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Autore: usotsuki_pierrot    01/03/2017    1 recensioni
Hitomi e Kiyoshi sono amici per la pelle praticamente dalla nascita, e per questo si conoscono come le proprie tasche.
Perciò, cosa succederebbe se un giorno Hitomi assistesse all'ennesima litigata in casa, anche a causa della malattia che si porta dietro dall'infanzia, e si rintanasse in camera sua per non essere vista né sentita da nessuno?
Come interverrebbe Kiyoshi? Sarebbe capace di risollevarle il morale e di sistemare la situazione per rivedere la sua Hitomi di sempre?
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Teppei Kiyoshi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA
Wow, da quanto tempo non ci si vede! Scusate l'assenza, ma in questo periodo ho iniziato scuola guida, ho avuto "problemi di salute", ho cominciato Naruto e mi sta prendendo così tanto che ho perso l'ispirazione per qualsiasi altra cosa.
Ma bando alle cance, questa fic è incentrata nuovamente su Hitomi che, se avete letto le ultime mie fic, ormai conoscete a grandi linee. Ho deciso di scriverla perché è l'oc, come già detto, di Melissa, una mia cara amica che ultimamente sta avendo qualche problema, e a cui ho scritto questa slice-of-life tra la sua Hitomi e Kiyoshi per farle un regalino e sollevarle almeno un po' il morale. Spero che le sia piaciuta! Ovviamente ho pubblicato con il suo consenso :)



Per Hitomi, quella era stata proprio una giornata orrenda. Partita male, per giunta. Era stata svegliata dalle urla della madre, che, dal piano di sotto, continuava a ripeterle quanto fosse in ritardo, il che era vero. Ma Hitomi, di quello, si accorse solamente nel momento in cui riuscì a raccogliere abbastanza energia per sollevare il busto, posare il peso sul gomito, allungare l’altro braccio verso il comodino, afferrare il telefono e controllare l’ora indicata dal dispositivo. Dopo essere stata quasi accecata dalla luminosità del piccolo schermo, aver imprecato sotto voce ed essersi strofinata un occhio con la mano, riuscì a sbattere qualche volta le palpebre stanche e a constatare che, si, era realmente in ritardo. Imprecò più forte, si alzò di corsa dal letto, rischiando anche di inciampare e cadere faccia a terra, si recò al piano di sotto e mangiò una piccola colazione preparata in fretta e furia, rovinata ulteriormente dalla voce della madre che non smetteva di rimproverarla per il fatto che si fosse svegliata così tardi e che non andasse mai a dormire ad un orario decente la sera.
La violetta si costrinse a mantenere la calma e a non rispondere alle parole e alle accuse della donna, che intanto aveva già cominciato a pulire la casa.
Finito di mangiare, la ragazza corse in bagno a darsi una rinfrescata e a prepararsi, ma non appena fu nuovamente in camera, le ci vollero minuti e minuti per infilarsi nella divisa scolastica, a causa dell’agitazione che le impediva di muoversi come avrebbe voluto.
Fece fatica persino a sistemarsi i capelli, che solitamente non le rubavano così tanto tempo, ma proprio quella mattina avevano deciso di farle passare l’inferno, non adattandosi alle pettinature da lei scelte.
Uscì di casa salutando nel modo più gentile possibile la madre per non farla innervosire ulteriormente, mentre lei ancora le raccomandava di dormire di più per non svegliarsi tardi un’altra volta nei giorni a venire.
Munita di una buona dose di rabbia in corpo, la ragazza cominciò a correre, con la cartella in una mano e il borsone in spalla, i capelli svolazzanti, gli occhi ghiaccio che non guardavano altro se non ciò che avevano davanti, sebbene solitamente le piacesse osservare il panorama durante il tragitto. La rilassava, la aiutava a distendere i nervi e a sciogliere l’ansia che si accumulava prima di entrare nell’edificio scolastico. Per quel motivo, quella mattina, quando giunse in perfetto orario di fronte allo stesso, squadrò scuola e studenti, lanciando ad ognuno un’occhiata gelida, rabbiosa e assolutamente terrificante. Più del solito.
Tanto che Takao si spaventò ancora di più quando la salutò in mezzo ai corridoi, e la ragazza gli rivolse uno sguardo intriso di puro istinto omicida.
E probabilmente la reazione del corvino fu l’unica cosa buona e divertente della giornata scolastica; le lezioni ebbero l’aria di non finire più, le ore passarono più lente del solito, e Hitomi pensò che mai nella sua vita aveva desiderato di essere a casa come in quel momento.
Persino gli allenamenti pomeridiani post-orario scolastico si rivelarono stressanti, impegnativi e più faticosi degli altri giorni. Per quanto ci provasse, non riusciva a concentrarsi, a sincronizzarsi con i movimenti delle compagne, nonostante si stessero allenando da settimane proprio per quello, non si sentiva in grado di rimanere calma tanto era il nervoso probabilmente a quell’ora ingiustificato, il pallone le sfuggiva in continuazione di mano, dovette sorbirsi più volte i rimproveri delle altre ragazze che, tuttavia, capirono fin da subito che qualcosa non andava.
Dopo aver rischiato seriamente di scoppiare come una bomba ad orologeria contro il resto della squadra, non essendo riuscita non solo a mantenere un minimo di autocontrollo, ma nemmeno a segnare un canestro decente, alla fine degli allenamenti si fece una rapida doccia, raccolse le sue cose nel borsone, salutò velocemente e tra i denti le compagne (che dal canto loro si guardarono preoccupate, tentare di offrirle di tornare insieme verso casa), si morse il labbro tentando di trattenere le lacrime e uscì dalla palestra, tenendo lo sguardo fisso a terra. Afferrò il cellulare che riposava tranquillo in una delle taschine del borsone stesso, e si accorse di aver ricevuto un paio di messaggi. Sospirò pensando fosse la madre che ancora aveva bisogno di lamentarsi, ma la sua espressione corrucciata si trasformò in un sorriso lieve ma sincero e spontaneo quando realizzò che il mittente era Kiyoshi, che chiedeva come le fosse andata la giornata e se avesse bisogno di una compagnia per tornare a casa. La ragazza rispose con un ulteriore messaggio, rassicurandolo.
‘Tranquillo Teppei-san. Torno da sola’.
Durante il tragitto da scuola a casa, la violetta non fece altro che tenere gli occhi ghiaccio rivolti a terra, sul marciapiede, cercando di calmarsi alzandoli di rado sugli alberi che la accompagnavano lungo tutta la strada ma che a causa dell’oscurità della sera faceva fatica a non considerare inquietanti e per niente amichevoli. Di tanto in tanto, quando sentiva gli occhi inumidirsi, li serrava e pensava a Kiyoshi o Kuroko, gli unici che erano in grado di tranquillizzarla.
Arrivò davanti alla porta di casa con qualche minuto di ritardo, a causa della lentezza del passo che aveva tenuto, prese un profondo sospiro, ed entrò. Urla. Sentì solo urla. I suoi genitori stavano litigando, di nuovo. Stavano litigando a causa sua, di nuovo.

‘Perché ti ostini a permetterle di fare quello che vuole?!’.
‘Non ci vedo nulla di male, l’hai visto anche tu che la sua salute sta migliorando!’.
‘Questo lo pensi tu, che sei così permissiva da avere le fette di prosciutto sugli occhi. Come puoi pensare che le faccia bene?!’.
‘E tu cosa ne sai, di ciò che è meglio per lei?! Stai sempre fuo
ri, a “lavorare”, come dici tu, quando anche tua figlia sa benissimo che vai solo a divertirti per i locali!’.

Ti avviso, se continui con queste insinuazioni prendo la mia roba e me ne vado di casa!’.
Ecco, questa sarebbe una cosa che migliorerebbe di sicuro la salute di Hitomi!’.

La violetta strinse forte i pugni, mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare, e salì di corsa le scale, nonostante tutto il corpo le facesse male, si chiuse in camera sbattendo la porta, non le importava che i suoi genitori la sentissero. Accese la luce, buttò cartella e borsone a terra, si sedette sul letto rannicchiandosi, e si accorse solo in quel momento non solo che stava tremando come una foglia, ma che cominciava a non vedere più bene a causa delle lacrime che iniziarono ad accumularlesi sugli occhi.
Un singhiozzo. Un altro, e un altro ancora. Bastarono pochi secondi, e Hitomi si ritrovò a piangere, cercando di fare il meno rumore possibile, con le labbra tremanti, gli occhi socchiusi completamente umidi, le gambe piegate, le ginocchia al petto, le mani unite al livello delle caviglie.
La violetta posò la fronte alle ginocchia, cercando di trattenere il respiro, nel momento in cui non sentì più nessuna voce proveniente dal piano di sotto e dei passi salire le scale. Si infilò subito sotto le coperte istintivamente, con le spalle verso la porta, si rannicchiò e chiuse gli occhi da cui ancora scendevano copiosamente lacrime salate, che le finivano inevitabilmente sulle labbra, torturate dai denti della ragazza. I capelli viola ricaddero sul cuscino dietro la testa, ma alcune ciocche le finirono davanti al viso, bagnandosi lievemente e appiccicandosi alla pelle umida.
Ad aprire la porta fu la madre, che provò a chiamarla un paio di volte, tenendo la voce piuttosto bassa, ma che, non ricevendo alcuna risposta, sospirò chiudendo gli occhi, la guardò per qualche istante e uscì nuovamente dalla stanza.
Quando fu certa che più nessuno l’avrebbe disturbata, ed essersi assicurata che non si sentissero più rumori fuori dalla porta, Hitomi ricominciò a singhiozzare, affondando il viso nel cuscino, impregnandolo delle lacrime. Si strinse nelle coperte, cercando di trovare un po’ di calore, almeno da quelle. Poco le importava se aveva ancora indosso la divisa scolastica, che avesse i compiti da fare, che avrebbe dovuto mangiare di lì a poco. Chiuse gli occhi, mentre il corpo veniva ancora scosso dai singhiozzi, deglutì più volte cercando di togliersi dalla bocca il sapore delle sue stesse lacrime, e si addormentò.


Kiyoshi Teppei era da poco tempo davanti alla porta di casa della migliore amica, con un sacchetto in mano. Le aveva scritto innumerevoli messaggi, l’aveva chiamata più volte, per assicurarsi che fosse tornata sana e salva. Aveva un brutto presentimento da quella mattina, un presentimento da cui non riusciva a liberarsi. Suonò il campanello, ritrovandosi di fronte a sé il padre di Hitomi, che lo squadrò da capo a piedi e gli rivolse un’occhiata colma di rancore e rabbia ancora viva.
“Buonasera, Suzuya-san! Potrei vedere-”.
“Aspettavamo proprio te. È di sopra. Dubito che ti risponderà”.
Kiyoshi rimase qualche istante sulla soglia, anche dopo che l’uomo fu tornato in cucina, cercando di interpretare le sue parole. Fece un piccolo inchino, entrò in casa salutando la madre che, con gli occhi rossi, camminava per i corridoi con un’espressione visibilmente preoccupata, e salì le scale, bussando alla porta della ragazza. Non ricevette nessuna risposta, perciò bussò più forte. Ancora nulla. Nemmeno il più piccolo rumore. A quel punto, il ragazzo sentì un’onda di agitazione invadergli il petto, tanto che per qualche secondo fece veramente fatica a respirare. Decise di aprire la porta, che fortunatamente non era stata chiusa a chiave. Entrò nella stanza, sorprendendosi che le luci fossero accese, e il suo sguardo si posò sul letto, su cui un bozzolo riposava, avvolto nelle coperte. Il giocatore sentì il peso che gravava sul suo petto e sulle sue spalle alleggerirsi di poco, sospirò, sorrise lievemente, chiuse la porta e si avvicinò.
Si sporse quel tanto che gli permise di vedere proprio Hitomi, che dormiva tranquillamente, sentì il suo respiro calmo e non riuscì a non addolcirsi. Le spostò i capelli dal viso, e solo in quel momento si accorse che le guance dell’amica erano fradice. L’espressione di Kiyoshi si fece seria, mentre si sedeva sul letto senza svegliare la ragazza; la guardò, pensando che dopotutto il suo istinto aveva avuto ragione anche quella volta. Le accarezzò dolcemente il viso, cercando di asciugarle le lacrime con il palmo della mano e gli occhi con il pollice, le spostò completamente i capelli, e abbassò lentamente la coperta di poco, confermando a se stesso che sì, portava ancora la divisa. Ecco perché non aveva risposto né ai suoi messaggi, né alle chiamate.
A quel punto, la violetta aprì di pochissimo gli occhi, ancora rannicchiata, si portò una mano al viso, incontrando quella di Kiyoshi, e rivolse lo sguardo verso il suo. Gli occhi scuri del ragazzo la guardavano, con un’espressione che rappresentava un misto perfetto tra preoccupazione e dolcezza.
“Teppei…san..?”. La voce impiastricciata della ragazza fece sorridere il gigante buono, che si spostò un poco per permetterle di allungare le gambe e tirare su il busto, appoggiandosi sul gomito, mentre l’altra mano stropicciava insistentemente l’occhio ghiaccio.
“Buonasera, dormigliona...”. La voce calorosa del ragazzo fece calmare e sorridere l’amica, che si sedette poggiando la schiena allo stipite del letto guardandolo.
“Cosa fai qui, Teppei-san?”, chiese lei qualche istante dopo, quando fu abbastanza sveglia da formulare una domanda decentemente.
“Diciamo che avevo un brutto presentimento… E direi che avevo ragione”. Il giocatore guardò la ragazza in modo serio, mentre lei tentava invano di distogliere lo sguardo, mettendo un leggero broncio e incrociando le braccia, borbottando.
“C’entrano i tuoi, di nuovo?”.
La violetta annuì, tornando a posare lo sguardo triste sulla coperta.
Kiyoshi sospirò lievemente, si piegò e afferrò il sacchetto che aveva portato con sé, posandolo sul letto, proprio sulle gambe di Hitomi, ancora coperte.
“Mh? Cos’hai portato, Teppei-san..?”.
“Perché non lo scopri tu stessa?”, rispose lui con tono scherzoso, sorridendole.
Hitomi ubbidì all’amico, non prima di avergli rivolto uno sguardo dall’aria interrogativa, e scavò con la mano all’interno della busta che ora aveva di fronte agli occhi chiari. Le dita si scontrarono con un contenitore piuttosto grande, alto, sembrava quasi plastica. Il viso della ragazza si illuminò quando, poco più in su, percorrendo tutta la lunghezza di quello che aveva tutta l’aria di essere un barattolo, trovò un oggetto dalla forma simile a quella di una cannuccia.
Non appena identificò il contenitore misterioso e lo tirò fuori dalla busta, i suoi occhi si riempirono di gioia ritrovandosi davanti ad un milkshake. Per giunta al cioccolato. La violetta stava già portando la bevanda che amava quasi più di qualunque altra cosa, ma la grande mano di Kiyoshi le si posò sul polso, bloccandola. La ragazza alzò gli occhi, guardandolo interrogativa; non capiva proprio cosa l’amico stesse facendo.
“Fossi in te guarderei cos’altro c’è nella busta, prima di bere quello...”. Il sorriso del giocatore della Seirin si fece ancora più ampio, mentre Hitomi gli lanciava occhiate confuse ma curiose. Cercò ancora con la mano all’interno della busta, borbottando, sussurrando un ‘tanto non c’è più niente qua dentro’.
E invece no, trovò qualcos’altro. La scatola era diversa, molto diversa. Non riuscì a capire subito di cosa si trattasse, tanto che Kiyoshi scoppiò a ridere, divertito dalla sua espressione, e la invitò a proseguire senza fare tante storie.
Quella volta, dal sacchettino, Hitomi tirò fuori una scatola di plastica, contenente i suoi amati bocconcini di pollo impanati.
La ragazza fu così felice che per poco non le venne nuovamente da piangere, ma quella volta di felicità.
“Te li ho portati entrambi perché so che con lo stomaco che hai potresti mangiarli insieme, alternandoli, Hitomi-chan...”. La voce di Kiyoshi si era fatta premurosa, mentre il sorriso si addolciva alla vista dell’espressione felice e tranquilla dell’amica che, annuendo, con gli occhi nuovamente umidi, cominciava a mangiare, tra i singhiozzi.
Il gigante buono si lasciò scappare un ‘Hitomi-chan, attenta a non strozzarti...’, mentre la mano raggiungeva la testa della più piccola, portandola sul suo petto. Le baciò la testa, socchiudendo gli occhi e la strinse a sé, accarezzandole il braccio e rubandole qualche bocconcino, giusto per farsi sgridare e ridere poco dopo. Era quella, la Hitomi che conosceva. Ed era compito suo, proteggerla. Perché avrebbe sempre voluto vederla sorridere, sia che quello sguardo spensierato fosse rivolto a lui, sia che fosse riservato ad altri.
Sarebbe sempre stato il suo cavaliere, confidente, migliore amico…
… e trasportatore di cibo a domicilio.

   
 
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