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Autore: Farawayeyes    28/02/2017    1 recensioni
Sono tanti i punti di vista che servono per fare la realtà. Questa è una di quelle verità che Los Ageles mi ha insegnato.
Los Angeles. Sono dieci anni che abito qui, scattano proprio oggi. E' l'anniversario della mia pazzia, della mia vita, è quasi il mio compleanno. Questa ormai è più mia madre che la mia città. Mi ha visto crescere, perdermi, innamorarmi, impazzire (di gioia o di dolore), mi ha visto vivere. E sta notte, seduto nel divano di questa camera d'albergo tutti i ricordi sembrano spingere per venire a galla. Non riesco proprio a dormire, ho solo voglia di ricordare.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axl Rose, Izzy Stradlin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I soldi mi finirono prima di arrivare a Denver. Svuotai il portafoglio sul sedile del pullman, il tonfo delle monete fece alzare uno sbuffo di polvere dal cuscino malconcio. Logoro come la mia identità. Chissà quanti culi vogliosi di un futuro migliore aveva sorretto prima del mio. 
Avevo pochi spiccioli, e ancora tantissimi cambi da fare. Era ancora lontana la terra promessa e quanto fosse lontana all'epoca la strada del successo non voglio neanche ricordarlo. Non mangiavo, avevo qualcosa nello zaino, un pasto al giorno, prevalentemente sandwich confezionati e merendine; bastava a tenermi su. La maggior parte del tempo lo passavo seduto, buttando un'occhio alla valigia e uno al finestrino. Mi ero lasciato tante cose dietro, a partire dal nome, e sentivo dentro un'eccitazione sommessa, arginata solo dalla paura del fallimento. 
Guardavo spesso le cabine telefoniche, avrei tanto voluto fare una chiamata  a casa: parlare con mia sorella, chiedere scusa a mia madre. Avevo vent'anni cazzo, ero solo un bambino. 
Nella tasca del giubbotto di jeans avevo un biglietto, due righe scritte velocemente qualche giorno prima. Erano la mia salvezza, senza quell'indirizzo sarei stato spacciato. Avrei girovagato senza meta per chissà quanto tempo, senza un soldo e senza nessuno a cui chiedere aiuto. Me l'ero cercata, volevo l'avventura, la novità, il pericolo e finalmente c'ero dentro.
Erano da poco passate le cinque del pomeriggio, sarei arrivato a Los Angeles la mattina successiva. Presi l'ultimo cambio e mi sforzai di dormire, ma l'ansia mi stava logorando. Mi addormentai sognando i poliziotti di Lafayette che mi aspettavano alla fermata del bus con i manganelli in mano.
   ***
"Che vuoi fare? Te ne torni a Denver?"
"Cosa?" Biascicai ancora mezzo addormentato.
"Muoviti!".
Il bus era deserto. Girai la faccia verso il finestrino "WEST LOS ANGELES PARKING BUS". Ero arrivato.
"Scendi" mi gridò nuovamente l'autista.
Così feci.
Saltai giù dalla porta di mezzo e iniziai a correre a perdi fiato. Ero arrivato. Addio brutti stronzi.
Respiravo l'aria umida come se fosse la mia prima boccata d'ossigeno. Il tasso d'umidità era alle stelle, ma mi sembrava l'aria più pura che avessi mai annusato. Tralasciando l'odore di piscio e tubi di scarico.
Urlai fortissimo per liberarmi. Vidi una signora stringere più forte un bambino per la mano e scoppiai a ridere. All'epoca non immaginavo di poter fare paura. 
Mi avviai fuori dall'enorme parcheggio cercando qualcuno a cui chiedere informazioni. Il mio biglietto veniva guardato con sufficienza, nessuno sembrava conoscere quell'indirizzo. 
"Caro ragazzo, non so da dove vieni, ma qui non è così facile raggiungere un posto conoscendo solo la via. Sai almeno il quartiere, il distretto?"
Scuotevo la testa scoraggiato.
"Sicuramente escluderei West Hollywood e Downtown" aggiunse guardandomi di sottecchi. 
"Non saprei".
"Provi a fare una chiamata"
"Non ho il numero"
"Dicevo agli uffici centrali della città"
"Beh, non ho nemmeno soldi"
Spinse gli occhiali contro il naso per osservarmi, chissà quanti ne aveva visti di scapestrati come me. Chissà perché mi credevo tanto più furbo degli altri. Sospirò e si alzò dalla sedia, tornò dopo pochi minuti con una cartina sotto braccio. 
"Io ora non ho tempo da perdere, ma tu prenditi questa, serve di sicuro più a te che a me".
Uscì dal casottino del parcheggio e mi sentii stanco per la prima volta da giorni. Lo stomaco si era risvegliato insieme a me e brontolava in un modo imbarazzante. 
Seduto su una panchina con la cartina di quella città straniera aperta sulle ginocchia provai una gran voglia di piangere. 
Nessuno mi conosceva, nessuno sapeva che fossi lì. Se fossi morto di fame su quella panchina c'avrebbero messo parecchio per accorgersene. Ero solo, nel modo più intimo e totale che avessi mai vissuto. Ero solo perchè non avevo più un posto dove tornare. 

Il nome tanto desiderato mi si palesò davanti a pomeriggio inoltrato, il sole stava tramontando dietro le colline e io finalmente sapevo dove andare. Altri due autobus, un po' di strada a piedi e avrei potuto riposarmi. Baciai più volte la cartina, prima di ributtarla nello zaino, agguantai la valigia e inizai a camminare.
Ma LA era decisa a non darmi pace. Quando ormai era notte fonda e l'ultimo autobus mi aveva lasciato alla fermata, iniziò a diluviare. Un temporale fitto ed incazzato. Corsi a ripararmi sotto la tettoia di un pub e imprecai. Dio quanto imprecai. Uno va in California sperando di essere sommerso dal sole e si trova bagnato fradicio dopo mezza giornata. Gran bell'accoglienza cazzo, una vera merda. 
Ero esausto, sfinito. Mi sedetti per terra e vidi delle lacrime bagnarmi i jeans. Scappavo da un'incubo e sapevo bene che niente potesse essere peggio di quello. Eppure, l' essere solo in una città straniera, nel bel mezzo di un temporale, riesce a fa rimpiangere anche l' incubo peggiore, che però preveda un tetto sulla testa, un letto caldo e una meat pie sul tavolo della cucina. 
Mi asciugai le lacrime, le ultime di una lunga serie. Dovevo smetterla di piangere come un bambino. Avrei dovuto sgozzarlo quel bambino. Ero un uomo, ero forte e dovevo essere in grado di cavarmela da solo. Quelle lacrime, quella tristezza, erano solo il residuo della mia vita passata. Dovevo sotterrarmele dentro.
Sputai fuori l'ultima traccia di rispetto che avevo in copro, nascosi la valigia dietro un' aiuola ed entrai nel pub. La porta tintinnó all'apertura, ma nessuno sembrò accorgersene. Presi posto nel tavolo più vicino all'entrata, e agguantai il menù. Tracce di ketchup sporcavano i bordi, mi pulii la mano sui jeans e inizai a dare un' occhiata. Lo stomacó mi suggerì di prendere tutto quello che vedevo, dal numero uno al numero dieci. 
Era un pub insignificante, con tavoli disposti in fila indiana e il bancone che correva lungo tutto il lato sinistro. Un uomo sulla cinquantina era impegnato a lustrare dei bicchieri di vetro; a giudicare dal colore dello straccio probabilmente prima lo aveva usato per pulire a terra. 
“Benvenuto al The Mask, cosa posso servirti?”
Alzai lo sguardo e me la trovai davanti. I lati positivi di Los Angeles iniziavano a venire fuori.
“Un hamburger”
“Ok. Qualcosa da bere?”
“Una birra”
“Arriva subito”.
Si girò e tornó al bancone. Ovvio che le guardai il culo.
Nell'attesa mi dimenticai quasi perché fossi lì. Mi guardavo intorno. La  TV via cavo trasmetteva una partiva di basket, era una replica, avrebbero vinto i Pliladelphia, come sempre quell'anno. Ogni tanto alzavo lo sguardo in direzione del bancone e abbozzavo un sorriso alla cameriera. Era carina, decisamente il tipo di ragazza con cui mi sarebbe piaciuto uscire. Purtroppo, quando la vidi tornare con il vassoio in mano, mi rivenne in mente il perché fossi li e le mani iniziarono a sudarmi. 
Da lì in poi ogni volta che la sorpresi a guardarmi mi senti raggelare. 
Mangiai di foga, insudiciandomi le mani, stavo morendo di fame. Quando ingurgitai l'ultimo boccone, mandai giù tutto con un buon sorso di birra. Forse non fu una buona idea ingozzarmi a quel modo, mi sentivo lo stomaco esplodere. Non era l'ideale per il jogging notturno che avevo programmato. Guardai fuori dalla finestra, non smetteva di diluviare. Sospirai.
“Avevi fame, eh?” disse, mentre sparecchiava.
“Già. Sono in viaggio da un po'”
“Piacere o affari?”
Male per male. Esagerai.
“Entrambi a dire il vero. Sono un cantante, mi esibisco in un locale tra qualche sera”
Mi guardò accigliata, forse non reggeva.
“Figo. Dove?”
Ne conoscevo solo uno.
“Al Roxy”
Trattene un sorriso. 
“Beh, in bocca al lupo allora. Sono dei leoni inferociti là dentro”
“Già, immagino. Senti, dov'è il bagno?”
“La porta rossa”
“Grazie” 
Lasciai lo zaino sulla sedia. Non c'era niente di utile lì dentro ormai, solo residui di involucri di merendine e un accendino mezzo scarico. Voleva dire rinunciare alla cartina, ma tanto ormai mi ero rassegnato ad interrompere le ricerche per quella notte. Guardò il mio zaino sulla sedia e la vidi rasserenarsi. Quasi mi dispiacque prenderla in giro.
Non tornai indietro. Non so dopo quanto mi venne a cercare. Camerieri di tutto in mondo, mai mettere finestre così grandi nei bagni dei pub. Cazzo! È l'abc. Fortunatamente per me, erano analfabeti.
Recuperai la valigia e iniziai a correre. La pioggia in quel caso mi fu di grande aiuto. Quando mi fermai a riprendere fiato mi girai in direzione del pub. La strada era deserta, nessuno mi stava seguendo. Non era certo la prima volta che rubavo, ma ciò non significa che non mi sentissi comunque una merda ogni volta che lo facevo. Avrei evitato, se avessi avuto alternative. 
I vestiti zuppi iniziavano a pesarmi addosso, mi tolsi la felpa e la strizzai. Nonostante i venticinque gradi iniziai a sentire freddo. Qualcuno potrebbe dire che fosse la sensazione di solitudine. Mi accovacciai per terra, senza nessuna cartina a cui chiedere aiuto. 
L'acqua continuava a precipitare senza sosta, guardai l'ora. Era da poco passata mezza notte. Avrei potuto fermarmi li. Quanto mancava all'alba, dopotutto? Cinque, sei ore? Era tardi ed ero stanco, dormire lì non era una brutta idea. 
Un lampo illuminò il cielo. Un tuono lo seguì e, all'improvviso, non mi sembrò più così tardi. L'idea di trovarmi lì in mezzo alla strada, alle tre di notte, di trovarmi nel mezzo della notte, mi face rabbrividire. E se si fossero spenti i lampioni di botto? Che so, un blackout completo, magari il temporale. Che cagasotto. 
Mi alzai in piedi imprecando nuovamente.
Camminai e quel tuono fu la mia salvezza.
I numeri civici all'altezza di Vernon Ave iniziarono a cambiare. La strada incrociava sulla destra S. Vermont Ave. Un punto della cartina che avevo memorizzato, in quella via avrei incrociato la strada che cercavo.
Fanculo, 'sti californiani con i nomi delle vie tutte uguali. Tirai un sospiro di sollievo, per quando potesse essere lunga quella fottuta strada ero finalmente arrivato.

 
   
 
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