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Autore: lasognatricenerd    02/03/2017    2 recensioni
Philip, unn semplice ragazzo che comincia a frequentare l'Università di Arte, si imbatte, fin dal primo giorno, in un ragazzo che non sembra molto socievole. Un giorno, durante un'interrogazione, Gustin gli suggerisce la risposta corretta e Philip decide di cambiare idea su di lui.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipante al contest ‘Di fiori, amori e passioni’ indetto da Emanuela.Emy sul forum di efp.

A volte, prima di giudicare, bisogna ascoltare con il cuore.
 
«Se non ti alzi farai tardi al tuo primo giorno di Università! Alzati, alzati, alzati! Non voglio fare il coinquilino rompipalle ma non puoi davvero arrivare tardi! Dai, cazzo, cazzo!»
«Sì, sì, mi alzo, ma cerca di rimanere calmo! Sembri mio padre…»
«Se fossi tuo padre ti avrei già tirato una sberla…»
La vita di Philip iniziava così più o meno tutte le mattine ma, se in estate le urla del suo coinquilino lo svegliavano verso le dieci, quella mattina aveva iniziato ad urlare alle sette. Era il primo giorno di Università di Philip e non poteva certo rischiare che arrivasse tardi!
Lo fece cadere giù dal letto, tirandogli le coperte, e la cosa provocò un urlo da parte del ragazzo che, svogliato, si alzò da terra e tirò un cuscino addosso a Travis, il coinquilino.
«Si può sapere come fai ad essere sempre così attivo di prima mattina?» domandò Philip passandosi una mano fra i capelli scompigliati mentre barcollava verso il bagno per farsi una bella doccia fredda che potesse risvegliarlo da quel torpore.
«E tu potresti spiegarmi come puoi adorare così tanto dormire? Non sai cosa ti perdi!» urlò l’altro in preda all’ansia. «Comunque ti preparo la colazione, tu sbrigati a prepararti!»
Philip urlò un consenso dal bagno, entrando finalmente nella doccia—finalmente!

 
°°°

Era nervoso, Philip, mentre camminava verso la sua facoltà. Quale? Arte, ovviamente! Era molto felice di intraprendere, finalmente, un percorso che era sicuro avrebbe amato. Fin da quando aveva messo le mani su delle matite da disegno ne era stato certo. Aveva fatto molta fatica a convincere i suoi genitori ma, dopo accurati litigi e discussioni, erano arrivati alla conclusione che non avrebbero potuto impedire che loro figlio facesse qualcosa che gli piacesse.
Il ragazzo aveva passato una bellissima estate, piena di emozioni che gli avevano fatto dimenticare la sua precedente relazione andata piuttosto male. Era stato difficile affrontare la rottura con il suo ragazzo ma alla fine aveva capito che non valeva la pena stare male per una persona che se ne fregava altamente di lui. Non meritava le sue lacrime, né tanto meno i suoi pensieri. Quindi, Philip, aveva deciso di lasciarsi andare e vivere la sua vita insieme ai suoi amici più intimi.
Travis, il suo attuale coinquilino, era uno di questi: c’era sempre stato per lui e lo aveva aiutato ad affrontare tutto quel dolore. Avevano deciso, poi, di andare a vivere insieme, perché Travis lavorava in un negozio di fiori poco distante dall’Università. Philip sentiva un po’ la mancanza dei suoi genitori ma vivere con il suo migliore amico lo rendeva felice e spensierato, nonostante fossero tanto diversi. Avevano scoperto, però, che la diversità non era un fattore limitante: si erano trovati subito bene l’uno con l’altro, anche se avevano pensieri contrastanti.
Philip entrò nella grande struttura e si ritrovò in un corridoio pieno di ragazzi in panico perché non riuscivano a trovare la loro aula.
Cazzo!
Si precipitò verso una cartina della scuola appesa al muro davanti a lui mentre estraeva il telefono dalla tasca e andava sul proprio profilo dell’Università, cercando di capire dove dovesse andare quella mattina. Non contò a molto perché, nonostante avesse seguito le indicazioni, un attimo dopo si ritrovò in un corridoio completamente diverso da quello che cercava. Entrare a caso in tutte le aule non gli sembrava il metodo migliore per cominciare quell’avventura, così optò per andare alla ricerca di qualcuno a cui chiedere informazioni. Quando individuò un ragazzo alla fine del corridoio, corse verso di lui: «Ehi, scusami! Scusami… Sai per caso dove si trova l’aula a D.13?» chiese, leggermente rosso sul viso. Parlare con gli sconosciuti lo metteva sempre in agitazione, soprattutto quando stava facendo inevitabilmente la figura dell’idiota che non trovava l’aula.
«Anch’io devo andare lì. Credo sia di qua, seguimi» ordinò, quasi, dando le spalle a Philip che, per un attimo, rimase leggermente scosso da quel tono autoritario. Poi, per paura di perderlo, lo seguì per il corridoio e dopo qualche secondo si ritrovarono davanti all’aula che cercavano. Philip stava per ringraziarlo ma lui se n’era già andato, dirigendosi verso un altro gruppo di ragazzi.
Saranno tutti così qui dentro?
Aveva sempre pensato che gli artisti fossero persone aperte e simpatiche, ma forse aveva solo beccato lo stronzo di turno.

 
°°°

L’università era proprio come se l’era aspettata: spettacolare, meravigliosa e con mille opportunità! Philip non si annoiava mai, in quel posto. Aveva fatto amicizia con molte persone e si era creato un proprio gruppo, anche se all’inizio era stato difficile vista la timidezza che gli aveva sempre impedito di fare amicizia velocemente. Poi, però, aveva deciso di prendere la situazione in mano e farsi avanti: da lì aveva cominciato ad incontrare persone nuove e ,finalmente felice, si era integrato in un gruppo.
Non aveva più parlato con il tipo del primo giorno – che aveva imparato chiamarsi Gustin –. Lo aveva lasciato in pace, perché Philip era sicuro che non fosse il tipo di persona che volesse attorno. Stava sempre con i suoi amici, amici che non sembravano proprio brave persone. Philip era bravo a giudicare subito, però, e faceva di tutta l’erba un fascio: i ragazzi di cui parlava erano solamente più chiacchieron e avevano capigliature strane, piercing e tatuaggi. Ciò non significava che non fossero brave persone, ma Philip preferiva di gran lunga stare alla larga da loro—o almeno, era quello che aveva pensato fino a quando Gustin lo aveva aiutato in un’interrogazione.
«Quindi? Non sa la risposta?» La professoressa l’aveva interpellato, ma lui non era per niente sicuro della risposta. Aveva sempre avuto questo tipo di problemi: anche se era sicuro della risposta alla fine stava zitto per paura di parlare. L’unico problema era che, così facendo, perdeva l’occasione di fare bella figura e passava per quello che non studiava mai, quando in realtà perdeva molte ore della sua vita a studiare pagine su pagine.
«La corrente visionaria-onirica.» Philip fu sorpreso di sentire che la voce proveniva da Gustin, quella mattina vicino a lui: Philip, purtroppo, era arrivato in ritardo e quindi si era dovuto prendere l’ultimo banco rimasto nell’aula, ed era proprio quello vicino all’altro. Non ne era stato particolarmente entusiasta all’inizio, ma adesso…
«La corrente visionaria-onirica» disse ad alta voce, con il viso completamente rosso. La professoressa a quel punto sorrise e continuò con la sua lezione. La sapevo, cazzo. Perché me ne sono stato zitto? Si sentiva un idiota: non capiva perché continuava a stare zitto anche quando sapeva le cose.
Alla fine si girò verso l’altro e si morse il labbro, delineando – forse per la prima volta – i tratti del suo viso; aveva un viso magro e scavato, ed i suoi lineamenti erano spigolosi, ma bellissimi. La sua mascella era squadrata ed i suoi occhi, in contrasto con i capelli neri, erano di un color verde brillante. «Grazie…» mormorò sincero, abbassando lo sguardo verso il banco. Cominciò a tagliarsi le pellicine dalle dita senza rendersene conto, rovinandosi la pelle.
«Mi sembravi in difficoltà. Non c’è di che…» rispose l’altro con un leggero sorriso sulle labbra. Non mise in risalto i denti, ma Philip ne rimase comunque visibilmente sorpreso: gli stava sorridendo davvero? E poi, wow, pensò, quel sorriso lo aveva completamente illuminato. Era come se fosse un’altra persona. Cos’era successo?
«Ti… Offro un caffè per ringraziarti» disse ad un tratto Philip, alzando appena il viso verso di lui. Era ancora rosso sulle gote e probabilmente, se Gustin avesse rifiutato, avrebbe fatto la figura dell’idiota. Ed invece…
«Facciamo due.»
«Affare fatto.»
 
Come d’accordo, i due uscirono insieme dall’aula, dirigendosi verso la caffetteria della scuola per la pausa pranzo. Philip era leggermente in imbarazzo e ancora si chiedeva come fosse riuscito a chiedergli una cosa del genere e, soprattutto, come mai Gustin avesse accettato. Era così strano!
Forse l’ho giudicato male…
Dopo aver ordinato due panini e tre caffè – il moro voleva davvero due caffè –, andarono a sedersi in un tavolino e Gustin prese a parlare. «Perché mi hai invitato? Credevo mi odiassi.»
«Credevo che tu odiassi me! Abbiamo iniziato l’università da un mese, e non mi hai mai rivolto la parola dal primo giorno…»
«Neanche tu l’hai fatto.»
«Il primo giorno hai fatto lo stronzo.»
Ci fu un attimo di silenzio, poi Gustin scoppiò a ridere. «Vedo che vai dritto al sodo quanto ti conviene!» disse ridendo, appoggiandosi meglio sulla sedia. «Non ho fatto lo stronzo. Solo che quando vedo qualcuno che non mi interessa, non mi importa molto.»
Philip si sentì tremendamente ferito da quelle parole, e lo fece vedere molto bene: abbassò lo sguardo sul panino e rimase in silenzio, allontanando il piatto da sé come se improvvisamente la fame fosse sparita. Gustin dovette accorgersene perché sospirò, e si fece in avanti.
«Ho cambiato idea.»
«E perché avresti dovuto?»
«Ti ho osservato» disse, afferrando il panino e dandoci un grosso morso da una parte. Si pulì le labbra con un fazzoletto e poi fece spallucce. «Sei interessante. Volevo conoscerti meglio. Quindi, dimmi, da dove vieni?»
«Non molto distante da qui, anche se adesso vivo in un appartamento con il mio migliore amico, per comodità. Abito in periferia… E tu?»
«Io sono di qui, invece, abito a pochi passi dall’università.»
Questa volta fu Philip a dare un morso al panino, sentendosi subito meglio: la tensione di poco prima era sparita e con lei anche tutti i sentimenti negativi. Si sentiva sollevato e felice, in qualche modo, di essersi avvicinato a lui. Si sentiva così incoerente con se stesso: fino a qualche ora prima si era promesso di non avvicinarsi mai a lui perché non gli sembrava una persona raccomandabile, ed invece ora ci parlava come se niente fosse. Che gli stava succedendo?
«Parlami un po’ di te. Dimmi un po’ come sei» disse ad un tratto Gustin, con la bocca piena.
Philip assottigliò lo sguardo: a che gioco stava giocando? Non capiva—non riusciva a fidarsi pienamente di lui. Anzi, non riusciva a fidarsi proprio. Non ancora. Da quando la relazione con il suo ex era finita, la sua fiducia era andata a frantumarsi anche per quanto riguardava tutti gli altri rapporti. Si era chiuso in se stesso, Philip, per evitare di soffrire troppo. Nonostante fosse una persona socievole e molto sorridente, non riusciva più a fidarsi immediatamente di qualcuno.
«Sono un nerd pazzesco» disse la prima cosa che gli saltò in mente e quella che lo caratterizzava di più.
«Su cosa? Anche io lo sono. Musica? Serie tv? A parte la nostra passione per il disegno, certo—cosa ti piace disegnare?»
«I paesaggi, in particolare. Non sono bravissimo con i volti delle persone, infatti spero di migliorare con il tempo… Per quanto riguarda il resto, sono un drogato di musica e serie tv. Quali segui?»
E da lì entrambi conobbero l’uno gli aspetti dell’altro, anche se molto superficialmente, e capirono di avere molte cose in comune. Philip arrivò ad una conclusione interiore: Gustin appariva freddo all’esterno solo perché gli piaceva stare per i fatti suoi, ma era una persona dolce, simpatica e… e soprattutto bellissima.

 
°°°

I giorni e le settimane passavano, ed i due cominciarono a diventare sempre più amici. Ognuno scopriva cose nuove sull’altro, si scambiavano sorrisi, opinioni, a volte anche parole forti, ma si trovarono subito in sintonia fra di loro. Philip amava stare con Gustin.
Cominciò ad ascoltare musica diversa da quella pop e cominciò ad appassionarsi ad alcune serie tv nuove, e così anche ai fumetti. Allo stesso tempo Gustin apprese che c’era qualcosa di bello nello studiare con qualcuno che ne sapeva tanto quanto Philip.
In poche parole, come piaceva dire a Philip, era come se fossero stati destinati a trovarsi. All’inizio le differenze tra loro erano sembrate impossibili da superare, ma con il tempo era come se nessuno dei due avesse fatto troppa fatica ad adattarsi all’altro. Erano entrambi felici di conoscersi, di parlarsi e di passare dei pomeriggi insieme a fare le cose più ridicole e divertenti.
Philip, piano piano, dopo settimane e settimane (e settimane) si rese conto che qualcosa, dentro di lui, era cambiato radicalmente: se prima aveva trovato il sorriso dell’altro come qualcosa di carino, con il tempo cominciò a trovarlo fantastico. Non c’era giorno in cui non desiderasse stare con Gustin, o messaggiare con lui, o sentirlo. Si rese sempre più conto di provare qualcosa che gli faceva venire le farfalle allo stomaco ogni volta che stavano vicini. Era una sensazione strana – non nuova –, soprattutto dopo la sua relazione precedentemente andata male.
Philip, però, si costrinse a tenere tutti quei pensieri per sé, sebbene non sempre riuscisse a mascherare i suoi sentimenti: stava vicino a Gustin ogni volta che poteva, cercando di lasciargli comunque i suoi spazi. Era pronto ad aiutarlo in ogni momento difficile e a farlo ridere quando c’era bisogno di scherzare. Era come se la presenza dell’altro avesse cominciato ad essere di vitale importanza per lui—come se ne avesse bisogno per vivere.
Non ne parlò mai con il suo migliore amico. Decise di tenere tutto per sé e cercare di dare un nome a quello che provava. Philip aveva paura di infilarsi in un altro casino, di fare nuovamente di una persona il suo tutto per poi vedere tutto andare a puttane. Era come se con Gustin potesse distrarsi ma la paura di incasinare tutto era sempre dietro l’angolo. Più cercava di trattenere qualsiasi istinto verso di lui, più si sentiva attirato dall’altro.
Non sapeva – e non riusciva a capire – se Gustin provasse qualcosa per lui. Philip non era il genere di ragazzo che andava in giro pensando che tutti gli altri fossero gay ma si concedeva sempre un margine di speranza, solo per avere qualche possibilità di fare colpo. E, nel suo cuore, sperava vivamente che Gustin potesse essere almeno bisessuale. Philip aveva paura di aver corso troppo, ma erano ormai cinque mesi che l’Università aveva avuto inizio, ed erano quattro mesi e mezzo che si frequentavano. Non poteva dire di amarlo, questo no, ma Philip sapeva di provare qualcosa per lui. Qualcosa che, oh, avrebbe potuto buttarlo ancora nel baratro.

 
°°°

Gustin, dal canto suo, se da un lato se n’era accorto, dall’altro sperava di sbagliarsi. Non aveva mai avuto una relazione con un ragazzo per il semplice fatto che era vivamente convinto di essere etero. Non aveva mai provato attrazione per qualcuno del suo stesso sesso ma con Philip le cose si erano ribaltate del tutto. Gli faceva provare cose nuove, cose a lui completamente sconosciute. C’erano volte in cui si fissava a guardarlo – anche se era bravo a nasconderlo – e desiderava affondare il viso nel suo collo ed annusare il suo profumo. Siccome non aveva mai avuto amicizie così affiatate non sapeva se potesse essere o no una cosa da amici. Era quasi sicuro che non lo fosse e per questo motivo preferiva non fare nulla. Era sempre stato bravo a resistere ai propri istinti, a differenza di Philip.
Più di una volta si erano ritrovati abbracciati l’uno all’altro e tante altre volte, mentre erano a casa insieme, Philip si era avvicinato fino a salirgli in grembo o a stendersi di fianco a lui, nel letto. Gustin cercava sempre di allontanarlo e non perché non lo volesse ma perché non era ancora sicuro di quello che provava e—soprattutto, non era ancora convinto del suo essere bisessuale.
E se si fosse sbagliato, che cosa sarebbe successo? Non voleva illudere Philip. Aveva prima bisogno di capire davvero se quello che provava era attrazione fisica, oppure solo un’infatuazione adolescenziale. Aveva paura di fargli del male anche ad allontanarlo, ma dentro di sé era quasi certo che fosse la sua unica via di scampo, la sua unica soluzione. Non voleva illuderlo in nessun modo. Per questo doveva sbrigarsi a capire che cosa provava per lui…
«Gustin?» Fu Philip a parlare e a farlo tornare alla realtà. «Prima mi hai detto che dovevi dirmi una cosa, ma poi ha squillato il telefono…»
«Ah sì, stasera c’è una festa. Sai, per mettere in contatto noi matricole con quelli degli altri anni. Siccome tu non hai mai frequentato questo genere di cose ed io sono il tuo guru, che ne dici se ci andiamo?» Philip lanciò un’occhiataccia a Gustin, prima di tirargli addosso un cuscino e scoppiare a ridere un secondo dopo.
«Ci sto, senpai!»

 
°°°

L’entrata alla festa, per Philip, fu fenomenale. Partecipare a quel genere di cose non era per lui, ma non voleva assolutamente che Gustin ci andasse da solo. Voleva essere lì, se qualcuno avesse osato anche solo toccarlo. Dentro di sé, però, era conscio che i ragazzi dell’Università fossero molto più maturi di quelli del liceo. E poi, doveva anche rendersi conto del fatto che Gusitn non era suo e che poteva farsi chiunque desiderasse…
«Allora, come ti sembra?» domandò Gustin al suo orecchio per sovrastare la musica. Nel farlo, però, gli accarezzò quest’ultimo con le labbra, facendo rabbrividire Philip più di quanto volesse far vedere. Si diede una sistemata e ringraziò Dio che fosse abbastanza buio da non far notare le sue guance rosse.
«È naturale che non faccia per me» disse con un sorriso. «Ma ci sei tu. Questo basta.»
Lo sguardo di Gustin si smarrì per un attimo, e poi gli sorrise come se niente fosse. A Philip, però, non era affatto sfuggito quel momento. Aveva esagerato? Stava diventando troppo esplicito? Era come se non riuscisse a tenere a freno la lingua. Insomma, le cose fra loro andavano molto bene e lui aveva paura di rovinare tutto dicendogli quello che provava…
Allo stesso tempo, però, continuava a sperare di avere qualche possibilità, ma quando trovava il coraggio di farsi avanti improvvisamente si bloccava e sviava il discorso, senza riuscire a spiegare a Gustin quanto effettivamente ci tenesse a lui. Era frustrante non poterlo dire—o non riuscire a dirlo.
Dopo qualche ora Philip si ritrovò completamente ubriaco, dato che non reggeva molto l’alcool. Gustin fu costretto a prenderlo in braccio e trasportarlo fino alla propria auto. Indeciso, per un attimo, non sapeva se riportarlo a casa, dal suo migliore amico, o tenerlo con sé. Alla fine decise per la seconda opzione.
Lo trasportò a peso morto praticamente per tutte le scale, fino ad arrivare al letto della propria camera ed appoggiarlo sopra al materasso. Quando Gustin fece per allontanarsi, Philip gli strinse una mano al polso e mormorò qualcosa di incomprensibile.
«Cosa?» domandò lui, abbassandosi un po’.
«Resta qui…»
«Sono qui, Philip. Aspetta.» Fece scendere le coperte, si tolse la felpa e fece la stessa cosa con quella dell’amico, prima di sistemarsi sotto di esse e stringere a sé il ragazzo. Si disse che per una sera poteva stringerlo a sé. Forse lo avrebbe aiutato a capire.

 
°°°

Philip non ricordò niente perché la mattina seguente Gustin si alzò molto prima e si fece trovare già in cucina. Gli disse solo che aveva bevuto tanto e che era svenuto. Nient’altro. Eppure, nelle settimane successive, Philip era quasi sicuro che avessero dormito insieme. La sensazione di calore di un altro corpo era troppo reale per essere scambiata per un sogno, ma c’era anche da dire che aveva bevuto molto e poteva aver sognato davvero il corpo di Gustin stretto al proprio, come lui desiderava da tanto tempo.
Non c’era giorno in cui non ci pensasse, giorno in cui non volesse dirgli quanto gli piacesse.
Finalmente prese coraggio. Si era preparato tutta la notte, davanti allo specchio, e si era allenato più di quanto avrebbe fatto un attore. Ma lui voleva che tutto fosse perfetto, che il discorso rigasse liscio e dritto e che Gustin capisse a fondo le sue parole. Si era ripetuto che se lui non avesse ricambiato non sarebbe successo niente: sarebbero comunque rimasti amici come prima. Forse, inizialmente, ci sarebbe stato un po’ di imbarazzo, ma poi le cose si sarebbero sistemate per il meglio. Continuava a ripeterselo solo per darsi coraggio.
«Travis, c’è una cosa che devo dirti» disse così, di getto, al suo migliore amico. Quest’ultimo lo guardò con un sorriso, rimanendo in silenzio: dal suo sguardo si notava quanto fosse curioso di sapere.
«Oggi dirò ad una persona che mi piace. No, non guardarmi così, non ti dirò chi è. Lo farò non appena tornerò a casa, d’accordo? Ciaaaaaao» urlò, scappando via velocemente, ancor prima che Travis potesse beccarlo.
Il percorso a scuola fu ancor più veloce del solito e, in poco tempo, arrivò nel parcheggio della scuola. Guardò nel posto in cui Gustin lo aspettava sempre, ma lui non c’era. Forse era già dentro? Philip aveva fatto qualche passo verso l’entrata della scuola quando vide Gustin girato di spalle vicino ad una macchina. Stava per avvicinarsi, ma notò una ragazza di fronte a lui. Era una bella, bella ragazza, bionda, alta, magra…
Quest’ultima si avvicinò a Gustin e lo baciò sulla guancia, poi si abbracciarono, mentre lui le accarezzava i capelli.
Oh no. No, no, no. Non è vero…
Gli si spezzò il cuore. Si sentì quasi male. Fu tentato di urlare e di crollare lì, in mezzo al giardino, ma non gli sembrava il caso di fare una scenata davanti a tutti. Non davanti a tutta la scuola, almeno. Ancor prima che potesse controllarsi, cominciò a correre verso i due. Tirò Gustin verso di sé, dalla maglietta, e lo fissò negli occhi. «È così? Stai con lei?» urlò furioso e fuori controllo.
«Non è come sembra, Ph—»
«A me sembra proprio come sembra, stronzo! Vaffanculo, pensavo di potermi fidare di te! Ed invece te la fai con questa ragazza e non mi hai d—»
«Per favore! Smettila!» gridò Gustin di rimando, zittendo Philip all’istante. Questo era già in lacrime, ancor prima di avvicinarsi all’altro. Ma non era riuscito a trattenersi. Si era sentito tradito…
«Violet, scusa, ci sentiamo dopo okay? Perdonami, ma qui ho alcune cose da sistemare» aggiunse, accarezzando la spalla di lei, che sembrava piuttosto spaventata. E come biasimarla? Philip la guardò allontanarsi, ma poi tornò con l’attenzione verso Gustin. «Sei uno stupido, Philip. Un fottuto stupido. Ma che ti salta in mente di urlare davanti a tutta la scuola, eh? Cazzo!»
«Se tu mi avessi d—»
«Avessi detto cosa? Che mia sorella sarebbe tornata in città?»
Philip si zittì, ancora. Non poteva crederci. Aveva appena fatto una figura di merda? Improvvisamente ebbe voglia di sotterrarsi, di fuggire. Un ‘mi dispiace’ non sarebbe contato a niente in quella situazione. Abbassò velocemente lo sguardo, mordendosi il labbro a sangue. Non sapeva cosa dire. Si era fatto prendere dalla gelosia…
«Smettila di guardare male o aggredire chiunque mi si avvicini. E no, non dirmi che non è vero—noto tutto, stupido. Tutto.»
Philip rimase ancora in silenzio.
«Perché ora stai in silenzio? Mi innervosisci.»
«Scusa, io pensavo…»
«Pensavi che avessi una ragazza e non ti avessi detto niente. È questo? Pensi che sarei capace di farlo?»
Philip rimase ancora in silenzio, lo sguardo ancora a terra, non sapendo cosa dire. Gustin si avvicinò e gli tirò su il viso dal mento, tirandogli indietro i capelli con un piccolo sorriso. Odiava vederlo piangere ed odiava vederlo così geloso…
«Non c’è motivo di essere così geloso, Phil. Credimi… Non ce n’è motivo» sussurrò al suo orecchio. «C’è già qualcuno nel mio cuore. Ed è qui con me, ora.»
Il cuore di Philip scoppiò, questa volta in modo positivo. Non stava sognando, vero? Gustin era sicuro di quello che stava dicendo? Si scostò appena da lui solo per poterlo guardare meglio sul viso, asciugandosi un po’ le lacrime. Si sentiva così ridicolo—fino a qualche secondo fa era  arrabbiato, mentre adesso voleva solo baciarlo e stringerlo a sé il più forte possibile. «Gustin, io—non sembrava che tu…»
«So che non sei un ragazzo da queste cose, ma che ne dici di saltare le lezioni e venire da me?»
«E… cosa facciamo da te?»
Gustin sorrise.
«Io avrei qualche idea.»
   
 
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