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Autore: esmoi_pride    01/03/2017    1 recensioni
" Al suo risveglio Nuvian inchiodò gli occhi nel vuoto che lo separava dal resto della stanza nella tragica coscienza sfocata di chi sapeva di dover fare i conti con qualcosa. "
Nuvian Vaughan non vuole riportare alla mente quello che gli è successo due notti fa. Ma se vuole tornare alla vita di prima e riprendere il controllo di sé, dovrà prima o poi farci i conti e rivivere quelle esperienze. Dolorose o... piacevoli, che siano.
( Titolo ispirato alla canzone "Slow life" dei Of monsters and men )
Genere: Dark, Erotico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Nuvian Vaughan. Sete, morte, sesso, lacrime.'
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Rossi i denti, rossi gli artigli.








Al suo risveglio Nuvian inchiodò gli occhi nel vuoto che lo separava dal resto della stanza nella tragica coscienza sfocata di chi sapeva di dover fare i conti con qualcosa.
 
Gli occhi grigi fissavano un punto impreciso davanti a sé, assenti. Era steso di fianco su un letto morbido e accogliente, riscaldato dal calore stesso del suo corpo. Inspirando appena, quasi come nel solenne ritmo che il sonno profondo aveva dettato ai suoi polmoni fino a poco fa, riuscì a sentire l’odore di casa sul cuscino contro cui aveva la guancia. La sensazione nostalgica che suscitò gli afferrò i polmoni in una morsa lancinante. Ricordava di essersi addormentato con il panico di potersi risvegliare. Le orecchie non sentivano niente, neanche un sottofondo dall’esterno della stanza. Ne era rincuorato. Poteva fingere che fuori il mondo non stesse scorrendo, che fosse rimasto fermo insieme a lui. Poteva continuare a lasciare che i pensieri vagassero nella testa per ore, senza focalizzarne uno, senza ascoltarlo. Aveva paura di ascoltarli. Aveva bisogno di non sentire nulla. Ma non voleva uscire dalla stanza. Voleva rimanere solo. Non avrebbe affrontato nessuno, non in quello stato. Voleva solo stare in pace.
 
Tutto quello che era accaduto, non l’avrebbe negato. A dire la verità sembrava un incubo. Dall’inizio alla fine, tutto quello che ricordava fosse successo era irreale. Poteva anche averlo sognato. Non sarebbe stata la prima volta che Nuvian credeva di aver vissuto un sogno. E un sogno del genere… Nuvian sbatté le palpebre, gli occhi ancora persi nel vuoto. Se quello che era successo non era vero allora lui non aveva ancora oltrepassato la linea. Una delle tante, uno dei limiti. Il pensiero lo rassicurò, caloroso come le lenzuola che lo proteggevano dal freddo dell’inverno, e insieme gli diede la sensazione di aver fatto un passo indietro. Dietro la linea sicura, ma anche più vicino all’inizio che alla fine della strada che stava percorrendo.
 
In un moto di vita, di energia – quasi di ribellione nel sentirsi addosso tutto il peso della lunga strada – contrasse le dita con un impulso nervoso. Le sentì callose, accartocciate. Confuso, le mosse ancora e di nuovo ebbe la sensazione che si piegassero con sforzo. Poi provò fastidio e un sottile dolore. Corrugò la fronte, gli occhi misero a fuoco la parete opposta della stanza e si abbassarono sulle mani chiare che aveva poco lontano dal cuscino. I palmi e l’interno delle dita erano ferite da alcuni tagli sottili, superficiali o un poco più profondi.
 
Il pollice andò ad accarezzare il dorso ferito dell’indice e quando il fastidio, e poi il tenue dolore, arrivarono al cervello gli balenò agli occhi il ricordo del vetro per terra che gli aveva tagliato le mani. Era un pavimento freddo e umido, il pavimento di una torre. Il vetro. Era là perché la vetrina si era infranta, era stata distrutta, da quella persona. Ricordò vagamente la sagoma adombrata dell’uomo che gli dava le spalle mentre infrangeva la sedia nel vetro. Sgranò leggermente gli occhi, sbatté le palpebre. Il respiro che venne esalato lentamente dalle sue narici fu accompagnato da una morsa al cuore e da un moto di angoscia, che si iniettava in lui sempre più velenoso. Allora era successo davvero. Aveva mosso il passo. Aveva oltrepassato il limite, attraversato la notte e contato i secondi negli istanti più neri prima che l’accecante alba sorgesse.
 
Nuvian sbatté le palpebre. La sua attenzione era tutta per gli ultimi ricordi della sera precedente, ma non aveva intenzione di soddisfarla. Non li avrebbe rivissuti. Non l’avrebbe negato: l’avrebbe ignorato. Avrebbe finto, per ora, che non fosse esistito. Si smosse finalmente dal letto, si alzò per spogliarsi. Aveva avuto la decenza di farsi un bagno prima di abbandonarsi nel letto, la notte prima. Era grato a se stesso per questo. Era più facile, ora, fingere che non fosse successo nulla. Rivestendosi gli saltò l’occhio su una lettera al bordo della scrivania, dall’aria familiare. La sfiorò con le dita e sporgendosi riuscì a leggere il nome dei due signori di corte che avevano indetto il ballo della sera prima. Staccò le dita dalla lettera e tornò dov’era prima mentre si abbottonava i bottoni di mezzo della camicia. Era un’altra prova che non aveva sognato. Non attese di aver riempito tutte le asole e con un passo tornò alla scrivania e prese la lettera. Diede un’occhiata al camino spento. Guardò il cestino della carta da buttare. Poi un cassetto della scrivania. Lo aprì e ci nascose la lettera dentro, poi lo richiuse. Ricontrollò la scrivania. Ad un angolo scoprì la maschera blu notte. Scattò verso di essa come se fosse stato bruciato da un tizzone e la trascinò fino al camino per farcela cadere dentro. Quella andava davvero disintegrata: era una prova. Non si sarebbe dovuto preoccupare invece per le due guardie che lo avevano visto, e lo sapeva perché ricordava che gli era stato piantato un pugnale nel collo davanti ai suoi occhi.
 
Indietreggiò, tenendo gli occhi sul camino. Non c’era fretta per bruciare la maschera, non sarebbero risaliti a lui. E poi non era il crimine che avevano commesso a preoccuparlo così tanto. Si smosse da dove si trovava e si incamminò verso la porta.
 
 




Davanti a lui scoppiettava il camino del salone comune dei neofiti. Nuvian era seduto a una comoda poltrona e stava rileggendo uno dei suoi tomi preferiti: Storia degli ordini magici. Anche se ‘rileggere’ non era il termine ideale per indicare cosa stesse facendo. Piuttosto stava sfogliando le pagine e scorrendo gli occhi sulle parole, e le ripeteva piano nella testa senza farci veramente caso. Quando se ne rese conto, una mezz’ora dopo aver incominciato si interruppe e alzò gli occhi assorti sul camino.
 
Sapeva perché non stava leggendo con concentrazione.
Era lo stesso motivo per cui la sera prima aveva fatto una terribile figuraccia al Tribunale Magico, facendosi attendere troppo prima di inchinarsi a tutti i maghi e ricevendo così il biasimo della Maestra, e lo stesso per cui ci era andato piano con il suo sottoposto quel pomeriggio stesso, troppo scosso per poter esercitare una stilla di potere. Era passivo, invisibile, si faceva accadere le cose attorno senza incidervi, con tutta l’intenzione di restarne in disparte.
 
Corrugò la fronte, con una decisione che non aveva afferrato la sua espressione da giorni. Non poteva permettere che le cose andassero avanti in quel modo. Non poteva permettersi di vacillare, di mostrare una debolezza: era stato così arduo per lui riuscire a celare le proprie emozioni dietro una maschera di sicurezza, ispessire la pelle ai tocchi degli altri, imparare, persino, a rispettare il proprio corpo e impedire agli altri di toccarlo, interrompendo le loro intenzioni quando decideva che non voleva stare al loro gioco. Era stato arduo e non aveva intenzione di farsi sfuggire via quei traguardi da uno sconosciuto e da degli sciocchi accadimenti. Beh… non erano sciocchi, ammise a se stesso, ma non si sarebbe fatto trascinare giù da essi. Doveva riconquistare sicurezza, compostezza, forza. Come avrebbe dovuto fare? Nuvian scrutò tra le fiamme brucianti del camino che inghiottirono i suoi occhi e gli diedero la sensazione di stare bruciando. Premette le palpebre, forte, in un’espressione contratta dall’asprezza. Poi li riaprì in basso, decisi ma incupiti dalla decisione presa. Si smosse e andò a riporre il libro nella libreria, poi si avviò verso la sua stanza per prendere le sue cose.
 




Chiuse la porta a chiave, e poi si assicurò di averla chiusa a chiave. Aveva davvero bisogno che facesse il suo dovere. Sapeva che quella porta non lo avrebbe deluso, ma voleva essere sicuro di avere tutto sotto controllo. Fosse stato per lui, avrebbe potuto controllare ogni cinque minuti che la porta fosse doverosamente chiusa. Vi si allontanò con angoscia. Andò al camino acceso. La maschera blu vi si era incendiata da un pezzo. Rassicurato, Nuvian andò alle tende: erano ben chiuse, senza dubbio. Si ritirò fino al letto e vi fece cadere il sedere sopra, ondeggiando sul materasso molleggiante. Prese aria e la buttò fuori con un sospiro. D’accordo. Adesso avrebbe fatto mente locale. Avrebbe rivissuto quei momenti, da solo, per capire cosa stava succedendo nella sua testa. Se avesse riflettuto su quello che era successo, poi se ne sarebbe fatta una ragione. Immaginava che il suo cervello continuasse a rifletterci, distraendolo, perché aveva bisogno di chiarezza. E Nuvian gliel’avrebbe data. Non aveva fatto bene alla sua testa ignorare la cosa, andare avanti come se non fosse successo. Doveva riconoscere quello che aveva fatto. Doveva accoglierlo. Si tirò indietro fino ad appoggiare la schiena sul muro che percorreva un lato del letto, sistemato ad angolo nella stanza. Sollevò le gambe fino ad avvicinarle al petto e poggiò i piedi sul materasso. Le mani accarezzavano le lenzuola. Lui guardò vicino alle proprie ginocchia, cercando di ricordare.
 
Era una festa in maschera. Nuvian si era infiltrato da solo. Nessuno gli aveva detto di farlo. L’aveva fatto per poter carpire informazioni dai nobili e dalle gilde alleate. Se avesse ottenuto ciò che cercava avrebbe potuto utilizzarlo per i maghi, che avrebbero riconosciuto i suoi sforzi. Ma non andò come lui sperava. Si avvicinò un uomo. Aveva una maschera rossa. Aveva un odore pungente, di quello che poi Nuvian avrebbe scoperto essere sangue. Probabilmente era stata bagnata con esso, ma in quel momento Nuvian non aveva saputo dirlo. Era attratto dal mistero dell’uomo, ma anche guardingo. Non sapeva bene come comportarsi. Lo aveva visto mettersi in disparte alla vetrata, e dopo una riflessione aveva pensato di rivolgergli la parola. Le persone più eccentriche potevano dimostrarsi quelle più importanti in certe evenienze. Ma dopo un poco si accorse di conoscere l’uomo con cui stava parlando. Vide che beveva molto facilmente il suo calice di vino. Dalla maschera trapelava una barba familiare, e così i capelli neri. Il tono di voce era simile, e quello che diceva non stonava con ciò che una persona a lui familiare avrebbe potuto dirgli. Ma quando si voltò verso di lui e incrociò i suoi occhi Nuvian poté dire con certezza che si trattava dell’uomo che aveva incontrato due notti fa. Un uomo pericoloso, perché era bravo a far abbassare la guardia. Infatti lo fece di nuovo, sfidandolo a raggiungere una torre. Nuvian avrebbe dovuto preservarsi. Era una regola della Notte. Ripensandoci, Nuvian si disse che non avrebbe mai potuto insinuare alla Maestra di ciò che era successo, perché avrebbe violato un insegnamento che lei gli aveva impartito. Sarebbe stato vergognoso, non avrebbe potuto sopportare il biasimo della ragazza.
 
Proseguì a ricordare. Cercò di mantenere un confronto alla pari con l’uomo, ma non ci riuscì. Era fin troppo semplice fallire. Nuvian era così giovane, così sciocco… inesperto. Esalò un sospiro di frustrazione al pensiero. Raggiunsero la torre… già allora, Nuvian si sentiva circuito. Era quasi la stessa sensazione che percepiva quando veniva puntato da un vampiro. Si sentiva gli occhi addosso, ad ogni respiro lo sentiva sul proprio collo, anche se non ci si avvicinava, non c’era contatto, non esplodeva la tensione. Rimaneva sottopelle, sottile, e maliziosa, e accresceva le aspettative e l’eccitazione. Nuvian si drogava di quella sensazione. Si drogava del lento crescendo, del piacere inespresso, era fatto di questo dopotutto. Del piacere vigliacco, maledizione. Corrugò la fronte, ripensandoci. La vergogna gli colorò il viso dagli occhi chiusi.
 
Con la mente salì le scale della torre. Vide l’uomo sul ricco trono della stanza, che giocava con i suoi nuovi giocattoli di metallo prezioso. Nuvian scandì lentamente ogni momento. Ogni piccolo movimento. Se stesso inginocchiarsi. Sapeva di avere ancora controllo di sé in quel momento. Sporgersi, e allora si era ferito le mani con il vetro. Avvicinarsi. Strizzò le palpebre nell’espressione che si inasprì. Premette le labbra tra loro. Poi una lingua affiorò da esse, leccandosi il labbro superiore. Non si accorse neanche di averlo fatto. Osservava solo, nella sua testa, le piccole cose che gli stava facendo l’altro. La sensazione dei capelli tirati. La cosa che gli si muoveva nella bocca. E poi sentì improvvisamente la propria erezione tirargli nei pantaloni.
 
“Ah…”
 
Si strappò da solo un ansito eccitato nell’accorgersene. Era durissima. Piegò il capo all’indietro e andò a cozzare contro la parete, la bocca era aperta per sospirare e le sopracciglia corrugate, strutte. Le mani avevano già raggiunto la patta dei pantaloni e stavano liberando l’erezione, le gambe si erano abbassate senza che se ne accorgesse. La tirò fuori, quantomeno per darle sollievo.
 
“Mh…”
 
Nuvian godette di quella liberazione piacevole e tornò a pensare a quello che era successo. Doveva concentrarsi. Ma appena rivide l’ultima scena, di nuovo l’erezione gli pulsò sul bassoventre in un impulso che la sollevò. Cercò di concentrarsi. Sentì al tatto la sua erezione strofinarsi, nel ricordo che stava rivivendo. Deglutì, si fece forza, mentre le guance iniziarono a bruciargli e il corpo a scaldarsi tutto. Ricordò di essere venuto. Sentì, fuori dai propri ricordi, l’affanno rumoroso del proprio respiro che lo animava in quel momento, eccitatissimo. Pensò alla pressione che sentì sullo sfintere poco dopo, e si smosse dal letto, inarcandosi piano contro la parete.
 
“Nh…”
 
Gemette, stringendo le mani sulle lenzuola, senza toccarsi affatto. E l’erezione, libera, gli pulsava tra le cosce, inappagata, con le prime stille di umore che affioravano dalla punta. Poi premette forte gli occhi, che danzarono sotto le palpebre. Vide l’erezione dell’uomo, davanti ai suoi occhi, a pochissima distanza. Il suo ordine. Di prenderlo, tutto. Era spaventoso all’inizio. Gli aveva dato il tempo di abituarsi. Piano aveva iniziato a toccarlo, ad assaporarlo tra le dita. Il resto dei ricordi seguì brevemente, e lo lasciò ad occhi sbarrati, davanti a sé, lo sguardo lucido e il respiro che lo sollevava su e giù, mentre si sentiva scoppiare tra le gambe.
 
Lentamente si riprese. Sbatté le palpebre. Guardò la parete di fronte. Abbassò gli occhi sul pene eretto. Un rantolo arreso gli abbandonò la gola. Fece scorrere, piano, la mano destra fino al proprio sesso. Chiuse gli occhi e ritirò di nuovo la nuca contro la parete, mentre sentiva le dita avvolgergli l’erezione e iniziare a masturbarlo.
 
“Mh…”
 
Emise un verso appagato e prese a soddisfarsi in un ritmo intenso, massaggiandoselo senza pudore. Le labbra chiuse si dischiusero per sospirare silenziosamente, ma dopo qualche minuto ripresero ad ansimare e a fargli muovere il resto del corpo su e giù con i respiri. La mano sinistra gli sollevò la maglia che indossava per scoprirgli la pancia, e dopo un po’ le carezze divennero frenetiche e l’erezione si tese allo stremo fino ad eiaculare su quella porzione di pelle scoperta, in una contrazione che afferrò i muscoli del bacino e delle cosce di Nuvian.
 
“Nh-”
 
Emise un gemito strozzato e continuò ad ansimare, finché non si calmò di nuovo. Dopo cinque minuti, si riprese. Guardò quello che aveva fatto. Aveva ancora le guance arrossate dal piacere e dalla passione. Scosse piano il capo. Non avrebbe dovuto. Per prima cosa, non avrebbe dovuto eccitarsi al pensiero dell’altra sera. Poi non avrebbe dovuto masturbarsi pensando all’uomo che lo aveva seviziato. Non avrebbe dovuto neanche, in partenza, seguirlo fino alla torre, soprattutto dopo averlo visto uccidere due uomini. Ma dentro di sé sentì una voce urlare: e invece sì.
 
Ed era la stessa voce che aveva sentito l’altra notte, che gli aveva ordinato di rivolgere la parola all’uomo anche dopo averlo riconosciuto, di entrare nel labirinto, di ingannare le guardie, di salire le scale della torre, di obbedire ai suoi ordini, di non avere paura, di provare sensazioni, di osare, di fare un altro passo avanti verso il baratro ignoto, perché voleva sapere cosa c’era dopo, per quanto terribile fosse, voleva sapere la verità, voleva sapere qual era il sapore di ciò che non conosceva ed ora lo sapeva che sapore era, ed era l’irresistibile sapore della morte che aveva violato la sua bocca.
 


Rimase a guardare con occhi languidi il fuoco che bruciava, ghiotto, nel camino, e divorava il legname senza arrestarsi.
 
Quella era stata la sua prima volta.
 
 


 
   
 
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