Nightingale during Christmas
- prima parte -
Piuttosto che arrendersi, Sam Winchester avrebbe preferito la morte.
Era dal 1991 che non trascorrevano un Natale senza le viscere di qualche
creatura disgustosa tra le mani, o senza cercare un modo per riportare uno dei
due indietro dall’oltretomba, o senza sentirsi smorzare l’entusiasmo dal peso
del destino dell’umanità sulle proprie spalle.
Andava festeggiato. Vi erano tutte le ragioni del mondo per farlo.
E lo aveva capito già da qualche giorno, quanto Dean ci
tenesse a farlo come si deve - che nel suo caso, corrispondeva al modo
più imbarazzantemente classico di festeggiare il Natale: le dimensioni
di quel tacchino surgelato ficcato nel freezer dopo una serie di cazzotti,
erano a dir poco spaventose; e l’abete che già da un po’ era apparso nel
bunker come un ospite silenzioso capace di far arrossire le guance del maggiore
dei Winchester ogni volta che lo incrociava in sua presenza, beh...spiegava più
di quanto il fugace sguardo di Dean potesse fare.
Sorprendere suo fratello nel reparto ‘decorazioni per la casa’ anzichè
quello delle riviste e giornali (di che genere, non era difficile intuirlo),
intento a decidere se acquistare un puntale blu o rosso, non avrebbe dovuto
stupirlo più di tanto.
E in fondo, gli stava bene.
Per questo, piuttosto che arrendersi, Sam avrebbe preferito la morte.
Quella per overdose, in questo caso.
Aveva iniziato tre giorni prima a mandare giù cocktail antinfluenzali. Risultati garantiti in un’ora, diceva lo slogan sulla confezione, per questo era speranzoso; ci aveva creduto. Una compressa prima di mettersi a letto sembrava più che sufficiente. Ne aumentò la dose il giorno successivo, senza sapere che li avrebbe portati a tre la mattina seguente.
Quello che stava bevendo rannicchiato su sé stesso tra i sedili vuoti
dell’impala quel giorno, era il terzo cocktail antinfluenzale che mandava giù
nel giro di cinque ore.
Arricciò la punta del naso screpolata, starnutì. Una, due,
tre volte.
Poi sopraggiunse la tosse, una di quelle sconquassanti che sembrano voler far
fuoriuscire un alieno dalla propria casa toracica. Ma non era niente di che,
aveva continuato a ripetere a sé stesso come una nenia stanca,
stringendosi nelle spalle infreddolite che si era autoimposto di non
riconoscere come tali.
Affilò lo sguardo, scorse attraverso il parabrezza appannato la figura di suo
fratello avvicinarsi con i movimenti rarefatti di un fantasma. Il gelo
esterno sembrò conficcarsi nelle sue ossa quando, quasi come uno sgarbo nei
suoi confronti, aprì la portiera dell’auto ed entrò.
“Fanculo, le ghirlande migliori le hanno già finite. Era
rimasta solo questa!” Disse battendo le mani sulle proprie spalle e
scrollandosi la neve di dosso.
Inarcò un sopracciglio, si schiarì la voce. “Sul serio?”
“Andiamo, esiste di meglio, ma non è così male. C’è anche
una renna al centro. Ti sono sempre piaciute le renne, no? Erano il tuo pezzo
forte alle recite scolastiche!”
“Non mi piacciono le renne, Dean. Ho sempre odiato le renne.”
Dean scosse la testa, girò la chiave dell’auto. “Ecco perché non possiamo
mai avere cose carine con te, Sam...”Ingranò la marcia. “Ad ogni modo, ormai è
andata. Quest’anno avremo un Natale come si deve, e non me lo farò rovinare dal
Grinch che risiede in te!”
Sam tirò su con il naso, si schiarì la voce. “Festeggiarlo come si deve prevede
anche queste?” Chiudendole tra il pollice e l’indice, estrasse dalla
busta che il fratello sistemò al suo fianco una serie di riviste erotiche.
“...davano in omaggio i DVD di Home Alone e Home
Alone 2 con esse, li trovi in fondo alla busta.” Fece spallucce, con
un mezzo sorriso imbarazzato.
Sam scosse la testa con aria di finta sconfitta.
-
“Stai bene?”
E a quel punto, Sam riconobbe che solo un idiota lo avrebbe
pensato.
E solo un idiota avrebbe continuato a far finta che fosse così.
Gettò giù con un bicchiere d’acqua l’ennesima pillola, la stessa dei ‘risultati garantiti in un’ora’ con cui si era preso in giro per tutta quella settimana di merda, e che, a parte un momentaneo sollievo dai dolori (anziché da un autotreno, con quella pillola le sue ossa sembravano essere schiacciate solo da un pulmino volkswagen) i suoi risultati continuavano ad essere del tutto discutibili.
Kevin McCallister aveva appena fatto cascare un ferro da
stiro in faccia a Marv, e a Sam sembrò l’unico che in quel momento potesse
capire esattamente come si sentisse, la trasposizione perfetta della sua
condizione.
“Sto bene,” Ma l’implacabile tosse che sino ad allora, come una censura, aveva
coperto tre quarti dei dialoghi del film, suggeriva altro. “Mi è andata della
saliva di traverso,”
“Un po’ troppo di traverso, direi. Non sputarli quei polmoni, Sam. Ti
serviranno ancora per un altro paio di anni...”
Sam fece spallucce, si strinse sul suo angolo di divano, quello più distante da
suo fratello, prima di tirare i lembi del plaid intorno a sé e riprendere
a tossire.
“Mi spiace, alza pure il volume se vuoi.”
“Sei sicuro di stare bene? Hai
davvero un aspetto orribile...”
“Devo aver preso freddo in questi giorni, che vuoi che ti dica...”
“E questo è già diverso dal ‘mi è andata della saliva di traverso’...”
Vi era del rimprovero in quella voce grave, Sam ne era
consapevole. Sospirò.
Dean abbandonò l’angolo su cui poco prima, felice come un bambino, aveva
sgranocchiato popcorn.
Sul televisore, Kevin McCallister aveva appena posato la tarantola di suo
fratello sul volto di Marv, e la sensazione che Sam ebbe nel sentire la mano
tiepida di Dean avvicinarsi alla sua fronte e posarsi lenta su di essa, non
differì poi così tanto.
Chiuse gli occhi, e lasciò che Marv urlasse un po’ anche per lui.
Perché piuttosto che arrendersi, avrebbe preferito la morte.
“Cristo, stai bruciando.”
“Non è niente.” Scosse la testa infastidito, ma la mano di
Dean rimase lì.
“Come fa a non essere niente se stai bruciando?!”
“Devo aver preso freddo, te
l’ho già detto. Domani starò meglio.” Dal modo in cui batteva i denti però, non
era molto credibile.
“Domani è Natale!”
“Non ricordo di aver mandato in
vacanza il mio sistema immunitario, Dean. Starò meglio.” Tentò di abbozzare un
sorriso poco convincente, le labbra prive di colore non aiutavano affatto.
Con uno sguardo che la diceva lunga su quanto poco fosse rimasto impressionato
da tanta seraficità, suo fratello lo osservò costernato per un altro paio di
secondi, prima di far schioccare le labbra e sollevarsi in piedi. “Vado a
prendere il termometro.”
“Dean, lascia stare-!”
In un impeto di esasperazione e fastidio, Sam raddrizzò la schiena, scostò il
plaid dalle gambe, ma fece solo la mossa di rialzarsi, prima di capire di non
essere esattamente nelle condizioni di poter fare la voce grossa: il freddo gli
aggredì le carni come un branco di gelidi lupi inferociti, e non ebbe da obiettare
quando Dean, dall’alto della propria salute, lo spinse nuovamente sul
divano e lo riavvolse nella coperta, per la gioia del suo corpo sconvolto dai
brividi.
“Non muoverti, torno subito.”
E a quel punto, ebbe la certezza che la bandiera bianca sarebbe stata presto
srotolata.
I banditi del rubinetto, nel frattempo, venivano arrestati.
Successe qualcosa in quei dieci minuti impiegati da Dean per trovare un
termometro e far ritorno, qualcosa di cui non ne ebbe la piena consapevolezza.
Le pacche che gli diede sulle spalle le avvertì, ma arrivarono come ovattate,
come rallentate da un ambiente acquatico, privo di gravità. Come se il mondo
intorno a sé fosse passato da uno stato solido a uno liquido senza che nessuno
se ne fosse accorto, e tutto stesse ormai galleggiando a metà altezza, come
olio.
Anche la voce di Dean arrivava smorzata e vellutata, a stento ne riusciva a
distinguere il suono dal riecheggiare di tutto il resto (anche se, in verità,
non vi era nulla che riecheggiasse).
“Sam? Sammy!” Non ricordava neanche di averle chiuse, le palpebre che adesso
suo fratello voleva a tutti i costi convincerlo a riaprire. In un primo
momento, un tentativo lo fece, ma la stanza gli apparve così luminosa, così
irritante, così calda che, senza troppi ripensamenti, decise di
rinunciarvi. La mano di Dean gli sfiorò di nuovo la fronte (niente tarantola in
questo caso – la sua mano fresca fu talmente paradisiaca da strappargli
un gemito di piacere) ed evidentemente, ciò che suo fratello sentì, bastò per
far sì che qualsiasi speranza di una reciproca collaborazione svanisse nel
vapore del suo fiato umido. La mano di Dean scivolò verso il suo petto, si fece
strada tra le maglie sudaticce del numero spropositato di indumenti che aveva
addosso, raggiunse la spalla attraverso il colletto, e con una sinfonia di
frasucole incomprensibili sfilettate tra i denti, la fatidica bacchettina trovò
finalmente posto sotto la sua ascella.
“Tieni il braccio ben stretto, Sam. Mi raccomando, stringi
forte, eh? Dio...”
E imprecò ancora quando, allo scadere dei tre minuti fatidici, il termometro
rivelò ciò che c’era da rivelare.
Trentanove e mezzo di febbre fanno sempre una certa impressione.
“Se continui così, domani potremmo organizzare una grigliata direttamente sulla
tua fronte.”
“Starò–-bene, domani starò bene, Dean...” Mugugnò in una
nenia intervallata da tosse, tosse e ancora tosse a cui Dean non volle
rispondere. Raccolse invece la confezione di pillole che faceva capolino da un
angolo del divano, ne lesse svogliatamente le indicazioni sulla scatola.
“Non hanno fatto alcun effetto queste, Sam? – Hey! Guardami!” Lo scosse
lievemente sul costato. “Non hanno fatto effetto? Quante ne hai prese?”
Ma l’unica risposta che la sua mente arroventata fu in grado di partorire, fu
cenno del capo che negava in blocco qualsiasi cosa.
“Okay,” Era la voce di chi non vuole soffermarsi più di tanto sul perché quelle
pillole che promettevano miracoli non avessero sortito alcun effetto. “Ma
dobbiamo far scendere la febbre, Sammy. E’ davvero alta- Sam? – hey, Sam! Dove
vai? Sam!”
Per lo meno, in sua difesa, Sam avrebbe in futuro potuto affermare di avercela
davvero messa tutta pur di trasmettere a suo fratello un po’ di quell’urgenza.
Già soltanto il modo in cui era balzato seduto e aveva scansato di colpo il
plaid da sé, avrebbe dovuto lanciare un chiaro, esplicativo messaggio sulla
catastrofe che da lì a pochi secondi si sarebbe abbattuta su di loro, ma,
evidentemente, alla forse-già-troppo-sciroccata-dal-Natale (e dall’eggnog di
cui si innaffiava da giorni) mente di suo fratello, non comunicò proprio
niente. Il modo disperato con cui tentò di svincolarsi dalle sue mani non fece
scattare alcun campanello d’allarme in Dean, che, perplesso, continuò
imperterrito a trattenerlo lì su quel divano, farneticando parole confuse.
Per cui, quando non poté fare altro che curvare la testa in avanti, chiudersi
in uno spasmo e riversare l’intero contenuto del suo stomaco sulle gambe di suo
fratello, beh.
A quel punto, qualsiasi giudice lo avrebbe sollevato da ogni responsabilità.
“Cazzo—!”
L’imprecazione fu più liberatoria che realmente sentita, lo sapeva bene. Perché
nonostante tutto, Dean non si mosse. E la mano che si strinse sulla sua scapola
impedendogli di riversarsi sul suo stesso vomito, era la mano del Dean che
aveva sempre conosciuto in momenti come questi, l’unica fonte di stabilità in
un universo di stomaci spezzati e conati acidi.
“Mi dispiace,” Biascicò mortificato, prima che un nuovo conato di acidi gastrici mettesse fine alla breve tregua. “Cazzo, cazzo–!“ E ancora bile, bile e bile.
Sentì la mano libera di Dean scorrere tra le protuberanze della sua spina
dorsale, adesso esposta in modo dolorosamente innaturale. “Rilassati e respira.”
Ordinò con tono fermo, e lui, in barba a qualsiasi conato, obbedì.
Tentò di risollevarsi quando nel suo stomaco non rimase più niente da vomitare, ma la mano di Dean sulla sua nuca lo costrinse ancora sull’incavo della propria spalla. “Aspetta un paio di secondi prima di rialzarti.” E reagì ringhiando, finse di non apprezzare le narici sature dell’odore di Dean.
Dean lo scollò piano da se quando il suo respiro sembrò regolarizzarsi.
“Stai meglio?”
Annuì poco convinto. La nausea era ancora tutta lì, forse amplificata dall’imbarazzo.
“Spero non ci tenessi troppo a quei pantaloni...” Disse, prima che una tosse umida e sibilante gli scuotesse nuovamente il petto.
Solo allora Dean rivolse un’occhiata alla propria metà
inferiore. Si alzò in piedi, distanziò le braccia dall’enorme macchia che lo
ricopriva. Poi, un punto preciso di suo fratello, catturò la sua
attenzione. “Beh, spero non ci tenessi troppo neanche tu, ai tuoi.”
E Sam fece appena in tempo a vedere come anche i suoi pantaloni fossero macchiati,
prima di gettare sconsolatamente la testa all’indietro e chiudere gli occhi.
“Va bene, doccia. Così forse ti si abbasserà anche la febbre.”
La prospettiva bastò per scatenare una pelle d’oca al limite del dolore.
“Non ho voglia di fare una doccia adesso...”
“Se pensi che ti permetta di andare in giro per il bunker conciato in questo
modo, ti sbagli di grosso, Sam. Siamo completamente ricoperti di vomito!”
“Ti prego.” E il modo in cui, ad occhi chiusi, crollò
rovinosamente sul divano, rese la supplica ulteriormente convincente.
E funzionò. Perché Dean non osò continuare ad insistere.
Lo abbandonò in silenzio senza aggiungere ulteriori commenti, per poi far
ritorno qualche minuto dopo con degli abiti puliti addosso.
“Okay, togliamo via questi.” Le mani di suo fratello sulla
sua cintura lo risvegliarono con un sussulto dallo stato di letargia in cui era
nuovamente piombato. Sbatté più volte le palpebre, confuso incontrò lo sguardo
del fratello, che capì.
“Almeno una pulita vogliamo darcela, sì o no?”
E al silenzio offerto in risposta, Dean sfilò via i pantaloni con una tale praticità da farlo sembrare quasi un gesto quotidiano. Sam ne fu sorpreso, quasi intimorito. Chiuse gli occhi, istintivamente si irrigidì.
“Per fortuna non hai sporcato di vomito anche le mutande.”
Il palmo della mano di Dean sondò l’indumento, confermandone l’integrità. Sam si ritrasse come una lumaca sfiorata alle antenne, soffocò un gemito.
“Ricordati che non sono una delle tue ragazze...”
“L’hai detto con un filo di rammarico o sbaglio?”
Ad occhi chiusi, Sam sorrise.
Dean ripulì le sue gambe con un asciugamano umido e tiepido, e Sam, debole come un micetto, si lasciò manovrare senza alcuna resistenza.
“Sei un dannato Sasquatch.” Bisbigliò tra i denti Dean quando giunse il momento di infilarlo in un paio di pantaloni puliti.
“Ti accompagno in camera da letto, usa pure la mia.”
“Perché la tua?” Le mani di Dean cinsero i suoi fianchi non appena lo vide
barcollare. E niente fu più provvidenziale. Flaccide e tremolanti, le sue gambe
gli parvero avere adesso la stessa consistenza della gelatina, e il meglio che
riuscì a fare con esse, fu una sorta di camminata ondeggiante e incerta,
completamente riversata sul lato con cui il fratello lo sorreggeva.
“E’ la più vicina al bagno.” Rispose, con la prontezza innaturale di chi ha già previsto ogni cosa, come al solito. Sam non fece altre domande. Del resto, anche scandagliando la propria memoria storica ricordo dopo ricordo, malanno dopo malanno, non sarebbe riuscito a rammentare un solo episodio in cui Dean non avesse passato la notte al suo fianco, quando ferito o malato.
“Bevi piano, o vomiterai ancora,”
Raccomandò Dean, non apprezzando l’avidità con cui aveva
cominciato a bere dal bicchiere che gli aveva porto sotto al naso non appena fu
sistemato sul suo letto.
“Credo sia un virus.”
“Oh, ma non mi dire!” Il modo in cui Sam accolse il suo sarcasmo però, non fu
quello previsto da Dean. “Certo che un virus. Mi sembra evidente.”
Sam sospirò. “Ti rovinerò il Natale.”
“Col cazzo che lo farai, Sammy.” Sogghignò Dean, sollevandosi di scatto
dall’angolo di letto su cui si era seduto. “E’ solo un virus! Un po’ di
riposo, due-tre pillole di paracetamolo, e sarai come nuovo! Garantito!”
Sam tossì in risposta, Dean sollevò i lembi delle lenzuola. “Mettiti a letto
adesso. Ti porterò tra poco qualcosa che ti farà stare meglio.”
Il graziare le lenzuola però, fu il massimo che Sam riuscì ad offrire a suo
fratello, quando questo fece ritorno con delle pillole in mano.
Con le nocche sbiancate dalla stretta con cui cingevano la ceramica del
lavandino di servizio, tremante, Sam sputò il fantasma di una bile che ormai
non aveva più.
Il suo stomaco irritato non aveva accettato neppure una goccia di quel bicchiere d’acqua che aveva appena bevuto, e le mani con cui suo fratello tornò a cingere la sua schiena ed accarezzarla, questa volta, servirono solo a sottolineare ulteriormente la propria sconfitta.
“Merda.” Dovette suonare in tutta la sua pateticità, visto il vigore con cui
Dean prese a strofinare le sue spalle.
“Te lo avevo detto io di non bere in quel modo...” Sorrise,
gettando quello che a Sam sembrò un salvagente a cui aggrapparsi (esattamente
ciò di cui aveva bisogno) più che un’ammonizione, mentre con un asciugamano gli
ripuliva le labbra umide e impiastrate.
“Torna a letto, coraggio. Ci riproveremo tra un paio di minuti.”
Le spugnature fredde con cui Dean prese a rinfrescare la sua fronte nel frattempo, furono più convincenti.
Ma quel “paio di minuti” (in realtà, due ore e mezza) di attesa, non portarono
in realtà alcun vantaggio.
“Sammy,”
Perché suo fratello avesse improvvisamente sollevato la sua testa adagiandola
sul suo petto come fosse un neonato, Sam smise di domandarselo quando, nel
puntellare i propri gomiti sul materasso, li sentì afflosciarsi sotto il peso
del proprio corpo come se, nel frattempo, qualcuno li avesse privati delle
ossa.
“Sammy, hey! Sveglia!” Le smorfie di fastidio con cui reagì
ai lievi colpi inferti al suo viso non dissuasero Dean dal continuare. “Sam!”
Schiuse gli occhi lucidi quando ne ebbe abbastanza.
Come una sorta di eclissi, la testa di Dean gravitava sul suo volto proiettando
un cono d’ombra che lo schermava dalla luce accecante del lampadario. Perché
mai aveva sentito il bisogno di accendere ogni singola luce della camera, si
chiese con occhi vacui e arrossati.
Strinse le palpebre umide, aggrottò le sopracciglia. Sentì il cuore di Dean
pressato contro il suo orecchio raggiungere un ritmo più umano.
Provò a dar voce alle proprie proteste, ma la lingua venne
imbrigliata in una sostanza vischiosa, e ciò che venne fuori, fu solo un fiato
sottile, un bisbiglio che Dean non stette a sentire.
“Hai la febbre a quaranta. Dobbiamo farla scendere subito o ti si friggerà il
cervello.” Disse con tono severo, mentre armeggiava nervosamente con qualcosa
che il suo limitato campo visivo non incluse.
“Devi ingoiare questo.” Dean sollevò tra le dita qualcosa di prezioso e, a
giudicare dai gesti lenti con cui lo accompagnò al suo cospetto, anche
terribilmente precario. Qualcosa che Sam non fece però in tempo a identificare,
prima che i suoi occhi tornassero a vacillare.
“Hey!” Lo strattone alle spalle gli strappò un gemito a labbra chiuse, ma
ottenne il risultato sperato. “Apri la bocca e ingoia, Sammy. Coraggio, manda
giù.” La mano di suo fratello si spostò dalle spalle al viso, sollevò suo il
mento con quella delicata premura di cui era vietato parlare.
Le labbra riarse si contorsero al tocco metallico di ciò che si rivelò essere
un cucchiaio. Sam inclinò la testa lateralmente, si lamentò ancora quando la
punta della posata forzò l’accesso. “Avanti, Sam, apri!” E infine, con sommo
sollievo di suo fratello, l’istinto ebbe la meglio.
“Eccolo il mio eroe!” Camuffò l’entusiasmo con il sarcasmo.
Nel giro di un nanosecondo, un’esplosione di amaro disgusto colpì ogni centimetro della sua bocca. Dean lo aveva previsto, a giudicare dal modo in cui la sua mano corse a tapparla.
“Amico, il Tylenol in polvere fa schifo, è un dato di fatto,
ma devi ingoiare. Almeno una cucchiaiata d’acqua, il tuo stomaco dovrebbe
essere in grado di trattenerla, no?”
No. La risposta giusta, sarebbe stata no.
Cinque minuti dopo, la cucchiaiata ingoiata fu interamente sul pavimento accanto
al letto e Sam, quasi il suo stomaco volesse presentargli il conto di tale
ingiuria, disperdeva, contorto come un gambero, le sue ultime energie in una
serie di miserevoli, distruttivi conati.
Bloccandolo per un fianco sul margine del letto, Dean sospirò così come
sospirava ogni qualvolta avesse voluto maledire sé stesso, ma alla fine,
sceglieva di non farlo. Sam schiuse gli occhi quando l’asciugamano tornò
a rimuovere ciò che gli sembrò una tonnellata di sudore e dolore dal volto,
modellandolo come a volergli restituire un aspetto umano.
Poi però, qualcosa cambiò.
“Okay, piano B.” Disse Dean ostentando una certa
decisione, e l’asciugamano, di colpo, scomparve.
“Dean–” Quella supplica, pronunciata ingoiando convulsamente saliva, non servì
a fermare le mani che lo andarono a privare dei suoi vestiti fradici di sudore,
lo sottrassero al materasso rovente, e infine, lo trascinarono via.
Sam aveva quattordici anni quando il chupacabra del Minnesota a cui stavano dando la caccia da giorni lo sbatté in lago semi ghiacciato nelle foreste a nord di Duluth. In un istante, il gelo travolse le sue carni come un mostro dai mille artigli, capace di afferrare nello stesso momento ogni singolo centimetro della sua pelle e strapparlo via. Qualsiasi pensiero razionale venne disintegrato prima ancora di varcare la sua mente, qualsiasi grido venne congelato dall’acqua ghiacciata che sommerse prepotente i suoi polmoni. Impiegò oltre mezz’ora (e mezza bottiglia di Jack Daniels) per di realizzare di essere stato tratto in salvo, e meno di dieci passi barcollanti e forzati, adesso, per riportarlo indietro, esattamente a quel frangente.
Con la testa pressata contro l’incavo della spalla di suo fratello, Sam
risucchiò aria nei suoi polmoni con uno un suono talmente profondo che fece
trasalire anche Dean, nonostante, con molta probabilità, suo fratello avesse
già previsto una reazione simile, quando direzionò il getto della doccia contro
la schiena calda.
“Cristo, Sam! Buono! Va tutto bene!” L’abbraccio in cui Dean lo aveva chiuso
era carico di rammarico, Sam lo percepì tutto, ma al suo corpo non bastò. Le
ginocchia si piegarono su se stesse, i piedi nudi grattarono contro la parete
della vasca in cui era infilato più e più volte, tentò di divincolarsi davvero
come poteva, ma le braccia di Dean che lo immobilizzavano contro il suo petto
erano troppo forti, e l’acqua che colpiva la sua schiena troppo gelida, e non
poteva fare assolutamente niente per respingere l’assalto alle sue carni, se
non affondare dolorosamente la fronte su quelle spalle, strizzare gli occhi, e
cercare di tanto in tanto di ingoiare aria attraverso i denti che battevano
incontrollati.
“Non ho avuto altra scelta, Sammy. Mi dispiace.” Sentì suo fratello mormorare
accanto al suo orecchio tra lo scroscio dell’acqua, e Sam espirò lentamente con
uno strascico di colpi di tosse, riprese aria a grandi boccate.
Le spalle e le guance di Dean erano bagnate esattamente quanto lo erano le sue,
ma sembravano conservare ancora il calore originario. Si appiattì su di esse
come a volerne rubare un po’, mentre il freddo incasinava i secondi dilatandoli
in ore.
Fu solo quando Dean fermò il getto d’acqua che di colpo, tutto sembrò riprendere dimensioni terrestri. Con entrambe le braccia adesso libere di abbracciarlo (non si preoccupò di riporre il flessibile della doccia al suo posto, lo lasciò affondare nella vasca con un ‘plop’), Dean lo cinse, le sue azioni tradirono una certa incertezza (nulla di anormale in ciò, ma era una di quelle cose di cui né lui, né Dean, avrebbero mai parlato).
“Ancora un altro po’.” Decretò, quando le labbra che aveva
pressato sulla sua fronte percepirono una temperatura che, evidentemente, non
lo convinse. “Solo un altro po’,” incalzò ancora, in seguito al lamento di
protesta che Sam gli offrì in risposta.
“Stenditi un attimo. Solo un attimo. Dopo ti prometto che ti farò uscire.”
E guidato dalle mani di Dean, Sam incassò la schiena contro la parete della
vasca, si strinse nelle spalle nude, cercò senza successo di controllare i
tremori, prima di trovare il coraggio di aprire gli occhi e riprendere possesso
dell’ambiente circostanze. Il soffitto dalle larghe chiazze di umidità fu la
prima immagine che mise a fuoco, poi spostò lo sguardo verso la figura di suo
fratello inginocchiata al di la’ della vasca. Dean era zuppo d’acqua almeno
quanto lo era lui, ma non sembrava farci caso. Sorrise, a quell’incrocio di
sguardi. Sorrise con quel sorriso di quel Dean quindicenne di cui aveva una
foto da qualche parte tra i cassetti.
Suo fratello rimase un paio di secondi a fissarlo con il sollievo di chi ne ha
passate (e pensate) tante, poi fece schioccare la lingua, gonfiò il petto,
scosse lentamente la testa.
“Sei più lamentoso di una adolescente col ciclo.” Disse, mentre inzuppava una spugna e la passava dolcemente sul volto e sul collo ancora emerso, “In realtà, non è così fredda.”
L’acqua era lontana dall’essere tiepida, ma non poteva neanche considerarsi davvero gelata. Sam trasalì, e trasalì ancora. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma qualunque cosa avesse in mente, venne abortita da altri colpi di tosse che lo resero paonazzo, e rinunciò.
“Dovrei trascinarti da un dottore, Sam...” Aggiunse con un sospiro di sconfitta, mentre inforcava le dita tra le ciocche bagnati della sua nuca e ne massaggiava il cuoio capelluto.
Non farebbe nulla di diverso da ciò che stai già facendo
tu, Dean...”
Per lo meno, adesso qualcosa era riuscito a dirla. Sarà stata l’idea poco
sconfinferante, ad incentivare le proprie energie.
Dean sollevò un sopracciglio. “Lusingato, ma io non sono un medico. Non
ufficialmente, almeno.” Recuperò dalle tasche il termometro, ne verificò
l’accensione, poi lo avvicinò alle labbra di Sam. “Apri.”
La cieca devozione con cui obbediva a Dean in certi istanti,
a volte sorprendeva anche se stesso. Reclinò la testa all’indietro contro
l’orlo della vasca, chiuse nuovamente gli occhi. Altri colpi di tosse avrebbero
voluto farsi strada fuori dalla sua cassa toracica, ma fece del suo meglio per
trattenerli, almeno sino a quando non sentì il fatidico beep richiamare
l’attenzione di suo fratello.
Dean sfilò il termometro dalle sue labbra e ne esaminò il risultato in
religioso silenzio. I suoi occhi poco vigili premettero muti contro la sua
figura in attesa di un verdetto.
“E’ scesa un po’...” Annunciò, ma non vi era sollievo nel
suo tono. Stirò le labbra in una smorfia di disappunto, mise via in
fretta il termometro, “Non abbastanza però.”
Il fatto che fosse stato incapace di fermarsi alla prima frase, diceva già ogni
cosa.
“Quanto?”
“Non abbastanza, ho detto.”
Niente o poco più, ecco la corretta traduzione di
quella frase. Sotto lo sguardo irritato di suo fratello, Sam chiuse gli
occhi, esalò un rumoroso respiro.
Odiava questo suo modo di schermarlo dalla verità ma, soprattutto, odiava stare
male.
Prima che potesse replicare (no, in realtà, non vi era nulla da replicare), un
braccio di Dean strisciò intorno alle sue spalle, incitandolo a sollevarsi.
“Vieni qui, asciughiamoci.”
Atrofizzate dal freddo, le sue ginocchia si piegarono nella direzione opposta a
quella stabilita.
“Hey, cerca di non svenirmi addosso!” Gridò Dean indietreggiando, spinto dal
peso del suo corpo contro al petto. Lo aiutò a prendere posto sulla tavoletta
chiusa del wc.
Le trame dell’accappatoio in cui Dean lo sfasciò non gli erano mai sembrate
così morbide e comode.
“Alza il mento.” Si accorse troppo tardi delle intenzioni di quelle dita sotto
al suo collo.
“Dean, piantala!”
Allontanò le mani dai suoi linfonodi gonfi e doloranti, scosse la testa.
“Hai proprio bisogno di un dottore, Sam. Hai due palle da
bowling qui sotto.” La cacofonia di rantoli, tosse e sibili che ne seguirono,
sembrò un adeguato accompagnamento musicale alla frase.
Sam aggrottò la fronte, cercò di riguadagnare compostezza. Avrebbe voluto lanciare
a Dean una nuova occhiata infastidita, ma la testa aveva preso a girare in un
modo atroce, gli occhi a pizzicare, così, rinunciò. Si piegò lateralmente
affondando sul costato gentilmente offerto da Dean in supporto, fece finta di
dormire.
“Fossi stato al posto mio, mi avresti già caricato in auto e
portato di corsa al primo ospedale.” Disse con voce calma, quasi atona,
mentre frizionava con vigore i suoi capelli nascosti sotto il cappuccio
dell’accappatoio.
“Non vale la pena rischiare di essere messi dentro per truffa assicurativa per
un’influenza, Dean.” Le tempie avevano ripreso a battere come tamburi.
Dean piegò verso il basso gli angoli della bocca, fece spallucce. “L’abbiamo rischiata per molto meno.”
Ma Sam sapeva che non avrebbe insistito ulteriormente, e
anche se lo avesse fatto, sarebbe stato distante anni luce da ciò che gliene
sarebbe importato.
Perché d’improvviso si ritrovò sul pavimento, incapace di spiegare come ci
fosse finito: la terra sotto di lui aveva preso a tremare, il soffitto divenne
un’esplosione di giochi di luci e colori abbaglianti e cangianti, assolutamente
privi di alcun senso ma impossibili da non guardare. E poi, Dean. Dean levitava
sulla sua testa ad un certo grado di trasparenza e parlava, gridava, più
correttamente - ma le parole venivano disintegrate dal sordo
martellamento che rimbombava nelle sue orecchie, e non giungeva
nient’altro che un rumore assordante. Strabuzzò gli occhi oltre la soglia del
dolore, mosse le labbra come a voler dire qualcosa, chiamare aiuto, con molta
probabilità. Provò a cercare i suoi arti, ma essi si muovevano come se non
fossero più appartenuti a lui, e la cosa gli fece orrore.
Prima di capire cosa stesse accadendo, anche il suo cervello smise di appartenergli. E questa forse, fu la cosa più bella che poteva capitargli.
-
“Forse non è chiaro il concetto: se non trova un modo di mandare un fottuto
elicottero entro i prossimi dieci minuti, le assicuro che avrà problemi ben più
grandi del suo capo incazzato!”
Udì la frase prima ancora di abbandonare quel sonno dolce e
indifeso in cui era piombato.
Le sue ciglia si scollarono l’una dall’altra con un suono simile a quello della
cartapesta accartocciata, non fu piacevole. Ma il bello doveva ancora arrivare.
“Ascolti, non ho davvero voglia di litigare, okay? Voglio
soltanto che mio fratello venga portato in un fottuto ospedale! Cristo, le sto
dicendo che ha avuto una crisi convulsiva due ore fa e che da allora non ha
ripreso conoscenza!”
Anche il suo corpo andò lentamente svegliandosi. Strinse il viso in una smorfia
quando un dolore lancinante cominciò ad esplodere un po’ ovunque, si concesse
delle lacrime. Dei rigagnoli d’acqua scesero obliquamente a ricamare la sua
fronte, realizzò solo allora di avere un panno freddo appiccicato su di essa, e
una borsa del ghiaccio poggiata dietro la nuca.
“Sì, respira! L’ho già detto tre volte! Respira autonomamente! Devo forse
sperare che smetta di farlo perché vi degnate di muovere il culo!?”
L’istinto di voltare la testa verso quella fonte sonora così familiare sarebbe stato più forte di qualsiasi debolezza, se non fosse stato che chiunque lo avesse sistemato lì, sul pavimento, circondato da una fortezza di cuscini che lo costringeva su di un fianco, sembrava aver fatto ogni cosa perché la fonte di quella voce fosse esattamente la prima cosa che potesse aprirsi al suo campo visivo una volta sveglio.
Dean individuò subito i suoi occhi aperti. Arrestò il suo
andirivieni lungo il perimetro della stanza.
“Aspetti un momento! Un momento soltanto!” Mise via il telefono contro
cui stava urlando, si precipitò sul pavimento scivolando sulle ginocchia.
“Sammy! Hey-hey-hey! Sam! Stai bene? Guardami! Stai bene?”
Le mani di Dean assalirono il torpore del suo viso
producendo formicolio simile a tanti aghi, gemette.
“Dean-”
“Stai tranquillo, tra poco ti porterò in ospedale! Stai tranquillo, Sammy!” Riprese il telefono, lo resse con una spalla continuando a cingere il suo viso, come a voler trattenere quel briciolo di lucidità tra le dita. “E’ ancora in linea? Pronto? Pronto!?”
Controllò il display. Ringhiò. “Ha riattaccato.”
“Dean.”
“Figlio di puttana, ha riattaccato!”
Sopraffatto dalla stanchezza, Sam accennò appena a socchiudere gli occhi, ma la
furia cieca di suo fratello infuriò di nuovo.
“Non dormire, Sam! Hey! Non dormire ho detto, mi hai capito!? Sam!” Lo
strattonò.
“Sto bene... “ Risuonò Sam con un suono rasposo e occhi vacui. “Sto bene.” Tese
un braccio come a volergli sfiorare i lineamenti tesi del viso, ma non arrivò al
suo obiettivo, finendo così aggrappato alle maglie di flanella all’altezza del
petto. Fu a quel punto che Dean fermò il suo moto frenetico, si concesse del
tempo per respirare. Chiuse gli occhi, rilassò le spalle per distendere i
muscoli. Poi chinò il volto e inspirò profondamente. “Okay.” Bisbigliò
distrattamente tra se e se.
“Non farlo mai più, amico. Sono vecchio per queste cose.” Il suo sorriso era
talmente forzato da sembrare un ghigno. Sam riprese fiato.
“C’è stata una bufera di neve, la strada per Smith Center è interrotta. Ma sai
che troverò un modo per portarti in ospedale, vero? Dovesse crollare il mondo,
giuro che lo farò!”
Lì per lì, Sam non capì il perché di tanta urgenza. I
ricordi delle ultime ore erano frammentati in bolle di sapone che riaffioravano
alla sua mente in ordine sparso, e non suggerivano niente che potesse in
qualche modo giustificare l’apprensione stampata negli occhi di Dean. Fece un
blando tentativo di tirarsi su spingendo sui gomiti, Dean lo trattenne.
“Hey, vedi di non fare scherzi. Stai giù.” Addolcì il rimprovero rimuovendo la
pezza ormai troppo calda dalla fronte. Gli faceva male tutto, adesso più che
mai. La testa sembrava esplodergli, la tosse che lo colse ne ingigantì la
sensazione. “Provo a chiamarli di nuovo.”
“Non è necessario, Dean. Sto meglio.” Ed era una mezza verità. Il sonno in cui era piombato dopo la crisi gli aveva restituito una piccola parte delle energie, ma da lì al concetto di ‘stare meglio’, vi era la fossa delle Marianne.
“Ho avuto una crisi convulsiva, vero?” Ansimò, riprendendo il fiato che una nuova serie di colpi di tosse gli aveva appena sottratto.
“Da bambino ti succedeva spesso. Non dovresti avere
problemi.” Non riuscì a guardarlo in viso mentre lo diceva.
“Non solo da bambino.” Disse Sam espirando, e il modo nervoso in cui Dean
deglutì fu più che sufficiente per fargli intuire come il ricordo delle volte
in cui si era contorto sul pavimento della dannata panic room di Bobby durante
il detox dal sangue demoniaco, o le volte in cui aveva convulsato in preda alle
allucinazioni infernali, fosse già scomodamente nella mente di entrambi.
“Ad ogni modo, devi andare in ospedale, Sam.
Come ti senti adesso?” Cambiò argomento, il suo pomo di Adamo guizzò.
“Come fossi stato investito da un pianeta.” La lingua inciampò più volte in
quella bocca ormai priva di saliva. “Ho sete.”
“Certo che hai sete, sei completamente disidratato.” Passò
il pollice sulle sue labbra aride, Sam ne fu infastidito. “Vuoi fare un
tentativo?”
Sam scosse la testa lentamente. “Vomiterò ancora.”
“Non sarà la fine del mondo.” Ridacchiò Dean, decretando da solo che sì, Sam ci
avrebbe riprovato. Si sollevò sulle gambe, andò a recuperare un cucchiaio, un
bicchiere d’acqua, e anche un secchio – giusto per sicurezza.
“Solo un goccio, questa volta.” Dean si fece largo tra i cuscini, tornò a
sedersi sul pavimento. Con una salda stretta sotto le sue braccia, lo aiutò a
sollevarsi adagiandone la schiena contro il proprio petto. In un altro momento,
questo smanacciamento incontrollato avrebbe di certo sollevato le sue proteste,
ma il suo corpo dava segni inconfutabili di quanto l’aiuto di Dean fosse
indispensabile, e quindi lasciò stare.
Accolse tra le labbra il cucchiaio offerto senza ulteriori
commenti, poi tirò indietro la nuca, rilassando il collo contro la spalla di
suo fratello. “Ingoia piano, molto lentamente.”
Era solo una misera quantità d’acqua, ma non gli era sembrata mai così
buona. La rimestò in bocca per un paio di secondi, prima di mandarla giù
a piccoli, striminziti sorsi.
“Tutto bene?”
Sam annuì. E Dean cantò vittoria.
Come un deficiente.
Pochi minuti dopo, il riuscire a sporgersi verso il secchio prima di poter
vomitare addosso a suo fratello un’altra volta, fu l’unica cosa che attenuò il
suo sgomento.
Avrebbe voluto urlare, Sam. Ma non aveva abbastanza forza.
Avrebbe voluto anche piangere, quel pizzicore dietro gli occhi era sempre più
insistente e premeva perché lo lasciasse andare – ma non era sicuro che il suo
corpo conservasse ancora liquidi per farlo, a quel punto.
Così, si limitò ad accettare ciò che Dean aveva in serbo per lui, perché la sua
mente, adesso un motore arroventato, non era in grado di partorire
assolutamente nulla.
Dopo esser stato ritrascinato a letto, Sam affondò il corpo stanco sul materasso
con lo stesso abbandono di un naufrago alla deriva. Sentì Dean infilare tra le
sue labbra schiuse qualcosa che non tardò a riconoscere come l’ormai familiare
bacchetta del termometro, sospirò attraverso le narici, deluso.
“Tienilo sotto la lingua, come al solito.” Nella sua voce
avvampava una determinazione che prima non c’era. Aprì gli occhi giusto in
tempo per vedere suo fratello indossare giacca e sciarpa.
“Faccio un salto a Lebanon. Hai bisogno di medicine che non abbiamo, Sam.”
E il significato di una frase simile era cristallino anche a una mente
arroventata come la sua: Lebanon, cittadina di appena duecento abitanti (cani
randagi inclusi) non aveva neanche un supermarket, figuriamoci una farmacia.
“E’ una pessima idea, Dean...”
Senza ascoltarlo, Dean sfilò il termometro. Ciò che vide, confermò la sua scelta.
Rinnovò la benda sulla sua fronte, diede un’ultima occhiata
preoccupata.
“Farò più in fretta che posso.”
L’ultimo sospiro di Sam risuonò nell’aria viziata come un singhiozzo.
E dire che, sino a poco prima, piuttosto che arrendersi, Sam Winchester avrebbe preferito la morte.
Fine prima parte
Note dell’autrice:
- NON BETATA. Mi scuso per eventuali errori (e orrori).
- Questa fanfiction era, in origine, una oneshot. Ma, una volta conclusa, mi sono accorta che erano ben 12,000 parole. Così ho deciso di dividerla in due parti. Pubblicherò il secondo e ultimo capitolo tra una settimana!
- Nasce fondamentalmente come regalo di Natale per la mia amica Alessandra, il fatto che io l’abbia conclusa e consegnata il 27 Febbraio immagino non significhi niente. V_V *coff*coff*
- Non aspettatevi una gran trama, perché (come immagino abbiate già capito) non ce l’ha. Vi piace l’Hurt/Comfort? Squittite di fronte a un Dean che si prende cura di un Sam malato? Sì? Anche io. Ciao. :3333
- Il titolo è un riferimento a Florence
Nightingale (Firenze, 12 maggio 1820 – Londra, 13 agosto 1910) un'infermiera
britannica. È considerata la fondatrice dell'assistenza infermieristica
moderna.
- Grazie per aver letto! Davvero! <3 >