il coraggio di chiedere chi sia questa Ayane. Per quanto una parte di me voglia conoscere questa storia, capire chi sia questa ragazza che lui ancora ricorda, mi sento allo stesso tempo incapace di sollevare l'argomento. Sarebbe strano farlo, perché dovrebbe importarmi di una persona qualsiasi, di cui ricorda il nome?

—Forse mi sentivo speciale? Forse credevo di essere l'unica di cui serbasse il nome?

Fortunatamente, il filo di quei pensieri viene nettamente e bruscamente tranciato da Aidan stesso, che si ferma di colpo, facendomi sbattere contro la sua spalle barcollare all'indietro, rimanendo in bilico per qualche istante sui talloni e minacciando di cadere sull'asfalto consunto.

“Cosa succed—” Schiocco la lingua, irritata, per chiedere spiegazioni, ma mi interrompe con un cenno del capo, “Siamo arrivati. Questo è l'indirizzo.” Ripiega con cura il biglietto, infilandoselo in tasca, senza accennare di suonare il campanello, rimanendo semplicemente fermo di fronte al cancello.

Non si tratta di una casa diversa dalle altre che la circondano. Un'abitazione piuttosto anonima, dal cancelletto d'ingresso in ferro battuto, semplice e senza alcuna particolare decorazione, accanto al quale è affissa una targhetta, proprio sopra la cassetta della posta, che riporta il nome della famiglia Kondras. L'intera casa non sembra avere nulla di speciale, nulla che la contraddistingua, facendola ricadere in un banale anonimato; l'intonaco bianco senza nessuna macchia particolare, ma un po' sbiadito dalle intemperie, il giardino perfettamente curato, ma di piccole dimensioni e senza nemmeno un tocco personale, tutto sembra gridare alla mediocrità.

“E pensare che la abita uno dei ragazzi più in vista della nostra scuola.” dico, suonando il campanello, che emette un breve, secco squillo di cortesia, aspettando poi che venga aperto. Non dobbiamo attendere che qualche minuto perché si attivi il citofono ed una voce terribilmente debole, fievole, esca dall'altoparlante.

“Sì?”

“Mh, siamo Kuri Azure e...”

“Aidan Reiss,” termina lui al mio posto, facendomi cenno gentilmente di spostarmi per lasciarlo parlare, “So della maledizione.”

Il silenzio piomba dall'altra parte del citofono, rotto solo dal basso bisbigliare elettronico della cornetta alzata, un'esitazione che si prolunga per un lungo istante, proprio come è stato per me, per i tanti altri che Aidan ha messo di fronte alla dura realtà. Nessuno accenna a continuare il discorso, sfioro cautamente la spalla di Aidan, come a chiedergli spiegazioni, ma lui mi fa cenno di aspettare.

“Ho la situazione sotto controllo,” mi bisbiglia, proprio mentre il nostro interlocutore senza volto sembra riuscire a mettere insieme una risposta faticosa, dal tono impastato, come se si stesse sforzando, “Non so di cosa tu stia parlando.”

“Me ne ha parlato Evie Halliwell. Sono qui perché vuole che io ti aiuti.”

“Evie..?” il suo tono sorpreso mi prende alla sprovvista. Lo sentiamo sospirare a fondo, prima di arrendersi con un semplice, “Entrate.” Il cancello scatta, aprendosi, e spingendolo gentilmente, ci lascia entrare nel giardino. Me lo chiudo alle spalle con un leggero tonfo ferreo, mentre ci avviciniamo all'uscio, stando bene attenti a non calpestare l'erba tagliata con grande precisione, quasi maniacale. La porta è socchiusa, lasciando uno spiraglio sufficiente a farci entrare, a farci sgattaiolare nel corridoio, dove una figura vagamente familiare aspetta seduta su un piccolo sgabello pieghevole, con lo sguardo smarrito, ma allo stesso tempo guardingo.

Non so esattamente che aspetto abbia una persona piagata da una maledizione, ma Jeiv Kondras non mi sembra presentare alcun evidente segno di una piaga di natura sovrannaturale; certo, questo non vuol dire nulla, dopotutto nemmeno io ero fisicamente diversa dal solito, eppure la sua voce era così debole, che credevo di trovarlo spossato. Invece, sembra perfettamente in salute e non divorato da un maleficio.

“Vi ha mandati lei?” il suo tono ha un ché di sorpreso, ma anche quasi pieno di disprezzo, mentre ci pone la domanda in un soffio, mordendosi il labbro nervosamente, “Non le parlo da anni, eppure...” scuote la testa, come a scacciare via quei pensieri, ed invitandoci nel salotto, “Accomodatevi. Preparo del tè.”

Ci accompagna fino alla sala, con un passo leggermente barcollante, muovendo rigidamente le gambe, quasi sia impedito da delle pastoie; Aidan schiude appena le labbra, prendendo un profondo respiro, alla vista di quei movimenti impacciati, ma si trattiene dal dire alcunché. Jeiv, con la sua andatura impettita, come se trascinasse le gambe rigide, sparisce attraverso la porta che collega la cucina alla stanza, chiudendola cautamente, e lasciandoci soli a riflettere. Aidan mi scocca un'occhiata, come a chiedermi conferma di un presentimento, quasi in attesa che sia io a dirlo al posto suo.

“Non sembrava… maledetto, vero?” “Dopotutto, da come ne aveva parlato Halliwell, lo immaginavo preda di un sortilegio mortale. Eppure...”

Aidan scuote la testa, “Anche a me, in apparenza, è sembrato stesse bene. Troppo bene. Eppure, i suoi movimenti sono rigidi. Come se il suo corpo fosse fatto di pietra.”

“Lo hai pensato anche tu? Cammina in modo fin troppo innaturale. È impossibile non notarlo.”

Senza rispondere, estrae il suo voluminoso tomo, iniziando a sfogliarlo febbrilmente, voltando le pagine con un fruscio sommesso, alla ricerca di qualcosa che mi sfugge, la soluzione che sembra aver compreso di colpo. Ogni foglio ingiallito e consunto dal troppo uso scorre di fronte ai miei occhi con il testo terribilmente fitto, vergato a mano in caratteri gotici, spesso interrotto da illustrazioni per la maggior parte grottesche e ributtanti, ma a volte anche terribilmente accurate, realistiche fino all'ultimo dettaglio.

Lo scorrere frenetico si ferma di colpo, su un capitolo che non sembra così diverso dagli altri, se non per l'illustrazione, che appare molto più normale delle altre apparse di sfuggita durante la ricerca; un piccolo serpente, di pochi centimetri, forse una quindicina, ad occhio e croce, dai grandi occhi e da una grande, elaborata macchia bianca al centro della testa squamosa. Un rettile come tanti, tanto da sembrare finito per sbaglio in questo bestiario.

Il mio sguardo lanciato di sottecchi deve bastare a far capire ad Aidan il mio scetticismo, perché mi passa il libro, in modo che io possa faticosamente leggere i caratteri gotici, senza troppo successo. Mi si avvicina, il dito che scorre di riga in riga, leggendo la descrizione della creatura, “Il re dei serpenti, così denominato dalla macchia sul capo che ricorda una corona. Nasce da un uovo di gallo morente, covato da un rospo o un serpente velenoso, ed impiega sette anni a schiudersi. Il suo respiro uccide le piante e crea il deserto, il suo sguardo incenerisce, il suo veleno uccide immediatamente chiunque ne venga a contatto. Ma se distillato—”

Ora ha tutto senso. Il suo modo di muoversi, così rigido e forzato, come se trascinasse il suo corpo, il fatto che, ad una occhiata sommaria, appaia completamente in salute. In realtà, qualcosa nel suo corpo sta mutando, lentamente, divorato da una maledizione orribile, una tortura orribile come mai ho sentito.

Un rumore di tazze infrante, un gemito soffocato ed un'imprecazione trattenuta tra i denti ci interrompono di colpo. Aidan si alza lentamente in piedi, aprendo la porta della cucina con la massima calma, mentre io, dalla sua spalla, riesco solo ad intravedere Jeiv Kondras sdraiato a terra, circondato da cocci e tè rovesciato, ad inumidire il pavimento, le gambe che appaiono rigide, completamente immobili, così come la spalla, che si rifiuta di muoversi, per quanto lui annaspi e tenti di torcerla.

“Oh, una situazione davvero pessima.” Aidan si piega su di lui, battendo con le nocche contro la spalla, producendo un suono agghiacciante; il sordo tonfo di qualcosa che colpisce un materiale roccioso e duro, come marmo o ardesia. O pietra. Carne contro pietra. “Sembra che qualcuno ti abbia maledetto utilizzando del veleno distillato. Qualcuno ti odia. Ti odia abbastanza da voler farti morire, ma non così poco da darti una fine rapida.”

Il re dei serpenti, animale talmente raro da essere quasi unico, una delle creature più pericolose di tutte.

“Veleno distillato di basilisco.” preciso, con un filo di voce.

“Aiutami a portarlo di là, Kuri.” Aidan si inginocchia accanto a lui, lasciandosi sfuggire un profondo respiro di stanchezza, “Dobbiamo fare la solita, lunga chiacchierata.”

   
 
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