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Autore: ___Page    01/03/2017    4 recensioni
"Nessuno di loro se ne accorse. Nessuno di loro lo vide entrare.
Seppero di essere nella merda solo quando riconobbero la sua voce.
«Portuguese, Monkey, Trafalgar e Surebo.» mormorò Vergo, calmo e atono. «Punizione.»"
*Fan Fiction partecipante al Sfigaship&Crack's Day indetto dal Forum FairyPiece-fanfiction&images*
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Starring: Cora-san, Hannyabal, Koala, Nefertari Bibi, Portuguese D. Ace, Perona, Sabo, Trafalgar Law, Vergo.
Con la partecipazione straordinaria di: Monkey D. Rufy.
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ATTENZIONE: Storia contenente coppie strane. Il Forum consiglia la lettura a un pubblico con alto tasso di sospensione dell'incredulità. Può presentare tracce di latte e frutto a guscio.
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Koala, Perona, Portuguese D. Ace, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Raftel High School - Le Cronache'
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Angolo dei chiarimenti: 
Buooooooongiorno a tutti, gente! 
Mi prendo solo un momento veloce per precisare che i disturbi dell'apprendimento citati nel capitolo non vogliono ferire la sensibilità di nessuno nè sono da intendersi come un elemento sminuente. I personaggi a cui li ho attribuiti sono genuinamente imbecilli di loro e i DSA in questione sono stati introdotti solo per giustificare alcuni dettagli che sarebbero altrimenti risultati incongruenti. 
Grazie mille a tutti coloro che mi seguono e buona lettura!
Page.  














Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 14.52
 
Koala ci aveva provato. Sapeva che sarebbe stato inutile ma ci aveva provato lo stesso. Quando aveva visto Law sedersi nel banco di destra della coppia di banchi all’estrema sinistra, aveva pensato a un segno divino.
Ma anche mentre prendeva posto accanto al ragazzo più taciturno e intimorente di tutto il liceo, senza che questo la turbasse in nessuna misura, aveva saputo che Law, l’armadio e il muro, così come anche un bunker dentro una catacomba dentro un labirinto nel cuore della foresta di Shandora, non sarebbero mai bastati per far desistere Sabo dalla modalità stalker.
Voleva solo sapere che era tutto a posto. Con quel preciso intento si era seduto di fronte a lei e, se doveva esser sincera, era molto sorpresa che avesse resistito quasi un’ora prima di cominciare a voltarsi a intermittenza per provare a intenerirla con il suo sguardo da cucciolo ferito. Inutilmente.
Sì, voleva solo sapere che era tutto a posto e a Koala sarebbe bastato dirglielo e se lo sarebbe levato di torno. Ma Koala era troppo arrabbiata per dargliela vinta, senza contare che sapeva fin troppo bene che a preoccupare tanto Sabo non era la loro amicizia. Non che Sabo non ci tenesse, ovviamente. Semplicemente non era nella sua indole preoccuparsi là dove non aveva senso e Sabo sapeva, tutti sapevano, che Koala gliele perdonava sempre tutte, prima o dopo.
A questo giro, però, era essenziale che il perdono arrivasse prima piuttosto che dopo perché c’erano dei bisogni impellenti che Sabo non poteva ignorare né rimandare.
«Koala. Psss. Ehi, Koala.» la chiamò in un sussurro. «Eddai! Guardami, per favore!»
«Sta’ zitto.» lo ammonì lei, continuando a leggere imperterrita.
«Se avessi immaginato che stavi arrivando, non avrei mai fatto niente del genere!»
Koala si limitò a lanciargli una rapida occhiata che si poteva tradurre con “Ma fammi il piacere” e poi tornò a dedicarsi al libro.
«O… Okay va bene, forse l’avrei fatto comunque! Ma non era mia intenzione metterti nei casini! Devi credermi!»
Ancora niente.
Questa volta l’aveva fatta davvero grossa. Con un moto di autentico panico, Sabo sbirciò verso la cattedra e, appurato che Vergo era immerso nella lettura, decise di sfidare la sorte e si girò completamente verso la compagna.
«Koala, per favore, dimmi solo che me la darai ancora! Ti prego!» la implorò sottovoce.
Il tempo si fermò per un attimo. Koala si congelò sulla sedia e vide con la coda dell’occhio Law che perdeva focus sulle pagine del libro di storia e poi sollevava piano la testa per girarla verso di loro.
Non. Era. Possibile.
Quando andava in panico, Sabo non era bravo con le parole. Sbagliava a scriverle, pronunciarle e, come aveva appena dimostrato, sceglierle. Ma una cosa tanto ambigua e imbarazzante, in presenza di un quasi sconosciuto e che la coinvolgeva in primissima persona era troppo anche per Koala.
Si voltò brevemente verso Law, che, per la prima volta da che lo aveva incrociato in corridoio durante la seconda settimana del primo anno di liceo, esibiva un’espressione decifrabile. Divertimento. Velato e ammirato divertimento.
Koala sapeva perché. Sapeva cosa stava pensando. Sapeva cosa sembrava. E sapeva per colpa di chi.
Tornò a guardare Sabo, che non si era minimamente accorto della gaffe, troppo impegnato a imitare Demon, il gatto di casa Monkey, quando voleva disperatamente qualcosa. Piegò il busto verso di lui, appiattendosi sul banco. «No, non ho nessuna intenzione di darti la tesina di storia!» rispose avvelenata. Calcò il tono su “tesina di storia” e, tanto per stare tranquilla, lanciò un’altra occhiata in tralice a Law per verificare che avesse sentito bene. «E nemmeno gli appunti di letteratura né la ricerca di scienze! Non prima che questo numero del One Piece abbia visto la luce!» aggiunse.
Non c’era niente da fare. Sabo riusciva sempre a spuntarla con lei, soprattutto in questioni scolastiche, facendo leva sul naturale altruismo dell’amica e sulla propria dislessia. In realtà, e non era un segreto né per Koala né per nessun altro, se aveva una sufficienza tirata in tutto, compresa la condotta, non era perché dislessico e disgrafico ma perché patologicamente pigro.
Ma a lasciarlo senza nemmeno un appiglio Koala si sentiva come se lo stesse abbandonando. E un appiglio era, a quanto pareva, tutto ciò di cui Sabo aveva bisogno. Rilassò i muscoli del viso e sorrise a trentadue denti, sollevato. Se ottenere gli appunti di Koala dipendeva dalla data di uscita del One Piece, allora avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per accelerare l’uscita del One Piece.
Si sarebbe messo a disposizione di Cora-san, sarebbe andato a parlare con Magellan, avrebbe reclutato Rufy e i suoi amici per velocizzare l’assemblaggio dei numeri. Gli serviva tutto più o meno per il venti di Marzo. Ce l’avrebbe fatta senza problemi e, consapevole di questo, fece per girarsi di nuovo verso la cattedra, gongolante di soddisfazione.
«C’è qualche problema Monkey?»
Vergo era tornato dal suo viaggio a Thriller Bark.
Con una rapidità degna di un trasformista o di un attore premio oscar, Sabo mise su un’espressione dispiaciuta e condita con una minuscola punta di sofferenza nel lasso di tempo necessario per finire di girarsi. «Ho urgente bisogno del bagno, professore.» ammise e tutti lasciarono perdere le proprie letture per voltarsi a guardarlo.
Era perfettamente credibile. O meglio lo sarebbe stato per chiunque tranne che per i presenti in quell’aula, Vergo compreso.
«Non puoi uscire.» tagliò corto il professore.
«So che sarebbe contro il regolamento dell’aula punizione ma non glielo chiederei se non fosse urgente.»
Vergo staccò a fatica gli occhi dal libro e poggiò un braccio sulla cattedra. «Non riesci a tenerla, Monkey? Quanti anni hai?»
Sabo sospirò con finto dispiacere. «Lo spavento per l’esplosione mi ha fatto avere un calo di zuccheri e per recuperare ho bevuto due coca cola. L’ho fatta anche prima di entrare ma devo andare un’altra volta. Lo sa che trattenere l’urina è poco salutare?»
Koala non riuscì più a trattenere uno sbuffo incredulo, metà scocciato metà divertito, anche se non lo avrebbe ammesso mai.
Vergo grugnì, gli occhi incollati all’alunno, nella speranza, purtroppo vana, di incenerirlo.
«Se avessi con me una bottiglietta vuota mi arrangerei. Escludo di farla fuori dalla finestra perché ci sono gli allenamenti al campo e credo sarebbero atti osceni in luogo pubblico e dal momento che io sono minorenne e lei l’adulto responsabile presente non finirebbe molto ben…»
«Vai al bagno Monkey. E datti una mossa a tornare.» lo interruppe Vergo, monocorde, prima di tornare a leggere il proprio romanzo.
E questo era il motivo per cui, nonostante la dislessia, la disgrafia e la totale incapacità di gestire il proprio vocabolario quando si impanicava, nessuno dubitava che Sabo sarebbe riuscito a diventare avvocato.
Sabo sorrise, con quel sorriso che quando lui e Rufy ce l’avevano dipinto in faccia non si poteva non capire che erano fratelli, di sangue loro due. Quel sorriso ereditato da papà Dragon, che però papà Dragon mostrava così raramente, rendendolo ancora più prezioso.
Molleggiando per la soddisfazione, la seconda in un lasso di tempo così breve, Sabo si alzò e si diresse verso la porta, scambiando un’occhiata complice con Ace che gli mostrò il pollice alzato da dietro la schiena di Perona.
«Monkey.» lo richiamò Vergo quando raggiunse la porta.
«Mh?» rispose Sabo sovrappensiero, notando subito come l’insegnante si era irrigidito. «Volevo dire… Mi dica professore.»
«Hai cinque minuti.»
Sabo aggrottò le sopracciglia. Solo per raggiungere il bagno ci volevano due minuti da lì. «Ma…»
«Falla in fretta.»
Sabo non si mosse né parlò per un paio di secondi, poi annuì e uscì dall’aula.
Prese un profondo respiro a occhi chiusi dopo essersi richiuso la porta alle spalle.
Che passassero cinque minuti o due ore, Vergo non si sarebbe mai preoccupato di andare a cercarlo.
Riaprì gli occhi e sorrise cospiratore.
Era libero.

 
***

 
Raftel High School – Primo piano – Aula punizione
Ore 15.05
 
«E quindi come mai sei qui?»
Perona schioccò la lingua esasperata. «Ti vuoi concentrare? Che problema hai?» sbottò sottovoce.
«Sindrome da deficit dell’attenzione.» rispose Ace, continuando a sorridere imperterrito.
Perona ammutolì, presa in contropiede. Non era difficile crederci, probabilmente era vero ma a Perona bastarono cinque secondi per recuperare e trovare una risposta abbastanza acida da nascondere il breve attimo di senso colpa e salvarsi la reputazione. «Eppure mi sembra che sull’importunare me tu sia ben concentrato da quando sono entrata.»
Ace le sorrise di nuovo e Perona quasi ringhiò. Che aveva da essere tanto felice? Se era una tecnica di seduzione, stava solo perdendo il suo tempo. Lei non era come la maggior parte delle ragazze della Raftel.
«Oh credimi, lo so.» soffiò il moro e Perona rimase interdetta per la seconda volta nell’arco di un minuto.
Aveva parlato ad alta voce?
«La maggior parte delle ragazze della Raftel non finiscono in punizione. Per quello sono così curioso di sapere che hai combinato.»
Perona lo fissò atona prima di decidere di ignorarlo e controllare quali opere avrebbero dovuto analizzare nella pagina seguente. Sapeva che Ace era un tipo testardo ma di certo non poteva esserlo più di lei. Le bastava continuare a trattarlo con distacco per farlo desistere. Aveva funzionato con tanti di quei ragazzi, avrebbe funzionato anche con lui.
«Facciamo così, se tu mi dici perché sei finita in punizione io ti dico perché ci sono finito io.»
O forse no…
«Lo so benissimo perché sei in punizione, Ace! Lo sa tutta la scuola!» ribatté Perona, sollevando la testa di scatto.
Ace ammiccò. «Girano in fretta le voci.»
«Avete fatto saltare in aria un laboratorio!»
«Mi piace quando mi chiami per nome.»
E tre.
Perona sbatté rapidamente le palpebre per cinque interminabili secondi e poi prese un profondo respiro.
«Okay, ecco com’è la questione. Ci sono due opzioni. O ci dai un taglio con il terzo grado, ti concentri e io ti aiuto a studiare oppure me ne torno al mio banco là dietro e se Vergo mi dice qualcosa mi faccio sospendere piuttosto che tornare qui. Allora cosa scegli?!» chiese, sibilando velenosa.
Si diede dell’illusa per aver sperato che la minaccia sortisse un qualche effetto quando Ace si accigliò, sinceramente incuriosito. «Perché hai così paura che la gente possa capire che hai in testa?»
Lo stomaco di Perona fece una piccola capriola che la ragazza ignorò prontamente prima di ribattere: «Senti Portuguese.» calcò pesantemente il tono sul cognome. «Io non ho paura proprio di niente e quello che ho in testa sono solo cavoli miei e di nessun altro. Se non me ne sono ancora tornata al mio posto è perché non mi faccio certo sospendere per colpa tua ma questo non significa che sono disposta a farti da cavia nei tuoi tentativi di seduzione per le prossime due ore.»
Confuso, Ace sgranò gli occhi e sollevò le mani ai lati del viso. «Ehi, no! Stop! Fermi tutti! Wowow! Sedurti?! Di che stai parlando?»
Perona inarcò le sopracciglia. «So che tutti mi considerano strana ma strana non significa idiota, Ace.» ribatté e subito si morse la lingua per averlo chiamato di nuovo per nome.
Non che lui se ne fosse accorto. Era troppo impegnato a guardarla interdetto.
«Io non voglio sedurti! Cioè… Se dovesse succedere non mi tirerei certo indietro, voglio dire tu sei… sei…» ripeté, cercando inutilmente un termine adatto a esprimere ciò che pensava mentre la indicava con entrambe le mani. «Wow, sei wow, davvero però io non… Voglio solo conoscerti.»
Una risata sfuggì alla bocca di Perona, rapidamente soppressa quando Vergo si girò verso di loro giusto una frazione di secondo. Una risata priva di divertimento, amara quasi. «Ma fammi il piacere!»
«È la verità!» protestò Ace.
«E vorresti conoscermi perché?» lo sfidò caparbia, incrociando le braccia sotto il seno.
Non era perché le importasse. Voleva solo metterlo alle strette, fargli ammettere la bugia. Non era minimamente interessata a sapere se davvero lui voleva conoscerla e perché. Non era assolutamente quello.
«Io… Beh io…» cominciò Ace, in difficoltà.
Perona sollevò un sopracciglio. Sapeva che non sarebbe stato in grado di rispondere. Sapeva che lo aveva detto per salvarsi il culo. Lo sapeva e quindi no, non era delusa. Non era affatto delusa. Proprio per niente.
«Devo per forza avere un motivo?» si sbloccò Ace, a sorpresa, con tanto di alzata di spalle. «Da quel che ricordo ho sempre voluto conoscerti.»
Perfetta. Quella risposta era assolutamente perfetta.
E quello che Perona aveva appena provato alla bocca dello stomaco non era assolutamente uno sfarfallio. Uno spasmo semmai. Ecco sì. Uno spasmo di allerta.
Perché la risposta di Ace era decisamente troppo perfetta per poterci credere, soprattutto se detta da un seduttore seriale come lui, e Perona non era affatto scema né il tipo da cascarci.
Con una gelida occhiata, Perona spinse il libro di storia dell’arte verso di lui e indicò con un dito curato il ritratto che occupava la metà superiore della pagina sinistra. «Dama con tre occhi di Mont d’Or.» annunciò.
L’immagine raffigurava una giovane ragazza dai lunghi capelli castani, raccolti in un’elaborata acconciatura che le lasciava scoperta la fronte a rivelare il suo terzo occhio, simbolo di appartenenza a un’antica civiltà ormai estinta, originaria del Mar Meridionale. Lo sguardo perso nel vuoto, il mento posato sulla mano, era da tutti considerata un’esemplare di rara bellezza e il quadro trasmetteva un senso di serenità, smorzato solo dall’inquietante creatura gelatinosa sulla spalla della giovane che invece guardava dritto verso lo spettatore, rompendo la quarta parete.
«Olio su tela, proviene dal Regno di Goah. Data l’incongruenza tra le chiare origini della ragazza e il suo abbigliamento, si pensa che la giovane sia stata adottata da piccola da una famiglia benestante del regno. Qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che si trattasse di un dipinto ad opera di un esploratore giunto nel Mar Meridionale con le spedizioni di Noland, per via anche del blob sulla spalla della ragazza, e che la famiglia di Goah a cui era stato poi donato avesse chiesto a Mont d’Or di coprire gli abiti indigeni con un abbigliamento più… diciamo consono per l’epoca. Ma da un confronto con altri dipinti di quel genere, come per esempio “Musse prima del sacrificio”…» Perona sfogliò rapida le pagine alla ricerca del ritratto in questione. Come aveva iniziato a spiegare la tensione l’aveva abbandonata. Quello era il suo pane quotidiano e non sarebbe potuto capitarle un capitolo più adatto di quello dedicato ai ritratti di donne nelle varie epoche. Da aspirante artista e donna fiera di essere tale non poteva immaginare argomento che la coinvolgesse di più. Tutto sommato poteva anche dirsi contenta di trascorrere così la punizione. «Ecco. Come vedi la posa di Musse è molto più naturale, meno impostata, mentre quella della Dama con tre occhi è coerente con lo stile rappresentativo dell’epoca per quanto riguarda i ritratti e…»    
Peccato solo per l’allievo.
«Oh ma dai! Come hai fatto a sbagliare?! Quel tiro lo prendeva anche mia nonna!»
Incredula, Perona si voltò verso Ace che, ben lungi dal prestarle attenzione, stava seguendo con un certo coinvolgimento l’allenamento della sua squadra di lacrosse, i Moby Dick. Difficile dire da quanto per altro, con ogni probabilità non aveva sentito una sola parola.
«Ace!» protestò la ragazza e il moro sobbalzò, facendo traballare la sedia.
Si girò verso di lei, un sorriso colpevole sul volto. «Scusa…»
«C’è qualche problema lì?»
Perona avrebbe risposto di sì, lo sapeva Ace. Lo vedeva nel suo sguardo offeso, offeso dalla sua mancanza di rispetto nei confronti degli sforzi che stava facendo per aiutarlo. Avrebbe detto che Portuguese non collaborava e di poter tornare al proprio posto.
Si era appena giocato la sua miglior occasione per instaurare un rapporto con lei e non credeva di conoscere abbastanza insulti da auto-appiopparsi per essere stato così coglione.
«No professore, va tutto bene. A quanto pare la storia dell’arte non appassiona solo me.»
Ace sgranò gli occhi incredulo nel sentire la risposta della ragazza ma tornò subito alla sua solita espressione sorridente e suadente, condita con una punta di gratitudine, quando Perona si voltò di nuovo verso di lui. Avrebbe voluto dire qualcosa ma sapeva che a sto giro era meglio stare zitto, così dopo aver incassato l’occhiata di rimprovero della compagna di scuola, abbassò lo sguardo sul libro di arte e corrugò le sopracciglia.
«Ehi! Ma sta ragazza somiglia un casino a Pudding!» bisbigliò.
Anche Perona si accigliò. «Intendi la proprietaria della cioccolateria qui vicino a scuola?»
«Esatto!»
Perona osservò il ritratto qualche istante, focalizzandosi una volta tanto solo sui tratti somatici della ragazza, provando a immaginare il terzo occhio coperto da una folta frangetta. «Ma sai che hai ragione?»
«Magari c’è qualche antico legame di parentela.» suggerì Ace. «Dovremmo provare a chiederglielo.»
«Dovremmo?» Perona sollevò un sopracciglio e Ace riportò gli occhi su di lei.
«Sì.» confermò, senz’ombra di imbarazzo. «Che so… magari oggi pomeriggio, dopo la punizione?» propose e Perona trattenne suo malgrado il fiato perché quello suonava proprio come un invito a uscire, un appuntamento e Portuguese D. Ace non era noto per essere tipo da proporre appuntamenti. Da quel che sapeva di solito le ragazze che gli interessavano non le portava in cioccolateria ma da tutt’altra parte.
Ma quello che sapeva dipendeva dalle voci di corridoio, le stesse voci di corridoio che dicevano cose assurde e a volte anche offensive su di lei, e che più false di così non sarebbero potute essere.
E se anche quelle su Ace fossero state false? Se si fosse fatta un’idea sbagliata su di lui?
Scosse la testa, decisa a non pensarci, almeno non per il momento, né alle voci di corridoio né all’invito.
«Fin dove hai sentito della spiegazione?» cambiò radicalmente discorso.
Ace fissò alternativamente lei e l’immagine del quadro per un paio di volte prima di cominciare, dosando bene le parole: «Dunque… Uhm… Olio su tela… Dama con tre occhi… di… Mmmmh… Carte d’Or?» tentò e bastò l’espressione di Perona come risposta. «No eh? Mmmmh…  Se… Se me lo ripeti ti giuro che faccio l’impossibile per non distrarmi a sto giro.»
Perona lo fissò scettica e mandò gli occhi al cielo per dissimulare il sorriso che le stava salendo alle labbra. «Okay.» acconsentì, mettendo su un’espressione severa. «Ma dopo questa non te lo rispiego più.»
Ace annuì con un unico convinto cenno secco del capo.
«Allora, dicevo, il ritratto proviene da Goah ma c’è un’incongruenza tra…»
  
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