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Autore: sour_greentea    02/03/2017    0 recensioni
Il problema era proprio quello. Serge abbassò lo sguardo sull’ormai gelida carcassa che teneva fra le braccia. Riusciva a precepire il dolce tepore, che aveva animato quel corpo fino a poco prima, scivolare via.
Di nuovo.
Ormai non soffriva nemmeno più. Non perché avesse smesso di amarla, ovviamente: non avrebbe cessato mai. Ma aveva ormai raggiunto uno stato di gelida accettazione, privo di qualsiasi dolore o amarezza. Si alzò in piedi, diretto fuori e, armatosi di pala, cercò con lo sguardo per metà cieco un posto abbastanza ampio dove sarebbe stata comoda. Non che importasse davvero. Aveva anche pensato di scavare una specie di fossa comune e, nonostante lei non avrebbe dovuto condividere la propria tomba con nessun...altro, gli pareva comunque irrispettoso. Trovava già irrispettosa la sepoltura “di fianco”. Ogni volta le chiedeva, con quanta più leggerezza possibile, come avrebbe voluto essere sepolta. Lei dapprima spalancava gli occhi, per poi scoppiare in una limpida risata. “Di fianco! Almeno sarei comoda!”
Il ragazzo aveva già preparato la targa che avrebbe funto da lapide, insieme alla semplice cassa in legno. Si trattava, come sempre, di un semplice rettangolo in ferro battuto, sul quale erano incise cifre; in quel caso, 177.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Incompiuta
Capitoli:
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Era una notte tranquilla nella contea di Reichen. La luna piena splendeva alta nel cielo, illuminando fiocamente la strada sterrata, deserta. Non si udiva nessun rumore. Tutto pareva immobile, morto. Dall’alto della sua finestra, Rozen guardava la luna. Il suo viso era minuto e pallido, costellato di lentiggini marroncine e incorniciato da lunghi capelli rossi, liscissimi. Aveva dei bellissimi occhi, James glielo ripeteva spesso. Erano grigi, abbastanza chiari, grandi ma dal taglio allungato e molto, molto espressivi. Era appoggiata alla cornice della finestra, con il busto leggermente reclinato in avanti e il mento retto dalle nocche, che appartenevano ad un paio di mani affusolate ed eleganti. La posizione non esattamente eretta accentuava la sua figura sottile, coperta da un lungo abito porpora, con un fitto ricamo di perline argentate sul davanti che percorreva tutto il corsetto. L’intricato disegno simboleggiava la sua appartenenza a una famiglia di alto rango e, nonostante non le piacesse indossare certi ricami, vi era costretta. -Sei la figlia di un ricco mercante- le aveva spesso ripetuto sua madre -e come tale gli devi portare rispetto, onore. Devi distinguerti dalla plebaglia, cara mia!-

Mentre continuava a fissare il cielo, la porta cigolò piano. -Signorina- cominciò tremante una cameriera -suo padre l’attende nel salone. La prego di recarsi da lui. Mentre sarà via metterò io a posto le sue cose, se consente...- La ragazza le sorrise gentilmente. -Ti ringrazio, Dorothea. Ma preferirei che non buttassi via il tuo tempo a riordinare i miei vestiti. Lo farò da sola più tardi. Invece gradirei molto che stasera uscissi dal castello e ti rilassassi.- Alla cameriera brillarono gli occhi. -Oh, signorina Rozen, la r...- cominciò. -No, non sono io quella da ringraziare. Te lo meriti, vista la fedeltà che hai sempre portato alla mia famiglia. Grazie. Ma adesso devo andare, mio padre mi attende. Ci vediamo domattina, Dorothea.- Poi uscì, adagio, scese le scale ed entrò nel salone. Suo padre, un ricco mercante famosissimo all’interno della contea quanto all'esterno, era seduto sulla propria pomposa poltrona. Era un uomo sulla cinquantina, basso, grassoccio e ormai quasi pelato. La sua faccia era incorniciata da una barbetta grigia non troppo lunga, e sul volto spiccavano un paio di occhi argentei, infossati e aguzzi, da rapace. Sua moglie era seduta poco distante. Pareva la versione leggermente più invecchiata della figlia, l'unica differenza fra le due erano gli occhi: quelli della madre erano castani. Rozen salutò i propri genitori con un breve inchino e solo dopo essersi accomodata al fianco alla madre si accorse della presenza di alcuni ospiti. Erano due uomini. Quello più anziano era sulla sessantina, mentre l’altro, - il figlio, pensò Rozen - era sulla ventina. La ragazza salutò educatamente con un cenno del capo, poi suo padre cominciò: - Rozen, cara, ti attendevamo. Ti sarai certamente accorta della presenza dei nostri due ospiti. Loro sono il Signor Reichen e suo figlio.- A nessuno dei presenti sfuggì lo sguardo agitato della ragazza. Il conte Reichen e il suo erede? Che stava succedendo? Il ragazzo si alzò, le si inchinò dinnanzi e, baciandole il dorso della mano, disse: -E’ un onore fare la sua conoscenza, mia cara Rozen. Il mio nome è Tenner Reichen. - Lei corrugò le sopracciglia. Continuava a non capire, così prese coraggio e disse, flebilmente: -Padre...sono pienamente consapevole del fatto che riceviate visite di affari ogni giorno, eppure...non capisco: la mia presenza non è mai stata richiesta prima d’ora. Potreste spiegarmi cosa accade, per favore?- Sua madre prese un profondo respiro, poi sorrise raggiante, mentre il marito diceva: -Dopo averne discusso a lungo, io e il Signor Reichen abbiamo preso una decisione. Fra qualche mese compirai sedici anni, per te è dunque arrivato il momento di prender marito.- Lo sguardo di Rozen si perse nel vuoto. Suo padre sapeva benissimo di chi era innamorata, e l’aveva rinchiusa appositamente nella torre più alta del suo castello per impedir loro di vedersi. Con il viso inespressivo e il sangue che le ribolliva nelle vene, ascoltò il resto. -Vogliamo che tu e mio figlio vi sposiate. - continuò il conte. -Il nome della famiglia Vorgen acquisterà ancora più potere, in cambio noi riceveremo un’enorme dote. Sarà vantaggioso per entrambi i casati.- Rozen si prese un secondo per riflettere, poiabbassò gli occhi. -Avevamo pensato di svolgere la cerimonia nella nostra villa, esattamente il giorno del tuo diciannovesimo compleanno. Ma ormai mancano solamente un paio di giorni e non riusciremmo ad organizzare le cose con la dovuta cura. Perciò non sarà proprio lo stesso giorno ma si spera comunque prima possibile. Se il tempo lo permettesse, sarebbe meraviglioso preparare il banchetto nel nostro giardino.- disse Tenner. Il tono della sua voce era fermo ma al contempo calmo, quasi dolce, e lo sguardo di Rozen si spostò naturalmente sul volto di lui appena lo sentì parlare. Le labbra del ragazzo si incresparono un poco quando i loro sguardi si incrociarono, e una leggera fossetta si formò sulla sua guancia destra. -Mi piacerebbe, se consentito- ricominciò poi, spostando gli occhi sui genitori della propria promessa sposa -guidare Rozen in quella che sarà la sua dimora dopo il matrimonio o, magari, permetterle di viverci per un breve periodo, giusto un paio di giorni, in modo che non si troverà poi troppo a disagio una volta che vi si traferità.-

 

Quando il conte e il suo erede se ne furono andati, Rozen risalì in stanza. Un paio di cameriere le prepararono la vasca, lei le ringraziò e andò a lavarsi. Immersa nell’acqua calda e profumata pensò al figlio del conte, l’uomo che suo padre aveva scelto per lei. Era davvero un bell’uomo, con un atteggiamento elegante e gentile. Rozen strinse gli occhi, facendo sparire l’immagine di Tenner. I suoi pensieri vagarono a James. “Chissà dov’è...” si trovò a pensare, e la sua sincera curiosità si trasformò presto in irritazione. “Stupido, stupido James. Mi lasci sempre sola! Tutte le promesse che mi hai fatto...” La vocina arrabbiata nella sua testa diventò flebile, fino ad ammutolirsi completamente. Rozen prese un respiro per poi mettersi a sedere, afferrare l’olio per capelli e versarne un po' nel palmo della propria mano. Mentre passava le dita fra le ciocche bagnate, ripensò al matrimonio. Era contraria a queste nozze. Ma cosa avrebbe potuto fare? Era l’ennesimo, assurdo ordine del padre e lei l’avrebbe sbrigato a testa bassa. E dopo essersi sposata avrebbe sbrigato gli ordini del marito anziché del padre. Nel suo futuro non c'era spazio per i suoi desideri. Non c'era spazio per James.

 

Era uscita da poco dalla vasca ma si era già messa a letto, a sfogliare un libro. Narrava di una ragazza dai capelli di fuoco, proprio come lei, che era sempre in conflitto col proprio padre e che un giorno decise di scappare con uno dei suoi più fedeli schiavi. “Che cosa ridicola” si disse “Nessuna donna riuscirebbe mai a scappare da un padre come il mio.”

 

L’alba del giorno successivo la ragazza si svegliò, si infilò la vestaglia e, aprendo la porta della propria stanza, trovò Dorothea. –Buongiorno- sussurrò la ragazza. -Buongiorno signorina.- La donna era radiosa, così l’altra le chiese, facendola entrare: -Sembri felice. Sei andata a trovare tuo fratello?- -Sì. Sua moglie sta meglio, e il bambino è bellissimo. Comunque questo è il suo abito per oggi, l’ha fatto cucire sua madre per lei. Dice che è il suo regalo, ma secondo me è solo una scusa... sa, ultimamente mi sembra molto sovrappensiero...- Rozen, mentre ascoltava la deliziosa parlantina della serva, infilò l’abito.

-Signorina,c’è qualcosa che non va? Mi sembra assente. Di solito quando prova un nuovo abito è sempre contenta...non le piace?- le chiese la donna, mentre le stringeva i lacci del corpetto -No,è bellissimo... mi piace molto! Ma l’abito non ha molto a che fare col mio umore...- ribattè piano Rozen, abbassando lo sguardo. -Allora cos’è successo ieri sera col signore?- chiese la donna, facendola sedere davanti la toeletta. -Lui è convinto che io abbia bisogno di prender marito. E ha scelto per me Tenner Reichen, il figlio del conte.- La donna si irrigidì vistosamente e la cosa non sfuggì agli occhi della ragazza, che incalzò: -Che succede?-. Dorothea non le rispose e continuò ad acconciarle i capelli, sempre più nervosa.

-Dorothea, che hai?- chiese di nuovo Rozen, indispettita. Poi esordì, furiosa: -Tu lo sapevi!- La donna chinò il capo, sussurrando: -Mi dispiace, ma suo padre mi aveva ordinato di non dirle nulla, voleva farle una sorpresa...- La rabbia di Rozen durò appena un istante, e si traformò presto in tristezza. Portò le mani agli occhi. -Io non voglio sposarmi! Non voglio!- disse,scoppiando in lacrime. -Non voglio sposarmi con un uomo che non ho mai visto prima per volere di mio padre!- singhiozz ò. Dorothea la abbracciò e la ragazza si strinse a lei. -Mi ha rovinato la vita...capisci? E’ per colpa sua se mi trovo su questa torre, è colpa sua se non posso più uscire... e poi mi lascia sempre sola... mi tratta male, malissimo, peggio di mio padre... stupido, stupido James.- Prese un profondo respiro,cercando di fermare il tremare delle proprie spalle. -Però...- -Però?-le chiese la cameriera. – Però lo amo, tantissimo. E ogni volta che se ne va piango. Piango tanto...e mi si gonfiano gli occhi. E fa promesse, promesse stupide. So benissimo che non riuscirà mai a mantenerle, eppure ci credo. Ogni volta, io ci credo.-

-Cameriera Dorothea!- si udì urlare dalla capo delle governanti, Liberatrice. Dorothea si scusò, sciolse l’abbraccio e si dileguò. -Sono così sola...ho solo lei. Ma mi ascolta perché la mia famiglia la paga per farlo, non perché mi vuole bene davvero...- Rozen si sentiva così stanca da non voler neanche asciugarsi le lacrime, e poggiò il capo sul comò. Era grande e sormontato da un grande specchio; vi si sedeva davanti ogni volta che Dorothea le acconciava i capelli. Grandi lacrimoni le colavano dal viso, bagnando il legno chiaro del mobile. Mentre piangeva sperava con tutta sé stessa di sentire la mano calda di lui sulla schiena, di voltarsi e di vederlo lì, finalmente tornato, solo per lei. Quando finì di piangere, si alzò e andò a lavarsi gli occhi. Vide che il gonfiore non spariva, così si disse, amaramente: “Vedi che effetto ti fa la speranza, sciocca? Lui non tornerà.” Già. E una parte di lei lo sperava davvero. Lui non sarebbe tornato, lei si sarebbe sposata con Tenner, avrebbero avuto dei figli, sarebbe invecchiata vedendo quei bambini nati da un matrimonio forzato e senza amore e sarebbe diventata polvere. Si guardò allo specchio, indossò uno dei suoi fintissimi sorrisi e scese lo scalone. Udendo un chiacchiericcio continuo, si affacciò nel grande salone, dove suo padre riceveva solitamente gli ospiti. -Rozen, vieni. Abbiamo grandi notizie!- Esordì sua madre, facendole cenno di sedersi accanto a lei. La ragazza entrò, piano, e vedendola, Tenner, che era comodamente seduto su una delle poltrone color mattone, si illuminò.

-Buongiorno, mia cara.- Le disse lui. -Buongiorno.- Ribattè Rozen sorridendo, e sperò con tutto il cuore che il gonfiore dei propri occhi non si notasse. La ragazza si accomodò accanto alla madre, quindi la donna disse, raggiante: -Tuo padre capisce perfettamente che per te questa del matrimonio sia una novità e se fossi un po’ sconvolta lo comprenderemmo, così abbiamo deciso di invitare qui Tenner. In questo modo avrete occasione di conoscervi meglio.- -Io e il conte Reichen- interruppe poi il padre -abbiamo inoltre discusso della proposta di Tenner di averti nella loro villa, e crediamo che sia davvero un'ottima idea.- Rozen guardò il volto di suo padre senza vederlo, e chiese piano: -Quando...? Spero almeno di avere abbastanza tempo per preparare le mie cose...- -Abbiamo accordato che il matrimonio dovrebbe svolgersi il più presto possibile, così anche tutto il resto. Perciò Tenner tornerà fra tre giorni a prenderti. Ma stasera resterà con noi, per poi ripartire domattina. Sai, vi sono un bel po' di ore di carrozza fra le nostre due residenze e non ci sembra carino lasciare che il nostro futuro genero si stanchi a causa di tutti questi viaggi.- Rozen non capiva. Sarebbe comunque ripartito il mattino successivo, per poi tornare due giorni dopo. Tutto questo non aveva molto senso. -Adesso però fagli fare un giro del castello, mentre io chiedo a Liberatrice di preparare la stanza più bella per il nostro caro ospite.- La signora Vorgen si dileguò in fretta, poi Tenner si alzò, tese la mano a Rozen e le chiese, sorridendo: -Allora, posso avere l’onore di visitare la dimora della mia futura sposa?-

 

Mentre percorrevano le lunghe scale a chiocciola che conducevano ai suoi due appartamentini nella torre, Rozen chiese, esitando: -...è sicuro di voler vedere la mia stanza?- -Ovviamente- rispose lui. Lei tacque, pensierosa. Appena entrati, la ragazza si sedette davanti il piccolo comò di legno chiaro. -Si accomodi pure, se lo desidera. Anche se in realtà non capisco questo suo bisogno impellente di visitare la mia stanza...- Tenner si girò. -In realtà avevo bisogno di parlarti. Urgentemente.- Lei, che lo stava guardando attraverso il riflesso dello specchio, si voltò, con sguardo interrogativo. -Di cosa?- chiese lei.

-Di noi.- “Di noi”. Quelle parole le rimbombavano nella testa. Aveva voglia di urlare che non esisteva nessun “noi”, che se si fosse sposata con lui, non l’avrebbe ovviamente fatto per amore. Ma si morse il labbro inferiore e continuò a guardarlo, aspettando che parlasse. Lui la raggiunse e le prese la mano. Lei pensava che stesse per ricevere un baciamano, invece lui la strattonò delicatamente, facendola alzare, e la abbracciò per un breve istante. La ragazza si irrigidì. La tenne fra le braccia con fare protettivo, poi le avvicinò le labbra all’orecchio, sussurrandole: -Sai- cominciò. -Se sei sconvolta da questa notizia lo capisco, però preferirei che non piangessi. Mai, mai più.- Rozen sbattè le palpebre. “Ah...” pensò. -Se la causa sono io...beh, mi dispiace, moltissimo. Però ho bisogno che tu me lo dica. Se questa faccenda ti fa soffrire, tornerò da tuo padre e ritirerò la proposta di matrimonio...- -No!- lo interruppe impetuosamente lei. -Mio padre no...- cominciò la ragazza. Era ancora attonita. Nessuno l’aveva mai trattata con così tanto riguardo, specialmente James. Oh, James...Le tornò in mente proprio in quel momento.

 

La notte successiva Rozen stava dormendo profondamente nel suo letto, illuminata dalla luce della luna, che faceva capolino dalla finestra. Da quella stessa finestra si affacciò un piccolo pipistrello e sbirciò dentro. Un istante più tardi, al posto di quella bestiolina v’era un giovane. Era seduto pigramente sulla larga cornice della finestra, con una gamba che dondolava svogliatamente all’interno della stanza. Era interamente vestito di nero e i suoi abiti erano elegantissimi, per metà coperti da un mantello di uno scarlatto così profondo da sembrare nero, dalla trama fittamente ricamata. I suoi capelli erano biondissimi, come fili d’oro, lisci e acconciati all'indietro, in modo che gli accarezzassero le orecchie e la base del collo. La sua carnagione era olivastra ma al contempo luminosa, quasi traslucente, e vi risaltavano un paio di occhi verde smeraldo, brillanti. Rozen si rigirò nel letto alcune volte, inquieta, per poi svegliarsi. Quando vide il ragazzo spalancò le palpebre, scattò a sedere e trattenne a stento un grido, mentre gli occhi le si riempirono immediatamente di lacrime. -Rozen- fece lui, quasi impercettibilmente. La sua voce era roca e profonda, e risuonò nel petto della ragazza nonostante avesse semplicemente sussurrato. Lei lo fissò, mentre calde lacrime le solcavano le guance. Si fissarono per alcuni istanti, poi lei distolse lo sguardo e lo rivolse verso un punto indistinto. Il ragazzo si avvicinò spavaldamente, le afferrò con violenza e la strattono a sé. –No...- cominciò lei in un respiro. –Non voglio...- continuò in modo davvero poco convincente. Perché, sebbene con la testa sapesse che quel ragazzo le avrebbe portato solo disgrazie e malessere, non riusciva ad arrestare i propri sentimenti. –James, io...- sussurrò la rossa. Lui la spinse via bruscamente, con uno sguardo tagliente. Incrociò le braccia al petto e tuonò: -Non glielo permetterò.- Poi la guardò bieco, dicendo, fra i denti: -Non permetterò che un uomo del genere si prenda gioco di me in questo modo!- Rozen abbassò gli occhi, impotente. Detestava assistere a quei suoi violenti sbalzi d’umore. Lui sospirò, poi rise sguaiatamente e disse: -Cosa crede di fare quel vecchio? Quale presunzione! Ho già marcato il mio territorio, e darti in moglie a quel principino non cambierà assolutamente nulla! – Rozen continuò a guardarlo, poi cominciò: – James, io...- -Non ho intenzione di stare qui ad ascoltare una sgualdrina come te!- la interruppe violentemente il biondo. – Sgual...drina...?- La ragazza era allibita. Poi si infuriò. –Come osi?! Non sono affatto una donna di facili costumi!- sbottò subito dopo.–Lo credevo anch’io. Ma solo una ragazza di facili costumi si lascerebbe incantare da un uomo come il figlio del conte. Ed è appunto ciò che hai fatto tu.- ribattè James fra i denti, con le braccia incrociate al petto e un’espressione rabbiosa e bieca. Rozen spalancò gli occhi, poi sbottò, furiosa: -Non riesco a crederci! Quanto tempo sei stato lì a spiarmi?- Il giovane la guardò torvamente, senza dire una parola. La ragazza si coprì la bocca con le mani, lasciando vagare il proprio sguardo attraverso la grande stanza. La rabbia si trasformo subito in tristezza, e gli occhi le si riempirono di lacrime, sedendosi sul letto. Tentò di calmarsi, prendendo un profondo respiro, ma invano: aveva già cominciato a tremare e le lacrime non volevano saperne di fermarsi. -Perché non ti sei fatto vedere...?- mormorò in un respiro. James la guardò in modo bieco per un attimo, poi scoppiò a ridere, una risata secca e per nulla divertita. -Adesso non ricominciare. Non metterti a piangere e non dirmi che sono cattivo e che ti sei sentita sola, che ti mancavo!- disse rabbioso, afferrandole con una mano la mascella. -Non azzardarti! Non ne posso davvero più del tuo solito modo di fare, maledizione. E quel vecchio arrogante, poi!- Pian piano il suo tono andava alzandosi, e finì per urlare. -Tu sei di mia proprietà! Sei il mio animaletto e non ti lascerò andare così facilmente, sappilo!- La pressione delle sue dita sul volto della ragazza aumentò. -La...lasciami! Mi stai facendo male...!- si lamentò lei, tentando di allentare la presa del ragazzo con le proprie piccole, esili dita. La rabbia di lui sbollì abbastanza da mollare la presa su Rozen. Le voltò le spalle e incrociò le braccia, sospirando pesantemente. -Sgualdrina.- ripetè. La ragazza era troppo impaurita per fare qualsiasi cosa e si limitò a fissarlo, massaggiandosi il punto in cui l’aveva afferrata. Dopo un attimo di silenzio, lui fece: -Cosa? Non hai intenzione di aggrapparti a me e piangermi addosso, implorandomi di restare?- Rozen non rispose. Si era preso gioco di lei fin troppo. Quando riuscì a prendere abbastanza coraggio, mormorò: -Cosa sei venuto a fare...?- -Non è ovvio?- scattò bruscamente lui, voltandosi di nuovo verso la ragazza. -Oggi è il tuo diciannovesimo compleanno.- Rozen continuò a fissarlo. Non gli erano mai importate cose del genere... James sospirò.
-Ti porto via con me, stupida.- Rozen abbassò lo sguardo, poi si asciugò le lacrime col lembo della propria veste e sorrise tristemente. In un'altra situazione non ci avrebbe pensato su due volte; gli avrebbe gettato le braccia al collo, magari piangendo, mentre lui l'avrebbe chiamata stupida e l'avrebbe abbracciata. Adesso, però, le cose erano diverse. -Non...non puoi farlo.- disse piano. La mattina successiva Tenner sarebbe venuta a prenderla e l'avrebbe portata nella propria villa, dove, un paio di settimane più tardi, si sarebbero sposati. Non era quello che lei desiderava, certamente. Ma era stanca di essere alla completa mercé di un uomo come James, che la torturava e tormentava, approfittando dei sentimenti che nutriva per lui. -Ah, e chi lo dice, questo?- ribattè il biondo, squarciandola con i suoi occhi verdissimi. Rozen raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo e prese un piccolo respiro, poi cominciò a parlare, tenendo gli occhi bassi. -Non puoi farlo...non puoi venire qui e fare ciò che vuoi, per poi andartene e tornare dopo mesi, per dirmi che mi porti via...non è così che funziona.- James scoppiò a ridere, riempiendo la stanza della propria risata, secca e spaventosa. Stupida ragazzina. Perché non capiva? Eppure era così chiaro: lo stava facendo per il suo bene. Però lei era testarda. “Non è così che funziona” ...con quale arroganza glielo stava dicendo? Dopo tutto ciò che lui aveva combinato per quel suo tenero visino. Si poggiò allo stipite della porta, incrociando le braccia e successivamente anche le gambe, all'altezza delle caviglie. Chiuse brevemente gli occhi, esalando un piccolo respiro. -Rozen- fece poi, alzando lo sguardo ed incrociando quello di lei, ancora seduta a letto, con le coperte in grembo e le spalle leggermente in tensione. I capelli ramati erano raccolti in una treccia morbida, dalla quale erano sfuggite diverse ciocche, che, ricadendo dolcemente, incorniciavano il viso perfettamente ovale. Il labbro inferiore era leggermente reclinato e le sopracciglia chiare, appena corrugate, formavano una piccola riga sulla fronte alta. Oh, era così patetica. Ma era la forma di pateticità che gli piaceva così tanto. Lo appagava così tanto. -Rozen, tesoro.- sussurrò, attraversando a grandi passi la distanza fra la porta e il letto, e la prese fra le braccia. La ragazza fremette un attimo, come percorsa da un brivido, e poi, inaspettatamente, cominciò a dimenarsi. James, che nel tenerla stretta l'aveva sollevata di un poco, allargò le proprie braccia. Rozen fece leva sul suo petto, ma le sue tenere manine non avevano abbastanza forza, e finì semplicemente per cadere all'indietro, sul letto. La sua figura esile adesso distesa pareva agli occhi del biondo così fragile... Gli occhi grigi di lei lo fissavano impotentemente fra le ciglia rossicce. Per un istante il tempo parve fermarsi. Poi James sorrise, ed una frazione di secondo più tardi si trovò sopra la ragazza. Rozen deglutì, abbastanza forte da farlo sentire anche al ragazzo, e sbattè le palpebre. Restarono un istante a fissarsi negli occhi. Oh, se aveva sentito la mancanza di quel paio di fari argentati. -James...- sussurrò lei, abbassando lo sguardo. Il ragazzo non rispose ma si fiondò sulle sue labbra, prima dolcemente, assaporandole piano, come se avesse paura di far loro del male, poi in modo più famelico, inserendo quasi forzatamente la propria lingua fra le labbra di lei. Il volto torvo e disapprovevole di suo padre apparve davanti agli occhi della ragazza, che sbattè ripetutamente le palpebre per scacciare via quell'immagine. Poggiò le palme delle mani sul petto del ragazzo, e bastò una leggera pressione per interrompere il bacio. James allontanò il proprio volto di qualche centimetro, e aprendo le palpebre si ritrovò di fronte gli occhi di Rozen, spalancati ed inorriditi, pieni di lacrime. -Seriamente....- cominciò il ragazzo, prendendo un respiro e scuotendo la testa. -Credo sia la terza volta che i tuoi occhi si riempiono di lacrime stasera.- Poi, in modo completamente inaspettato, le rotolò accanto, stendendosi sul letto. La afferrò con veemenza e l'avvicinò a sé, chiudendola nella morsa delle sue braccia. Rozen venne investita dall'odore pungente di lui: spezie ed erbe varie si univano ad una leggera nota di sudore. Quello era il profumo di James. Non era mai riuscita a capire cosa pensasse...e la cosa l'aveva turbata molto, all'inizio. Poi, aveva semplicemente smesso di provarci, lasciandosi trasportare da ciò che il suo piccolo cuoricino impazzito le diceva di fare. Prima di conoscerlo non avrebbe mai neppure lontanamente pensato di poter provare qualcosa di simile. Prima di James era tutto così diverso. La sua stanza era poco distante da quella di sua madre, e la torre nella quale si trovava adesso non esisteva ancora. Suo padre era un punto di riferimento per lei, e non avrebbe mai creduto che potesse farle del male, in alcun modo. Improvvisamente, l'immagine di due bambini, voltati di spalle, che giocavano vicino ad un albero, apparve nella mente di Rozen. Non le era mai accaduto prima di allora, ed era anche abbastanza sicura di non aver mai assistito a quella scena. -Rozen- chiamò piano James, strappandola a quel pensiero. Lei alzò di poco il viso, incontrando lo sguardo di lui. -Ti sei irrigidita.- continuò James. Rozen scosse leggermente la testa, e un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra. Andava tutto bene. Nonostante il ragazzo fosse mentalmente instabile, e Rozen non riuscisse mai a capire cosa scatenasse la sua ira... nonostante la facesse sentire insicura, stupida, usata e inutile... nonostante se ne andasse sempre, così, senza nemmeno avvisarla e senza che lei sapesse dove o a fare cosa... James era sempre James. Ed adesso era lì, che la teneva fra le braccia. Nient'altro aveva importanza. Non avrebbe permesso al dolore che le attanagliava la gola di rovinare quel momento. Rozen abbassò le palpebre, esalando un piccolo respiro fra le labbra socchiuse, per poi poggiare la fronte sul petto del ragazzo. -Mi sei mancato...- sussurrò.

 

Era ormai mattina, e un raggio di sole penetrava fra le tende chiare, socchiuse, della finestra di Rozen, avvolgendo nella propria luce dorata una porzione del letto. In esso, James, ormai sveglio da qualche ora, era disteso su un fianco, mentre giocava con una ciocca ramata della ragazza. La arrotolava e srotolava piano attorno alle proprie dita, fissando il modo in cui la luce veniva riflessa sui capelli di lei, che sembravano quasi biondi. Rozen, ancora addormentata, gli dava le spalle. Gli unici suoni udibili erano il cinguettare di qualche uccellino e i lenti respiri della ragazza. James avrebbe dovuto portarla via prima del sorgere del sole. No. Avrebbe dovuto portarla via prima del suo diciannovesimo compleanno. Ormai era già tardi... quelle bestie erano già in viaggio. Tutto questo era così snervante. Era già stanco di questa storia... Non avrebbe voluto partecipare fin dall'inizio. Non che avesse avuto scelta, comunque. Un gemito lo strappò a quei pensieri. Abbassò lo sguardo annoiato sulla ragazza, che, ancora addormentata, si era voltata verso di lui. La scialba casacca che la ragazza indossava per dormire, che normalmente le sfiorava le ginocchia, con quel movimento si era sollevata, mostrando più pelle di quanto fosse consono. Gli occhi del ragazzo analizzarono senza poi troppo interesse quelle forme, e il suo sguardo indugiò su un neo nell'interno coscia destro. Quella seppur piccola macchiolina scura, dalla forma particolare, era il motivo per il quale l'aveva conosciuta. Senza pensarci su troppo, avvicinò la mano e la sfiorò con la punta del dito. Rozen sbattè un paio di volte le palpebre prima di svegliarsi. -James...- mormorò con la bocca impastata, sorpresa di vederlo ancora lì. Poi abbassò lo sguardo verso la mano del ragazzo e avvampò, distogliendo subito lo sguardo. -C...he stai facendo?- balbettò, ora completamente sveglia. James prese un respiro, pensando a come potesse ancora imbarazzarsi per un contatto come quello, e poggiò adesso il palmo alla base della schiena della ragazza, avvicinandola a sé. -Ti porto via.- le sussurrò in un orecchio. Il suo tono era piatto ed inespressivo, e il ragazzo non aveva voglia di discutere. Era particolarmente di cattivo umore quel mattino, come accadeva ogni volta che trascorreva un po' di tempo con quella ragazza. Assorbiva tutta le sue energie e lo rendeva stanco e irritabile. Più irritabile del solito. Inoltre, non è che lui volesse davvero portarla via. Rozen scosse piano il capo, abbassando lo sguardo. -Non puoi farlo...- ribattè piano. James sospirò, allontanandola bruscamente da sé. -Diamine, che ragazzina arrogante.- fece fra i denti. Si mise a sedere, passandosi poi una mano fra i capelli chiarissimi, ed infine afferrò Rozen per un braccio e la trascinò fuori dal letto. La spinse al centro della stanza, per poi spostare il letto in ferro battuto, allontanandolo dal muro di mattoni. Rozen spalancò gli occhi. Credeva di averlo nascosto per bene... James si accovacciò fra il muro e il letto, per poi inserire le dita fra gli spazi adiacenti ad un mattone, sfilandolo. -Disgustoso.- fece il biondo, schioccando la lingua. -La prossima volta che proverai a lamentarti del fatto che non penso mai a te nasconderò la tua testa dentro questo buco. Stupida.- Rozen abbassò lo sguardo colpevole, mentre il giovane tirava fuori un pesante libro dalla copertina rigida e scura. -Credevi non sapessi di questo “nascondiglio”?- le chiese poi, spolverando con le proprie mani le copertina rovinata. Se lo mise sotto braccio e si avvicinò alla porta, per poi voltarsi verso la ragazza, ancora al centro della stanza. -Cosa stai aspettando, esattamente?- le chiese, irritato. Rozen continuava a fissare un punto indistinto sul pavimento, mentre stringeva fra le dita la casacca che aveva addosso.

 

***

 

Sotto un albero, che lo riparava dal sole, era seduto un ragazzo. La schiena, poggiata contro il tronco, era ampia e le spalle, grandi, erano collegate ad un paio di braccia imponenti. Queste terminavano in un paio di mani che stringevano un piccolo libro, il quale appariva ancora più minuscolo fra le sue dita. Le gambe erano stese e accavallate pigramente all'altezza delle caviglie. Alzò un bracciò per riavviarsi una ciocca biondo-rossiccia, sfuggita alla bassa coda sulla nuca, dietro l'orecchio. Quando fece per riportare le dita al libro, una manina gli si poggiò sul polso. Apparteneva alla bambina che gli era distesa accanto, il cui capo era poggiato sul grembo di lui. Anche lei teneva fra le mani un piccolo libro, e, senza staccare gli occhi dalla frase che stava leggendo, portò la mano del ragazzo alla propria guancia. L'espressione di lui si ammorbidì, e le sue labbra s'incresparono, formandogli così un paio di fossette sulle guance.

-Signorina Reon...- sussurrò flebilmente una cameriera, apparsa dal nulla. -Un uomo dall'aria cupa ha chiesto di riceverla... ha detto che si tratta di un affare importante.- La bambina si mise a sedere e, con espressione annoiata, si voltò verso la donna tremante, chiedendole: -Dov'è adesso?- Nell'esatto momento in cui gli occhi di ghiaccio di Reon si fermarono ad analizzare il suo volto, la cameriera impallidì. -Nel salottino dei vostri appartamenti...- rispose. Reon sbuffò platealmente, per poi alzarsi e dirigersi verso l'edificio in mattoni nel quale abitava.

 

-Cos'è che vuoi?- chiese all'uomo interamente vestito di nero, che le dava ancora le spalle, seduto in una delle piccole poltroncine dorate. Lui si voltò verso la bambina. Il suo volto presentava un paio di rughe sottili e quasi impercettibi ai lati degli occhi e fra le sopracciglia, nere e foltissime, dalla bella forma. La mascella squadrata quasi contrastava lo sguardo dolce nei suoi occhi dorati, e la fine delle basette, quasi completamente grigie, tradiva il suo aspetto giovane. I capelli corvini erano raccolti in una coda bassa, sulla nuca, mentre una singola ciocca, tenuta insieme da un fermaglio nel quale era incastonata una pietrolina, gli incorniciava il viso. -Reon- cominciò lui, sorridendole. -è sempre un piacere vederti.- La bambina attraversò la stanza, andandosi a sedere sulla poltrona dal lato opposto a quella dell'uomo. -Mi piacerebbe poter dire lo stesso, Luz.- mormorò, fissandolo. Il vestito color miele che indossava lei sembrava dello stesso colore degli occhi dell'uomo, ma non l'aveva scelto per quel motivo. Nell'esatto momento in cui aveva visto quell'abito non le era nemmeno passato per la testa che potesse intonarsi a quel tremendo paio di occhi. Seriamente. L'uomo le sorrise, per poi cacciare da una tasca un piccolo sacchetto e poggiarlo sul basso tavolino che si trovava fra loro. -Ero in viaggio verso la Grande Acqua e ho visto questa cosa in un mercato. Credo che possa interessarti.- Reon abbassò lo sguardo verso il sacchetto scuro e si sporse in avanti, afferrandolo. Fece per aprirlo ma si fermò e sollevò lo sguardo verso un lato della stanza. -Ho fame.- fece. Poggiò il sacchetto sul proprio grembo e battè le palme delle mani due volte. Un istante più tardi una figura alta ed esile entrò nella stanza. -Ha chiamato, signorina?- chiese con la sua voce stridula ed echeggiante. -Ho faaaame.- ripetè Reon, dondolando le gambe.

-Portaci l'arrosto di gui... o qualsiasi cosa sia.- L'omino argenteo si inchinò, mentre Reon aggiunse, fra i denti: -E fa' presto.-. L'omino si affrettò fuori dalla stanza e Reon riportò la propria attenzione al sacchetto. Sciolse il piccolo fiocco e rovesciò la bustina sul proprio palmo, rivelando un piccolo orologio da taschino di bronzo. I numeri, però, erano assenti, e vi erano solo una lancetta a due punte e una piccola immagine che Reon non riuscì a decifrare. -Che strano orologio.- mormorò, fissandolo. Luz sorrise. -Non si tratta di un orologio. Si chiama bussola ed è una specie di cartina portatile che ti indica la direzione.- Reon alzò lo sguardo verso di lui. -Aspetta, stai tentando di dirmi che questa cosa può indicarmi la strada e che perciò non devo fare appello a nessun tipo di magia per trovarla?- L'uomo sorrise ancora. -Già. In bella parte del continente di Oron girano già un sacco di voci sull'Un. Sai, i mercanti tentano sempre di lucrare su questo genere di cose. Ma questa bussola l'ho presa da una vecchia che sembrava sapere esattamente di cosa si trattasse.- In quell'istante, l'omino grigio rientrò preceduto da un carrello. Posò un piatto di fronte ciascuno degli ospiti, insieme a diversi tipi di posate. Infine riempì due calici altri di una sostanza densa e rossiccia e li poggiò dinnanzi i piatti. Poi sparì, se possibile anche più velocemente di quanto fosse apparso. Luz sorrise di nuovo. -I tuoi amichetti non sembrano esattamente cordiali. Pare che non vedano l'ora di allontanarsi da te.- Reon sorrise biecamente. -Lo dici come se fosse una brutta cosa. Mi temono, ed è giusto così, non credi?- -Non ne sono sicuro.- ribattè l'uomo, per poi abbassare lo sguardo sul piatto di fronte a sé. -E non sono nemmeno sicuro che questa sia carne di gui. Diamine, per quanto ne so potrebbero essersi estinti da decenni.- -Oh, non importa. Ha un buon sapore. Ah, e questa miscela vi si sposa alla perfezione. Se non sei affamato almeno prova a berla, sono sicura che ti piacerà.- Luz prese il calice e fissò il liquido all'interno, nel quale si rifletté. Lo portò poi alle labbra e prese un sorso. Reon intanto si concentrò sulla propria carne, e tagliandola un rivolo violaceo fuoriuscì, sporcando il piatto. L'uomo abbassò le palpebre, esalando un piccolo respiro. Quando le risollevò i suoi occhi color miele erano diventati nerissimi. Reon deglutì ilproprio boccone e scoppiò a ridere. -Sapevo che avresti apprezzato ma non credevo così tanto.- Luz la guardò, passando la lingua sui propri canini pulsanti, ora aguzzi. -Non capisco perché tu ci tenga tanto a farmi del male.- fece con amarezza. -Oh, andiamo.- Reon riportò le proprie attenzioni alla carne, tagliandone poi un altro boccone e avvicinandolo alle proprie labbra. -Lo sai che adoro stuzzicarti.- L'uomo la fissò per un paio di istanti. -Non sei cambiata per nulla.- disse. Lei sorrise. -Oh sì che lo sono, purtroppo. Questo corpo è così piccolo e scomodo. Ah, e non incute nemmeno paura.- Questa volta fu lui a sorridere. -Io lo trovo adorabile, però.- -Non ti senti disgustoso? Potrei essere tua figlia.- ribattè Reon, facendogli roteare gli occhi. -Non dirlo come se stessimo parlando di una bambina vera. Comunque sia, mi riferivo al tuo caratterino. Pungente come sempre.- -Non dirlo come se ti dispiacesse, Luz. Ad ogni modo, quel ragazzo...- cominciò, mentre l'uomo prendeva un altro sorso. -Ho l'impressione che mi stia facendo ammorbidire. Non vedo l'ora che tutto questo finisca e che io possa finalmente tornare alle origini. Voglio togliermelo di torno.- -Beh, spero che con quell'oggettino io possa averti aiutato in qualche modo. Questa storia non è nemmeno cominciata ed è già tutto così tremendo. Non oso immaginare come sarà una volta che troverete quel maledettissimo Un.-

 

-Il tuo colloquio con l'uomo “dall'aria spaventosa” è durato davvero molto.- disse il ragazzo dall'aria imponente a Reon, una volta che lei lo ebbe raggiunto nella cupa ed enorme libreria del palazzo.

-Purtroppo. Ma almeno è stato in qualche modo utile. Mi ha procurato una sorta di mappa che ci potrebbe indicare la direzione dell'Un. Non sono certa che funzioni davvero ma...non mi resta che provare. Se le indicazioni della mia mappa e quelle coincidono, potrò evitare di cercare con la mia magia.- -Risparmiandone una quantità notevole.- finì lui. -Esatto. Questo corpo è così minuscolo, non riesce a contenere nemmeno la metà del mio potenziale...- Reon sedette accanto al ragazzo, poggiando le palme delle mani sul tavolo in legno massiccio. Chiuse gli occhi e prese un respiro. Qualche istante più tardi una luce rosea la avvolse, e come se vi fosse una forza che li spingesse verso l'alto, i suoi capelli si sollevarono, insieme ad alcuni piccoli globuli di luce, rosei anch'essi. Le palpebre di Reon poi si sollevarono, rivelando l'assenza delle pupille, che erano rovesciate così all'indietro da mostrare solamente la sclera bianca. Le dita della bambina cominciarono a tracciare diverse figure sul tavolo, rilasciando dei tratti di luce dai toni principalmente caldi. Prima disegnò due cerchi concentrici con della luce aranciata, poi accanto una croce in bianco, ed infine diverse altre figure, in dorato e rosso. Finito il disegno, poggiò nuovamente le palme sul tavolo e abbassò le palpebre. Una volta che la luce l'ebbe abbandonata, il suo capo si rilassò, rovesciandosi in avanti, come se fosse addormentata. Il ragazzo scattò in piedi, piegandosi sul tavolo ed afferrandola prima che cadesse e potesse sbattere la testa. Ultimamente accadeva sempre più spesso, pensò il ragazzo. Poggiò il suo capo sul tavolo, in modo che non potesse farsi male, e attese che si riprendesse. Intanto abbassò lo sguardo sulla mappa di luce che aveva ora completamente preso forma. I disegni non assomigliavano nemmeno a quelli dell'ultima volta, e si chiese il perché. Mentre continuava ad analizzare i tratti, Reon riaprì le palpebre. -Maledizione- fece -sto diventando una deboluccia...-. Tirò poi fuori la piccola bussola donatole da Luz e la poggiò accanto al disegno di luce. La direzione della croce bianca e quella dell'iconcina nella bussola corrispondevano. Perfetto. -Sean.- disse lei, guardando il ragazzo. -Sei sicuro di volerlo fare? Non ti costringe nessuno e sei ancora in tempo per farti indietro.- Lui le sorrise con aria fiduciosa. -Non mi costringe nessuno? Io devo trovarla.-

   
 
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